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Cum opus, cui titulus La Divina Commedia etc. Commento del P. Domenico Palmieri S. I. aliqui eiusdem Societatis revisores, quibus id commissum fuit, recognoverint et in lucem edi posse probaverint, facultatem concedimus, ut typis mandetur, si ita iis ad quos pertinet videbitur.

In quorum fidem has litteras manu nostra subscriptas et sigillo Societatis nostrae munitas dedimus.

Datum Romae in festo Epiphaniae 1898.

FRANCISCUS CARINI Praep. Prov. Rom. S. I.

IMPRIMATUR

Prati, die 28. Junii 1899. Can. Archid. IOACHIM GORI, Vic. Gen.

1528

47-18 9-2

PREFAZIONE

Eccoci alla terza cantica: cantica sublime e la più bella, degna senza fallo del Paradiso: sparsa a larga mano di filosofia e teologia: sì che non ci tornerà a leggera fatica il coglierne sempre la legittima interpretazione. Ben dice il Tommaseo, che qui le trattazioni filosofiche e teologiche non sono un fuor d'opera, ma parte necessaria dell' argomento, tutto soprannaturale e divino: vero è che qualche volta si succedono troppo da vicino. Dante nella sua lettera a Can grande della Scala, ha dato un saggio di commento, dichiarando le prime sei terzine: più avanti non andò, che glie l'impediva rei familiaris angustia; nè, credo, abbiam troppo a dolerci di siffatta mancanza. Se il Poeta proseguiva come avea cominciato, avremmo avuto un commentario dettato, al dir del Tommaseo, in modo scolastico e pedantesco, da far scappar la voglia di leggerlo. Un poeta infatti, che si mette a dire in prosa ciò, che ha pensato in versi, resta ordinariamente di gran lunga inferiore al suo concetto e generalmente parlando, l'autore, più ch'ogni altro, rifugge dal far l'analisi dell'opera sua; l'andarci sopra collo

D. PALMIERI

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Vol. III. Paradiso.

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scalpello anatomico gli fa ribrezzo. Non che noi pretendiamo saperne quanto Dante: ma poichè finalmente l'opera richiede un commentario fatto da altri e le cose, che dice, non sono tali, che vadano al di là da noi, potremo, senza tema di rimprovero, entrare, dopo altri, in cotesto aringo e intraprendere, come delle precedenti, l'analisi di quest'ultima cantica, più ricca in filosofiche e teologiche speculazioni.

Della disposizione de'cieli, del comparirvi che fanno le anime beate, dell'ordine tra esse posto dal Poeta, ci converrà parlare in diversi canti: che però qui faremo punto, per entrare nell'aringo rimaso.

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CANTO I.

La gloria di Colui, che tutto muove,
Per l'universo penetra e risplende
In una parte più, e meno altrove.
Nel ciel, che più della sua luce prende,
Fui io e vidi cose, che ridire
Nè sa nè può qual di lassù discende;
Perchè appressando sè al suo disire
Nostro intelletto si profonda tanto,
Che retro la memoria non può ire.
Veramente quant' io del regno santo
Nella mia mente potei far tesoro,
Sarà ora materia del mio canto.
O buono Apollo, all' ultimo lavoro
Fammi del tuo valor si fatto vaso,
Come dimandi a dar l'amato alloro.

1. Colui che tutto muove: Dio. V. l'Oss. L'universo: non solo le singole cose tutte quante, ma il loro complesso ordinato (t. 35). Penetra: investe e va al fondo d'ogni cosa e di lì Risplende: si manifesta apertamente. V. l'Oss. In una parte più... in una parte dell'universo più, in altra meno. Ciò riguarda solo il risplendere, non il penetrare: tutte le cose sono in modo eguale penetrate oggettivamente dalla gloria di Dio: ma perchè la perfezione intrinseca ivi posta da Dio non è la medesima in tutte le cose, ma minore in queste, maggiore in quelle, risplende la gloria di Dio più nell' una parte che nell'altra dell'universo.

2. Nel ciel, che più... Cielo abbraccia tutti i cieli de' pianeti e delle stelle, e l'empireo, che è la sede de' beati: poichè in tutti essi fu il Poeta. Il cielo prende più della luce di Colui che tutto muove, perchè è più perfetto della terra e quindi più in lui si fa palese la gloria di Dio.

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Vidi cose: non tutto ciò che ha visto, è tale, ma alcune cose. Qual: chiunque.

3. Suo disire: oggetto desiderato, a cui l'intelletto tende e che può quetare il suo desiderio ossia la sua voglia di sapere, Dio veduto, che è il fine dell'uomo e la sua beatitudine. Appressando sè: non sol conoscendo, ma conoscendo sì da vicino, che nulla vi sia di mezzo tra l'intelletto e Dio, sia la cognizione, non mediata qual'è la presente per mezzo delle creature, ma immediata, intuitiva, facie ad faciem. Si profonda tanto... va tanto al fondo dell'oggetto veduto, tanto ne apprende, che la memoria non può tenergli dietro, ricordando il veduto. V. l'Oss.

4. Veramente: verumtamen. Regno santo: il cielo. Far tesoro: serbandolo nella memoria. Sarà ora materia... non quanto ha veduto, ma quanto ha potuto serbare nella memoria.

5. O buono Apollo: è ben la divinità pagana o mitologica, quegli che venuto

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