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Virgilio, quando prender si sentio,

menanti, rivendicare al Poeta l'autentici tà della sua scrittura. Ma se il codice. fosse di altra mano che dell' Alighieri, voi avreste non più che una variante contro mille; ed il Fanfani non menerebbe il trionfo. Nella mente penetrativa del Parenti venne il pensiero di trovare come, ammessa vera ed autentica la lezione proposta dal Fanfani, potessero poscia i copisti averla mutata nell'altra, ch'è quasi di tutti i codici e di tutte le stampe. Egli scrive (a): Volendo moltiplicare in congetture, si potrebbe aggiungere che in antico fu scritto O' (più ragionevolmente che U') per Ove, e se ne ha degli esempi nello stesso Dante, giusta il più riputato codice dell'Estense. Ora se mai il Poeta avesse realmente posto:

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O' d'Ercole senti la grande stretta,

era agevole, coll' intrusione d'un solo carattere cambiare in Ond' quella prima non intesa dizione; come sarebbe stato parimente facile ingoiare, nella dettatura e nella scrittura un e' che lo stesso Poeta avesse posto dop'Ercole.Ma noi non usciremo, anche con questo, dal campo delle ipotesi, che per favorire alle nostre opinioni, sien pure ingegnosissime, addivengono talvolta ruinose alla retta intelligenza dello Scrittore. Simili cause, conchiude lo stesso Parenti, possono sempre lasciar luogo ad essere con modestia e lealtà diballute.

È poi vero, come dice il Fanfani, che Dante falserebbe la mitologia e la logica, se non avesse realmente scritto secondo lui? Per noi non falserebbe egli la Mitologia, perciocchè questa non salva Ercole dalle strette d'Anteo; non la Logica, perchè venute meno le premesse del Sig. Fanfani, non sono legittime le sue deduzioni. Ed è mai pur vero che per la sua lezione sia già tolta una sconcia sinchisi? che senza di tale lezione s'aveva un bel quadro, dove tutto era senza ordine, senza verità, senza colore? Noi crediamo avere abbastanza rilevato la in

(a) Vedi l'Appendice all'edizione della Divina Commedia col Comento del Lombardi. Prato. Per D. Passigli 1847-52, pag. 712.

sussistenza di tali asserzioni. L'ardua sentenza ai diligenti lettori (b).

(b) In conferma di quanto siam noi venuti qui discorrendo, ricordiamo che Dante rassomiglio la lutta tra Ercole ed Anteo a quella di David con Golia. Fu la divina provvidenza che volle il pastorello e l'eroe vittoriosi contro due giganti; altrimenti avrebber dovuto cadere sotto la fortra veritatem ostensam de imparitate virium inza maggiore. De Monarch., lib. II: Quod si constetur, ut assolet, per victoriam David de Goliath obtentam, instantia refellatur. Et si genriam Herculis in Antheum. Stultum enim est tiles aliud peterent, refellant ipsam per victovalde, vires, quas Deus confortat, inferiores in pugile suspicari. E opra divina è la ragione ed il senno che pure a gran fatica opprimono in fine la forza irruente e brutale. Il tenere che fu Ercole levato da terra Anteo, significa, dice taluno, che fuor della terra natia conveniva assaltarlo per vincere le sue forze (*). E chi amasse interpretazione più recondita potrebbe dire che i valenti nel bene devono tenere levati in bene ispirarli. OMNIA TRAHAM AD ME IPSUM. alto gli erranti, non per istrozzarli, ma sì per Joan. XII. 32. Tommasoo.-Insistendo sull'interpretazione del mito non istorica, ma si morale, adduciamo le parole di Dante, che intendendo mostrare siccome ogni essere porti amore alla sua causa, e a quella tenda naturalmente,e da quella riceva forza nelle sue operazioni, scrive (Convito. Chios. alla Canz.: Amor che nella mente ec.): Onde si legge nelle storie d'Ercole... che combattendo col giogante, che si chiamava Anteo, tulle volte, che'l giogante era stanco, elli ponea lo suo corpo sopra la terra le; forza e vigore interamente della terra in lui disteso, o per sua volontà, o per forza d'Ercorisurgea, nel quale, e dalla quale era esso generato. Di che accorgendosi Ercole, alla fine prese lui, strignendo quello, e levatolo dalla terra, tanto lo tenne, sanza lasciarlo alla terra ricongiugnere, che il vinse per soverchio, e uccise.Chi dunque vuol vincere il superbo,lo parta dalle vanità della terra; chi ogni altro vizio, lo disgiunga dalla materia che lo alimenta: Vince in bono malum. E l'interpretazione del Ch. Tommaseo è recondita,ma fluisce chiara dall'alta vena della mente Alligheriana.

(*) II Landino scrive: « Anteo fu figliuolo della terra, forte e ismisurato: combattè con Ercole, e ogni volta che Ercole lo gittava a terra, la terra ri

novava le forze al figliuolo Anteo. Ma finalmente Ercole lo sospese da térra, e se l'arrecò in sul petto e tanto lo strinse, che lo fece crepare.Pomponio Mela scrive, che egli fu Re dell'ultima parte di Mauritania, e in quella edificò Tinge città, dove ri

mase lo scudo suo fatto d'avorio molto grande. Theodonzio scrive, che Ercole con l'esercito più volte gli tolse il regno; ma come Ercole si era partito, egli da' luoghi vicini ripigliava le forze, e racquistava il regno: ma finalmente fingendo Ercole di fuggire, lo condusse molto di lontano, e poi a un tratto rivoltatosi lo vinse, ed uccise »,

Disse a me: fatti 'n qua, sì ch' io ti prenda:
Poi fece sì, che un fascio er' egli ed io.
Qual pare a risguardar la Carisenda

Sotto il chinato, quand' un nuvol vada
Sovr' essa sì, ch'ella in contrario penda;

134. FATTI 'N QUA.Al.lez. fatti in qua, ch'è la comune. Le prime edizioni di Foligno, di Mantova, di Napoli, e il codice Filippino hanno Fatti quà. Il Cod. Cassin. Facti qua.

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135. POI FECE sì ec. Virgilio strinse a sè Dante, ed entrambi furono, quasi in un fascio, abbracciati da Anteo. Il cod. Cassin. elli e io; l'ediz.di Jesi lui e io. ERCOLE ad Anteo in Lucano. (Phars. IV): Haerebis pressis intra mea pectora membris. Quel che Ercole fece ad Anteo, Anteo fa ad altri in memoria della sua fine (a), e in pena dell'orgoglio è fatio, di re, facchino. Così Nesso che mal passò il guado con Dejanira, porta in groppa il Poeta per il guado di sangue. Tommaseo.

136. Carisenda: È una torre in Bologna grossa e non mollo alta: ma molto piegata, così della dalla famiglia de' Carisendi, ed è presso alla torre degli Asinelli. Adunque chi sta solto quesla torre dal lato dove china, e i nuvoli passino presto per l'aere dall' opposta parte, par che la torre si pieghi e caggia. Landino. Osservazione falla e ridettami da chi non lesse mai Dante. Tommaseo. E veramente il Poeta non poteva torre una similitudine da cose ignote. In Bologna presso alla diritta ed alla torre degli Asinelli evvi un'altra torre non molto alla denominala Garisenda, da' Garisendi gentiluomini che la fecero dalle fondamenta con intenzione, secondo che ivi mi fu detto, di levarla più alta, che quella degli Asinelli. Donde procedesse la ca

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(a) Avrebbe dovuto, se cosi fosse, in memoria della stretta mortale, fare ai Poeti un mal servigio. Invece ei gli posò lievemente al fondo (142). Non intese dunque fare altrui quel che a lui fu fatto, e forse non pensò egli pure alla lutta che il Poeta accenna. L'ill. Tommaseo si mostra cosi fluttuante tra le interpretazioni;che sono, quale per la stretta di Anteo data ad Ercole, quale per quella di Ercole data ad Anteo.

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gione Dio lo sa, pur ad occhio si vede, che fatto lo elevamento assai alto, calò giù il fondamento da una parte,in modo che più non si potè procedere nell'opera, e ciò che si trovò fatto, ancora di presente è molto pendente ed inclinato, in modo che quasi vien paura a chi sta sotto guardando in suso, massisimamente quando di sopra in aere passa alcun nuvolo all' incontro della pendente sua, parendo allora inchinarsi la torre verso terra. Bargigi Così fa la luna quando le nubi le muovono incontro. Tommaseo.- Anche l'Anonimo dice quella torre chinata per difetto de' fondamenti. Ai tempi del Vellutello si chiamava la torre de l'agnello. Dante videla più alta che dipoi non fu; imperocchè 35 anni incirca dopo la morte di lui, venne in gran parte distrutta sotto il tiranno Giovanni Visconti da Oleggio, onde poi fu detta Torremozza (b).

137. CHINATO: La parte verso dove pende essa torre. Volpi.-La parte che china. Venturi.-Pendio. Lomb., Bianchi. La pendente. Bargigi. Lalo dove china. Landino. Parte pendente. Biagioli. Parte ove la torre pende. Tommaseo. Come da necessitate si fece necessitato per necessità, così da chinare si prese il participio chinato per chinamento o inclinazione (V. nota al v. 139). Una torre diritta rappresenterebbe una perpendicolare; la Carisenda ha un'inclinazione sotto la quale dee porsi lo spettatore, ch'è vago di osservare il fenomeno accennato. Il pendìo di essa torre eccede i nove piedi sopra un'altezza di cento trenta.

138. CH' ELLA. Var. Ch' ella. È delle prime edizioni fatte in Foligno, Milano, Jesi, Napoli. La prescelsero il Fulgoni, gli editori della Minerva, il Witte e altri moderni. Che d'ella hanno il Cod. Fi

(b) Lord Vernon, Dante Illustrato, Vol. III, Art. Carisenda.

Tal parve Anteo a me che stava a bada Di vederlo chinare, e fu tal ora

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IN CONTRARIO. Incontrario è tra le lez. Varior. del Witte: adottata nell' edizioni del Fulgoni e della Minerva. Chella incontro, il cod. Cassin., il testo Barg. ec. La nostra lezione in tutto è identica a quella del cod. Bartoliniano, e della Nidobeatina.

139-140. Tal parvE ANTEO ec.-Non crediamo passarci di ciò che scrive al proposito di questa similitudine il P.Cesari: «Qui siamo ad uno de' più vivi tratti ed espressi del nostro Poeta. Essendo egli così al ventre d'Anteo, ed esso chinandosi per metterlo giù nel fondo, Dante vuol esprimere la vista che a lui diede questo piegarsi in giù di quel gran gigante, questa idea avrebbe bene scolpita dicendo, che gli parea vedere un campanile piegarsi verso la terra. Ma questo concetto tornava o puerile o sciocco, che ne' lettori non avria fatto prova; perchè di campanili che si pieghino verso la terra non è esempio nel mondo, e la cosa è impossibile. Qual altra immagine adunque sopperirebbe al bisogno? e qual ingegno mortale l'avrebbe trovata? A Dante venne fatto: ed era forse la sola in tutto il mondo da ciò, ed egli il solo ingegno che fosse da tanto. Egli avea veduto in Bologna, o sapeva esserci la torre detta Carisenda, la quale è fuori di perpendicolo, pendendo forse otto piedi. Sapeva anche, che ponendosi alcuno sotto la parte pendente, e guardando in alto lunghesso la torre in tal punto di tempo, che una nuvola vada di sopra in direzione contraria al pendere della torre; per natural ragione dee parergli, che stando ferma la nuvola essa torre gli caschi in capo. Questo inganno degli occhi esprime a maraviglia la suddetta idea del vedere un campanile chinarsi, e per essa del chinarsi di Anteo.Ora tullo questo ch'io dico in tante parole, uditelo ora

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spiegato e spresso in non più che tre versi. Qual pare a riguardar la Carisenda ec. »-Così egli fa parlare il Rosa Morando; e il Zeviani: «< Poffare il mondo! questa è forza di dire e d'immaginare. In quale altro poeta del mondo troviam noi di queste? Sono nel mondo alcune poche cose che diconsi maraviglie, alle quali non è un'altra simile, ma sono unicissime e sole: e di questa fatla è la presente similitudine del nostro Poeta. La parola chinato a modo di sustantivo scusa più parole; cioè vale il lato pendente della torre, e beata la lingua, che ha di questi tragetti e scorciatoie!»>

STAVA A BADA ec. Dubitò forse anche

il Cesari di potere assestare qui una significazione certa; e il Tommaseo se n'uscì pure pel rotto della cuffia ! Il Landino e il Vellutello ebbero per intelligibilissima questa frase, e se ne passarono. Il Volpi si tacque da Volpone. Il Venturi chiosa come se Dante dicesse: Io mi tratteneva per trastullo, e perdendo tempo lo rimirava senza pensare ad altro. Ed erano altro che balocchi dove il Poeta dice egli stesso (v. 141) che allora si ebbe la più forte paura del mondo! Il Lombardi: Slava altento di vederlo chinare. Biag. Era tutto inteso.-Barg.: Non attendeva ad altro.— Bianchi: Badava, slava attento a vederlo chinare. Il Vocabolario non avea Badare nel sentimento di guardare,mirare, osservare con occhi spalancali, attentamente. Il Frezzi nel Quadrir., Lib. II, Cap. XI:

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Ed ognuna dell'alme in alto bada

Un grande sasso, che cader minaccia Tanto che par che tosto in capo cada. Per questo alzata in su tengon la faccia, Temendo che non cada con ruina

Il sasso a lor in testa, e che li sfaccia. nucci, notata questa significazione del Il Gherardini avea, già prima del Nanverbo (a), e rincalzatala con molti esempi. Quanto allo Stare a bada di una cosa, ch'è la frase di questo luogo Dantesco, egli vi applica la identica nozione

(a) Vedi Voci e maniere di dire italiane ec. Vol. II, tema Badare.

Ch'i' avrei volut' ir per altra strada.
Ma lievemente al fondo, che divora
Lucifero con Giuda, ci posò;

del verbo badare, che or ora è detta:
«STARE A BADA... ella (la Crusca) dice
tanto valere, quanto Stare a speranza o
in aspettativa di checchè sia. Ed ella ci
sbaglia; perchè Anteo già si andava chi-
nando; e Dante stava riguardandolo con
occhi spalancati, parendogli di veder chi-
narsi non un uomo, ma la torre di Bolo-
gna ec. >>
I comentatori adunque fe-
cero che il Poeta aspettasse come futuro
il chinarsi del Gigante, ch'egli vedeva in
atto e ne paventava.

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140-141. FU TAL ORA CHE Cc.: il punto quando era io con Virgilio tra le mani d'Anteo FU TALE: mi fe sì tremar della paura e tanto smarrimento prendere,che ec.-Tal'otta e tal'ora si è scritto per talora in sentimento di talvolta, alcuna volta. Qui tal ora è ora cioè tempo, momento tale. Il Lombardi credette vanamente apostrofare la voce tal,quando che anche come aggiuntiva può ben patire il troncamento. Due MSS. della Corsini hanno infatti uno tal ora, l'altro tale ora. Il Cod. Cassin. ha talora: non maraviglia a chi sa che que' buoni antichi usavano far una di due voci, come lantico, ilpiede, questaltri, mimorse, luna ec. per l'antico, il piede, quest'al tri, mi morse, l' una ec. Potè adunque trovarsi talora per tal ora negli antichi testi a penna, e indi riprodursi nelle varie edizioni cotesta scrittura. Così il Landino lesse talhora; e talora il Bargigi, il quale spone il luogo fu talora ec. con le parole: talora fu che avrei voluto ec. Peggio ancora nell' ediz. Bologn. del Macchiavelli si trova spiegata la frase per talvolta avvenne; mentre il momento del quale parla il Poeta fu quello determinatamente, e non uno quale e quando che fosse. Leggono talora, anche il Venturi, G. B. Niccolini ec. Il Biagioli contro il Lombardi vuole in un corpo le due voci, che pur vanno distinte; e forse non vide, per mal talento di mordere altrui, ch'egli ben poteva, da tal'ora così come da talora tirar quella sua chiosa con le tanaglie della pedanteria.

141. AVREI VOLUTO IR PER ALTRA STRADA: Ed io gliel credo, dice il Cesari. E crediamo anche noi ch' egli credesse il vero. Ma per quale altra strada sarebbe potuto ire il nostro Poeta? Non discendere nel pozzo per altra parte; chè avrebbe dappertutto trovata la proda egualmente alta, e giganti più terribili dello stesso Anteo: non tornarsi indietro da ignavo, dopo la pena di sì lunga via. Altri forse solverà il groppo della difficoltà, adducendo che cotesto è un bel modo di dire, col quale il Poeta ci vuol significare la forte paura, onde fu preso. Anche noi diciamo il medesimo. Sospettiamo nondimeno che qui alluda egli al vizio della superbia, sulle cui vie avrebbe per avventura voluto non avere mai posto il piede, veggend'ora quel burbanzoso dannato a tanta viltà, e chinarsi in pena di sua alterezza. La Lonza, il Leone e la Lupa, gli dettero già impedimento al cominciare del suo cammino, perchè Dante non fu poi puro affatto delle macchie simboleggiate dalle tre belve. E noi invitiamo altri a vedere, leggendo nella Divina Commedia, quanto sia vero quello che abbiamo notato nel Canto XXVIII, 112-117, che maggiormente si commove il Poeta quando vede in altrui punita una colpa,della quale non fu tutto mondo egli stesso.

142-143. MA LIEVEMENTE ec. Chè non istrinse così tra le sue braccia i Poeti, com'egli avea stretto Ercole ed era stato stretto da lui; e leggermente depose nel fondo del pozzo un peso sì lieve alla sua forza sterminata: Dante contro la sua opinione si vide bentosto fuori del temuto pericolo. Chi preso dalla superbia ha seco guida e compagna la Ragione, facilmente discende alla cognizione della sua bassezza.

DIVORA LUCIFERO CON GIUDA. Lucifero divora Giuda, il fondo del pozzo divora l'uno e l'altro insieme. Il più basso luogo della terra è tale tormento al più superbo spirito, qual' è la superbia al più vile de' traditori. Di tre che Lucifero ne

Nè si chinato li fece dimora, E come albero in nave si levò.

maciulla, il Poeta nomina il più reo. I peccatori son quasi pasto dell'Inferno; le bolge gl' ingoiano. Con simigliante metafora dice il Poeta (Inf. XVIII,98 seg.): E questo basti della prima valle Sapere, e di color che in sè assanna. 144-145. NE sÌ CHINATO LÌ FECE Dimo

RA. In fretta il superbo si muove agli altrui servigi (v. 130), perchè non istà fermo nell'operare il bene,o pochi istanti vi spende. Ora si china in un punto, e, come nol facesse di voglia, tostamente si leva: la superbia si raumilia quanto dura un baleno. Nelle fortune della vita potrà essa abbassarsi come albero di nave,che cessati i venti contrari ed i flutti, vien su di nuovo e si rifà diritto. La Ragione e l' Umanità adimano l'altezzoso Gigante; deposto quel nobile peso, di bel nuovo torreggia. Questo è per noi il senso morale che sapremmo cogliere da questi versi. Dante vuole che si apposti sempre nella sua divina poesia. La nostra cura serva di stimolo a più alacri ingegni, perchè dieno opera di ritrovarlo.

COME ALBERO IN NAVE ec.: Cioè, come tullo d'un pezzo fosse in nessuna parte pieghevole; non a poco a poco, ma tutto d'un bollo. Venturi.-La superbia s' abbassa come la Garisenda, non mostra chinarsi, ma che solo in sembianza: si leva poi come albero di nave, che di sua natura debbe star sempre in alto, e tende incessantemente a levarsi sublime, ove nol fiacchino le tempeste,o non s'affondi il legno.

Tra le Variorum del Witte ci ha la lezionc alber di nave ch'è del cod. Barto

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liniano. Con questa lezione la similitudine di Dante conserva tutta la sua nobiltà,perchè ti rappresenta quel gigante tanto allo quanto un albero di nave. Crede il Zacheroni che l'altra lettera albero in nave, ch'è la comune, vi sia meno acconcia, perciocchè il Bargigi la bero non possiamo intendere di nave spiega cosi: Questa similitudine dell'algrossa di mare; ma di galee, ed altre magre fuste,e ben ancora di navi d'acqua dolce, che sogliono levare, e calare l'albero secondo che mestier lor fa. l'idea d'un piccol albero: Gli aberi maeAl Cesari non pare che la frase esprima stri delle navi sono altissimi e grossi, forse quanto (fui per dire) una torre; e de, sono da' maestri di nave con loro per allogarli nella nicchia loro da picingegni levati in alto: sicchè eziandio Ma l'alber di nave si leva in nave,e l'alquesta similitudine suggella per punto. ber che si leva in nave è alber di nave. bero di nave qualunque, senza misurarAl Poeta basta per la similitudine un alne la grossezza e l'altezza con tanta scrupolosità; perciocchè intend' egli assimigliare il levarsi di Anteo a quello d'un alber di nave, quanto ch'egli si fosse: in proporzione avrem sempre un albero tale più alto de' marinai, ed elevato sopra il legno, siccom'era rispetto ai Poeti il gigante che torreggiava sul pozzo. Ai simili l'eguaglianza non è essenziale.

Questo verso dipinge l'atto con le parole; che quasi vanno aprendosi ne' suoni fino all'alto e vibrato della finale. È bene che ciascuno noti da sè la sovrana bellezza de' versi di questo poeta pittore.

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