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Riempion sotto 'l ciglio tutto 'l coppo. E avvegna che, sì come d'un callo,

chiama (v. 112) duri veli quelli che qui son detti visiere di cristallo. Se non ci apponiamo in fallo, la voce visiera andrà così nel vocabolario di nostra lingua registrata con un significato nuovo, che pur le appartiene; e che rende luminosa e semplice l'intelligenza di questo luogo Dantesco.

99. SOTTO 'L CIGLIO TUTTO IL COPPO: Tutto il coppo che è sotto 'l ciglio. COPPO tana. Buti - Concavità e Concavo. Land., Vellut., Volp., Vent. Cavità. Lomb., Biag., Bianchi ec. Quel come nido o buca, che fa la proda delle occhiaje. Ces.- TUTTO IL COPPO: Tutto ciò che (sotto il ciglio) potrebbe esser vuoto. Barg. Il Tommaseo chiosa al contrario, COPPO: cavità convessa di fuori, allegando l'autorità del Berni (Orl. III, 6, 36): - Il coppo dell'elmello. Dove non è sì certo che per coppo abbia ad intendersi piuttosto la parte convessa, che la concava dell'armatura. Dicendo quel poeta che Mordante :

Ebbe in mezzo all'assalto un strano intoppo:

Fu ferito in mezzo della faccia, L'elmetto volò via con tutto il coppo, Mezza la testa è nell' elmo che vola, Rimase il resto attaccato alla gola. vuole, a creder nostro, significare tutta la cavità dell' elmo che va via con entro

vi la mezza testa del ferito.

Se per COPPO s'intendesse il bulbo dell'occhio, e non anzi il vano che lo circonda tra l'arco del sopracciglio, il naso e il pomello della gota; il RIEMPIE ricolmerebbe cosa non vacua, ma per sè già piena. La cavità e la convessità essendo due modi dell' estensione, l'uno in senso contrario e fuori dell'altro; non possono assolutamente l' una dell' altra predicarsi a vicenda. Una cavità convessa, come una convessità concava, un impossibile, non altramente che una rella curva, o un cerchio quadrato; sicchè la chiosa, COPPO: cavità convessa di fuori val quanto dire:

COPPO = a

a=0.

è

La sposizione antica è reclamata eziandio dalla proprietà del vocabolo. Cop

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po, coppa, cupo, covo, cupola ec. ci vennero probabilmente da xupos, cavità; donde anche ai Latini cavus affine di chaos, inanità; e caupo e caupona da cavipa (forse la nostra coppa) quasi cavipo e cavipona da locis cavis, e che poscia divennero copo e copona, copa, cupa. Coppo vale anche orcio. L' Ebr. Cof, vase, diede a noi coffa, gabbia, e il cofano di comune co' Greci e co' Latini. Cubo e gobbo son due voci lontanissime di significato tra loro; pure dall'una all' altra non è differenza d' origine, ed hanno con coppo strettissima parentela poichè quella si fa da xüzтo, pronum esse, propendere, e questa da upès, incurvus ec. Quindi eziandio le catacombe da xara, solto e ziμßy, cavità; quindi cymba che i Latini dissero alla nave, e navi son l' anagramma di vani; quindi cymbium, bicchiere, e cymbalum, cembalo, dall' idea della lor vacuità. Dove in somma che ci volgiamo a rintracciare l'origine del coppo, noi non ci avvenghiamo che in un caos di di bettole, di vasi d'ogni spezie dalla caverne, di spechi, di camere terrene, coppa degli Dei fino al truogolo del maiale, di scrignuti, di tombe, di stromenti musicali ec.: tutte cose nate nel cavo e nel vacuo; sicchè di loro stirpe e di loro genia diresti veramente con Salo

mone: Vanitas vanilatum et omnia va

nitas. Speriamo non sieno però vani gli argomenti da noi arrecati a dimostrare vacuo il coppo Dantesco, e vacua l'anzidetta chiosa, avvegnacchè fatta da quel nobilissimo ingegno di Niccolò Tom

maseo.

100-103. E Avvegna che ec. In sent.: E sebbene a cagione del freddo s'era il mio viso intormentito; parevami nondimeno sentire del vento. Ordina il testo E avvegna che ciascun sentimento avea, per la freddura, cessato stallo del mio viso, sì come d' un callo; già mi parea ec. Ma è ben qui da notare il valore delle particelle E, già nel primo e quarto di questi versi ; con le quali il Poeta dà cominciamento a

Per la freddura ciascun sentimento
Cessato avesse del mio viso stallo,
Già mi parea sentire alquanto vento;

nuova sentenza. Elle vanno più sovente
accosto l' una dell' altra, come nel verso
(Inf. IX, 64):

E già venia su per le torbid' onde ec. Il che ci fa tenere come in parentesi tutte le voci che corrono da avvegna sino a stallo, onde spicchi svelto il pensiero: E già mi parea sentire alquanto vento: dove, col Cod. Cassinese e co' testi più corretti leggiamo E, non Ed. Per ciò che spetta al metro è utile riferire le parole del Cesari: «Forse a molti il primo verso sarà paruto zoppo, di una sillaba meno. Ma è da por mente.. che Dante non mangia mai, massime al principio di verso, la vocale che seguita a monosillabo, e via meno se accentato: il che fa anche il Petrarca come là dove comincia la Canzone, O aspettata in ciel, beata e bella, ecc. e però, come qui sarebbe a leggere spiccato l' A da O, quasi come fosse scritto OD; così nel presente luogo di Dante, vuolsi leggere, come dicesse; Ed avvegna che, ec. ».

101. FREDDURA: freddo (Inf. XXXII, 53, nota).

CIASCUN SENTIMENTO: ogni senso, o sensazione. E qui va preso per solo quel del tatto toccato dal vento, e non nella sua più ampia accettazione come altrove (Inf. III. 135).

102. CESSATO AVESSE... STALLO: Fosse partito dal mio viso. Avea già molto bene il Guiniforte chiosato questo luogo parso ai più dotti inviluppato e contorto: E avvegna che per la freddura ciascun sentimento avea cessato stallo del mio viso, cioè lasciato la stanza di mia faccia, si come di un callo: vuol dire, quantunque per lo freddo non mi era nel viso rimasto alcun sentimento, sicch' io in esso non sentiva freddo, nè cos'altra più, come s'ei fosse diventato un callo; nondimeno già mi pareva sentire alquanto vento, onde pensar può ciascuno ch' egli era forte, s'io lo sentiva, avendo così perduto già ogni sen80. CESSARE è anche rimuovere, allontanare; onde CESSATO STALLO vale ri

mosso stallo, cioè stanza, come spose il Landino. E parrebbe qui metafora tolta dagli uccelli, che sgombrano il nido natio, quando l'intemperie dell' aere gli caccia in cerca di più miti regioni. Ma cessare ebbero i Latini per lasciare; e cedere loco dissero in sentimento di partirsi, andar via ec. Or questo cessare, ch'è il frequentativo di cedere, ci avvisa che sia molto opportuno in questo luogo a significare la cessazione, non mica lo assoluto abbandono della facoltà sensitiva; la quale si sospende, non si annulla nell'organo intorpidito.

STALLO è dal latino barbaro stallum (a) per stanza, dimora, luogo in genere; onde nel Dittamondo (Lib. VI. Cap. VIII):

Moltiplicava come la mala erba

Se non è coltivata in buono stallo.

Quindi i nostri antichi dissero ostale per ostello, sede, albergo; e stallare, ristallare per indugiare, traporre dimora ec. La ragion poetica di questa frase, in assegnare una sede al sentimento, ovvero al senso o sensibilità esterna, è quella medesima onde gli antichi filosofi considerarono il capo come la magione dell'anima, e quivi posero più celle alle virtù o potenze diverse che natura le diede. Ser Brunetto Latini, primo maestro di Dante, scrive nel Tesoretto:

Nel capo son tre celle:
Io ti dirò di quelle.
Davanti è lo ricetto

Di tutto lo'ntelletto,
E la forza d' apprendere
Quello che puoi intendere.
Nel mezzo è la ragione,

E la discrezione,
Che cerne ben da male,

E 'l torto dall' iguale.
Di dietro sta con gloria
La valente memoria,
Che ricorda e ritene

Quello, che in essa vene.
103. SENTIRE ALQUANTO Vento nel viso
quasi incallito e reso insensibile, là do-
v'era il Poeta, può moralmente signifi-
care: Che come nel supremo cielo na-

stabulum per questa scala: stabulum, slavulum, (a) E lo stesso barb. stallum fu fatto dal lat. stavium, stallum.

Perch' io: Maestro mio, questo chi muove? Non è quaggiuso ogni vapore spento? Ond' egli a me: avaccio sarai dove Di ciò ti farà l'occhio la risposta, Veggendo la cagion che 'l fiato piove. Ed un de' tristi della fredda crosta Gridò a noi: o anime crudeli

sce dalla potentia, et sapientia divina lo Spirito santo, il quale infiamma la carità, et per questo è assomigliato al fuoco, et al vento Austrino; così da Lucifero procede il frigidissimo vento della superbia, il quale ammortisce ogni caldo di carità,et indurisce, et agghiaccia tutti gli humani cuori. Altri dirà che cotesto senso morale qui di Messer Landino pute un poco di clericalismo; pure gli è quello inteso dal Divino Poeta. Se togli la buccia teologica, ci troverai buon frutto. Chi va a Superbia perde a poco a poco ogn' altro sentimento, fuor quello della vanità, che gli gonfia l'anima e la vota d'ogni valore. Dante che in simbolo è l'Umanità, s'appressava a Lucifero, detto L'Imperator del doloroso regno ; or vedi se agli uomini che usano a corte di Principi, di Re, e d' Imperatori, non accade spesso sotto l'influenza di quelle aure ciò che in Inferno addiveniva al nostro mistico viaggiatore!

104-105. QUESTO CHI MUOVE? ecc. Donde mai procede QUESTO vento? che essendo movimento d' aere, non son egli qui vapori ed esalazioni che il Sole levi su dalla terra a causare cotal fe

nomeno.

MUOVE. Vento è voce che per molti si trae da venio; quia sit aeris motus, venire autem sit moveri. Scalig. L. L. c. 67.

105. NON È QUAGGIUSO ec. Fin da ora egli sente il freddo vento delle ali di Satana; e domanda la cagione, e Virgilio lo lascia in sospeso. Questa preparazione è tocco maestro. Tomm.

VAPORE SPENTO. Cic. 2, de Divin. : Placet enim Stoicis, eos anhelitus terrae, qui frigidi sint, cum fluere coeperint, ventos esse. E Vitruv.: Ventus est aeris fluens unda... Nascitur cum

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fervor offendit humorem, et impetus fractionis exprimit in spiritus flatum. 106. AVACCIO: tosto, presto (a). 107-108. FIATO vento (Inf. V. 42, nota). Il Petrarca, P. I, son. 33: Del lito occidental si muove un fiato,

Che fa securo il navigar senz' arte. PIOVE: manda da alto; usato per Catacresi e molto opportunamente; perciocchè quel fiato è mosso dalle ali di Lucifero, il quale s'innalza a smisurata altezza sulla ghiacciata lacuna di Cocito.

Di piovere att., in sentimento di versare o spargere quasi a similitudine di pioggia, ecco esempio del Frescobaldi:

Io sento piover nella mente mia Amor quelle bellezze, che in voi vede. E ben mille altri ce n'ha, da' quali il Gherardini induce che a questo verbo è propria la forza attiva, senza che s'intenda usato traslativamente (b).

109. FREDDA CROSTA (Vedi Inf. XXXII, 25, nota). - Gelate croste (Inf.XXXIV, 75). FREDDA, anche per distinguerla dalla superficie del lago di pece bollente che fu detta anche crosta (Inf.XXII,150).

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110. ANIME CRUDELI. Lo spirito che qui parla, crede che i due Poeti sieno dei dannati che vadano al luogo della loro pena.

CRUDELI. Altrove (Inf. XI, 88) son detti felli i traditori, in genere. Qui è tanto meglio appropriato questo epiteto

(a) In Ebr. hava essere, ed atz celere, precipitoso, fanno il verbo hhaphatz affrettarsi, precipitarsi; onde ai nostri primi padri della lingua venne avacciare, avâccezză, avaccianza, avacciamento, avaccévole, avacciatamente, ed avaccio or sust., or addiet., e più spesso come qui, avverbialmente usato. Coteste voci antiquate non si vogliono oggi adoperare. (b) Gio. Gher., Voci e maniere di dire italiane.

Tanto, che data v'è l'ultima posta,

alla Malizia, per la quale (Inf. XI, 61 segg.):

quell' amor s'obblia

Che fa natura, e quel ch'è poi aggiunto
Di che la fede spezial si cría.

D'ogni malizia odiata in Cielo, quella che qui si punisce è la più perversa: e come bontà è mitezza, nobiltà, umanità, cortesia ec.; così gli spiriti sommamente mali di questa cerchia sono a rigor di vocabolo appellati crudeli; e non mica perchè (come dicono il Landino ed altri) non sovvengano a Frate Alberigo. La tripartizione dell' Inferno Dantesco è fatta secondo l' Etica di Aristotile, che distingue i colpevoli in Incontinenti (a), Bestiali (b) e Maliziosi (c). San Tommaso, seguendo eziandio la dottrina dello Stagirita, scrive: Peccatum humanum reducitur ad haec principia: Ignorantiam, Passionem, et Malitiam. Or nell'ultima lacuna di Cocito è la Malizia somma, contraria alla somma Bontà che è in tutto nemica di ciascun crudele.

111. TANTO CHE ec. I più legano il tanto che col crudeli, e intendono: 0 anime tanto crudeli, che ec. Al Cesari parve che qui fosse da prendere tanto che in sentimento di mentre che, in questo mezzo che, finchè ec. (d), e leggere con quest' appuntatura: O anime crudeli, Tanto che siate condotti più basso, levatemi ec. E così presso a poco avea già sposto il Guiniforte: Nanti che voi siate posti nel luogo, dove poi dobbiate sempre stare, levatemi ec. Così il Landino Insino a tanto che non vi è dato la ultima posta ec. Alla prima delle due interpretazioni s' attenne il Biagioli. I Poeti presi per dannati soccorrerebbero secondo lui tanto più volentieri allo spirito che parla, per quanto si terrebbero gloriosi della loro più grave reità. Cotesto non piacque al Cesari : « Conciossia

(a) E questi son puniti ne' primi cerchi dell'Inferno di Dante.

(b) Puniti nel VI cerchio.

(c) Puniti ne' cerchi VII, VIII e IX.

(d) Cosi nel Boccaccio ove Calandrino che va per lo Mugnone in cerca dell' Elitropia, dice: A me pare, che noi abbiamo a ricogliere tutte quelle (pietre) che noi vedremo nere, tanto che noi ci abbattiamo in essa.

chè, quantunque i peccatori amino i loro misfatti, non hanno però così perduto ogni natural lume, che se ne possano anche gloriare (e), e ad onor reputarseli; massime certi più infami peccati, come questo di tradimento: nè certo alcuno per lusingar chicchessia, vorrebbe chiamarlo, Messer lo ladro, assassino, spergiuro. Ma io starei a una spiegazione più semplice. Costui volea dire: 0 crudeli, che potete mirare questo mio tormento senza piangere ecc.» Suppone anche sien chiamati crudeli, come fratelli d'una stessa famiglia, ai quali dovea calere de' loro consorti. Ma i danna

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ti, per sè, nè si pentono de' loro falli, e nè gli abborrono per disonore ed infamia che lor ne venga; poichè sarebbe pur questa una buona volontà, ch'essi affatto non hanno (f). Quel lume naturale che resta in loro, può mai far volere cosa che sia lodevole e buona? La naturale inclinazione al bene e all' onesto è in quelli già corrotta dall'abito della malizia, la quale fa ch' ei tengano il bene per male, e il male per bene (g). Supporre adunque ne' più perversi traditori il menomo grado di vergogna, e pensare che potessero avere a male che altri gli appelli crudelissimi, tanto è a dire, quanto che cotestoro sieno in Inferno più onesti o meno rei, che non furono in questo mondo; laddove : Major est perversitas damnatorum, quam peccatorum in hoc mundo (h).

Senza mettere in mezzo la gloria che i maligni spiriti dar si potessero de' loro misfatti, o l'idea del consorzio che render gli dovesse umani verso i lor pari; noi crediamo che il senno del Poeta fosse anzi di farci intendere, che tra quelle anime perdute è fatale che a ciascuno sia, per giustizia cioè senza ingiuria, dato il titolo che gli conviene; e che la lo

(e) Ma ne' Prov. 2, sta scritto di cotestoro appunto: Laetantur cum male fecerint, et exultant in rebus pessimis.

(f) Velle se non peccasse propter turpitudinem iniquitatis est bona voluntas; sed hoc non erit in damnatis. S. Thom., Summ. suppl., Quaest. XCVIII, Art. 2.

(g) S. Th., loc. cit., Art. 1.
(h) S. Th., loc. cit. Art. 2.

ro natura è pervertita a tal segno, da non gravar più loro le parole contumeliose, le quali di qua tra noi alienerebbero il nostro animo dall' offensore.

Noi dunque ordiniamo col Biagioli le parole di questo luogo, e le interpretiamo diversamente, secondo che or ora è detto. Le chiose del Bargigi, del Landino e del Cesari hanno tre principali inconvenienti: 1o La frase Tanto che dato v'è, intesa nel senso loro, sarebbe una sgrammaticatura, perciocchè pigliando il Tanto che per finchè, questo vocabolo richiederebbe, a rigore, il tempo futuro, non mica il presente, come ha il testo; dovendosi regolarmente dire Finchè vi sia dato, o Fino a che non vi sarà dato ec.

Dante stesso (Purg. X, 85 segg.):
Ora aspetta

Tanto ch'io torni.2o Farebbe supporre non ancor dato ai dannati, che hanno omai valico tutto l'Inferno, il luogo di pena, già tanto innanzi assegnato loro per la coda del severo Mi-3o Il Fino a tanto che pone in mezzo un tempo, che non si dà presso quel tribunale, tra la condanna e l' esecuzione. Le anime mal nate (Inf. V):

nosse.

Dicono e odono, e poi son giù volte. e si precipitano al deputato luogo, senza punto d'indugio; dacchè la divina giustizia gli sprona:

Si che la tema si volge in disio. Intendiamo perciò il presente luogo così: 0 anime tanto crudeli, che v' è data, cioè v' è stata già data (a) l'ultima posta ecc.

POSTA: Posto, luogo. Così ghiaccia, per ghiaccio (Inf. VII, 20; XXXII, 26, 35, note).

ULTIMA POSTA, come a rei del più grave tradimento. Di Minosse (Inf. V, 7) è

detto che :

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duro dorso, quando danna traditori, del cui novero lo spettro che parla credette che fossero i due Poeti. Ma, primamente, qual'è quest'ultima posta? Il Lombardi, il Biagioli, il Cesari ec. pensano che sia la Giudecca, l' ultimo de' quattro gironi del IX cerchio. Il Bargigi, il Landino ec. intendono ULTIMA POSTA, ullimo luogo, ove sempre avete a stare. Il Tommaseo (v. 117): L'ombra credendolo un dannato della Tolommea, gli dà fede. E pare a prima vista abbia egli dato nel segno, considerando che altrimenti poco accorto si mostrerebbe il malizioso Alberigo; il quale sa già fin da ora, che i Poeti vanno a Lucifero, e lasciasi poi non pertanto sì leggermente ingannare alle false promesse di Dante, che gli dice (vv. 116 seg.):

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E s'io non ti disbrigo.

Al fondo della ghiaccia ir mi convegna. Ma al contrario, non è da confondere l'ultima posta (che secondo noi ben va intesa per la Giudecca) col fondo della ghiaccia, ch'è la parte inferiore (Inf. XXXIV, 117):

Che l'altra faccia fa della Giudecca. E il Poeta dice: AL FONDO DELLA GHIACCIA ec. nonchè nell' ultima posta, che tu di', ma giù affatto nel fondo. Se ultima posta si chiamasse la Tolommea, non capiremmo perchè cotal nome convenir non potesse eziandio alla Caina e all' Antenora ; e allora a che la distinzione di ultima? Pigliar per essa tutto il IX cerchio, sarebbe poi annullare affatto con la gradazione de' quattro scompartimenti che nella Ghiaccia son posti, le varie specie di traditori.

Secondamente, onde mai sepp' egli, quel dannato, che i Poeti s'andavano all'ultima posta? Dal sentire che verso quella cammin facevano. Lomb. - Da che pel suo compartimento passavano senza esser filti nel ghiaccio. Cesari Ricordiamo che ad Alberigo gli occhi erano stretti dalle lagrime raggelate; che i Poeti non anco avean passata la zona ov' era fitto quel misero; e che però dal solo udito non potea egli arguire o che quelli andassero oltre, o che nella stessa ghiaccia fossero per essere immersi. Ma come i Poeti furono in andando a lui si presso, che Virgilio potette esser udito rispondere a Dante (vv. 106 segg.):

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