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Noi udiremo, e parleremo a vui, Mentrechè 'l vento, come fa, si tace. Siede la terra, dove nata fui,

Su la marina, dove 'l Po discende Per aver pace co' seguaci sui.

96. Dante imitò questo verso da Virgilio (V. not. v. 124, in fine) il quale Egl. V, 57 dice:

Ventosi ceciderunt murmuris aurae. (Vedi anche not. v. 82.)

Come fa, vale com'è il caso, come fa mestieri, come giova o si richiede perchè s'oda quel che si dice ec. Così nella Versione italiana del Romanzo Francese, conforme al quale è l' antichissimo poemetto l'Intelligenza attribuito a Dino Compagni, si legge: Dell' ammantatura non fa già dimandare,ch'ella iera d'uno maraviglioso isciamito ec. Dove: non fa, vale non è mestieri, non occorre ec.

Io non oserei dire che questo fa ritraesse molto da il faut del verbo Falloir dei Francesi, che val pure, fra gli altri: bisognare, esser d'uopo, convenire; ma Fare, così assolutamente costruito, per Esser utile, convenevole, a proposito, importare e simili, è proprio di nostra lingua:

Non fa per te di star tra gente allegra (è utile ec.) Che vi fa egli, ch'ella sopra quel veron si dorma? (v'importa)

Quindi la frase: Non è mio fatto per, non è cosa che a me importi... Eccone altri esempi. Brunetto Latini, Oraz. di M. Cato: Ma io so bene che queste mie parole non curate, perchè le vostre ricchezze vi fanno dimenticare molto del ben fare; e di ciò non mi farebbe niente, fusse il mio Comune in buono stato, cioè: non mi premerebbe, importerebbe; purchè fosse ec. Ancora, Della Giustiz. di Trajano: E pognamo ch'elli lo faccia," a le che fia se quell'altro farà bene? dove: che fia, vale: che gioverà, che bene sarà a te? ec. E si noti che Fia è dal lat. Fio passivo di Facio. Rinaldo d'Aquino:

Solo questo mi faccia,

S'io l'amo non le spiaccia.

mi faccia per mi giovi.

Anche i Latini.Plin.Lib.XXII, cap. 18:
Facit ad difficultatem urinae.
Fa, ovvero giova ec.

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D'altronde siccome Fare scusa tutt' i verbi; nel verso addotto non è strano intenderlo per Tacere. La sentenza allora sarà: Noi parleremo a voi ec. durante fa; cioè come tace al presente. il tempo che il vento si tace, come ora

97 segg. Nata fui per Nacqui, alla maniera latina. Nata fui da Nasci depon. neutro. Il Vill. Lib. VI: Il re Manfredi fu nato per madre ec.-Moral. S. Greg.: Perisca il giorno nel quale fui nato. Il Bojardo C. XII, 44:

Ahi lassa me, dicea, per cui fui nata Che non moritte in cuna picciolina. Le lingue romanze tennero la stessa forma; sicchè Dante a ciò fare non ebbe mestieri di nessuna licenza.

Il passato rimoto composto de' verbi italiani: come io fui nata, io fui dimorato ec. è ben distinto sì nell'uso dei costrutti, come nell'uffizio, dal passato rimoto semplice io nacqui, io dimorai ec.; onde l'osservazione già fatta non è qui fuor di luogo.

Niccolini (a), è veramente maraviglioso L'accorgimento di Dante, dice G. B. quando nell' Inferno Francesca di Rimini, a manifestar la sua patria, favella del Po con queste parole. Il cuore travaglialo della misera ragiona del fiume in riguardo al suo stato. il Po trova finalmente pace nel mare; ma essa non può averla in quell'oceano di dolore, perchè

Di qua, di là, di giù, di su gli mena; Nulla speranza gli conforta mai, Nonchè di posa, ma di minor pena. Poeta riscalda i minimi oggetti inanimaCosì, conchiude egli, la fantasia del ti, e ci desta amore per essi, mantenendogli in quella misteriosa relazione che hanno con l'uomo.

(a) Dell'universalità e nazionalità della Divina Commedia - Lezione detta nell' Accademia della Crusca il 14 settembre 1830.

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Amor, che al cor gentil ratto s' apprende,
Prese costui della bella persona,

100. Il Poeta conforme a questa sen-
tenza avea in un sonetto già cantato:
Amore e 'l cor gentil sono una cosa
Siccome il saggio in suo dittato pone:
E così esser l'un senza l'altro osa
Com'alma razional senza ragione.
Saggio qui per Poeta è detto il Gui-
nicelli, da cui Dante trasse e be' concet-
ti e leggiadre locuzioni, come dimostra-
no i seguenti versi che arrechiamo da
una canzone di Guido, la quale fu dal
Monti estimata sublime:

Al cor gentil ripara sempre Amore,

Siccome augello in selva alla verdura.
Nè fe Amore anti che gentil core,
gentil core, anti che Amor, Natura.
Che adesso com fu il Sole,

Si tosto fue lo splendor lucente,
Nè fu davanti al Sole.

E prende Amore in gentilezza loco
Così propiamente,

Come il calore in chiarità di foco.
Foco d'Amore in gentil cor s'apprende ec.
Quest'ultimo verso del Guinicelli è
stato dall'Alighieri tolto quasi di peso e di
poco variato in quello che qui annotiamo.

Nel Poema, l'Intelligenza, scritto assai prima che ai tempi di Dino Compagni, al quale erroneamente si attribuisce, si legge:

Che lo primo pensier che nel cor sona
Non vi saria, s'Amor prima no 'l dona:
Prima fa i cor gentil che vi dimori.

Il concetto fu comune di tutt'i trovadori prima di Dante, e de' nostri volgari verseggiatori antichi.

Tommaso Buzzola da Faenza:
Così Amore in cor polito annasce
Gentile e pien d'amoroso desire,
Ponesi fermo e non vuole partire
Poi (poichè) lo disira come riva l'ape.
Bonaggiunta Urbiciani:

Quando gli appar Amor prende suo loco
Sendo deliberato, non dimora
In cor che sia di gentilezza fora.
Il Petrarca:

Amor che solo i cor gentili invesca.
Fiamma d'Amor che in cor alto s'indonna.
Lo stesso Poliziano,in una sua Ballata:
Amor non vien se non da gentilezza,
Nè gentilezza regna senza amore.
Ognuno osserverà leggermente che
questo Amore platonico sì levato a cielo
dal freddo trovadore, poichè il nostro
Poeta ve l'ha portato sul campo della
realtà, acquista signoria sugli animi, le
cui passioni son vive, e gli effetti più ar-

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denti di quelli che cagiona il dardo dell'alato Cupido, idoleggiato da una eunuca fantasia. Che non ogni amore sia lodevol cosa lo fa intendere il Poeta (Purgat. XVIII, 34 segg.). Progresso dovuto al genio dell'Alighieri fu il poetare sotto il potente impulso del sentimento; non sì però, che l'arte più fina discordasse dalla natura dell'uomo.

Ratto s' apprende. S' appiglia, s'attacca, s'appiccica.

Jacopo da Lentino:

E non è da biasmare

Uomo, che cade in mare, ove s'apprende. Francesco Ismera:

E trovo vano ciò a ch'io m'apprendo.
In quanto poi al foco amoroso che
s' appiglia, il predetto da Lentino avea,
prima che Dante, già scritto:

Quello (fuoco) d'amore m'ha toccato un poco;
Molto mi coce: Deo che s'apprendesse!
Che s'apprendesse in voi, o donna mia.
Ancora:

Lo dardo dell'amore là ove giunge
Da poi che dà feruta, si s' apprende.
Rinaldo d'Aquino:

Or dunque non è maraviglia
Se fiamma d'Amor m'appiglia
Guardando lo vostro viso.
Il Petrarca:

Qual maraviglia se di subito arsi.
Fra Guittone:

Tantosto, donna mia,

Com'eo vi vidi, fui d'Amor sorpriso.
Virg. Ut vidi, ut perii ec.

101. Prendere di

di per con o a
cagione di Bonaggiunta Urbiciani:
Così mi fere l'amor che m'ha priso
Del vostro viso gente (gentile) e amoroso.
Il Nostro, Purgat. XVIII, 31:

Così l'animo preso entra in disire.
Virgilio Ecl. II:

Ah Corydon Corydon quae te dementia coepit.
Ecl. VII:

Ut vidi, ut perii, ut me malus abstulit error?
Ranieri da Palermo (1230):

D'un amoroso foco

Lo meo core è sì preso
Che m'ave tutto acceso...

Bernardo da Ventadorno,in Provenzale:
Lo cor ai pres d'amor.

Lo core ho preso d'amore.
Bella persona. Persona usò Ciullo
d'Alcamo
per Vita:

Bello mi socio, juroti

Perdici la persone (persona).

Che mi fu tolta, e 'l modo ancor m' offende:
Amor, che a nullo amato amar perdona,

Mi prese del costui piacer si forte,

Franc. Persone. Il Boccaccio Teseid., astrattiva non possa dirsi persona ciò

Lib. I, 5:

D'onde l'un d'essi perdè la persona.
Il Pulci, Morg. C. XIII, 19:
Prima che così perda la persona.

In prosa, lo stesso Boccaccio, Decam. G. IV, nov. X, Ruggieri n'è per perdere la persona. E Fr. Giord. Gen. pred. ult.: Che non aspetti di perder la persona. Quindi anche toglier la persona per torre la vita fu frase antica. Il Pucci, nel Centiloq. C. LXXII, 84:

Gli usciti Genovesi ripigliaro Voltier, togliendo a molti le persone. Ben dice adunque Francesca che Paolo s'innamorò della sua persona cioè della sua vita, che le fu tolta; imperocchè la vita di qua non è solo nell'anima (avvegnacchè foss' ella proprio vis activa) ma nell'unione di essa col corpo. E dell'uno e dell'altro congiunti insieme quegli fu preso;non essendo in colei men leggiadre le sembianze corporee, de' rari pregi dello spirito che da quelle trasparivano. Inteso così questo luogo salva il Poeta dal biasimo d'essersi appartato dal senso che comunemente gli scrittori legarono alla predetta locuzione.

Persona. La Francesca che intende

ella per la sua persona? Persona è propriamente Per se una, è l'individuo umano, il congiunto del corpo e dell'anima; avvegnacchè altri molti scrivono la voce da personando e con Fedro ne fanno una maschera da commedia. Nè lo spirito solo dunque, nè il solo corpo di Francesca potea dirsi persona. Ella intanto dice: della bella persona che mi fu tolta!

Or l'identità dell' essere persistente nella coscienza dell' io pensante, facea ch'ella riguardasse come già stata l'unione che costituiva la personalità sua; e diceva bene che l'era tolta la persona per la separazione dello spirito dal corpo, avvenuta per effetto del colpo micidiale. Virgilio dice a Dante:

Non uomo, uomo già fui.

ch'è indissolubilmente legato con noi, quando si consideri per poco da noi separato. Così Laura nella terza spera accenna all'innamorato Poeta da lei disgiunto il suo corpo, il quale non le fa difetto all' identità personale, comecchè tanto si mostrò bramosa di novellamente informarlo:

Te solo aspetto, e quel che tanto amasti, E laggiuso è rimaso, il mio bel velo. Questo bel velo è anche qui la bella persona della infelice riminese.

In un sonetto di Chiaro Davanzati leggiamo com'egli mandi alla sua donna il cuore, perchè le racconti le sue pene, e si rimanga con esso lei. Così fattane una Prosopopea, considera sè con l'altro resto del corpo come un' altra persona e dice:

Ond'io vi prego, da che lo tenete,

Che rimembríate dell'altra persona, Come senz'esso possa dimorare. diedero nome di corpo a ciò, che noi Del resto è da sapere che i Provenzali chiamiamo persona, quando in parlando diciamo: bello della persona ec. E così i Latini. Virg. En. I, 71:

Sunt mihi bis septem præstanti corpore Nym(pha: (a)

delle quali quattordici donzelle ciascuna avea care forme di bellezza giunte in un corpo con mirabil tempre, G. Faidit: Lo gens cors onratz, Complitz de gran beutatz La gentil persona onrata Compita di gran beltà ec. Francesca parla così del corpo da lei partito, come di persona che le fu tolta.

104. Piacer per piacenza, bellezza. Basta leggere i poeti del primo secolo di nostra lingua, per bene intendere il vero senso di queste voci placente, placenza, piacenza e simili; le quali valgono bellezza, leggiadra forma, valore, vaghezza e amabilità di chi piace.Nulla sarebbe del dare qui al piacer altra significanza,

(a)

Appo me sono

Nondimeno nulla vieta che per forza Sette e sette leggiadre ninfe e belle. (Il Caro)

Che, come vedi, ancor non m' abbandona: Amor condusse noi ad una morte:

Caina attende chi vita ci spense:
Queste parole da lor ci fur porte.
Da ch' io 'ntesi quell' anime offense,
Chinai 'l viso, e tanto 'l tenni basso,
Fin che'l Poeta mi disse: che pense?

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Se di voi, donna gente, (gentile)

M'ha preso Amor, non è già maraviglia, Ma miracol simiglia

Come a ciascun non ha l'anima presa; Chè di cosa piacente

Sapemo, ed è vertà, ch'è nato Amore. Cino da Pistoia:

Amore è uno spirito che ancide,

Che nasce di piacere e vien per guardo.

Ser Monaldo da Soffena:
Angelica figura

D'ogni piacer sovrana.

Arrigo Testa da Lentino:
Ma lo fin piacimento,
Da cui l'Amor discende,
Sola vista lo prende,
Ed il cor lo nutrisce.

Bonaggiunta Urbiciani:

Poiché servo m'ha dato per servire
A quella, cui servire

A quella cui grazire

Fanno somma piacenza (bellezza)
E somma conoscenza.

Dante da Maiano:

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Ancora:

Forza d'Amor mi vinse,
Contro di cui podere

Non val cui stretto tiene.
Enzo Re:

Così mi stringe Amore,

Ed hammi cosi priso

Ed in tal guisa conquiso,

Che in altra parte non ho pensamento. Ser Monaldo da Soffena:

Ogni altro pensamento aggio in obblio; Si coralmente mi distringe e tene. Odo delle Colonne:

Oi lassa tapinella,

Come l'amor m'ha prisa!

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I Provenzali replicarono a coro la stessa cantilena. Blacassetto:

Que tant forte m'ha s'amor lazat e pres
Que d'als no pens, ni no puesc m'amor virar.

Che si forte m'ha il suo amor legato e preso, che d'altro non penso, nè non posso il mio amore volgere altrove.

109. Dai participi lat. Offensus, Defensus, Extensus, fecero gli antichi nostri scrittori offenso, difenso, estenso, per offeso, difeso, esteso. Così sospenso, risponso, espanso ec. non senza esempi. Nel Quadrireg. lib. IV, Cap. IV: Benignamente da te fu difensa.

Il B. Jacopone, Lib. II, C. XXX, 71: Son quei beni tanto immensi, Che a comprenderli li sensi, Fuor di se sebben estensi, Non ci possono arrivare. Gl'italiani, da offensio, defensio latini fecero anche i sustantivi offensa e difensa. Il Frezzi, Quadr. lib. III, Cap. III:

Per questo poi incorre in più offensa.

E il Barberino, Doc. XI, sotto Prudenza:
Di quinci tu poi pensa
D'ogni buona difensa.

E il Nostro (Inf. VIII, 123):

Qual che alla difension dentro s'aggiri. 110 e seg. Della locuzione Chinare il viso vedi che sta detto (Inf. VI, 1 in fin.). Tanto...finchè si può risolvere nell'e· Pense per quivalente: Fin tanto che. Pensi (Vedi Inf. XXV, 6):

Quando risposi, cominciai: o lasso!

Quanti dolci pensier, quanto disio
Menò costoro al doloroso passo!
Poi mi rivolsi a loro e parlai io,

E cominciai: Francesca, i tuoi martiri
A lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi, al tempo de' dolci sospiri,
A che e come concedette Amore,
Che conosceste i dubbiosi desiri?
Ed ella a me: nessun maggior dolore,
Che ricordarsi del tempo felice
Nella miseria: e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma se a conoscer la prima radice

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Che 'n tutt'i suoi pensier piange e s'attrista. 118 seg. Il tempo de'dolci sospiri è la vita. Il Poeta usa qui la voce sospiro nel sentimento fisico come effetto della espirazione, quasi in contrapposto allo spirare violento della bufera infernale; ovvero, nel sentimento morale, per l'effetto della tradita simpatia che legava i cuori dei due cognati, i quali dovevano essere e non furono sposi.

A che vale ordinariamente Perchè, a che fine ec. ma qui che si prende in senso di che cosa; ed a ha forza di da e vuolsi dire: da che segno,o indizio ec. I Provenzali tolsero da' latini a per da; e noi non ne siamo schivi nelle locuzioni: Feci fare a lui la tal cosa; lo fece prendere a tre suoi servidori, ec. cioè da lui; da tre suoi servidori. Fra Guittone, Lett. XIII: Io non posso e non voglio a femmina astenere, cioè da fem

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mina. Idem. Nè mi voglio a carne astenere Buono scernendo a (da) male,

e male a (da) buono. Anche lo Spagnuo-
lo antico:

Señor Dios, a qui temen los vientos é la mar
Signor Dio,a cui (da cui) temono i venti e il mare.

Modo romano è Difendersi a Dio per
Difendersi da Dio. Riccardo di Berbesino:

Estiers no m puesc a 'sas armas defendre.
Altrimenti non mi posso a sue armi difendere.

I grammatici ristringono troppo la facoltà di usar questi modi, limitandola ad alcun caso,che non è il solo ove possan riescire belli ed efficaci.

Concedette Amore. Veramente ai tempi della Dea di Pafo e di Gnido si tenea come grazia dell'alato Dio, che due amanti si disvelassero i loro affetti; ma nel secolo di Francesca egli potea far meglio a non dare di tali concessioni.

Dubbiosi desiri. Che sono egli mai questi dubbiosi desiri? — O quelli che tutti e due gli amanti tenevan chiusi nell'animo, nè lasciavano trasparirne, che appena un incerto barlume; o che pur nascosi ed irresoluti, si conveniva conoscerli, per tirarli e deciderli ad un intento.

124 seg. Radice ec. bella metafora! to in un verso, nel Credo, la sentenza Radice vale principio. Dante stesso voldell'Ecclesiaste cap. X, v. 15:

Initium omnis peccati est superbia:
dicendo:

Prima è superbia d'ogni mal radice.
E il Latini avea già scritto nel Teso-

retto:

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