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Più nobile può stimarsi il ghibellinesimo di Cane, che si fa veramente compagno alla sorte di Arrigo, e non aspetta, come l'altro, d'essere per ambasciatori invitato.

Ne quella si larga circoscrizione geografica tra Feltro e Feltro parrà tanto strana a chi rammenta, non dico l'opportunità della rima, non dico la convenienza de' due nomi che servivano ad indicare le due parti d'Italia dove più viva s'agitava la guerra tra il sacerdozio e l'impero, cioè la Toscana e la Romagna da un canto, e le venete provincie dall'altro; ma il fatto di quell'Alessan

dro Novello, vescovo di Feltre e principe, che contro la causa ghibellina tenne le parti di Padova; e il misfatto di quell'altro vescovo di Feltre che i Ferraresi nella sua città rifuggiti, i Fontana congiunti di Dante, concesse alla vendetta d'un crudele nemico. Pronunziando il nome di Feltro il Poeta si sentiva rinnovellare nell' anima tante amare memorie d'ira e di dolore, che alla passione si può ben perdonare il difetto della geografica esattezza, la quale per altro in questa circoscrizione si larga non si può dire che sia violata.

Del Veltro non nato.

Il discorso del signor Gabriello Pepe inteso a provare che il Veltro non era ancor nato a' tempi di Dante, non ha vinto i miei dubbi. Che della lupa si parli in presente, del Veltro in futuro sta bene. Di cosa avvenire fra un anno, fra un minuto, diciamo verrà. Poteva la lupa a molti animali ammogliarsi in pochi anni, se a molti si ammogliava in quel tempo. Il quando verrà? non mi prova gran fatto. Nell' impazienza del desiderio il Poeta prega che il liberatore venga, s'affretti; non prega che nasca.

E sua nazione? O nazione s'intende per luogo di nascita, e parrebbe strano che Dante ad uomo non ancor nato volesse fissare i confini fuor dei quali non sarebbe potuto venire al mondo. O si intende per popolo; e credendo al Veltro ideale, parmi si contraddica a Dante collo stringere la sua Italia in si brevi confini; a Dante che nell'Italia comprendeva anco l'Istria (1), che dalla Italia bella (2) non avrà certo escluso la bella Trinacria (3). Dante che piange le terre d'Italia tulle piene di tiranni (4) e vuole che il Veltro vada cacciando la lupa per ogni villa. Che s'egli deduce le sue imagini da una parte d'Italia più

spesso che d'altra, ciò non vuol dire ch'egli amasse più il Friuli ed il Tirolo, che Roma, la Roma di Cesare. Dunque le parole del Poeta non provano che il Veltro non fosse ancor nato. Dante, all' incontro, profetava guai a Firenze di qua da picciol tempo (1); guai prima che un bambino giungesse a pubertà (2). E cantava soccorrȧ tosto (3); e dell'annunziato duce aggiungeva che tosto i fatti scioglieranno l'enimma (4).

Ma non viveva alcun uomo degno di lode si alta. Che lode? Vincere l'avarizia, rimettere la lupa nell'Inferno, e cosi salvare l'Italia. Un uomo coraggioso e non cupido bastava a tanto; e tale poteva a Dante parer lo Scaligero, di cui promette cose incredibili; lode che tutte le abbraccia. La speranza l'avrà forse illuso; e non l'illudeva ella ancor più nel tanto aspettare da Enrico? ma la lode è chiara; nè Dante con essa avrà creduto avvilirsi. Egli non chiedeva dal salvatore d'Italia nuovi istituti; lo voleva custode, non padrone della nazione ghibellina; voleva ad ogni municipio serbate le sue istituzioni. Nella Monarchia ben l'accenna.

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Troya addotte per difendere l'autenticità della lettera, provano insieme che l'Inferno non fu pubblicato nel nove, che Dante ha potuto anche poi ritoccarlo.

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Ma dice al frate: Forse tu lo conosci? Per frammenti forse poteva conoscerlo, ovvero per fama. Ed io credo che, vivo Dante, non siasi mai pubblicata intera veruna delle tre parti del sacro poema. Con ciò si conciliano le diverse sentenze: non n'abbiam prove favorevoli, ma nemmeno contrarie.

Tutte le ingegnose congetture dal signor Troya accumulate circa i luoghi ei tempi in cui furono scritte le varie parti della Commedia, mi pajono destitute di prova storica; e per quanto lor si conceda, le non sono mai tali da potersi recare come argomento certo di prova non certa.

Quanto al tempo poi della lettera, io non dirò che trattandosi di scrittore qual è il frate non sarebbe strano riconoscere col Dionisi nelle parti oltramontane un paese d'Italia. Ma noterò che qui non parla di viaggio compiuto: intenderet. Avrebbe potuto poi deporne il pensiero.

Ma senza disputare di ció, o quella lettera si vuole del nove, e si sceglie il momento nel quale Uguc

cione stette più inoperoso che mai: o si colloca dopo la vittoria di Montecatini, e com'è che nè il frate nella lettera, nè Dante nel Poema né altrove mai, fanno menzione di si grande vittoria? Dico si grande, come la vuole il dotto uomo: non già che tale io la creda.

Ed invero, se guardiamo agli effetti, il ghibellinesimo se ne giovò ben poco, poichè i Ghibellini' stessi presero di li a breve tempo a spregiare Uguccione. Nè io direi con la cronaca, che senza questa giornata il ghibellinesimo sarebbe rimasto distrutto; no, nè Roberto e quegli altri eran degni di spegnerlo, nè Uguccione di farlo risorgere. E tanto poco somiglia codesta rotta a Marengo, che dopo l'uccisione di quelle migliaia d' uomini, le cose ripigliarono, a un dipresso, il corso di prima.

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Il sacco di Lucca.

Poichè nel sacco di Lucca ebbe parte Uguccione, pongo qui la narrazione ch'io mi provai di quel caso di fare, ove alla schietta storia non è aggiunto d'imagini se non quel tanto che valga a metterla in atto, e che, secondo le probabilità e storiche e morali, può aversi siccome vero: e questa narrazione prepongo alla storia, da me tradotta, che fa della cacciata d'Uguccione da Pisa e da Lucca il Graziani in latino elegante. Ma forse in questa storia, sì nel giudizio de'fatti e sì in certi particolari, è pure un po' di romanzo storico, come nelle umane storie tutte quante; se non che il romanzo si dà per fattura d'imaginazione, laddove la storia si dà per giudizio morale e civile e religioso, e per testimonianza sovente criminale, giudizio e testimonianza giurati innanzi a'presenti ed a' posteri. E il guasto che fa l'imaginazione nel vero é meno grave e men pericoloso di quel che ci fa l'opinione o sbadatamente o pensatamente falsa, e la passione trista, od anco la scusabile ed alta e serena affezione. Chi queste cose considerasse, e le svolgesse con quella potenza d'intelletto e d'animo e di parola che Alessandro Manzoni, verrebbe forse a persuadere agli uomini che l'unica storia veramente vera, e però l'unica anco letterariamente più bella, è la ispirata da Dio; e che a pronunziare la verità schiettamente ed efficacemente, senza punto alterarla

né debilitarla, sin nelle più facili e più note cose, è una rara ispirazione di Dio.

"I Ghibellini, raccolti nel campanile di San Frediano, lanciavano dardi e pietre sulle teste affollate de Guelfi. E i Guelfi si sforzavano, chi di arrampicarsi alle finestre men alte, e, precipitando sugli armati, s'infilavano nell'aste di quelli; chi d'atterrare la porta ferrata. E l'urtarla, e lo scrollarla, e il percuoterla con ascie era invano. Quand' uno degli assalenti, tolte materie accensibili, le accomodò sullo strale, e lo strale vibro da una casa di contro nella torre, ma non s'apprese la flamma. Altri da altre parti diressero simili strali e videro dalle feritoje escire il fumo a gran vortici portato dal vento. La fiamma saliva, e snidava i guerrieri dall'alto. Scendono nella chiesa; e al portico di San Frediano rappiccano la battaglia. Ma i più de' Guelfi, per l'abbandonato campanile vedendo montar la favilla, lasciavano la sacra torre divorare all'incendio, e a nuova zuffa correvano.

» Correvano a nuova zuffa; ma i più mansueti, mandato messaggero alle case de' Fatinelli, pregavano l'ira ghibellina ristesse, funeste dicevano quelle vittorie, e sacrilego incendio, e scellerate ruine. Il messaggero non giunse alle case de' Fa

tinelli, che uno degli Obizzi, Guelfo accanito e capo di sua parte, lo rispinse minacciandogli morte. E frattanto al portico di San Frediano si combatteva: e più ardito di tutti combatteva Castruccio degli Antelminelli, prode guerriero e caldo Ghibellino, e la bellezza del nobile aspetto gli folgoreggiava nell' ira.

» Ma un altro Ghibellino, Uguccione della Faggiuola, signore di Pisa e genero di Corso Donati, veniva veniva chiamato da Castruccio e da altri Ghibellini a prendere la signoria di Lucca: e cittadini pisani e soldati tedeschi lo accompagnavano. Una porticciuola murata gli fu aperta al passaggio: ché i Guelfi, alla zuffa d'entro occupati, non lo potevano ributtare. Entrò con esso la piena delle ire civili e delle straniere cupidigie: e si mescerono in orribile modo crudeltà, rapina, libidine. Il sacco incomincia.

D

Prima le case più prossime vanno a ruba. Gli uomini fuggono, o muoiono resistendo, o cadono precipitati dall'alto delle case, o schiacciati dai destrieri correnti, o dalla folla che va. Le donne o nascondonsi, o gettansi a' piedi del rapitore, o combattono con mani disarmate per il poco argento della casa, lungo sudore dell'industre famiglia. Un'onda d'armati urta nelle porte dei Malapresi, e le sfonda: la madre sente con terrore sonar d'armi le scale. Un giovanetto di sedici anni era seco, ed ella lo ratteneva anelante alla zuffa, e con le braccia avvinte or al collo, or al petto, or alle ginocchia, da certa morte per forza lo ritraeva. E mentr' egli si slaccia da quei nodi che a lui parevano d'infamia, ecco i Tedeschi far impeto nella stanza, e il giovane guelfo afferrare! Due lo strascinano, due rimangono ad arrestare la madre disperatamente gridante. Gridava: Rendetelmi! E prendetevi tutto, prendetevi la vita mia. Un Pistoiese ch' era con quelli, e più bestiale di loro, solo intese la parola, e rispose: Questo che noi qui vediamo nelle case tue, tutto è nostro. E se la tua bruttezza non fosse, nostra saresti anche tu, di noi tutti. Mostraci il tesoro nascosto, e riavrai il tuo figliuolo. - A me il figliuol mio prima; e tutto darò. E dalla finestra lo richiamava con le grida e coi cenni e lo ricomprò con quant'oro ell'aveva portato dalle case paterne, con quanto aveva, mercatando, raccolto in terra del Soldano l'avaro marito; con assai più che a lei non chiedessero ne' lunghi mesi d'inverno i poveri esangui per fame.

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» Gli stranieri in quel trambusto impazzavano, briachi di mercenario orgoglio, e di non propria ira: di casa in casa correvano, dolenti del non aver mani nè forze che bastassero a tanto tesoro di argento e di bellezza: e la soprabbondanza della preda e della voluttà li impediva, e li indugiava il dubbio; e tutti si gettavano sul mede

simo pasto; e quasi guerreggiavano a morte fra loro.

» L'un d'essi entrò stanco in casa d'apparenza povera, dove guardando, aveva intravveduta una giovane donna bellissima. E nell' entrare vide un'arpa accanto a un piccol verone; e la donna sedeva temendo, ma ardita nel timore; e lo guardava con occhi voluttuosi. E il soldato fremeva d'un senso che non aveva mai provato in sua vita; e un tremito misto di calore gli correva per le ossa, come a chi nel fervore della battaglia si accorge della ferita che sanguina. E la giovane donna lo guardava ṣfrontata: ed egli le bestemmiava in istrano linguaggio non so che parole di comando e d'amore: e quella rispondeva col guardo. Allora additando l'arpa, accenno che sonasse: e mentr' ella si rizzava, sollevó il legger velo che le copriva le spalle, e volle che così nudata suonasse. E la donna cantó:

Fresca rosa novella, Piacente primavera.

» E il soldato, a quelle non intese parole, tremava, e non osava toccarla. E si slaccióò l'armatura. E, la donna preso il breve pugnale ch' ei portava a cintola, gli passò il cuore. Quegli moriva invocando la Vergine: e la donna fuggi spaventata invocando la Vergine.

» Cresce col caldo del giorno il tumulto. Grida, strida, singhiozzi; e le preghiere con le bestemmie, e le promesse con le minacce, e il ferro con l'oro, e gli abbracciamenti forzati, e gli scontri di morte.

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Un drappello di Bianchi pistoiesi entra à furia nelle case de' Salamoncelli ch'erano di parte Nera; e salendo nelle stanze riposte, coglie la moglie del conte, e le sorelle, ed il figlio. Gridava il fanciullo; le donne tacevano: e il nemico le conduceva quasi riverente in ostaggio; per trarne riscatto prezioso. Quand'ecco rincontrano tutto trafelato il marito a cui gli Obizzi e gli altri compagni avevano consigliato l'uscita dalla dolente città ma egli non volle; e tornò nel pericolo della patria e de' suoi, com' uomo che torni a vedere la donna sua agonizzante o composta nel feretro. In vederlo, la moglie e le sorelle trassero insieme un grido; un sol grido acuto e breve; e non piansero. Piangeva il bambino portato tra le braccia nemiche, e tendeva le tenere mani gridando al padre il padre non fremette e non oltraggio; pose mano alla spada, poi la ritrasse pensando al pericolo di si care vite. Si volse a un di costoro ch'e' conosceva, però ch'aveva combattuto in sua compagnia; e quest' una parola gli disse: Quanto? L'altro, sporgendogli il figliuolo, si che quasi le mani del bambino toccavano le mani del padre: Quanto daresti ? Tutto: esclamò. E prese il figlio, e li precedeva. E i guerrieri lo

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seguivano, e le donne tra loro; e il padre, assorto nell' aspetto del figlio, non guardava alla moglie. Solo, quando fu alla porta delle case paterne, guardo; e si commosse.

» Parve a un tratto composta in silenzio, e fatta quasi solitudine, la città. Qualche accento squarciato di straniero udivasi ad ora ad ora, e qualch' urlo di donna, e il piangere sommesso di gente che ancora non sente tutto intero il suo danno. Non già che la città fosse queta; ma l'impeto della rapina si versava tutto sul monastero di San Frediano, dov' era un milione di fiorini, tesoro di papa Giovanni, affidato alla custodia dei monaci. I Ghibellini avevano tutt'intorno alla badia combattuta la lunga battaglia; da mille lati era aperto l'accesso: e pure la riverenza del luogo santo li teneva infinattanto che non riseppero la ricchezza del tesoro serbato. Allora la cupidigia potè più che la pietà: minacciarono. Piena d'armati la chiesa e taluno di que' soldati, sporco di rapina e di sangue e di mal tolti baci, s'inginocchiava a pregare: pregava a voce alta, e con atti strani, com'anima posseduta dal diavolo. E le preghiere facevano contrasto con le grida dei chiedenti il tesoro: ed è contrasto che tuttodi si rinnova nel tempio di Dio: se non che le contrarie domande si fanno sommessamente nel silenzio delle anime.

L'abate venne: e incominciava un lungo sermone, quando gli affollati copersero la sua voce coll' urlo barbarico. Ond' egli, volgendosi ai Ghibellini più prossimi, li pregava ristessero; temessero Iddio, l'inferno, il papa; rispettassero i vasi del tempio. E dal tumulto uscivano, come fischi d'antenne dal muggito dell'onde, voci discordanti che dicevano, Iddio non aver di bisogno d'argento; e non so che soggiungevano del papa: onde il frate, a cui la paura cresceva, e fuggiva la parola, si trasse in disparte: ed eglino gittarono a terra le porte della sacrestia, e il milione di papa Giovanni spari.

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Lontano dalla tempesta de' predatori, nell'opposta parte della città, un giovane Ghibellino dei Quartigiani saliva le scale d'un gran palagio deserto. Saliva inerme, e tremando; e or correva, or s'arrestava quasi affannato; e ambascia di dubbio era la sua, non anelito di fatica. Misurava co' passi echeggianti le alte scale romite, e i lunghi corridoi tetri di scarso lume; e pregava. Pregava com'uomo occupato da un dolore cocente e continovo; ma pregava. Trovò le stanze ignude de' ricchi ornamenti, e i letti scombujati, e confuse a terra spade, croci, ghirlande. Tastava i letti, come per trovarvi una dormente, o una malata, o un cadavere: chiamava un nome ora con sommessa voce or con altissima, e lo illudevano, quasi risposta, le grida delle case attigue e della strada.

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Entrò in una stanza, vide ignudo ogni cosa: solo rimaneva al noto luogo un crocefisso di legno. Lo baciò, rammentando di che baci fosse impresso quel legno: e poich'ebbe tutto visto il palagio, salse alla torre. Salse pieno di quella speranza che fa più angosciosa l'indagine di cosa smarrita nẻ chiamava; chè l'ansia ormai gli chiudeva la voce; e il pensiero era si pieno di quel nome che parevagli pronunziarlo, e taceva. » Nell'entrar della torre la vide, rincantucciata, ginocchioni, le mani giunte, e scapigliata. E la bació. La innocente negatagli sposa, e destinata ad un chiostro, non l'aveva da più mesi veduto, né lo ravvisava sull'atto: e non riconobbe se non dopo molto ripetere, la voce di lui; e riguardatolo con un lungo sguardo di pietà disperata, chiuse nelle mani la faccia. E s' abbracciarono. Ed uscì pura dall'abbracciamento: ed ebbe sposo il suo desiderato; e a lei fu vita e libertà la ruina della patria e l'onta di tante infelici.

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» Ma che faceva il prode Castruccio nella vituperosa rapina? Altri dice averlo veduto guidare lo straniero alla preda nelle case de' suoi principali nemici: altri ch'e' stesse in disparte sdegnoso o svergognato: altri che dal sacco i vili allontanasse, e difendesse dagli insulti le donne, e molti, imbestialiti nel furor delle insolite gioie, ammazzasse. Erano non lontane da Borgo le case di Matilde Bernarducci, il cui cognato aveva con Castruccio chiamata la signoria d' Uguccione, e aperto l'adito alle armi rapaci. La donna era ghibellina nell'anima innanzi che il cognato a parte ghibellina piegasse severa men di virtù che d'orgoglio; mesta non di mansueto dolore ma di tedio superbo; agl'infimi pia con durezza, agli uguali durissima con amore. E il trattato d'intromettere in Lucca Uguccione, a lei parve bello: e quando senti il primo grido degl'irrompenti, alzò gli occhi a Dio, quasi ringraziandolo. Ma il furore soldatesco mal discerneva Guelfo da Ghibellino: e dovunque oro fosse o donna bella, ivi erano Guelfi. Tre sono le forze che non rispettano nè nomi ne parti nè disuguaglianza nessuna: l'odio, l'amore, e Dio.

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Ma allora più acuto si fece sentire il dolore, si fece sentir la vergogna: le case nudate piangevano, e i talami profanati dicevano non più voci d'amore ma di vendetta: e molti mariti tacevano alle loro donne la subita povertà, molte donne ai mariti l'incomportabile vitupero. E dalle case desolate riparava la moltitudine ai templi; e quella magnificenza d'imagini, di preghiere e di colonne e di cantici li confortava: e quivi posavano come il naufrago che giace nudo o immobile sulla spiaggia, e i piedi stesi verso il mare sentono ancora il venire dei flutti sonanti.

. Ma non pregava Matilde. Sul letto dove fu compiuta la troppo dura vendetta, giaceva l'altera vedova, senza pensiero: risentivasi ad ora ad ora, e al tocco di quella coltrice inorridiva, ma senza far motto. Chè il dolore, e il ribrezzo, e il digiuno, e più d'ogni cosa, l'orgoglio le chiudeva

la voce. Stette digiuna tre giorni: invano Enrico cognato supplicava per Dio; e Castruccio (a cui forse la morte di nobil donna e giovane e ghibellina, doleva più che lo strazio di mille) indarno con soavi parole la confortava a cambiare il crudele proposito. Non rispose mai.

Venne un frate, un santo frate, che alle case de' ricchi non s'appressava se non per consolare il dolore o la morte: ma già la donna vaneggiava, e non intendeva i conforti di lui. Alla metà del quarto giorno rinvenne e parlò. Parlò per proferire il nome di Dio. Avrebbe allora consentito forse a ricevere nutrimento: ma più non poteva. Allora si ricordo della Vergine; e alle parole del frate rispondeva con gli occhi languenti. Stese, come per cercare alcuna cosa, la mano; e Castruccio, rizzandola leggermente, le accostava alla. bocca un liquore; quand'ella tra le sue braccia spiro. » Quattordici anni dopo, Castruccio doveva anch'egli sentire gli abbracciamenti della morte e forse in quel punto gli sovvenne, come proprio peccato, l'agonia di Matilde.

Cacciata d'Uguccione della Faggiuola. (Narrazione tradotta dalla Storia del Graziani.)

Erano a quel tempo due segnatamente importuni tiranni, Uguccione il padre, e Neri il figliuolo. Dalla Faggiuola si cognominavano; ignobil castello della Gallia togata sulle balze dell'Apennino, lor patria. Tristi ambedue; ma qual più tristo e più spietato, non sapresti discernere; se non che il padre a ira ed a violenza più pronto; il figliuolo, nelle arti dell' ingannare più scaltro. Nacque Uguccione di bassi genitori e più oscuri della sua patria; ma grande di corpo, d'animo audace e fiero, gran nome e autorità aveva acquistata tra'i più faziosi di que' ruvidi montanari. E della Faggiuola e d'altri castelli intorno alla Sarsina aveva occupato il dominio, si che a' popoli vicini n' andò il grido e la stima di sua potenza. Assoldato da' Tarlati tiranni d'Arezzo, battuti allora in guerra da' Fiorentini, e presa esperienza dell'arti belliche, e' s'imbevve di tirannici spiriti; a che gli apersero l'adito i fortunati successi del suo ardimento: onde poi aiutò gli Aretini a scacciare i Tarlati; e sulle ruine dell' altrui tirannide venne preparando la sua. Quindi a militari gesta chiamato sovente nella parteggiante Toscana, molte ne compiè con onore; né solo d'ardito e di valoroso ebbe fama, ma di avveduto ancora, e pronto ai subiti spedienti di guerra.

Onde maggiori cose già volgendo nell'animo per insinuarsi ne' fatti de' Fiorentini che alle altre

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città in potere e in dignità sovrastavano, colloco in matrimonio la sua figliuola a Corso Donati di Fiorenza, uomo de' più autorevoli e più potenti: il che tornò poscia in rovina di Corso stesso. Perchè i Fiorentini, di ciò specialmente insospettiti, spesso si commossero a gravi sedizioni per eacciarlo in esilio. Da ultimo, mentrechè per iscampare alla furia del popolare tumulto, egli tenta con la fuga sottrarsi, da' nemici inseguenti fu morto. Egli che prima teneva da' nobili, lasciata la loro parte s'era dato alla plebe; e molto insinuatosi nella grazia di quella, non a torto era dagli, avversarii accusato d' ambita tirannide. Onde la plebe, sentendo che il suocero Uguccione, chiamato da Corso, con buone forze veniva ad invadere la repubblica, tanto fu mossa da quest' accusa di tentata signoria, che non solo lo abbandonò, ma con l'armi diedesi a perseguitarlo accanitamente; e presolo nella fuga, vivo lo rimenava in città. Egli temendo esser tosto a tormentosi supplizii strascinato, poiché ebbe tentato di lusingare con grandi promesse coloro che lo conducevano, e impetrare lo scampo, vedendo rigettati con disdegno i suoi preghi, si lasciò cader da cavallo, e da un di costoro fu, con ira, trafitto di lancia.

Uguccione, parte con questo pretesto di vendicare la morte del genero, sempre alla fiorentina repubblica fu molesto e nemico. Chiamato da' Pisani

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