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CHI SIETE, fecer due movimenti: nel primo PIEGARO: volsero (Inf.XXVI,69 — Purg. XVIII, 25; XXVIII, 11 — Par. I, 130; XIII, 118 ec.), e nell'altro alzarono e drizzarono i visi al Poeta. La loro abituale postura in questo punto è mutata. Ciò notiamo, e ridurremo tra poco a mente, per cessare gl'impacci, in cui ravvilupparonsi valenti ingegni nel distrigare il testo qui appresso.

46-48. La sentenza di questo trinario è diversamente strigata dagli spositori. Altri vogliono che il gelo agghiacciasse le lagrime tra le palpebre di quegli sciaurati, e riserrasse loro gli occhi; Bargigi, Land., Vellut., Vent., Lomb., Poggiali, Bianchi ec.: altri, che gocciando esse lagrime giù per le labbra e quivi raggielate, riserrassero insieme quei due fratelli, più che spranga non istringerebbe legno con legno. Questa seconda sposizione piacque al Ch. Tommaseo; il quale (a) ricisamente dice: Erano tanto accosti labbro a labbro, che la lagrima caduta tra mezzo gl'inviscò e inchiodò insieme. Al Cesari parve già cotesta chiosa più ragionevole, che l'altra. Stando così insieme compressi, le lagrime onde gli occhi loro dentro erano pregni,non sentendo anche tanto di freddo di fuori, erano molli, ma uscir non potevano. Sciolti da quell' accoppiamento, gocciano giù per le labbra; ma orribil freddura le aggielò sull'uscire, e quasi cemento di ghiaccio li riserrò insieme. Ma come poterono poi darsi di cozzo i due fratelli così costretti? Egli prevede la difficoltà, nè pare la cessi dicendo che: Que' due anche così dal ghiaccio riserrati insieme alle labbra, aveano tanto di libero movimento nella testa,da poter l' un contro l'altro cacciar la fronte comechessia.

Pare a noi inverosimile che i due così inviscati e inchiodati potessero menomamente venire ai cozzi. Stretti insieme sì forte, quasi da spranga due legni, il pretender che fosser presti a cotal servigio, è come un voler l'impossibile. La stretta del gelo è dunque da limitarsi agli occhi, o al viso di ciascheduno:

(a) Illustr. all' Inf. XXXII, pag. 476. Ediz. Mil. 1868.

qual si pretende dal Cesari, dal Tommaseo ec. sembra ripugnare ai due che stanno chini allo stagno; maggiormente che sui loro visi la freddura non raggiela le lagrime,se non in quel punto ch'essi gli hanno eretti al Poeta; e però non di contro tra essi, e l'uno ben dall' altro disgiunti (Vedi 44-45, nota prec.).

Ma attendendo al contesto, che significherebbe egli che: gli occhi gocciar su per le labbra, e'l gelo strinse le lagrime tra essi,e riserrolli? Le lagrime gocciano sulle labbra, e il gelo le stringe tra gli occhi! Si crede che Dante in questo luogo intese per labbra significare gli orli delle palpebre, e che volle dire come, in quello che le lagrime uscivan degli occhi, restavano tra palpebra e palpebra raggelate dal freddo. Il Poggiali crede incompatibile col contesto qualunque altra interpretazione. Alcuni testi (b) hanno tra esse; e questa lezione favorirebbe la chiosa di lui. È cui sembra troppo ardita cotesta metafora. Il Lombardi comenta: « GOCCIAR SU PER LE Labbra, intendi le labbra degli stessi occhi, cioè delle palpebre; e però siegue: E 'L GIElo strinse LE LAGRIME TRA ESSI,cioè tra essi occhi, de' quali le palpebre sono parti». E che abuso sarà mai cotesto delle figure? che ora ci sia lecito per metafora chiamare labbra, ora per sineddoche, e in un costrutto, appellare occhi gli stessi lembi delle covertine degli occhi!

Intanto, il Cesari rigetta labbra in sentimento di palpebre; perchè non vi avrebbe più luogo ragionevole la similitudine della spranga... da che tanta forza di cerchiatura o legame mal s'aggiusta all' incrostamento delle lagrime fra le palpebre. Al Bianchi pare, al contrario, che debba intendersi sugli orli delle palpebre, perchè atteso il gran freddo non avrebber potuto le lacrime aver tempo di scendere sulle labbra della bocca. Il primo di questi due valenti filologi non ignorava però, che le similitudini possono stare anche in riguardo a un solo elemento di due cose diverse. Al secondo è parsa pur troppa la distanza dagli occhi alla bocca. Que

(b) Edizioni di Foligno, di Jesi (an. 1472); di Nap. 1474 - Varior. del Witte. Lez. seguìta dall'ediz. di Ravenna 1848.

Gli occhi lor, ch' eran pria pur dentro molli,
Gocciar su per le labbra, e 'l gielo strinse
Le lagrime tra essi, e riserrolli.
Con legno legno spranga mai non cinse

sti ha nondimeno bene avvertito che ci è la variante giù per le labbra (a), che cesserebbe la quistione. Il Parenti scrive al proposito: Alcuni moderni spositori intendono qui le palpebre. Ma troppo è naturale, che al primo levare de' bassi visi di que' due sciaurati che il Poeta descrive,le prime lagrime cadessero effettivamente su per le labbra. E nolisi ancora come l'ufficio del verbo GOCCIARE e della particella su tornerebbe disacconcio alla postura delle due covertine dell'occhio. Quanto al RISERROLLI, se debbasi riferire agli stessi occhi pel successivo immediato effetto del freddo sopra l'umor lagrimale,mi sembra non fosse pure da moverne dubbio, come s'è falto in altre pregevoli illustrazioni del sacro poema. Veramente, se riserrolli vale li serrò di nuovo,non può intendersi de' fratei, ma sì degli occhi, i quali già prima serrati dall'umore ond' eran pregni, dipoi, stillando questo giù per le gote e i labbri,s'aprivano; ma il freddo coi duri veli gli ricoperse.-II TRA ESSI,ren: de duro il costrutto di questo luogo. Noi non possiamo riferirlo ai fratelli, se non che intendendo: Gli occhi... gocciar su per le labbra, e il gelo, ch'era tra loro, strinse le lagrime e riserrolli.Il che moralmente significherebbe che l'odio era stato tra que' malvagi fratelli, in vita come in inferno, la cagione di quell'acciecamento, che incitavagli alle contese.

O noi intenderemo: tra essi occhi, co

me fece il Lombardi e quasi tutti gli altri prima e dopo di lui; e non ci pare in che modo potessero qui per gli occhi prendersi le palpebre. Tra essi occhi significherà: tra l'uno e l'altr' occhio; e la sentenza è verissima, perciocchè le lagrime sgorgavano dagli angoli interni, dov'è la caruncula lagrimale. Di là parte

(a) Così hanno le prime edizioni di Foligno, di Jesi, di Napoli; le Varior. del Witte; l'ediz. del De Romanis; i Pucciani 7, 8, 9; il MS.Frullani; l'Angelico e il Dante Antinori.

stillavano giù per le labbra (e il Poeta ciò dice, a dinotar come l'umore di che gli occhi erano dapprima sol dentro molli, ora disciogliesi, e vien fuori); parte restavan tra palpebra e palpebra; e parte s' espandevano per le orbite degli occhi, e in agghiacciandosi ne circondavano i bulbi, impedivano la vista, e cingevanli (v.49), quasi spranga che cerchi, e tenga strette insieme le doghe d'una veggia.

Un altro argomento, che le labbra non sono in questo luogo a confondersi con gli orli delle palpebre, esser potrebbe questo: che i due dannati non solo si mossero ad ira l'un contro l'altro, dacchè non poterono vedere chi con esso loro parlava; ma che prima ch'ei movesser la voce per satisfare alla dimanda del Poeta, il gelo serrò loro anche le labbra ; sicchè altro spirito parlò poscia per essi, veramente indegni di vedere e di favellare a colui, il quale, nel simbolo, era l'Umanità guidata dalla Ragione.

49. CON LEGNO LEGNO ec. hanno quasi tutt'i codici. Seguirono questa lezione i comentatori Barg., Land., Vent., Lomb., Cesari, Tommas. ec. Il Biagioli e l'Alla difficoltà nel leggerlo, per cui si rifieri tennero questo verso mirabile per trae quella del concetto. Tra le Variorum del Witte è l'altra lettera Legno con ci nel margine della loro edizione. A G. legno, variante segnata dagli AccademiB. Niccolini, Cino Capponi, Giuseppe Borghi, Fruttuoso Becco, B. Bianchi ec. parve che la preposizione con fra le due simili voci legno tornasse a maggior grazia del verso. Noi teniamo co' primi; reputando che il Poeta posponga tali grazie là dove tanto mostrasi vago delle rime aspre e chiocce; e che le due voci dono con la stessa forma del costrutto messe così accosto l'una dell'altra, renpiù evidente il concetto dell' intera proposizione. Nè ci vediamo in questo verso l'inversione ambigua avvertita dal Ch. Tommaseo; perciocchè chi sa che

Forte così; ond' ei, come duo becchi, Cozzaro insieme: tant' ira gli vinse.

sia spranga, sa eziandio che l'officio di essa è quello di cingere,non d'esser cinta. Superfluo quindi l'aver notato: SPRANGA: caso retto; non diritto il giudizio che tassa di ambiguità il nostro Poeta. SPRANGA... CINSE. Nel solo testo Bargigiano si legge strinse, e il Zacheroni tenne questa lezione preferibile alla comune. Ma oltre che senza scopo ripeterebbesi in rima la stessa voce nell'identico sentimento, perchè mai dovremmo negar fede ai codici più autorevoli, che hanno cinse? Il Vocabolario della Cru

sca adducendo questo luogo di Dante, definisce la voce SPRANGA, legno o ferro che si conficca allraverso, per tenere insieme e unile le commessure. Secondo la quale definizione, simile a quella del lat.subscus, sarebbe proprio della spranga non il cingere, ma lo stringere. Il Lombardi nota: Non solendosi però con ispranghe cotali cingere i commessi corpi, parrebbemi meglio che SPRANGA qui per fascia di ferro s' intendesse. Così pure il Cesari: Cerchio di ferro chiamo io questa SPRANGA, che cinge i due legni; come si fa alle doghe della veggia. Bisognerà dunque dire,o che la spranga intesa da Dante non sia quella della Crusca; o che ce n'ha di più maniere: di quelle, cioè, che stringono secondo gli Accademici;e di altre che cerchiano, come dicono il Cesari ed il Lombardi. Quindi sarà necessario riformare la definizione del vocabolo, dando al definito un'estensione maggiore; o spiegare altrimente,come fu che Dante dicesse cinse, anzichè strinse. La voce strinse del v. 47 avendo ad obietto le lagrime, e significando che il gielo le rapprese, e indurò; resta a dire che la similitudine della spranga sia ordinata ad incarnare, e scolpire vie meglio il modo, come quel ghiaccio cerchiasse gli occhi, e ne serrasse le palpebre con assai più di forza, che traversa di legno o grappa di ferro non terrebbe stretti insieme due assi. Ora se il Poeta usando la figura ebbe in mira di significare non il modo, ma la sola potenza della compressione; diremo

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che la spranga non gli servì ad altro, che a rendere più chiara l'immagine della strettura; e la definizione del Vocabolario resterà ben salda. Se poi il cinse vuolsi, senza cotai riguardi, riferire alla spranga; diremo che, salva eziandio la definizione anzidetta, il Poeta non badò nè alle traverse, nè alle grappe, che son le forme della spranga; ma alla materia onde quella può farsi a stringere, o a cerchiare comunque. SPRANGA dall' all. spange. Blanc.

50-51. COME DUO BECCHI еc. In Virgilio (En. XII, 715, seq.) Enea e Turno muovono l'un contro l'altro, come vanno

a rincontrarsi due tori animosi:

Ac velut ingenti Sila, summove Taburno,
Quum duo conversis inimica in praelia tauri
Frontibus incurrunt ec.

Appo l'Ariosto (Orl. Fur. II, 5) vengono a tenzone Rinaldo e Sacripante: Come soglion tal'or due can mordenti, O per invidia, o per altr'odio mossi, Avvicinarsi digrignando i denti, Con occhi biechi, e più che bragia rossi. Indi a' morsi venir, di rabbia ardenti Con aspri ringhi e rabbuffati dossi. Imagini convenienti a due eroi, a due cavalieri, che si combattono. Due fratelli che vinti dall'ira fanno a cozzi, rendono simiglianza di due vilissimi becchi; e la figura, tanto più sublime, quanto più naturale e breve, riesce al Nostro efficacissima, e in questo luogo adopera a maraviglia.

51. TANT' IRA GLI VINSE: Perchè non avevano polulo veder Dante, o forse perchè loro doleva d'esser veduti da lui, ed anche perchè la presenza di lui rinnovava in essi la memoria dell'antico odio che intra se medesimi avevano portato nel mondo, vivendo in un paese con esso lui. Bargigi Non mica per cotesto, ci grida il Poeta. Il sentirsi serrati gli occhi dal ghiaccio come da spranga, non recò certo a quei miseri lieve dolore: e questo gli arrabbiò sì, che a disfogarlo, non altro potendo,vennero ai cozzi. Dippiù, erano l'un dell'altro traditori; quando gli occhi si furono loro aperti per un istante, bevvero in

Ed un, ch' avea perduti ambo gli orecchi
Per la freddura, pur col viso in giue
Disse: perchè cotanto in noi ti specchi?

quella vista il veleno dell'odio antico; e
quanto più stretti si trovano, tanto più
infuriano, e fanno le lor vendette.-Inf.
VII, 116:

L'anime di color cui vinse l'ira. Frequentissimo è l'uso di questo vincere nel Poema. Vedi Inf. III. 33; V. 132, note.

52. E UN,CH'AVEA ec. Togli qua; maestria di questo gittar che fa Dante certe notabili particolarità, come in passando, le quali fanno due terzi più la prima idea risullare. Cesari -I grandi e continuati geli disseccando scomunano dall'organismo gli arti estremi del corpo, come naso, dita e orecchie. Dai due fratelli, ai quali il ghiaccio tolse il vedere e il favellare, il Poeta con arte maravigliosa trae cagione di porre in iscena un terzo che parli in lor vece; e dagli orecchi che questi avea già perduti, significar il ghiado di Cocito, meglio che dal lividore delle misere membra, e da' grossi veli del Danubio e del Tanai (vv. 25-35). Ma perchè mai Dante non vide che a un solo mangiate le orecchie dal freddo;quando che gli altri tutti eran fitti nella stessa ghiaccia, e tutti esposti all'estrema rigidezza di quella stanza infernale? Il carattere di quel Senzorecchi è d'un uomo che volentieri parla di sè e d'altri, ove non sia pure chi ne'l richiegga. Egli sta quivi come traditore (v. 68); ma dovett' esser di coloro, che son vaghi d' origliare, per saper poscia meglio e dire, e fare il male altrui; laonde porta ora eziandio cotal pena.

53. FREDDURA: freddo. Dante, nel Convito: Tolomeo dice,... che Giove è stella di temperata complessione, in mezzo della freddura di Saturno, e del calore di Marte. Vedi C. XXXI, 122-123, nota.

PUR COL VISO IN GIUE. Delle ombre di questo primo scompartimento è detto, in genere, al v. 37, che:

Ognuna in giù tenea volta la faccia. Qui spezialmente pare si voglia dinotare l'attitudine di colui che parlava: di

ceva tenendo il viso basso. Ma perchè questo? Per vergogna di farsi conoscere. Cesari.-E se ciò è vero, ond'è mai che quell'ombra si manifesta da sè nel v.68 ? e che gli altri due eressero (v.45) al Poeta i lor visi? Sono essi anche più rei i traditori degli amici, e avrebbero ben più di che vergognarsi; pure cotesta gente sta nella Tolomea (C. XXXIII,93):

Non volta in giù, ma tutta riversata. In questi diversi atteggiamenti è significata la diversa intensità della pena. Gli uni possono celare la loro vergogna; gli altri non mica. Ma una volta che cotestoro non dubitano di appalesarsi;dobbiam dire che fuor di questa, il Poeta volle alcun'altra cosa significarci. I tradimenti contro gli amici son più noti e più infami di quelli che si perpetrano fra i parenti; e così hanno da essere anche in Inferno più e meno palesi le facce de' traditori.

54-55. DISSE: PERCHÈ COTANTO IN NOI sti che stava COL VISO IN GIUE? Si accorTI SPECCHI? Come potè ciò vedere quege dal parlare di Dante, ch'egli guardava E pur loro, pur loro. Cesari. arguire verso qual punto è volto chi pardi fatti dal suono della voce si può bene la, e il Poeta avea testè detto ai fratei (v. 43 seg.):

Ditemi voi, che si stringete i petti,
chi sete.

Le quali parole mostrano ch' ei gli squadrava; ma Camicion de' Pazzi, potette egli chiaramente udirle, se (v. 52) avea perduti ambo gli orecchi? A cessare queste difficoltà si risponderebbe che questo dannato guardò sottecco il Poeta, e lo poteva, quando agli altri due non fu conteso di piegare i colli (v. 43 seg.) e a lui drizzare i visi. Ma veramente bello e di più valore poetico è il concetto, che pone l'imagine di Dante riflessa nello stagno di Cocito, e però veduta da chi tenea pur chino il viso. Il gelo forse gli fece da specchio. Bianchi. Debita lode a questo eccellente espositore, ed al Ch. Tommaseo, che non du

Se vuoi saper chi son cotesti due,
La valle, onde Bisenzio si dichina,
Del padre loro Alberto e di lor fue.

bita di darci questa interpretazione. Il
Pozzo scuro,il fondo concavo e penden-
te, il capo chino dell'ombra, e la natura
del mezzo son condizioni che farebbero
parere inverosimile il fenomeno ottico;
ma chi oserebbe disdire al Poeta la fa-

coltà di creare anche un terso specchio, di quella immonda ghiaccia:

Che avea di vetro e non d'acqua sembiante. dove (C. XXXIV, 11 seg.):

l'ombre tutte eran coperte,

E trasparèn come festuca in vetro? PERCHÈ COTANTO IN NOI TI SPECCHI? Perchè guardi tu tanto in noi? Barg.Perchè ci guardi; ti affissi in noi; stai sì intento a considerarci? Ma superbo quel TI SPECCHI IN NOI! che chi specchiasi, guarda curiosamente, e in sè nota ogni cosa, ogni cosa: il che al Senzorecchi doleva. Germana la nozione

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del verbo specchiare spiegata dal Cesa

ri; ma non crediamo che al Senzorecchi dolesse di vedere che Dante mirava sè stesso, anzi che gli altri. Non poteva già questi vedere la sua imagine nel lago gelato, stando egli volto col viso ai rei; perciocchè essendo il piano dello specchio inclinato, la riflessione del corpo si facca dietro di lui,sotto un angolo pari a quello dell' incidenza. L'ombra, al contrario, vide l'imagine di Dante, e'ricorrendole alla mente l'idea dello specchiare, parlò come a uno che stesse li fisso a mirarsi nello specchio. Sordo forse il Senzorecchi non intese la dimanda che il Pocta fece ai fratei (v.43);e dove quelli non poterono, nè vedere il Poeta, nè favellargli, fu a lui tolto il senso del l'udito; e tanto datogli della vista, ch'ei mirasse nello specchio del ghiaccio riflessa appena la pallida imagine dell'uomo reale: e gravandogli che questi troppo vi badava, e sospettando che volesse sapere della loro condizione, uscì egli, quasi a far che sbrattasse, nelle parole:

Se vuoi saper chi son cotesti due ec. Considerando da ultimo che specchiarsi è vedere la propria figura; il dire che il Poeta si specchiava negli sciaurati di quel fondo, tanto dee moralmen

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te valere, quanto ch'egli sentiva il morso della colpa d'aver tradito Beatrice, e paventavane alla vista degli eterni tormenti, che toccano ai traditori (Vedi v. 21, nota).

(v. 41) essere i fratelli Alessandro e Na55-69. Il Senzorecchi dice que' due poleone Conti di Mangona, traditori più crudeli di quanti la Caina ne serra: men perversi di loro Mordrec figlio d'Artù, Focaccia da Pistoia Sassol Mascheroni da Firenze. Da ultimo dice sè essere messer Alberto Camicion de' Pazzi da Valdarno.

55. COTESTI DUE. Erano più vicini al Poeta che a lui. Dice cotesti il traditore in disprezzo di due altri suoi pari.

sari ec.

56. LA VALLE ec. di Falterona. Vellut., Vent., Volp., Lomb., Zacher., Ce(( E da maravigliarsi che tutti i comentatori, eccettuato il solo Benvenuto, chiama il Valdibisenzio: Falterona; errore manifesto, perchè Falterol'Arno ha la sorgente (V. Purg. XIV, 17). na è nome del monte e della valle ove Per avventura hanno scambiato la città di Prato col borgo di Pratovecchio, che veramente è situato in Valdifalterona »>. Blanc. Il Bianchi descrive minutamente cotesta valle, e tutto il tratto per lo quale corre il Bisenzio.

BISENZIO: piccolo fiume di Toscana,il quale passa vicino a Prato, ed entra in Labitur. Il Cassinese. — Va all'ingiù, Arno sei miglia sotto Firenze. DICHINA: scorre,si divalla. Alludendo al Virgiliano (En. II): Ex illo fluere... Spes Danaum ec. il Giamboni (Volgarizz. del Tesoro) scrive: Lo stato di quegli di Lache della segnoria e dell'onore suo cadcedemonia... tanto dibassò poscia... de, e sempre poscia venne al dichino ».

57. DEL PADRE LORO ec.Ripetendo dal v. 55, intendi: La valle onde dichina il fiume Bisenzio fu possessione del padre loro Alberto degli Alberti nobile fiorentino, e di loro due che la ebbero in retaggio. Essi figliuoli furono Alessan

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