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Ch' ei vive, e lunga vita ancor aspetta,
Se innanzi tempo grazia a sè nol chiama.

128. EI VIVE. Non ci par detto nel senso proprio soltanto, ma eziandio con cerla allusione a quegli altri modi Anima viva (Inf. III, 88); ond' egli si sceveri sempre dagli sciaurati che mai non fur vivi (III, 64) (a).

LUNGA VITA Ancora aspettA: Non mor

rà sì per tempo, che non possa meritartene. Il Biagioli, spone: « LUNGA VITA, Cc. perchè Dante non era allora se non nel

mezzo del cammin di nostra vita». Il tempo della visione Dantesca essendo l'anno 1300, ed egli avendo allora anni 35 di età; parrebbe che dovesse aspettare lunga vita di altri 35 anni. Questo computo starebbe,quante volte l'integrità di tutto il tempo della natural vita fosse per Dante anni 70. Ma egli nel Convivio assegna 25 anni all'adolescenza, 20 alla gioventute, 25 alla senettute, e 11 al senio, i quali fanno la somma di anni 81: Onde avemo, scrive, di Platone, del quale ottimamente si può dire che fosse naturalo... che esso vi

(a) Nella sposizione alla canzone sulla nobiltà, Dante scrive: « Veramente morto il malvaggio uomo dire si può, e massimamente quelli che dalla via del buon suo anticessore si parte: e ciò si può cosi mostrare. Siccome dice Aristotile nel secondo dell'Anima: vivere è l'essere delli viventi; e perciocchè vivere è per molti modi: siccome nelle piante vegetare: negli animali vegetare, e sentire; negli uomini vegetare, e sentire, muovere e ragionare, ovvero intelligere: e le cose si deono denominare dalla più nobile parte; manifesto è, che vivere negli animali è sentire, animali dico bruti: vivere nell'uomo, è ragione usare; dunque se vivere è l'essere dell'uomo, e così da quello uso partire è partire da essere, e cosi è essere morto. E non si parte dall'uso di ragione, chi non ragiona il fine della sua vita? E non si parte dall'uso di ragione, chi non ragiona il cammino che far dee? Certo si parte: e ciò si manifesta in colui che ha le vestigie innanzi e non le mira; e però dice Salomone nel quinto capitolo de' Proverbi: quelli more che non ebbe disciplina, e nella moltitudine della sua stoltizia sarà ingannato; cioè a dire: colui è morto, che non si fe' discepolo, che non segue il maestro: e questo vilissimo è quello tal ch'è morto e va per terra ». Veramente la donna gentile che dopo la Beatrice mortale innamorò il nostro poeta, fu la Filosofia,e la vita di lui fu tirocinio nella Sapien

za a cui bramava certo levarsi da questo fango terrestre. Vedi il Convivio, pag. 108 e 115, 151.

velle ottanta uno anno, secondochè testimonia Tullio in quello di Senettute. E io credo che se Cristo fosse stalo non crucifisso, e fosse vivuto lo spazio, che la sua vita potea secondo natura trapassare, elli sarebbe all' otlanta uno anno di mortale corpo in eternale trasmutato. Dunque 1. Il mezzo del cammin di nostra vita non si vuole intender quello che dice il Biagioli: 2. La lunga vita che, secondo il natural corso di essa, potea il Poeta aspettarsi, era di altri anni quarantasei. Detta lunga, perchè assai maggiore della metà. Col Biagioli errano anche altri comentatori, e de' più illustri!

129. INNANZI TEMPO: Prima del termi

ne cui giugner suole questa vila mortale: il quale è detto nella nota precedente. Il Petrarca induce Laura che dice: E compii mia giornata innanzi a sera. L'Ecclesiaste, VII, 18: Ne moriaris in L'Ecclesiastico, I, tempore non tuo. 29: Usque in tempus sustinebil patiens, et postea redditio jucunditatis. Cap. XVII, 3: Numerum dierum et tempus dedit illi.

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SE... GRAZIA A SÈ NOL CHIAMA. Aspettar lunga vita, e chiamare grazia il finirla sembrano due cose contradittorie a chi con ispirito altamente religioso non consideri il naturale amore che ciascuno porta a questo vivere mortale, e non essere pur questo, che un tempo di peregrinazione che passa come ombra. Fa vera grazia cui Dio chiami a sè dalle miserie di questo mondo. L'Ecclesiaste, Cap. IV: el lachrymas innocentium, el neminem Vidi calumnias quae sub sole geruntur, consolantem,... et laudavi magis mortuos quam viventes. Ivi, Cap. VII: Melior est... dies mortis die nativitalis. Cap. IV: Justus autem si morte praeoccupalus fuerit in refrigerio erit. Seneclus enim venerabilis est non diuturna, neque annorum numero computata. Cani autem sunt sensus hominis, el aetas senectulis vila immaculata.

Placens Deo factus dilectus, el vivens inter peccatores translatus est... Placi

Così disse il Maestro: e quegli in fretta Le man distese, e prese il Duca mio, Ond' Ercole sentì già grande stretta.

ta enim erat Deo anima illius: propter hoc properavit educere illum de medio iniquitatum. Populi autem videntes et non intelligentes... Quoniam GRATIA DEI et misericordia in sanctos eius, et respectus in electos eius. S. Paolo, Epist. ad Ebr. XIII, 14: Non enim habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus. GRAZIA. S. Paolo ci fa intender bene il valore di questa voce, nel senso spirituale, in cui Dante la tolse. Ad Rom. V, 21: Sicut regnavit peccatum in mortem; ita el gralia regnet per iustitiam in vitam aeternam.—Ivi, v. 23: Stipendia enim peccati mors: Gratia autem Dei vita aeterna. E Cap. VI, 24: Infelix ergo homo, quis me liberabit de corpore mortis hujus? GRATIA DEI per Jesum Christum. Si legga Epist. I, ad Corinth. IX, 15; XV, 36; XVI, 54; II ad Corinth. Cap. V; ad Philipp. I, 21; III, 20; ad Coloss. III; ad Hebr. IV, 11. E il nostro poeta così nel Convito (Comento alla Canz.: Amor che nella mente cc.): « L'anima umana... più riceve della Natura Divina, che alcun' altra. E perocchè naturalissimo è in Dio volere essere; perocchè, siccome... prima cosa è l'essere, e anzi a quello nullo è; l'anima umana esser vuole naturalmente con tutto desiderio. E perocchè il suo essere dipende da Dio, per quello che si conserva; naturalmente disia e vuole a Dio essere unila, per lo suo essere fortificare (a) ». Nella Vit. nuov., Canz.: Gli occhi do

lenti ec.:

E spesse volte pensando alla morte
Me ne viene un disio tanto soave,
Che mi tramuta lo color del viso.
In altra Canzone:

Quantunque volte, lasso! mi rimembra
Ch'io non debbo giammai

Veder la donna ond'io vo si dolente,

(a) Ci siamo allargati in questi esempi, per dimostrare che la sublimità de' versi Danteschi viene in gran parte da' concetti biblici e dal genio perfettamente cristiano che animava il suo spirito. Un ateo, nè un pagano non avrebbero scritto verso di tanto valore: nè intende Dante chi ne fa un poeta di moda.

Tanto dolore intorno al cor m'assembra
La dolorosa mente,

Ch'i' dico: anima mia, che non ten vai?
Che li tormenti, che tu porterai
Nel secol, che t'è già tanto nojoso,
Mi fan pensoso di paura forte;
Ond'io chiamo la morte,

Come soave e dolce mio riposo:
E dico: vieni a me; con tanto amore
Ch'i' sono astioso di chiunque muore.

130

130. IN FRETTA ec. Perchè già persuaso dalle parole eloquenti di Virgilio (vv. 115-129).

132. OND' ERCOLE Cc. Nella lettera di questo verso son discordi i vari testi. La più comune lezione è quella che noi prescegliamo. Eccone le varianti:

Ond'Ercole senti già grande stretta. Ond'Ercole senti la grande stretta. Ond'Ercole senti già la gran stretta. Ond'ei d'Ercol scnti già grande stretta. Ond'ei d'Ercol senti la grande stretta. Della prima maniera legge il codice Cassinese, e il Postillatore nota sulla voce ONDE, idest, a quibus manibus; pigliandola per pronome, che, come dice il distese. La costruzione sarebbe così: Distese le mani, ONDE, dalle quali Ercole sentì grande stretta, e prese il Duca mio. Sicchè la principale proposizione si fa delle parole: Distese le mani,.. e prese il Duca mio. Il Lombardi, il Bianchi ec. interpretano in questo senso; il Volpi, il Venturi e il Landino ec. passano a piè pari il luogo; il Ch. Tommaseo mostra propendervi.

Biagioli, si appicca alla parola le man

È notabile la sposizione del Vellutello, il quale ritenendo la stessa lettera, e l'onde togliendo in sentimento di avverbio locale, anzichè di pronome, rende la medesima sentenza: Anteo distese in frella le mani, e sì lo prese onde, cioè in quel luogo nel quale Ercole, secondo Lucano nel quarto, luttando seco, sentì già grande strelta, avenga che di lui ultimamente rimanesse vincitore. Ma dopo il Bargigi, che legge:

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so, il Zacheroni asserisce la comune ond'Ercole « cattiva lezione, che guasta il concetto », ed il Fanfani adduce molti argomenti per dimostrarlo. Noi qui gli riassumiamo, per rispondere partitamente a ciascheduno di essi:

1.o« La prima cosa (gli espositori) fanno una sinchisi di questi versi e la raddrizzano così: distese le mani, ond'Ercole sentì la grande stretta, e prese il Duca mio. Questo non è parlare da Dante ».

Ma che Dante non fosse tanto nemico delle sinchisi, quanto crede il valente filologo, potranno farcene certi moltissimi altri passi della Divina Commedia. Anche nella prosa le adopera egli non di rado. Nel Convito leggiamo: Chi dirà di Cammillo, sbandeggiato e cacciato in esilio, essere venuto a liberare Roma contro alli suoi nemici, e dopo la sua liberazione, spontaneamente essere tornato in esilio per non offendere la Senatoria autorità, sanza" la divina stigazione? Dove la sentenza principale è: Chi dirà di Cammillo, sbandeggiato e cacciato in esilio, essere venuto a liberare Roma... sanza la divina stigazione? E questo è pure parlare di Dante. Se il ch. filologo volesse appiccare il sanza con ciò che seguita, alle parole che immediatamente precedono, s'intenderebbe cosa non intesa dall'autore; che, cioè, Camillo fosse tornato in esiglio per non offendere l'autorità senatoria senza la Divina istigazione: cosa strana! E così non sarà strano che l'onde si riferisca alle man, tuttochè vi tramezzino le parole e prese il Duca mio. (Vedi v. 87, nota in fine). Il Poeta volle congiungere i due verbi DISTESE e PRESE; immediatamente facendo all'uno atto seguir l'altro, in quella guisa che Anteo, operando in fretta, non vi pose in mezzo, tra l'uno e l'altro, il menomo tempo.

2.o«Bastava che dicesse distese le mani, e prese il Duca mio, senza aggiunger altro, dacchè quell' ond' Ercol senti già la grande stretta vi sta a pigione; e chi volesse fare l' ingeniosus, potrebbe domandare, se oltre quelle per cui Ercole sentì la stretta, Anteo aveva un altro par di mani, ovvero cento come Briareo »>.

Il Poeta, nonchè il prosatore, non dicono soltanto quel che basta ad esprimere il nudo concetto: vi aggiungono sovente ciò che lo adorna, seguendo la legge del pensiero, che a quello vi lega le parti che vi si associano, o che giovano a complire l'idea. Vorrebbe il sig. Fanfani negare allo scrittore la facoltà di legare le proposizioni incidenti alle principali ? contenderebb'egli altrui l'uso delle complesse? Ond' Ercole sentì già grande strella, non a pigione ma vi sta nel suo luogo, come gemma nell' oro. Chi mai parlando delle mani d'Anteo non si sarebbe sovvenuto dell'uso che questi ne fece nella lutta con Ercole ? quale spirito sarebbe sì gretto ed isterilito da non pensare che ora Virgilio e Dante andavano per essere stretti tra quelle stesse braccia che dieron faccenda ad Alcide? Chi poi volesse fare l'ingeniosus, che dice il dotto filologo, e domandare se Anteo avesse un altro par di mani ec. avrebb'egli le cervella a rimpedulare; c lo stesso Fanfani direbbe a un di cotestoro che leggono a vanvera: Figliuol mio, tu che hai per maestro l'ozio, e per materia l'insipidezza, vorrestu risarcire marroni e malefatte, raddrizzar gli sghembi e capopiedi che, patendo lunaticità, ti par vedere nella Divina Commedia? Chiamiamo l'attenzione dell'illustre filologo sopra questi versi del Tasso. Armida dice a Goffredo:

Per questi piedi, onde i superbi e gli empi Calchi, per questa man, che il dritto aita ec.

L'ingeniosus del Fanfani potrebbe anche qui dimandare, se Goffredo avesse un altro par di piedi, 'oltre quelli, onde calcava i superbi; se, in somma, stato fosse egli un quadrupede il gran capitano de' crociati; e se oltre alla mano che aitava il dritto, un'altra ne avesse ad aiutare il torto?

3.o E poi: lo prese; ma come lo prese? il lettore riman di certo in desiderio di saperlo questo come». - È un desiderio che misero colui il quale da sè non sappia satisfarsene. Sa bene il signor Fanfani, che Anteo secondo il Pocta avea di altezza almeno dieci Alle, le quali pel nostro Tommasco fanno un trenta braccia: or la mano del Gigante dovendo essere in proporzione della sta

tura, potè ben prendere Virgilio come altri piglierebbe una piuma. E poi non è detto (v. 135) che Virgilio fece di sè e di Dante un sol fascio? Pare dunque che Anteo prendesse ondechessia Virgilio, e questi stringesse al suo petto l'alunno, tenendolo tra le sue braccia. Il quadro è simbolico. Virgilio s'interpone tra Anteo e Dante, quasi che la Ragione volesse difendere all'Uomo il vizio della superbia. E la curiosità del lettore è appagata. 4.o« Più: la grande stretta non fu data con le mani, come andrebbe inteso qui, ma con le braccia ». Già il gran Gigante anche con le sue mani avrebbe potuto dare alcuna stretta ad Ercole, avvegnacchè più valoroso, pure più piccolo di lui. Ma noi crediamo che qui quel che si dice delle mani, si possa di leggieri intendere eziandio delle braccia; perciocchè sono parti che vanno unite naturalmente, e nominate le une, s'intendono per facile sineddoche le altre. Il Poeta (Inf. XV, 23-25) è preso per lo lembo e certo da una mano: intanto costui era Ser Brunetto che aveva, a ciò fare, disteso il braccio. Chi mai accuserebbe Dante di aver detto:

il braccio a me distese

ove l'opera è della mano che afferra, non mica del braccio che stringe? Si può dunque distender le mani che pigliano, insieme alle braccia che non abbracciano; e si possono stender le braccia che abbracciano, una alle mani che non pigliano; si può ancora afferrare e strignere per opera di entrambe e le mani e le braccia. Le loro funzioni sono ausiliarie a vicenda, e si aiutano simultaneamente, el conjurant amice, a uno stesso atto per modo, che quando dico mano, intendo l'opra del braccio, se la non sia mozza, e quando braccio quella della mano, ov'esso non sia un moncherino.Paiono dunque troppo sottili le considerazioni del ch. filologo.

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5.° «Sarebbe adunque possibile che il sovrano Poeta ci abbia per avventura voluto dire il come Virgilio fu preso? Vediamolo ». Non sarebbe stato poi egli perciò sovrano Poeta, che detto ci avesse come Virgilio fu preso, salvo che nel modo che cel fa intendere nel verso 135 (V. la risposta al n.o 3.o) –

Dante non si perde in quisquilie, ed è de' pochi sovrani poeti che dicono quanto basti alla intelligenza del lettore: dagli scorci de' suoi quadri lascia che altri immagini tutta intera la figura dipinta.Ma seguitiamo.

6. Tolghiamo da questa terzina (v. 130-133) la brutta sinchisi; intendasi quella particella onde non per pronome relativo di mani, ma per avverbio locale; e facciasi valere nel luogo, o nel punto dove (V. Cinon., Cap. 196), ed avrem questo senso: dislese le mani e prese il Duca mio nel punto in cui Ercole sentì la strella; e così par che tutto vada bene. Ma si risente Ercole, e dice che egli non sentì per niente la grande stretta; e per poco non la piglia anche col Poeta, il quale gli fa fare sì trista figura, e lo fa passare per da meno del vinto avversario. Ercole ha ragione, e Dante non ha torto ».

Giacchè voi, Signor Fanfani, entrate giudice delle ragioni e de' torti tra Ercole e Dante; permettete che vi si domandi, a chi mai Ercole esprimesse cotesto suo risentimento; e se non piuttosto egli si risentirebbe di voi, che gli volete dare un avversario fiacco ed im

belle, il quale non gli abbia potuto far sentire anch'egli una di quelle sue strette gigantesche, che non attenuano, ma accrescono la gloria del vincitore? Voi volete far d'un Anteo un cazzatello di pasta; ma voi sapete quanto Ercole sudasse a finirlo. Ercole vinse Anteo tenendol levato da terra; ma anche Anteo nella lotta l'avrà stretto di forza. Così il Tommaseo; e, considerati i versi di Lucano, che de' due lottatori dice:

Conseruere manus, et multo brachia nexu. Colla diu gravibus frustra tentata lacertis; Immotumque capul fixa cum fronte tenetur. Mirantur habuisse parem.

esce in questa sentenza: » Qui vedesi giusta, e spiegasi la lezione del verso che dice delle braccia d'Anteo: Ond'Ercole senti già grande stretta. Ed è più notabile il dare ad Anteo forza quasi pari a Ercole da questo gravemente sentita».-Il Vellutello spone il luogo dantesco nello stesso senso, accennando gli addotti versi, ai quali pare che il nostro Poeta abbia avuto l'occhio.A.Cesari non dubita di asserire che in quella stretta

data ad Ercole sta una tra le mille bel lezze della Divina Commedia; e ci paiono sì giuste le sue riflessioni, che reputiamo cosa utile di qui riferirle: Egli è certo che così Ercole ad Anteo, come costui ad Ercole si diedero delle forti strette; ed Ercole certo dovette anch'egli sudare. Or qui resta a vedere, se la ragion poetica nel caso presente portasse che Dante accennasse all'ultima stretta d'Ercole ad Anteo, ovvero alla stretta di questo a quello. A me pare, che a questa seconda, non alla prima dovesse Dante aver l'occhio: conciossiachè qui egli è a lodare il gigante della smisurata sua forza; e fa bel giuoco al Poela il dire, che Anteo afferrò Virgilio con quelle braccia tanto nerborute, che ad Ercole medesimo diedero assai che fare: di che il lettore è tirato a pensare; che quando Virgilio sentì la stretta di quelle braccia, fu egli medesimo per temere di sè, pensando che da quella morsa eziandio Ercole volle quasi essere strozzato: il che è concello assai risentito e proprio di questo luogo, nel qual Dante non altro vuol far intendere, che la forza di quelle braccia. Per lo contrario, la strella di Ercole che affogò Anteo, non ci ha che far punto all'intendimento del Poela; il quale non d'Ercole, ma vuol celebrar la forza

d'Anteo.

7.o« Il Poeta, dando a stretla l'aggiunto di grande e l'articolo determinato, ci dice a chiare note, che tien proposito di una stretta da conoscerla a prima giunta, di quella insomma che fu l'ultima per chi la sentì. Questa non può esser altro che quella, onde morì Anteo per le fiere braccia di Alcide; e di questa e non di altra ci parla, e ci dee parlare l'Alighieri ».

In prima, la grande stretla non è lezione che della Bartoliniana e del testo seguito dal Bargigi: le altre non hanno cotesto articolo che farebbe pur giuoco al dotto Fanfani: dunque saria pur problematica la sua interpretazione. E, posto che non vi fossero varianti di sorta, e che l'articolo avessero tutt'i testi concordemente; sarebb'egli perciò necessario il dire che per la grande stretta altra non potesse intendersi, da quella in fuo

ri che fu l'ultima a soffocare il Gigante? Era non una qualunque, ma la stretta delle forti braccia d' Anteo; e con dir questo si vuol significare qual' ella si fosse, e come pur quegli stringesse, non mica delle mille una stretta sola. Al diligente filologo non isfugge che la lettera comune non si presta si volentieri in favore del suo Ercole, e che bisognerebbe un tantino stiracchiarla con gli uncini della grammatesia per accomodarla alla spiegazione del Guiniforte e alla sua. Perciò mentr'egli vuole schivare Scilla, dà nella Cariddi delle conghietture; continuando:

8. « E allora come ci torna quell'onde? E vero non ci torna; ma io credo metta meglio il pensare che abbian fatto errore i copisti, che il pensare che Dante abbia falsato la mitologia, e dirò anche la logica; e credo sia questo luogo da correggersi in tal guisa: Così disse il Maestro: e quegli in fretta Le man distese, e prese il Duca mio U' d'Ercol sentì già la grande stretta: cioè lo prese a mezza vita in quel punto dove egli (Anteo) sentì la grande strella d'Ercole. Ed ecco tolta una sconcia sinchisi; eccoci fedeli alla mitologia; ecco un bel quadro, dove tutto era senza ordine, senza verità e senza colore. Io non ho come fiancheggiar questa lezione nè per mezzo di codici nè per mezzo di stampe; tuttavia porrei la mano sul fuoco che in qualche codice o stampa si legga così ».

E sì che anche per fanatismo puoi trovare chi si dia tutto alle fiamme: tanto meno fa maraviglia che questo erudito filologo voglia essere il Muzio Scevola della Divina Commedia, a porre la mano sul fuoco per una lezione, che contro la fede di tutt' i testi egli crede che debba esser quella che sta in testa a lui. Domane, o doman l'altro, o quando che sia aspetteremo, o aspetteranno i nostri posteri, che venga fuori dagli scaffali delle biblioteche qualche codice polveroso della Divina Commedia, che porti la lettera del Sig. Fanfani. Bisognerebbe che quello fosse l'autografo di Dante, e noi c'inchineremmo all' ingegno dell'esimio filologo, che solo fra una miriade di dotti abbia saputo, contro le ingiurie del tempo e l'ignoranza de' copisti e dei

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