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46. E quel consiglio per migliore appróbo

Che l'ha per meno: e chi ad altro pensa,
Chiamar si puote veramente probo.

47. Vidi la figlia di Latona incensa,

Senza quell'ombra che mi fu cagione Per che già la credetti rara e densa. 48. L'aspetto del tuo nato, Iperione,

Quivi sostenni; e vidi com' si muove Circa e vicino a lui Maia e Dione. 49. Quindi m'apparve il temperar di Giove Tra 'l padre e 'l figlio, e quindi mi fu chiaro Il variar che fanno di lor dove.

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(SL) NATO. Ov. Met., IV, 192: Hyperione nate. - MAJA. Æn., 1: Maja genitum; e VIII. — DîONE. Buc., IX: Dionai... Cæsaris. Nomina il padre e le madri. 49. (L) Quindi: di quivi. IL TEMPERAR DI GIOVE TRA 'L PADRE E'L FIGLIO: Ira Marte e Saturno, tempe rando il caldo dell'uno il freddo dell'altro. IL VARIAR CHE FANNO DI LOR DOVE: or più or men distanti dal sole, or dinanzi, or dietro.

(SL) GIOVE. Così Marz. Capella. · stantivo. Par., XXIX, t. 4: Ogni ubi.

DOVE. SO

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(F) VOLGENDOM'. Tanto si gira che ne vede ambedue gli emisferi; e la sua vista già chiara ne discerne ogni parte. Dante, secondo l'astronomia del suo tempo, era in Gemini, e il sole in Ariete; il sole allora era dunque pressochè al meridiano d'Italia, tre ore distante dal meridiano di Gerusalemme. Par., XXVII, t. 29. AJUOLA. De Mon.: In areola mortalium libere cum pace vicatur. Boet. Omnem terræ ambitum..... ad cœli spatium, puncti constat obtinere rationem: id est, ut si ad cœlestis globi magnitudinem conferatur, nihil spatii prorsus habere judicetur.......... Vix angustissima inhabitandi hominibus area relinquetur.

I contemplanti.

Deliberai in cuore astenere dal vino la carne mia, per recare l'animo mio a sapienza (1). Nella fredda stella di Saturno (2) s'accolgono i contemplanti che, freddi alle cose basse e fuggevoli, arsero delle ardue e sempiterne (3). Nell' Eliso di Virgilio rincontransi Quique sacerdotes casti, dum vita manebat, Quique pii vates et Phobo digna locuti : e i contemplanti cristiani dell'ascetica fecero poesia, perchè la poesia è pianta che nelle solitudini cresce, e trapiantata tra la frequenza degli uomini, traligna e isterilisce se l'aure del deserto non la fecondino ad ora ad ora.

In Marte pone la croce segno di martirio; in Giove l'aquila segno d'impero. Qui le anime salgono e scendono splendide per una scala di luce;

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e la scala è usitata imagine della contemplazione. I Bollandisti: Vidit a lecto porrectam scalam cœlosque summitate tangentem in qua angeli ascensus suos atque descensus amicis vicibus alternabant. Quo profecto debentur intelligi non defuturos in hoc loco quamplures qui vel ad proximum sublevandum cum Martha pia compassione descenderunt, et ascenderunt cum Maria celsitudinem Domini contemplando (1).

La contemplazione è la più sublime parte della vita cristiana (2). Nella vita altiva, che è intorno a molte cose occupata, è meno beatitudine che nella

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in Dio per l'operazione colla quale i santi conoscono e amano Dio (3). Nella vita contemplativa l'uomo comunica con Dio e con gli angeli, ai quali per beatitudine si fa somigliante (4).

Tra i contemplanti che nomina Dante è Maca rio, nome popolare nelle tradizioni si d'Oriente e si d'Occidente, dacchè le tradizioni del deserto sono tuttavia uno de' vincoli che consociano queste due parti del mondo più divise adesso che mai. La figura di Macario è nel Campo Santo di Pisa, la cui terra è portata d'Oriente acciocchè nel lontano corso de' secoli da quella terra e da quell'ossa germoglino frutti giganti di redenzione e di carità. Di Romoaldo, altro de' qui nominati, scrisse Pier Damiano; e però forse Dante lo fa qui indicatore degli altri santi, come nel Purgatorio Sordello de' re ch'egli aveva in vita sua con autorità di poeta più che regia giudicati. È rinominato Francesco con Benedetto e con Pietro; e anche qui Domenico no; e di Francesco la lode è raccolta in una parola umilmente, dacchè la povertà non è sposa di Cristo nè delle anime che a lui somigliano, se umile non sia; ed era povero anche Diogene: e i poveri superbi e sudici e pigramente arroganti sono Diogeni mascherati. Di Bernardo, il vecchio solo, ha già detto nella fine del Purgatorio, e dirà nella fine del Paradiso; nome di contemplante, mitissimo nell'amore agli amanti il bene, ai superbi e ribellanti alla Chiesa o nemici de' ribellanti severo, e che tiene un po' di quello d'Assisi e un po' di quello di Spagna. Ma Benedetto è santo tutto italiano, della terra Saturnia, di quel Lazio ove si nascondeva la religione profuga, asilo prima degli dei che degli uomini. E non a caso in una terzina congiungonsi Pietro apostolo con Francesco e con Benedetto; siccome due rifondatori meglio che riformatori dell'edifizio che il pescatore fondò; rifondatori religiosi insieme e civili di società rinnovate secondo le norme della povertà e della scienza. Perchè queste due norme sedevano in mente a Francesco e a Benedetto, siccome appare dalle loro costituzioni, non meno che a Pietro; Pietro il quale disse: argento non ho, e scrisse: apparecchiati sempre a rendere soddisfacente ragione della fede nostra. Onde può dirsi che laddove non sia amore di povertà nè di scienza, ivi non è Pietro, e non è cristianesimo.

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Pieno d'amore è il prego di Dante, e sta per lode altissima, poter vedere in cielo l'imagine del grande uomo; onde Benedetto rispondendogli dice fratello, che è lode più umile ed alta di quella laggiù nell' Inferno: Ch'ei si mi fecer della loro schiera (4). E la dolcezza di quel prego tempra l'acrimonia delle parole contro la brutta vista dei, monaci e frati, le quali succedono a quella contro il sozzo splendore di certi prelati, ch'ei chiama, non troppo celestialmente, bestie (2), come bestía il re di Cipro, francese (3); e paragonò a' porci in brago certi re (4), e chiamerà certi monaci peggio che porci (5). Bene confessa egli stesso che questo è grido e tuono, no canto e armonia. E dopo questo è quasi una carezza chiamar le badie speIonche, e le cocolle sacca di farina marcia, che rammenta le parabole del grano nel Vangelo frequenti. Ne già a' soli religiosi va il dardo attossicato della sua ira, che non solo il ladro Fucci è mulo e bestia (6), ma bestie fesolane col becco sono parte de' cittadini della sua repubblica (7), e parte de' compagni dell' esilio suo, gente scempia, malvagia, bestiale (8). E tu, Frate Guittone, tu pure una repubblica chiamavi non corte di dirittura, ma di ladroneccio spelonca, e di mattezza tutta e di rabbia scuola; specchio di morte, e forma di fellonia.

Al prego di Dante risponde Benedetto: Tu mi vedrai nell' ultima sfera, dov'è perfetto e maturo ciascun desiderio, dov'ogni cosa è là dov'era sempre, Perchè non è in luogo, e non s'impola (9). Chi arzigogolasse su questo impolarsi ei troverebbe Dio sa quante scoperte della scienza moderna: ma certo non è casuale la fecondità delle idee che in questa parola si vennero congiungendo, e svolgendo da essa. A noi basti illustrare il qui detto del luogo: I corpi sono circoscritti da luogo (10). Il corpo mobile è in luogo (41). Ogni corpo è in luogo, non può dunque essere infinito (12). La terra è nell'acqua; l'acqua nell'aria; l'aria nell'etere; l'etere nel cielo; il cielo poi non in altro (13). — Il cielo in nessun luogo è tutto, e non è in nessun luogo, e non contenuto da nessun corpo; ma in quanto si muove in tanto le parti hanno un luogo e l'una contiene l'altra (14). Gli incorporei non son in luogo (15). Nell' infinito non è determinazione di luogo (16). Nel pensare di Dio escludiamo dalla mente nostra i corporei spazii e i luoghi de' corpi (17).

(1) Inf., IV, t. 34. (2) Par., XXI, t. 45. —(3) Par., XIX, t. 49. (4) Iof., VIII, t. 47. (5) Par., XXIX, t. 42. (6) Inf., XXIV, t. 42. (7) Inf., XV, t. 25. (8) Terz 23. (9) Par., XVII, t. 21. (10) Som., 2, 1, 7. (11) Arist. Phys., IV. (12) Arist. Phys., III; net IV: Il luogo è vaso: la quale comparazione, meglio forse che argomenti assai, dichiara l'idea del luogo, misteriosa. - (13) Arist. Phys., IV. — (14) Ivi. — (45) Som., 1, 1, 2, (46) Arist. Phys., III, e Som. Sup.,

79.

- (17) Leone, Som., 79 e Sup., 85.

Sentita la predica del fondatore del cielo a' monaci suoi di quaggiù, Dante è spinto con un sol cenno su per la scala de' contemplanti, chè anch' egli si sente di quella schiera; così come in un' altra visione, angeli conducono in alto un rapito senza pure toccarlo, per simile scala (1). Ne in terra il natural moto (2) dello scendere in giù è così rapido, come qui del salire. Gli spiriti che su per la scala girando a modo di turbine, non sai se per isdegno delle cose sentite o per la carità che gli aduna e gli fa nella gioia roteare, par che attraggano in su il Poeta, come fa la tromba marina delle acque che assorbe vertiginosa; lo traggono per quella scala che è imagine dell'altezza del monte santo su cui vivendo posavano, e di lassù riguardarono con pio terrore alla terra. Salito in Gemini, il Poeta alla parola di Beatrice riguarda gli spazi valicati: Candidus insuelum miratur limen Olympi, Sub pedibusque videt nubes et sidera Daphnis. Ma più grande è nel concetto: Vedi quanto mondo Sotto li piedi già esser ti fei (3); ch'è tenue suono all' ampiezza dello spettacolo profondo. In Lucano l'imagine di Virgilio è ingrandita da' tempi fatti più gravi: Postquam s lumine vero Implevit... miratus et astra Fixa polis, vidit quanta sub nocte jaceret Nostra dies, risitque sui ludibria trunci (4). E Seneca, della piccolezza di questo globo: Punctum est in quo bellatis, in quo regna disponitis; ma non soggiunge il maestro di Nerone, in quo auri vim conditis. E qui cade il passo del Sogno di Scipione, al qual pare che avesse l'occhio il Poeta; e se fossero casuali, le consonanzę sarebbero ancor più notabili: il qual passo rechiamo nella versione di Zanobi da Strada, infedele talvolta per troppa fedeltà, e non della elegante semplicità del suo secolo, ma tale nondimeno che il rifarla ci parrebbe o ardire o fatica soverchia. La diede in luce Sebastiano Ciampi, erudito toscano, per quasi quarant'anni operoso, e che de' tanti suoi minuti lavori non ne fece uno forse che non aggiunga alle già note cose, pregio raro nella odierna ricerca e boria di novità.

se

Ma a ciò che, tu, Affricano, sia più allegro difendere la Repubblica, cosi sappi, che a tutti coloro che avranno conservato, aiutato, o accresciuto la Patria, certo luogo è determinato in Cielo dove egli usino del beato evo eternalmente,

(1) Ozanam, p. 589. - (2) Moto naturale (Som., 2, 1, 9). È contro natura il moto del sasso che vada in su (Som., 1, 2, 1, 6). Distingue il moto naturale dal violento. Aristotele (Phys., IV) ragiona del moto se divisibile in moti all' infinito. Arist., Phys., VI: Nessun corpo si muove nell' istante, perchè il tempo del moto dividesi secondo la divisione del mobile.— (3) Terz., 45. (4) Phars., IX. Altrove Lucano numera anch' egli i pianeti Mercurio, Venere, Marte.

però che nulla è che a quello principe Iddio, che tutto 'l mondo regge, in terra sia più accetto, ch'e' consigli, e le compagnie degli uomini ragionevolmente raccolti, che si chiamano cittadi, i rettori e conservatori di quelle quindi uscendo, quassù

tornano.

Qui adunque, bench' io fossi impaurito, non tanto per paura di morte, quanto dell' insidie de' miei; pure domandai se vivea egli, e Pagolo mio padre, e molti altri, i quali sapevamo che erano morti. Anzi, disse, egli e questi vivono, che sono usciti de' vincoli de' corpi come di prigione. Ma la vostra, che si chiama vita è morte (1). Ecco vedi Paolo tuo padre che viene a te. El quale tosto com' io vidi, in verità tutto mi diruppi in lagrime, ed egli abbracciandomi, e basciandomi, non mi lasciava piangere. Ed io tosto, come potei ristare del pianto, e cominciare a parlare, dissi a lui: Io ti priego, padre santissimo e ottimo, però che qui è vita, secondo che odo dire l'Affricano; io perché sto in terra, perchè non mi spaccio di venire costà (2)? Ed egli a me: Non fare così, però che se questo Iddio, di cui è tutto questo tempio (3), che tu vedi, non t'avrà prima liberato da questi legami del corpo, quassù non ti si può manifestare l'entrata; però che gli uomini sono generati con questa legge, i quali abitano questo cerchio di mezzo, che tu vedi, che si chiama Terra, ed a costoro è dato l'animo da quelli sempiterni fuochi che voi chiamate sideri, e stelle, le quali grosse e tonde, animate delle divine menti (4), compiono suoi cerchi e rotondità con velocità maravigliosa; onde a te Publio è da essere conservato l'animo in guardia del corpo in tutte le cose pietose, nè della vita degli uomini è da passare contro al comandamento di colui da cui quello v'è dato; acciò che non paia che voi fuggiate al dono datovi da Dio.

Ma, o Scipione, così coltiva la giustizia e la pietà come questo tuo avolo (5), la quale si nel padre e nella madre, si ne' parenti si è grande, si nella patria é grandissima; questa si fatta vita e via in cielo, et in questa compagnia di costoro, che già sono vivuti e riusciti del corpo, abitano quello luogo che tu vedi. Ed ora costui con una bianchezza splendidissima, rilucente tra le fiamme, el quale voi, come da' Greci avete udito, chiamate cerchio latteo, overo Galaxia (6); per lo quale a me questa casa veggente, tutte le altre parevano preclare e maravigliose; e queste erano stelle, le quali mai avevamo vedute di quaggiù (7), e tutte di tale grandezza, della quale non avevamo

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mai pensato che così fussero, e' globi di quelle agievolmente vincevano la grandezza di tutta la Terra; e già essa Terra mi pareva si piccola, che mi facieva pentere dello imperio, al quale noi eravamo venuti come a un punto (1).

La quale forte ragguardando io, i' ti domando, disse l'Affricano, il fino quando sarà la tua mente defissa nella Terra (2). Non vedi tu in che Templi se' venuto, e ne' nove cerchi, o vogli globi, sono tutte queste cose connesse, de' quali l'uno ultimo è il celestiale cerchio di fuori, el quale abbraccia (3) tutti gli altri; el sommo Iddio contenente e ordinante tutti gli altri, nel quale sono infissi quelli sempiterni corsi delle stelle, che si volgono, al quale sette ne sono soggetti, che si volgono a dietro per contrario movimento al Cielo (4). Tra' quali l'uno cerchio possiede quella stella che in terra si chiama Saturno. Di poi è quello fulgore prospero e salutare alla generazione degli uomini, che si chiama Giove; poi quello risplendente et orribile alle terre, che voi chiamate Marte; poi, di sotto, quasi alla mezza regione, abita el Sole, duca (5) e principe e moderatore di tutti gli altri lumi, mente e temperamento del mondo; con tanta grandezza che egli illumini e compia (6) tutte le cose con sua luce. A costui seguitano gli altri corsi, come compagni, l'uno di Venere, e l'altro di Mercurio. Nel basso cerchio si rivolge la Luna accesa de' raggi del Sole. Di sotto a quella niuna cosa è, se non mortale e caduca, fuori delle anime date alla generazione degli uomini per dono degli Iddii (7). Sopra la Luna sono tutte le cose eterne, e quella che mezza tra questi cerchi, è nona, cioè la Terra, non si muove, ed è infima (8) a tutte; ed a quella caggiono per la loro natura tutte le cose gravi (9). Le quali cose tutte ragguardando, tornato in me dissi: Che è questo si dolce e si grande suono, el quale riempie e' miei orecchi ? ed egli a me: Questo è quello suono che congiunto per diseguali intervalli, ma pure per determinata parte ragio

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(1) Par., XXII, t. 45: Vidi questo globo Tal, ch' io sorrisi del suo vil sembiante. (2) Purg., XV, t. 22: Rificchi La mente pure alle cose terrene. XIV, t. 50: Chiamavi 'l ciclo, e ʼntorno vi si gira, Mostrandovi le sue bellezze elerne: E l'occhio vostro pure a terra mira. — (3) Par., XXIII, t. 38: Lo real manto di tutti i volumi Del mondo, che più ferve e più s'avviva Nell'alito di Dio e ne' costumi. (4) Purg., XXVIII. (5) Purg., XIII, t. 7: Esser den sempre li tuo' raggi duci. (6) Par., XXXI, t. 14: Di che stupor dovea esser compiuto. 17) Inf., II, t. 26: Sola per cui L'umana specie eccede ogni contento Da quel ciel ch'ha minor li cerchi sui. · (8) Par., XXXIII, t. 8: Dall'infima lacuna Dell' universo. - (9) Par., XXIX, t. 19: Da tutti i pesi del mondo costretto.

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nevolmente distinti (1), si fa per lo movimento e grande empito di detti cieli, e le gravi cose, colle acute ordinate, fa questi canti igualmente; però che tanti e si grandi movimenti, niente si possono movere con silenzio, che naturalmente, qual più tardo, qual meno, suonano; quale gravemen te, quale agutamente; per la quale cagione quello sommo stellato cielo, il cui movimento più veloce

move agutamente e con suono più desto. E questo cerchio lunare infimo si move con uno suono gravissimo; però che la Terra nona, immobile sempre, ha la sedia più bassa, la quale tiene più basso luogo del mondo, ma quelli otto cerchi e corsi, ne' quali è quella medesima virtù, fanno sette suoni di due intervalli, el quale numero è quasi nodo di tutte le cose (2).

D

Queste cose io riguardando, rivolgeva gli occhi pure alla Terra. Allora disse l'Affricano: Io sento che tu guardi ancora la sedia, e la casa degli uomini, la quale se ti pare piccola, come ella è, queste cose celesti sempre spera, e quelle umane dispregia (3); però che tu, che allegrezza hai di parlare d' uomini, o che gloria da cercare puoi acquistare? vedi che vi s' abita in luoghi radi e stretti, e in quelle macule, dove s'abita, vedi interposte grandi solitudini, et ancora costoro, che abitano la Terra, non solamente essere distanti tanto, che niente tra loro e gli altri possa essere; ma parte vi sono per torto, parte avversi, da' quali niuna gloria potete aspettare (4). »

Riguardato ch'ebbe il Poeta all'ordine degli splendori sottoposti, Poscia rivolse gli occhi, agli occhi belli, che sono a lui guida e penna. E questo verso, così solo da sè, degnamente conchiude il Canto, e prepara a più alto salire. Sunt.... pennæ volucres mihi, Quæ celsa conscendant poli: Quas sibi quum velox mens induit, Terras perosa despicit, Aeris immensi superat globum, Nubesque post tergum videt (5).

Nel principio del Canto l'affetto; alla sesta terzina una sentenza, all'ottava una pittura, all'undecima un concetto gentile; poi satira, e allusioni bibliche, e cenui astronomici; poi alla trentesima terza una pittura, alla trentesima ottava un volo lirico, e una vera e alta moralità di poesia nella fine. In cento cinquanta versi quanti generi, e quanti ingegni!

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CANTO XXIII.

Argomento.

Scendono Cristo e Maria co'beati. Dante è già forte a sostenere il sorriso della sua donna: ma perche e' possa vedere il trionfo di Cristo, Cristo si ritrae nell'empireo: e Gabriello scende in forma di fiamma a coronare Maria; e cantando si gira: Maria sale anch'ella con l'Angelo che la inghirlanda. I beati rimangono.

Canto d'eterea bellezza sì che nessuno è più bello: nè, dopo la Bibbia, è più alta poesia, nè più semplice. Delle dieci similitudini le più son nuove. Notisi frequenza di similitudini tratte dagli uccelli ch'è nel Paradiso, e di similitudini tratte dall' affetto figliale e materno ch'è in tutto il poema, e di tratte dal sogno. E si paragoni questo al trionfo del Purgatorio.

Nota le terzine 1 alla 6; 8 alla 14; 13 alla 17; 19 alla 22; 24 alla 45.

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1. (SL) AMATE. Stat. Achil., I: Qualis vicino volucris jam sedula partu Jamque timens qua fronde domum suspendat inanem, Providet hinc ventos, hinc anxia cogitat angues, Hinc homines; tandem dubiæ placet umbra, novisque Vix stetit in ramis, et protinus arbor amatur. - FRONDE. Virgilio, degli uccelli: Inter se foliis strepitant; juvat, imbribus actis, Progeniem parvam dulcesque revisere nidos (Georg., I). DOLCI. Æn., IV. Georg., II: Dulces natos. — NASCONDE. En., VI: Cœlum condidit umbra Jupiter, et rebus nox abstulit atra colorem.

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AGGRATI: graditi.

(SL) DESIATI. Notisi la dolcezza degli aggiunti amate fronde, dolci nati, labor aggrati, ardente affetto, aspetti desiati. Quest'ultima voce in varie forme ripetesi quattro volte nel Canto. GRAVI. Æn., VI: Graves... labores. LABOR. Purg., XXII, t. 3. · AGGRATI. Aggratare. Inf., XI, t. 31. Rime: S'egli v' è a grato.

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3. (L) PUR: sempre.

(SL) FRASCA. Georg., IV: Populea... Philomela

sub umbra... ramo sedens.

4. (L) LA PLAGA, SOTTO LA QUALE....: il mezzo del cielo.

(SL) ERETTA. Stat., V: Erecta genas. PLAGA.

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En., 1: Etherea plaga. Stat. Achil., I: Æthereis plagis. FRETTA. Georg., II: Rapidus sol.

(F) MEN. Purg., XXXIII, t. 35. Con più lenti passi, Teneva'l Sole il cerchio di merigge. E perché Gerusalemme è nel mezzo della terra, il Poeta imaginava il seggio. de' beati, la Gerusalemme celeste, soprastare a perpendicolo alla terrena.

5. (L) SOSPESA aspettante. ALTRO oltre ch'è quel che è. 6. (L) QUANDO : tempo.

VAGA: Vogliosa.

(SL) QUANDO. Par., XXIX, t. 4: Ogni ubi e ogni quando. Sostantivare gli avverbii, i verbi, gli aggettivi è gran comodo della lingua.

7. (L) DEL GIRAR di queste spere: del tuo viaggio. (SL) TRIONFO. Inf., IV, t. 18: Con segno di vittoria incoronato. Trasseci l'ombra... Ed altri molti: e fecegli beati.

S. (L) SENZA COSTRUTTO: senza costruirlo in parole.

(SL) PIENI. Par., IV, t. 47: Mi guardò con gli occhi pieni Di faville d'amor. — COSTRUTTO. Le voci di senso scolastico erano allora famigliari e non dispregiate.

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