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conoscenza e virtù (1); e molte e belle sono in tutto il poema le forme di questa distinzione essenziale alla filosofia teoretica e alla pratica, distinzione costantemente segnata nella Somma ed in tutti i grandi maestri cristiani, ma già anco da Aristotele chiaramente veduta (2); ancorchè nè egli né alcun pensatore pagano o paganeggiante potesse trarne quelle conseguenze effettive che la verità cristiana ne trasse.

Alla sentenza soprarrecata di Dante questa d'Agostino, comecchè in senso inverso, è dichiarazione appropriata: L'intelletto vola innanzi, e tardo segue l'umano infermo affetto; ma in chi ha la grazia che lo rende grato a Dio l'affetto segue pronto per forza di carità (3). Nel passo del presente Canto accennasi alla sproporzione tra il sentimento e l'idea, facendo l'idea minore, il che è vero nel proposito di cui qui si parla, così come vero è nel proposito d'Agostino che al bene dalla mente veduto non sempre s'accompagna il volere efficace, non alla sproporzione tra l'idea e la parola, di che spessissimo è toccato, e direbbesi che troppo spesso, se dalla stessa impotenza del dire umano non traesse più volte il Poeta potenti modi di dire. E già nell'Inferno: Chi poria mai pur con parole sciolte Dicer del sangue e delle piaghe appieno, Ch'i' ora vidi, per narrar più volte? Ogni lingua per certo verria meno, Per lo nostro sermone (4), e per la mente, Ch' hanno a tanto comprender poco seno (5). S'i'avessi le rime e aspre e chiocce Come si converrebbe... I'premerei di mio concetto il suco Più pienamente (6). Ma nel Paradiso con più profondo intendimento: Appressando se al suo disire, Nostro intelletto si profonda tanto, Che retro la memoria non può ire (7). Non perch'io pur del mio parlar diffidi, Ma per la mente, che non può reddire Sovra sè tanto, s'altri non la guidi (8). In questo secondo è data la ragione, che ora direbbesi psicologica, del mancamento della memoria, cioè il non essersi potuta l'anima in quel primo atto riflettere sopra sè stessa, e rigirarsi in sè (9),

(4) Inf., XXVI, t. 40. (2) Arist. de An., III: Nelle potenze dell'anima l'intelletto distinguesi per contrapposto alla volontà. (3) Aug., in Psal. CXVIII.

(4) Inf., XXV, t. 48: E qui mi scusi La novità se for la lingua abborra. - XXXIV, t. 8: Nol dimandar, lettor: ch' i' non lo scrivo, Però ch' ogni parlar sarebbe poco. -(5) Inf., XXVIII, in princ. (6) Inf., XXXII, in princ. · (7) Par., I, t. 3. — (8) Par., XVIII, t. 4. (9) Purg., XXV, t. 25.

come dice altrove, ond'ella non può con la riflessione quell'atto medesimo richiamare. E lo dichiara laddove dice: La mente mia... Fatta più grande, di sè stessa uscio; E che si fêsse, rimembrar non sape (1). E altrove ancora, distinguendo tra la facoltà del potere imaginar le cose pensate e quella del dirle: chè l'immaginar nostro a cotai pieghe, Non che 'l parlare, è troppo color vivo (2). E da ultimo più distintamente segnando i tre gradi della parola, della memoria imaginosa, e del concetto puro, egli canta: Oh quanto è corto 'l dire e come fioco Al mio concetto! E questo a quel ch'i' vidi È tanto che non basla a dicer poco (3). Omai sarà più corta mia favella Pure a quel ch' io ricordo, che d'infante Che bagni ancor la lingua alla mammella (4).

Un de' modi più potenti a dinotare le cose ineffabili, e forse il più potente di tutto il Poema, è ne' versi: Chè dentro agli occhi suoi ardeva un riso Tal, ch' io pensai co' miei toccar lo fondo Della mia grazia e del mio paradiso (5): appetto a' quali paiono languidi quegli altri che pure son si potenti: Quella che 'mparadisa la mia mente (6).

Ciò ch'io vedeva, mi sembrava un riso Dell'universo; perchè mia ebbrezza Entrava per l'udire e per lo viso (7). E questi richiamano gli altri a Cacciaguida: Per tanti rivi s'empie (8) d'allegrezza La mente mia, che di sè fa letizia, Perchè può sostener che non si spezza (9). La similitudine della mente che non cape in sè (10) Come fuoco di nube si disserra, Per dilatarsi (11), è vera, ma di men alta verità che quell' altra osservazione della mente a cui la sua propria allegrezza è confine, e nel contentarla la contiene; e diffonde fino agli ultimi limiti l'esuberanza della vita, senza che però ne trabocchi e se ne perda una stilla.

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(1) Par., XXIII, t. 15. - Ivi, t. 17: To era come quei che si risente Di visione obblita, e che s'ingegna Indarno di riducerlasi a mente. - XXXIII, t. 20: Qual'è colui che sognando vede, E dopo 'l sonno la passione impressa Rimane, e l'altro alla mente non riede. (2) Par., XXIV, t. 9. - (3) Par., XXXIII, t. 41. (4) Ivi, t. 56. (5) Par., XV, t. 12. — (6) Par., XXVIII, t. 1. (7) Par., XXVII, t. 2. (8) Som. Sup., 71: Repleti gaudio beatitudinis. (9) Par., XVI, t. 7. — (10) Aug. Confess., I, 6: Nec ego ipse capio totum quod sum. In senso più ampio. (11) Par., XXIII, t. 14. Del dilatarsi nella gioia, vedi Som., 2, 1, 35, 1. Boll., J, 194: Sit tantæ claritatis et certitudinis et dilatationis, quod nullum alium statum sentio appropinquare ei.

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CANTO XVI.

Argomento.

Cacciaguida ragiona ancora della propria famiglia e dell'antica Firenze. Deplora i nuovi cittadini venutile dal contado. Qui si dimostrano le politiche opinioni di Dante circa la civile uguaglianza. Le più grandi famiglie della città sono qui rammentate, e molte di loro, a'tempi di Dante, o senza eredi, o povere, o in esilio, o macchiale d'infamia. Spira da queste memorie tristezza profonda. Il tocco delle città che muoiono come gli uomini, è tanto più alto, quanto nelle parole più semplice. Molti nomina congiunti a lui di sangue, parecchi de' suoi nemici.

4.

L' enumerazione procede con ischiettezza di storia, con epica dignità, con impeto lirico.

Nota le terzine 1, 3; 5 alla 12; 14, 15, 16, 20; 22 alla 30, 32, 34, 35, 37, 40, 41; 43 alla 48, coll'ultime due.

0

poca nostra nobiltà di sangue, Se glorïar di te la gente fai Quaggiù dove l'affetto nostro langue, 9. Mirabil cosa non mi sarà mai:

Che là dove appetito non si torce,
Dico nel Cielo, i' me ne gloriai.
3. Ben se' tu manto che tosto raccorce,
Si che se non s'appon di die in die,
Lo Tempo va d'intorno con le force:
4. Dal voi, che prima Roma sofferie,

In che la sua famiglia men persevra,
Ricominciaron le parole mie;

1. (L) LANGUE: tiepido al vero bene.

(SL) NOBILTÀ. Nobiltà di sangue è anche nel Boccaccio, per distinguerla da ogni altra sorta di nobiltà (Vita di Dante, pag. 40-55; Pelli, pag. 96).

(F) NOBILTÀ. Boet., III: Quanto sia vuoto, quanto fulile il titolo di nobiltà chi non vede? — LANGUE. L'affetto che diventa passione coll'eccesso si fa scemo. 3. (L) APPON con meriti nuovi. FORCE: forbici, e

ti fa mezzo ridicola.

(SL) FORCE. Arios., XV, 86.

(F) APPON. Boet. Se nella nobiltà è cosa buona, questa cred' io solamente, che tengasi a' gentili uomini imposta necessità di non degenerare dalla virtù de' maggiori. Æn., VI: Virtutem extendere factis.

4. (L) DAL Voi: prima gli diede del tu, ora del voi. SOFFERIE: Soffri. - MEN. Ironia. Roma persevera nell'adulazione.

(SL) ROMA. Parlando a Cesare, perchè omnia Cœsar erat. Lucan., V: Namque omnes voces, per quas jam tempore tanto Mentimur dominis hæc primum reperit ætas. Fazio, I: Coiui a cui 'l Roman prima Voi disse.

5. Onde Beatrice, ch'era un poco scevra,
Ridendo, parve quella che tossio
Al primo fallo scritto di Ginevra.
6. Io cominciai : Voi siete 'l padre mio;
Voi mi date a parlar tutta baldezza;
Voi mi levate si ch'io son più ch'io.
7. Per tanti rivi s'empie d'allegrezza
La mente mia, che di sè fa letizia,
Perchè può sostener che non si spezza.

8. Ditemi dunque, cara mia primizia,
Quai son gli nostri antichi, e quai fûr gli anni
Che si segnaro in vostra puerizia.

9. Ditemi dell'ovil di san Giovanni,
Quant'era allora; e chi eran le genti
Tra esso degne di più alti scanni.

5. (L) SCEVRA: discosta.

(SL) RIDENDO dell' usar tali forme in Cielo, e del rispettare nell' avo suo la nobiltà della schiatta: però nel seguente ritorna al tu. GINEVRA. Nella Tavola Rotonda si narra come la cameriera della regina, dama di Malehault, s' accorgesse del fallo di lei con Lancillotto (Inf., V), cioè dell' essersi lasciata baciare. Ma quella tossi per approvarli: Beatrice al contrario: e ciò tempera l'inconveniente dell' allusione, facendo quasi pensare che il vantarsi di cosa vana è un peccare contro la fedeltà debita al legittimo bene.

(F) SCEVRA. In questo colloquio la Teologia non ha parte.

7. (L) DI SÈ FA LETIZIA...: gode al pieno gaudio in sè, onde al gaudio regge.

(SL) SÈ. Non si riversa fuori invano.

8. (L) ANNI di Cristo.

(SL) ANTICHI. Malespini. Vill. : I nostri antichi. 9. (L) SAN GIOVANNI, patrono di Firenze.

(SL) OVIL. Par., XXV, t. 2: Del bello ovile ov' io dormii agnello.

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ro.

(SL) Ave. Purg., X, t. 14.

13. (L) Suo: di Marte, perchè il leone è animal fie- Fuoco: Marte. PIANTA piè del leone. (SL) Suo. Anon. Leone (secondo alcuni) era ascendente nella nativitade di M. Cacciaguida. FUOco, Æn., III: Astrorum ignes. Conv. Marte dissecca e arde le cose. Æn., I: Incendia belli. Lucan., I: Si sævum radiis Nemecum, Phoebe, Leonem Nunc premeres, tolo fluerent incendia mundo.

(F) PIANTA. Marte compie il suo giro in secento ottantasei giorni, ore 22 e minuti 29. Vitruvio gli dà secento ottantasei giorni circa (IX, 4). Ma gli Arabi e i Peripatetici del 1500 credevano il giro di Marte compiersi in circa due anni (Cônv.). Se adottiamo il giro minore, convieno leggere trenta fiate.

14. (L) DA QUEL CHE CORRE IL VOSTRO ANNUAL GIOCO: contando da dove si corre il palio.

(SL) ANTICHI. Anon. ant.: Ottaviano li cui antichi furono di Velletri. Il Villani, di Dante: Onorevole antico cittadino di porta S. Piero. SESTO. Era divisa la città in sei parti. Segno di antica nobiltà era aver casa nell' antica cerchia di Firenze; chè le famiglie venute poi di fuori si fermaron ne' borghi, e all'estremo della città: i Buondelmonti in Borgo S. Apostolo, perchè venivano da Montebuoni; i Cerchi a Porta S. Piero, perchè venivano da Acone. CORRE. Nel palio di S. Giovanni nel giugno, i cavalli venivano fino a Porta S. Piero; e in certi palii vengono tuttavia. Le case di Dante erano allato all'arco trionfale. Correre il palio è modo vivo; ma qui il gioco pare caso retto. 15. (SL) UDIRNE. Il ne abbonda, come nella lingua parlata. - ONESTO. Non vuol parlare di Roma origine della sua schiatta, e di Firenze (Vill., I, 38). Inf., IV, t. 35: Parlando cose che 'l tacere è bello, Si com'era 'l parlar colà dov' era. Quest' atto di modestia dopo le cose dette della sua nobiltà, non è strano in uomo che tanto si loda, e poi chiede scusa nel XXX del Purgatorio (t. 21) del rammentare il proprio nome. O forse perch'egli credeva discendere da' Frangipani di Roma (Pelli, p. 1f), nol volle rammentare per tacere del tra

16. Tutti color ch'a quel tempo eran ivi
Da potere arme, tra Marte e 'l Batista,
Erano 'l quinto di quei che son vivi;
17. Ma la cittadinanza, ch'è or mista

Di Campi e di Certaldo e di Figghine,
Pura vedeasi nell'ultimo artista.

18. Oh quanto fora meglio esser vicine

Quelle genti ch'io dico, ed al Galluzzo E a Trespiano aver vostro confine, 19. Che averle dentro, e sostener lo puzzo

Del villan d'Aguglion, di quel da Signa, Che già per barattare ha l'occhio aguzzo! 20. Se la gente ch'al mondo più traligna, Non fosse stata a Cesare noverca,

Ma, come madre a suo figliuol, benigna;

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(SL) POTERE. Elissi viva. TRA. Tra la statua di Marte sul Pontevecchio (Inf., XIII, t. 48) e il Battistero di S. Giovanni (Inf., XIX, t. 6); poichè, dice il Villani (IV, 13): Oltr'Arno non era della città antica, e il battistero rimaneva addosso alle mura dell' antica città (Borg., Orig. di Firenze). QUINTO. Nel 1300 Firenze faceva da settantamila anime; nel 1200, quattordicimila; ma non v'era, dice il Poeta, famiglia di contado.

17. (L) PURA: senza forestierume.

(SL) CAMPI. I Mazzinghi venivano da Campi, i Rena e i Boccaccio da Certaldo, i Serristori da Figline (Dino, II, 126). Baldo d'Aguglione, Iacopo da Certaldo.... che hanno distrutta Firenze (V. Pelli, p. 108). Ott. Li uomini del contado... lí quali per le guerre e disfacimenti vennero ad abitare lungo la cittade, erano per sè non mescolati (si come non degni) in tra li cittadini; nè erano tratti agli onori, però che con poca fede e con poco amore vi vennero; e però abitavano nel sesto ultimamente edificato, chiamato Oltrarno. - ULTIMO. Hoг., De Arte poet.: Faber imus. 18. (L) FORA: sarebbe stato. VICINE non cittadine. GENTI Campi e altre. — GALLUZZO: tre miglia da Firenze. TRESPIANO: cinque.

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19. (L) AGUGLION castello in val di Pisa.

(SL) Puzzo. Volg. Eloq.: Morum habitumque deformitate præ cunctis fœtere. Fra i Neri dominanti, Dino annovera molti contadini. VILLAN. Baldo. Innanzi il 1300 congiurato contro il buon Giano della Bella (Dino, p. 35). Priore nel 1511. Avventò contro Dante quattro o cinque sentenze. SIGNA. Bonifazio o Fazio giudice de' Mori Ubaldini. Dino, p. 83: Il Corazza da Signa, il quale si riputava tanto Guelfo che appena credea che nell'animo di niuno quella parte fosse altro che spenta. - 113: Molti antichi Ghibellini furono ricevuti da' Neri in compagnia loro, solo per mal fare: tra' quali... M. Baldo d'Aguglione, M. Fazio da Signa. 20. (L) LA GENTE: i preti. NOVERCA: matrigna. (SL) TRALIGNA. Par., XII, t. 30; Colui che siede e che traligna. NOVERCA. Petrarca: Quorum est mea Roma noverca. Purg., VI, t. 31: Ahi gente, che dovre sti... lasciar seder Cesar nella sella. Madrigna a sè, dice Federigo II in una lettera, la Corte di Roma. Buc., III: Injusta noverca. — MADRE. Della Chiesa, nella Monarchia: Sorretto da quella riverenza che pio figliuolo

-

21. Tal fatto è fiorentino e cambia e merca,

Che si sarebbe volto a Simifonti, Là dove andava l'avolo alla cerca. 22. Sariesi Montemurlo ancor de' Conti; Sariensi i Cerchi nel pivier d'Acone, E forse in Valdigrieve i Buondelmonti. 23. Sempre la confusion delle persone

Principio fu del mal della cittade,
Come del corpo il cibo che s'appone:

dee a padre, figliuolo pio a madre. Ott.: Roma... come madrigna gli ha trattati (gl' imperatori); e lo imperio che di lei ed in lei nacque, ha cacciato di sè: laonde gli imperatori essendo assenti dalla sedia imperiale, non erano li censori, non li prefetti delle provincie, non li legati, non li difensori delle cittadi, non li avvocati e procuratori del fisco, non li altri offiziali per li quali si purgassono le provincie delli rei e contagiosi uomini, e per lo quale imperio la monarchia del mondo s'ordinasse e disponesse sicchè guerre non fossono, e ciascuno stesse contento infra li suoi termini.

21. (SL) SIMIFONTI. Castello in Val d' Elsa, da cui vennero i Pitti. Firenze nel 1202 lo distrusse. Un villano di San Donato tradì a'Fiorentini la rocca di Simifonte, allora ribelle, a patto ch' egli e i suoi discendenti fossero cittadini di Firenze, e con certe immunità. Ott. : Il quale castello con molto dispendio di guerra acquistato e disfatto per li Fiorentini; onde li uomini della contrada in parte vennero ad abitare la cittade, che non sarebbono venuti se la sedia di Roma avesse avuto in pace il suo imperio, però che i Fiorentini non avrebbono mosso guerra contro lo imperio.

22. (L) SARIESI: sarebbe. Il si riempitivo.

(SL) MONTEMURLO. Nel 1208 i conti Guido signori di quel castello vicino a Pistoia, nol potendo difendere da' Pistoiesi, lo venderono al Comune di Firenze (Vill., V, 31) per cinquemila fiorini. Se Firenze, dice il Poeta, non fosse voluta ingrandirsi, ma tenere in rispetto i vicini, Montemurlo sarebbe de' Conti, nè per cagione di quel castello ch'è prossimo ai confini pistoiesi, tante discordie sarebbero. ACONE. Ricca e popolosa pieve tra Lucca e Pistoia. I Cerchi, pel castello di Montecroce nella pieve d'Acone, ebbero con Firenze assai guerre. Nel 1155 i Fiorentini presero e disfecero detto castello, onde i Cerchi vennero in Firenze; e poi ci menarono parte Bianca. Dino, p. 47: Cerchi, uomini di basso stato, ma buoni mercatanti e gran ricchi....., avevano bella apparenza, uomini umani. BUONDELMONTI. Ott. Per la guerra che fecero i Fiorentini contro i nobili del paese, ne vennero alla cittade. Dopo il 1302 ebbero co' Neri la signoria della città (Dino, p. 118).

23. (SL) APPONE. Som. Si quis gultam aquæ amphoræ vini apponat (si fa mescolanza). Altrove: Superflue apponere.

(F) SEMPRE. Tom., de Reg. princ.: La conversazione degli estranei corrompe i costumi de' cittadini. Arist, Polit. Più giova che il popolo lavori ne' campi, che non sempre dimori nella città. Davanzati: Quindi si può argumentare, vedendo i paesi rozzi e salvatici, per la venuta de' forestieri perdere la loro beata semplicitade, e acquistare lumi e splendori di nuove arti, scienze e costumi, ma con essi misera servitù, guerra, desolazioni, e ritornare alla prima salvatichezza dopo lungo giro di secoli. CIBO. Aristotele, dal Poeta citato nel Convivio, dice che l' alterazione precede sempre alla corruzione (Phis., VII, 2; Macr. Sat. II).

24. E cieco toro più avaccio cade

Che cieco agnello; e molte volte taglia Più e meglio una che le cinque spade. 25. Se tu riguardi Luni ed Urbisaglia

Come son ite, e come se ne vanno Diretro ad esse Chiusi e Sinigaglia; 26. Udir come le schiatte si disfanno

Non ti parrà nuova cosa nè forte, Poscia che le cittadi termine hanno. 27. Le vostre cose tutte hanno lor morte, Si come voi; ma celasi in alcuna, Che dura molto, e le vite son corte. 28. E come 'l volger del ciel della luna Cuopre e discuopre i liti senza posa, Così fa di Fiorenza la Fortuna.

24. (L) AVACCIO: presto.

(SL) TAGLIA. Hor. Carm., III, 24: Culpa reciditur. Epist., I, 16: Secantur... lites. - Sat., I, 10: Ridiculum acri Fortius et melius magnas plerumque secal res. - CINQUE. Nel XXII dell' Esodo contrappone cinque a uno.

(F) CIECO. Sap., VI, 1: Meglio senno che forza. UNA. Ne' Proverbii al contrario (XXIV, 6): Ove consigli di molti, sarà salute. Ma la dottrina politica di Dante era meno amica a libertà qual oggidì s'intende che molti non credano. E' pensava che i vigorosi d'intelletto naturalmente dovessero avere sugli altri principato. Nel dispregiare le moltitudini mal governate, il Poeta non intendeva però spregiare in tutto il senno dei più, che anzi nel Convivio (1, 10) dice: Vuole essere evidente ragione che partire faccia l'uomo da quello che per gli altri è stato servato lungamente.

25. (SL) URBISAGLIA. Castello del Maceratese: anticamente città: Urbs Salvia (Plin.). CHIUSI. Era sede de' principi etruschi. Enumerazione simile di città cadute è in Ovidio (Met., XV).

26. (L) FORTE: dura a comprendere.

(F) CITTADI. Som. Sup., 99: Perpetuo homo non manet: ipsa civitas deficit.

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(F) MORTE. Petr., Tr. del Tempo: Se'l viver vostro non fosse si breve, Tosto vedreste in polve ritornarle. Bossuet, Disc. hist., III, 1: Si les hommes apprennent à se moderer en voyant mourir les rois, combien plus seront ils frappés en voyant mourir les royaumes mẻmes; et où peut-on recevoir une plus belle leçon de la vanité des grandeurs humaines ?

28. (L) CCopre e discuopre col flusso e riflusso. FA la fece grande, or l'abbassa.

(SL) LUNA. (Tolom., Almag.; Ottimo) Som. : L'acqua secondo il moto della luna muovesi intorno al centro secondo il flusso e riflusso. · Il flusso e il riflusso del mare non segue la forma sostanziale dell'acqua, ma l'operazione della luna. — LITI. Æn., XI: Qualis ubi alterno procurrens gurgite pontus Nunc ruit ad terras, scopulosque super jacit undam... Nune... Saxa fugit, litusque vado labente relinquit. Stat., II: Ceu gurgite cano Nune retegit bibulas, nunc abruit œstus FORTUNA. Æn., XI: Multos alterna revisens Lusit, et in solido rursus fortuna locavit.

arenas.

29. Perchè non dee parer mirabil cosa Ciò ch'io dirò degli alti Fiorentini Onde la fama nel tempo è nascosa. 30. Io vidi gli Ughi, e vidi í Catellini,

Filippi, Greci, Ormanni, e Alberichi, Già nel calare, illustri cittadini: 31. E vidi, così grandi come antichi,

Con quel della Sannella quel dell' Arca, E Soldanieri, e Ardinghi, e Bostichi. 32. Sovra la porta ch' al presente è carca Di nuova fellonia, di tanto peso, Che tosto fia iattura della barca, 33. Erano i Ravignani, ond'è disceso

Il conte Guido, e qualunque del nome Dell'alto Bellincione ha poscia preso. 34. Quel della Pressa sapeva già come

Regger si vuole; ed avea Galigaio Dorata in casa sua già l'elsa e 'l pomé. 35. Grande era già la colonna del vaio:

Sacchetti, Giuochi, Fifanti, e Barucci,
E Galli, e quei ch'arrossan per lo staio.

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(SL) ALTI. En., V: Genus alto a sanguine Divům. NASCOSA. En., VII: Fama est obscurior annis. -V: Quos fama obscura recondit. 30. (L) CALARE: decadere.

(SL) UGHI. Da loro una chiesa in Firenze fu nomata S. Maria Ughi; e il poggio vicino a Firenze, Mont'Ughi.- CATELLINI. Spenti all'età dell'Anonimo: similmente i FILIPPI. GRECI. Da loro si nomina in Firenze il borgo de' Greci. Al tempo dell' Ottimo abitavan Bologna. ORMANNI. Poi chiamati Foraboscoli: grande famiglia. ALBERICHI. Da loro la chiesa S. Maria Alberichi: spenti nel secolo XII. 31. (L) GRANDI di potere.

(SL) SANNELLA. Decaduti nel secolo XIV. ARCA. Arroganti; e nel secolo XIV, pochi e impossenti. SOLDANIERI. Inf., XXXII, t. 44. ARDINGHI. Nel secoCosi de' BOSTICHI.

lo XIV, in basso stato e pochi.
32. (L) JaTTURA DELLA BARCA : rovina de' rei.

(SL) SOVRA. I Ravignani abitavano dalla porta San Piero (Vill., IV, 10): passò quella casa a Bellincion Berti, poi a' conti Guidi, poi la comprarono i Cerchi Neri (Vill., III. 2; VII, 417); e però Dante li chiama felloni, che divisero la città in Bianchi e Neri. Benvenuto chiama i Cerchi rustici molto e protervi. LONIA. Vitt. a Firenze: Forma di fellonia. - [PORTA. Eschyl., Supplic., v. 356.] BARCA. Simile metafora nel Canto VIII. Accenna agli esilii che ne seguirono. 33. (L) QUALUNQUE del nome...: Berti e Guidi Berti. (SL) NOME. Vill., III, 2.

34. (L) POME della spada: proprio de' cavalieri.

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FEL

(SL) POME. Nel secolo XIV i Galigai eran bassi. 35. (SL) COLONNA. I Pitti o Pigli. Arme loro fu: scudo rosso con entro colonna di vaio. SACCHETTI. Nemici all'Autore e superbi, Guelfi (Inf., XXIX). GIUOCHI. Decaduti in quel secolo e Ghibellini. FIFANTI. Decaduti e Ghibellini. BARUCCI. Anon.: Pieni di ricchezza e di leggiadrie: oggi sono pochi in numero e senza stato d'onore: e sono Ghibellini. GALLI. Caduti. STAIO. Da un di loro falsato con trarne una doga (Purg., XII, t. 55). Chiaramontesi o Chermontesi: caddero quando i Cerchi Bianchi furono cacciati. ARROSSAN. Par., XXVII, t. 18: Privilegi venduti..... ond’io sovente arrosso.

36. Lo ceppo di che nacquero i Calfucci Era già grande; e già erano tratti Alle curule Sizii ed Arrigucci. 37. Oh quali vidi quei che son disfatti Per lor superbia! e le palle dell' oro Fiorian Fiorenza in tutti suoi gran fatti. 38. Così facén li padri di coloro

Che, sempre che la vostra Chiesa vaca, Si fanno grassi stando a consistoro. 39. L'oltracotata schiatta che s'indraca Dietro a chi fugge, e a chi mostra 'l dente, Ovver la borsa, com'agnel si placa, 40. Già venia su, ma di piccola gente;

Si che non piacque ad Ubertin Donato
Che' suocero il facesse lor parente.
41. Già era 'l Caponsacco nel Mercato
Disceso giù da Fiesole, e già era
Buon cittadino Giuda ed Infangato.

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(SL) DISFATTI. Dino: Se battiamo un nostro fante, siamo disfatti (dicono i Ghibellini sdegnati della potenza del popolo). PALLE. Lamberti (Inf., XXVIII). Ebbero poi le palle i Foraboschi ed i Medici. DELL'ORO. Semint.: L'albero dell' oro. - Lo collo del vivorio (il collo d'avorio). FIORIAN. En., VII: Quibus Itala jam tum Floruerit terra alma viris. - VIII: Hane multos florentem annos rex deinde superbo Imperio... tenuit. Stat., X: Proavum tellus effloruit armis.Guittone: Oh non Fiorentini, ma disfiorati e despogliati e infranti. [Brunetto, Tesoret., II: Intanto che Fiorenza Fioría e facea frutto.] FATTI. Æn., I, X: Fortia facta.

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(SL) VENIA. Georg., II: Sponte sua veniunt (di piante). DONATO. Bellincione maritò una figliuola ad Ubertino, nobilissimo; onde gli spiacque che l'altra fosse ad uno Adimari. La famiglia Donati si spense nel 1620 (Pelli).

41. (SL) CAPONSACCO. Ghibellini, esuli al tempo di Dante. Una Caponsacco fu moglie di Falco, madre di Beatrice (Ric., Chiese fiorent., VIII, p. 231). — MerCATO. Presso la bocca di Mercato vecchio, la parte più nobile della città (Vill., VIII, 74). — GIUDA. Guidi, d'alto animo (dice l' Ottimo), Ghibellini, e molto abbassati d' onore, e di ricchezze, e di persone. Cacciali co' Cerchi. INFANGATO. Bassi in onore, e pochi in numero: Ghibellini disdegnosi.

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