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del sommo Bene, che Carlo parlando richiama tre volte (4). Là Virgilio: Quæ, Tyberine, videbis Funera, cum tumulum præterlabere recentem! (2); che è piccola idea d'esequie quali possono farsi a chiunque possa farne la spesa; ma migliore e più ampia menzione di fiumi e di paesi : Quella sinistra riva che si lava Di Rodano, poich'è misto con Sorga (3) (e il fiume celebrato dai molti amori del cortigiano doveva risonare nel verso e nelle dolorose speranze dell' esule (4)). - Da onde Tronto e Verde in mare sgorga (5). Di quella terra che 'l Danubio riga Poi che le ripe tedesche abbandona (6). Qui avvicinate e dal verso del Poeta e dalla storia Puglia e Provenza, Sicilia ed Ungheria, ed il pensiero del Fiorentino spaziare più ampio che quello del romano poeta. In Virgilio: Propria huc si dono fuissent. Si qua fata aspera rumpas (7), il se non che adulazione, nobilitata alquanto dalla pietà che doveva sincera sentire la gentile anima del poeta alla memoria di un gentile giovanetto e all'angoscia di sua madre; ma in Dante: Se più fosse stato, Molto sarà di mal che non sarebbe (8), il se, tuttochè una delle solite supposizioni con cui gl'infelici e i politicanti rifanno l'irrevocabile passato, è tocco tuttavia più profondo. Il cenno ai Vespri senza feroce compiacenza di vendetta, ma come sentenza che dichiara provocata dai tristi signori la pena e come avvertimento ad essi che non ne provochino di simiglianti, è uno de' luoghi dove la ragione spassionata del cantore e del fuoruscito fa miglior prova di sè (9). Ben più alto si pone egli qui come giudice vero de' fatti, come maggiore de' tristi principi e come uguale de' buoni; né il verso Assai m'amasti, ed avesti bene onde (10), onora tanto il cittadino di Firenze che non foss'anco priore della repubblica e gentiluomo (e Dante poteva pur col nome di cittadino di Firenze agguagliarsi alle più potenti famiglie della terra), quanto onora esso Carlo il qual pare che, passando di Toscana, non solo s' affezionasse a lui, ma prendesse a stimare i suoi versi, se vogliam credere non a caso il ricordo ch'egli qui fa della Canzone: Voi che intendendo il terzo ciel movete.

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(1) Lo Ben... sua provvidenza (Terz. 55), - Disposto cade a provveduto fine (Terz. 55), - Provveder divino (Terz. 45). (2) Æn., VI. - (3) Terz. 20. — (4) Meglio semplicemente Rodano, che: Rapido fiume che d'alpestre vena Rodendo intorno, onde il tuo nome prendi, Notte e di meco desioso scendi Ore Amor me, le sol Natura, mena. Dove il Poeta si fa filologo, e per più dis grazia sbaglia l'etimologia; dove al fiume è tolto quello spirito d'amore che la dottrina di Dante comunica a tutte le cose (Purg. XVII; Par., I). - (5) Terz. 21. (6) Terz. 22. — (7) Æn., I. c. — - (8) Terz. 17. —— (9) Virgilio, di Mezenzio: At fessi tandem cives, infanda fu rentem Armati circumsistunt, ipsumque, domumque : Obtruncant socios, ignem ad fastigia jactant (Æn. ‚VIII). ― (10) Terz. 19.

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E pregiare la poesia ed esercitarvisi era ambizione di parecchi tra' principi di quel tempo, che l'eleganza non ponevano tutta negli abiti e negli arnesi, nè l'ignoranza tenevano essere titolo di maestà. Il fatto si è che in questi semplici versi è non solo più affetto e più dignità, ma anche più poesia che nel passo latino tanto celebrato dalle tradizioni scolastiche, le quali sono sovente, senza saperselo, cortigianesche. Le lodi del giovanetto sono in Virgilio più amplificate che magnificate: Nimium vobis romana propago Visa polens, Superi (4). Poi tre versi alle esequie; poi altri sei di lodi comunissime e che nulla dicono: se non che il principio e la fine, quello accennante alla pietà d'una mente immatura qualsiasi, questa alla pietà de' parenti, riempiono il vuoto del resto; e il tu Marcellus eris riman cosa sublime, perchè detto d'uno che non è più, detto innanzi a una madre, e posto in bocca ad un antenato divino, come fato antichissimo di sempre recente dolore. I gigli che seguono e i flori purpurei, sono rettorica, squisita sì, ma rettorica; nè valgono la luce e la gioia di cui Carlo si cinge, lo sposo della bella Clemenza; e quest'ultimo tocco serbato al principio del seguente Canto, è cosa degna di Virgilio il maestro.

Dal dire che Carlo fa suo fratello Roberto di padre liberale essere disceso avaro, dà luogo al Poeta di domandare d'onde tale diversità di nature tra gli uomini della medesima schiatta. Carlo risponde: Dio fa ministri della sua provvidenza i cieli e i gran corpi aggirantisi in essi, per il moto e la luce de' quali, e per l'operazione degl' intelletti (2) angelici che gli governano, è provveduto al bene essere e al finale esito di ciascheduno de' minimi enti, come richiede il disegno d'una mente perfetta (3). Or al benessere di tutti gli uomini e di ciascheduno richiedesi ch' eglino vivano in società, a che gli ordinò la natura (4); ne società potrebb' essere senza che diversi uffizii agli uomini fossero distribuiti (5); la quale dissomiglianza non può non portare disuguaglianza di condizioni e questo solo possono la giustizia e l'incivilimento operare che tutte le condizioni abbiano dinanzi alla legge uguali diritti, tutte nell'opinione pubblica siano moralmente onorate se esercitate moralmente, nessuna sia impedimento

(1) En.. VI. (2) Dion., Hier. cœl.: Menti superne gli angeli. Ps. CXXXV, 5: Fecit cælos in intellectu. (5) Som., 2, 2, 1: La natura piglia principio du cose perfette. Perchè le cose imperfette non si conducono a perfezione se non per cose perfette preesistenti. — (4) Anche la Somma (2, 2, 109): L'uomo è animale sociale. (5) Som., 5, 8: Un corpo dicesi una moltitudine ordiwatu insieme secondo distinti atti ovvero uffizii. - 1, 2, A: li reggitore che intende al bene comune muore col suo comando tutti i particolari uffizi della città. Della diversità degli uffizii, vedi Sony, 2, 2. 185.

al perfezionarsi e dell' uomo singolo e della sua schiatta; e le più materiali vengano nobilitate e alleggerite da sentimenti generosi, da cognizioni elette, e da altre occupazioni esercitanti più acconciamente lo spirito; le più spirituali sieno ragguagliate alle altre dal costume pubblico e dall'alterno uso di più materiali lavori da' quali anco il dotto e l'artista ed il governante possono attingere e sanità e ispirazione ed utili esperienze.

Però, dice Carlo Martello, uno nasce governante di repubblica e l'altro re, uno sacerdote e uno artista. Ma il figliuolo non nasce con le disposizioni stesse del padre non già che la natura non tenderebbe a produrre sempre simili effetti (1); ma la Provvidenza li vuole variati acciocchè sia conseguita l'utilità sociale. Così disse altrove: Rade volle risurge per li rami L'umana probitate: e questo vuole Quei che la dà, perchè da lui si chiami (2). E quel ch'ivi è detto della probità, qui si stende anco a men liberi doni, acciocchè riconoscansi tutti venire da Dio, e perchè l'uso del libero arbitrio ha parte anco nell'esercizio di quelle facoltà che più paiono innate. Codeste varietà di attitudini vengono, secondo Dante, ministrate dall'influenza de' cieli; e alla Provvidenza egli reca che due gemelli nascano con indoli diverse, dove non poteva aver luogo la diversa influenza. Ma questo fatto naturale della diversa indole de' ge

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melli potrebbe anco in parte mediatamente spiegarsi da questo, che non è dimostrato che la concezione di due facciasi sempre nel medesimo punto, e che le diverse disposizioni corporee e morali del padre o della madre debbono potere sui feti. Poi, data anco la concezione ad un tratto, riman sempre che nell' uno de' due possa più il temperamento del padre o de' maggiori di lui, sull'altro della madre o di quelli de' quali ella nacque rimane che la differente postura nel seno materno, e le impressioni e lo svolgimento differente che ne provengono, anch'essi debbono indurre varietà. Poi rimangono le differenze tante che negli usciti alla luce porta il diverso venire degli oggetti esterni, e il diverso modo come que' due per ugualmente amati e trattati che sieno da' genitori debbono pure dagli altri essere trattati ed amati.

Da ultimo notasi che la natura, ministra della Provvidenza, se nella scelta dello stato non sia combattuta dalla fortuna, fa buona riuscita sempre; ma che il torcere alla religione i disposti alla guerra e il fare re di chi sarebbe buon frate predicatore o anco non predicatore, è cagione che gli uomini e le società si disviano. Qui fortuna ha il senso volgare; non è quella che volge la sfera delle sorti mondane con le altre intelligenze celesti, e beata si gode (1).

(4) Inf., VII, t. 52.

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CANTO IX.

Argomento.

Gli parla Cunizza sorella del tiranno Ezzelino, donna d'amore; e predice le sventure della Marca Trivigiana e di Padova, e i delilli di Feltre; come Clemenza predice le soverchierie di Roberto. Poi parla Folchetto di Marsiglia, amoroso poeta, che fini monaco; e gli accenna Raab la meretrice, salva per un atto d'amore: poichè solo amore della nuova legge, e pietà de' due in sua casa nascosti potevano scusare tale atto che in altro stalo di cose direbbesi tradimento. Da Raab, occasione alla prima vittoria di Giosuè in Terra Santa, passa il Poeta alla noncuranza in ch'anno i cristiani quella terra, e all'avarizia de' papi.

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1.(L) CHIARITO come dai padri differiscono i figliuoli. SEMENZA: figliuoli.

(SL) DAPPOICHÈ. Vive in Toscana. CLEMENZA. Moglie di Carlo, figliuola di Rodolfo, la quale mori di dolore per la perdita del marito: o, secondo altri, la figliuola di Carlo, moglie di Luigi X re di Francia. — INGANNI. Roberto, fratello di Carlo Martello, doveva intrudersi nel regno di Napoli e di Sicilia, ed escluderne il figlio di Carlo nel 1309. RICEVER. Inf., XX, t. 52: Inganno ricevesse.

2. (L) PIANTO giusto verrà dirietro a' vosTRI DANNI : i danni da voi fatti saranno dolore ai nemici vostri.

(SL) VOLGER. Æn., 1: Volventibus annis. VoSTRI. Dice vostri, perchè Clemenza vantava anch'essa diritti a quel trono.

3. (L) LA VITA: Carlo.AL SOL CHE LA RIEMPIE: Dio ch'empie ogni cosa di sè quanto in essa ne cape.

(SL) SANTO. Æn., II: Sanctum sidus.

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4. (SL) FATTURE. Non leggo fatue ed empie, si perchè fatue dopo ingannate torna fiacco e illanguidisce anco l'empie; si perchè anime reggerebbe tutto il costrutto, e verrebbero date ad esse le tempie. In questo senso fattura è nel XVII del Purgatorio, t. 54: Contra'l Fattore adorra sua fattura. — TEMPIE. Par., II, t. 4: Driz

5. Ed ecco un altro di quegli splendori
Vêr me si fece, e 'l suo voler piacermi
Significava nel chiarir di fuori.

6. Gli occhi di Beatrice, ch'eran fermi
Sovra me come pria, di caro assenso
Al mio disio, certificato fêrmi.

7.

Deh! metti al mio voler tosto compenso, Beato spirto (dissi), e fammi pruova, Ch'io possa in te rifletter quel ch'i' penso. 8. Onde la luce che m'era ancor nuova,

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Del suo profondo, ond' ella pria cantava,
Seguette, come a cui di ben far giova:
In quella parte della terra prava
Italica, che siede intra Rialto

E le fontane di Brenta e di Piava,

zaste'l collo. Psal. CXXXI, 5: Requiem temporibus meis. Qui potrebbe esprimere la leggerezza del moto.

(F) VANITA. Psal. IV, 5: A che amate voi vanità e cercate menzogna.- CXVIII, 57: Rivolgi gli occhi mici che non veggano vanità. Deut., XXXII, 21; Reg., III, XVI, 15; Esdr., II, I, 7; Job, XXXI, 5; Psal. XXV, 4. XXX, 7. XXXIX, 5; Eccle., II. 6. (L) Di caro ASSENSO AL MIO DISIO, CERTIFICATO FÈRMI: fecero me certo d'assenso al mio disio di parlare.

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(SL) PRIA. Par., VHI, t. 14. - CERTIFICATO. Per cerlo, Som. Certificatur de eo. Qui non bene chiaro. 7. (L) METTI... COMPENSO: soddisfa. - FAMMI PRUOVA, CH'IO POSSA... mostrami che tu vedi quello ch'io penso. 8. (L) GIOVA: piace. GIOVA. In due

(SL) CANTAVA. Par., VIII, t. 10. parole raccolti i versi del XVIII del Paradiso, t. 20: E come, per sentir più dilettanza Bene operando, l'uom di giorno in giorno S'accorge che la sua virtute avanza, 9. (L) IN QUELLA PARTE... CHE SIEDE...: Marca Trivi

10. Si leva un colle, e non surge molt' alto, Là onde scese già una facella,

Che fece alla contrada grande assalto. 11. D'una radice nacqui, e io ed ella:

Cunizza fui chiamata: e qui rifulgo Perchè mi vinse il lume d'esta stella. 12. Ma lietamente a me medesma indulgo

La cagion di mia sorte e non mi noia: Che forse parria forte al vostro vulgo. 13. Di questa luculenta e cara gioia

Del nostro cielo, che più m'è propinqua, Grande fama rimase; e, pria che muoia, 14. Questo centesim' anno ancor s'incinqua. Vedi se far si dee l'uomo eccellente, Si ch'altra vita la prima relinqua. 15. E ciò non pensa la turba presente

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FONTANE DI BRENTA E DI PIAVA, che mettono nel golfo di Venezia.

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(SL) PARTE. En., III: Ausonic illa. pars PRAVA. Inf., XVI, t. 5: Terra prava, la Toscana. RIALTO. Anon. Anticamente Vinegia si chiamò Rialto. 10. (L) UN COLLE, ov'è il castello di Romano. UNA FACELLA: Ezzelino. CONTRADA: paese.

(SL) FACELLA. Una fiaccola sognò Ecuba incinta di Paride; e così sognò, dice Pietro, la madre di Ezzelino. Di lui, nel XII dell'Inferno. Æn., VII: Nec face tantum Cisseis prægnans ignes enixa jugales... Funestæque iterum recidiva in Pergama tædæ. Lucan., X (d'Alessandro): Sidus iniquum Gentibus.

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11. (L) Io, sorella sua. MI VINSE IL LUME D'ESTA STELLA amai. (SL) RADICE. Non istà con facella. CUNIZZA. Postill. Caet. Fuit magna meretrix. Anon. Visse amo rosamente in vestire, canto e giuoco, ma non in alcuna disonestade consenti. VINSE. En., XII: Victus

amore.

12. (L) MA LIETAMENTE A ME MEDESMA INDULGO...: ma perdona a me il mio fallire che mi fu perdonato: cosa difficile ad intendere al più degli uomini.

(SL) INDULGO. Ovid. Met., X: Indulgere sibi, formamque augere colendo.

13. (L) Di quESTA LUCULENTA E CARA GIOIA: di Folchetto. MUOIA la fama.

(SL) GIOIA. L'Ottimo: Fu dicitore in rima di cose leggiadre..., che furono e saranno per fama graziose al mondo, dondelli avrà lunga nominanza.

14. (L) QUESTO CENTESIM'ANNO ancor s'incinqua: passerà cinque secoli. ALTRA VITA LA PRIMA la vita del corpo lassù, dopo sè la vita del nome.

(SL) INCINQUA. Davanz.: Incinquavansi i magistrati (quintuplicarsi). Nelle postille: Omeró, Dante e tutti i grandi formano nomi delle cose. Ma meglio torli dall'uso. VEDI. En., X: Famam extendere factis: Hoc virtutis opus. ALTRA. S'oppone, ma in apparenza, a RELINQUA. Petr., Trionfi:

quel che disse (Purg., XI). Virtu relinque.

15. (SL) ADICE. Purg., XVI, t. 59. La Marca Trivigiana, allora allargata, stendevasi, a un dipresso, in questi confini, Quindi più chiara la ragione di nominar Feltre a proposito d' un signore dimorante sull'Adige (Inf., I). BATTUTA. Da Ezzelino e da Alberigo suo fratello e dagli altri tiranni della Marca.

(F) BATTUTA. Jer., II, 30: Invano percossi i figliuoli vostri : non ricevettero disciplina. Psal., CXXXV

16. Ma tosto fia che Padova al palude Cangerà l'acqua che Vicenza bagna, Per essere al dover le genti crude. 17. E dove Sile e Cagnan s'accompagna, Tal signoreggia e va con la test' alta, Che già per lui carpir si fa la ragna. 18. Piangerà Feltro ancora la diffalta

Dell'empio suo pastor, che sarà sconcia Si che per simil non s' entrò in Malta.

17 Percussit reges magnos. Purg., XIV, v. ult. Onde vi batte Chi tutto discerne.

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16. (L) CANGERA: sarà tinta in rosso. ACQUA del Bacchiglione là dove impaluda.

(SL) PADOVA. I Padovani vinti da Cane (Vill., IX, 62). Predice la rotta che Iacopo di Carrara ebbe dallo Scaligero ne' borghi di Vicenza il di 27 settembre 1514. Altra rotta ebbe nel 1318 (Vill., IX, 87). — CANGERA. Æn., IV: In obscænum se vertere vina cruoCRUDE. Par., XI, t. 55: A conversione acerba, la gente non disposta alla fede. Hor. Carm., III, 11: Nuptiarum expers, et adhuc protervo Cruda marito. 17. (L) Dove: in Treviso. TAL: Riccardo da Camino. CARPIR: prendere.

rem.

(SL) ALTA. Psal. CIX, 7: Exaltabit caput. — RAGNA. Tramarono ucciderlo, e fu nel 1312 mentre giuocava agli scacchi. Il macchinatore fu un Attinesi de' Calzoni trivigiano. L'Ottimo lo fa ucciso da Cane per mano d'uno villano col trattato di certi gentiluomini del paese. Il Boccaccio dice che a tavola per mano di un pazzo, di cui si valsero i signori a lui confinanti per torgli la signoria. Il Muratori nella nota al Mussato VI, rub. 10) vuole la congiura tramata dai Ghibellini, e lo fa ucciso con un ronco da un contadino, e l' uccisore fatto in pezzi dalle guardie o da' congiurati. Ma Dante, io credo, non credeva complice lo Scaligero.

18. (L) DIFFALTA: il mancar di fede.

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(SL) DIFFALTA. Inf., XXVIII, t. 28: Fallo, un misfatto orribile. PASTOR. Giuliano. Novello di Piacenza, uomo guelfo (altri dice Gaza di Luscia feltrino). Rifuggiti in Feltre tredici Ferraresi guerreggianti col papa, il vescovo, allora signore di Feltre, li prese e diede al governatore di Ferrara per re Roberto, M. Pino della Tosa, che li fece morire. Il vescovo morì nel 1320 in esilio. Al dir dell'Anonimo, fu tanto battuto con sacchi di rena, che corrollo dentro tutto il sangue, le interiora ne mandò per la egestione. Questi fu molto guelfo ed aveva giurisdizione nello spirituale e nel temporale. Tra' Ferraresi eran due de' Fontana, parenti di Dante; e un priore. Tormentati, palesarono altri amici, e ne fu morti trenta. 1 loro fautori uscirono e fecero parte col titolo di Fontanesi. Anon. : Il vescovo di Feltre tutta la sua giurisdizione che aveva civile e spirituale, condusse ad essere sotto la tirannia di quelli da Cammino, e la cittade di Feltro; però che ripugnando con loro, e sempre operando male, M. Riccardo il fece uccidere; per la cui morte tanta paura ebbero li elettori, che a volontade di M. Riccardo il seguente e li altri seguenti vescovi furono eletti. MALTA. Torre sul lago di Bolsena, detta anche Marta, dove i papi chiudevano i chierici per grave misfatto: e quivi morivano. Celestino fuggito da Monte Cassino, dov' era sotto custodia dell'Abate, l'Abate fu da Bonifazio VIII chiuso in Malta, dove pochi di visse (Pipin. Chr., c. 59). Malta rammentava a Dante il delitto d' un suo nemico. E perchè meglio intendasi il cenno del Canto I dell' Inferno, notisi che il Friuli nell' ottavo secolo andava fin quasi sotto Verona.

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alla parte sua.

21. (L) Su: nell'empireo. giusti.

DI PARTE: devolo

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(SL) BUONI. Reg., II, XV, 5: Videntur mihi sermones lui boni et justi.

(F) TRONI. Perchè Dio vi siede (Greg.). Troni dall'inabitazione divina. Terzo ordine degli angeli, pe' quali Dio giudica i suoi giudizii; e in quelli splende come in ispecchio la giustizia divina (Som.). Psal. IX, 5: Sedisti super thronum qui judicas justitiam. Dan., VII, 9: Throni positi sunt, et antiquus dierum sedet. Ad Coloss,, J, 16. Par., XXVIII, t. 55.

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II: Æterni ignes. - Seraph vale ardente. CUCULLA, Nel XXVI del Purgatorio (t. 45) fa Cristo abate del chiostro celeste ma qui cuculla nessuno dirà che sia bello.

(F) SEI. Isai., VI, 4-5: Vidi il Signore sedente in soglio eccelso... Serafini erano in alto: sei ale all'uno, e sei all'altro: con due velavano la faccia di lui, con due i piedi, e con due volavano; e dicevano l'un con l'altro: Santo, Santo, Santo. Dan., III, 55: Che riguardi gli abissi, e siedi sopra i Cherubi.

. 27. (L) S'10 M'INTUASSI COME TU TIMMII: se vedess' io il tuo pensiero come tu 'l mio.

28. (L) LA MAGGIOR VALLE IN CHE L'ACQUA SI SPANDA : il Mediterraneo. DI QUEL MAR dell' Oceano.

(SL) MAGGIOR. Dall'Oceano che circonda la terra imagina il Poeta diffondersi l'acque nelle valli e formare i mari. Stat. Achill. I : Pelagi sub valle sonora, Cic., Somn. Scip.: Omnis... terra..... parva quædam insula est, circumfusa illo mari, quod Atlanticum, quod Magnum, quem Oceanum appellatis in terris; qui tamen, tanto nomine, quam sit parvus, vides. MAR. Som.: L'Oceano cinge intorno la terra. Æn., VI: Magnas obeuntia terras... maria.

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29. (L) TRA DISCORDANTI LITI: tra Europa cd Africa CONTRA 'L SOLE: d'occidente in oriente: da Gibilterra a Palestina.

(SL) CONTRA. Da occidente in oriente, dallo stretto di Gibilterra dove il Mediterraneo comincia, verso Palestina ove termina. Par., VI, t. 1: Contra 'l corso del ciel. LITI. D' Europa e d'Africa discordanti per fede, per costumi, per armi. Æn., IV: Litora litoribus contraria. MERIDIANO Il cerchio che serve di meridiano all' una estremità del Mediterraneo, è orizzonte all' altra. Questa distanza tra Palestina e l'occidente della Spagna pone il Poeta (Inf., XX, t. 42; Purg., XXVII, in princ.).

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30. (L) Di quELLA VALLE FU' 10 LITTORANO: nacqui a Marsiglia. PER CAMMIN CORTO: la Magra corre per diritto canale.

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(SL) LITTORANO. Figlio d'un ricco mercante di Genova, nacque in Marsiglia (Nostradamo). Di Marsiglia lo fa Dante stesso nella Volgare Eloquenza (II, 6). Ott. Seguia li nobili uomini... e trovò in provenzale coble, serventesi ed altri diri per rima: fu molto onorato dal re Riccardo d'Inghilterra, e dal conte Ramondo di Tolosa, e da Barale di Marsiglia: nella cui corte conversava. Fu beilo del corpo, ornato parladore, cortese donatore, ed in amare acceso, ma coperto e suvio: amo per amore Adulagia moglie di Barale suo signore: e per ricoprirsi facea segno d'amare Laura di S. Giulia, e Bellina di Pontevese, sirocchie di Barale (in ciò l'imitava il Nostro: di che veggasi la Vita Nuova); ma più si copriva verso Laura, di che Barale li diede congio; ma morta la moglie di Barale, doglia maravigliosa ne prese, e rendè sẻ con la moglie e due suoi fi

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