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Nel 1300 addi 23 di maggio, Federico di Montefeltro, Uberto di Malatesta, Uguccione podestà di Gubbio, discacciano da Gubbio i Guelfi, i quali ricorrono a Bonifacio. Inviato dal papa il cardinale Napoleone degli Orsini, governatore di Spoleto, assedia la città co' Perugini collegati: il di 23 di giugno la prende, ne scaccia i Ghibellini, rimette i Guelfi (1).

Poi troviamo Uguccione podéstà più volte in Arezzo; poi con Federigo di Montefeltro; poi consigliere d'Enrico VII nella infelice sua guerra d'Italia (2); poi podestà di Genova e morto Arrigo, lo vediamo da Genova chiamato a Pisa, a governare quella desolata città ghibellina, e far si che le abbattute speranze della vinta parte, per opera della sua prudenza ed ardire, si rilevassero (3), di modo che i Fiorentini temevano già la troppa potenza del Faggiolano (4); e tanta ansietà sentivano delle sue scorrerie, quanta allora che l'imperatore Arrigo stava in si terribile mostra sotto alle loro mura accampato (5). Egli capitano nella celebre battaglia di Montecatini, della quale se ai Guelfi fosse toccata la vittoria, nessuno avrebbe più osato in Italia rammentare il nome dell' impero tedesco (6): così dice una cronaca. Quindi, a men di due anni, noi lo veggiamo scacciato da Lucca insieme e da Pisa (chè d'ambedue s'era fatto signore, e per poco non s'era insignorito già di Pistoia): se non che, al dir delle storie pistoiesi, dalla cacciata d'Uguccione seguito grave danno a' Pisani (7). Rifuggitosi in diverse città, e per tutto onorevolmente ricevuto, dopo tentato invano riporre il piede in Pisa, e' si colloca capitano dell'arme di Cane della Scala, signor di Verona; per esso combatte, e nel 1319 muor di sua morte in Vicenza.

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Questi, dice di lui Giovanni Villani (8), fue (dopo Enrico) altro grande tiranno, che perseguito tanto i Fiorentini e i Lucchesi.» Albertino Mussato (9) lo chiama delle parti imperiali fautore ardito, fazioso, imprenditore d'egregi fatti, e in guerra valente; altrove (40) lo dice previdente e coraggioso; e acré e valente lo ripete il Ferreto più volte (11), e sicuro ne' cimenti di guerra: e altri storici lo dipingono uomo di prontezza e d'industria, nobile e potente (12): e altri aggiunge che della sua casa escono sempre uomini probi, e valorosi nell'armi, e robusti, e d'accorgimento eccellenti (13).

(1) Ann. Cæsen. ·(2) Murat., Ann. d' It.; Rer. It. Script., tom. XVI. (5) Albert. Mussato, lib. V, rubr. 9. (4) Chron. Bon.; Murat., Rer. I. Script., tom. XVIII. (5) Alb. Muss., 1. II, rubr. 5. —(6) Hist. Cortus. I. II, c. 4. (7) Murat., Rer. It. Script. (8) L. IX, car. 112. — (9) Gest. It. (10) L. V, passim. — (11) Ivi. — (12) Hist. Cortus, I. II, c. 4. rat., Ann. d'It.; Rer. It. Script., t. XVI.

(15) Mu

Magnifiche lodi son queste: l'uomo onorato e temuto in tanta parte di Toscana, di Romagna; il consigliere d'imperatori, l'avversario di pontefici, il protettor di repubbliche, il Ghibellino ardente, l'erede quasi delle speranze lasciate da Enrico, certamente poteva esser quegli a cui Dante dedicasse la prima delle sue Cantiche. Ma se da codesti titoli generali di lode scendiamo alle particolarità de' fatti, troveremo e da detrarre alle glorie dell'eroe Faggiolano, e.da dubitare circa il vaticinio del Veltro.

Noi vediamo Uguccione nel 1292 fino al 1295 (1) podestà d'Arezzo, più volte ricuperare il medesimo onore e perderlo più d'una volta, non com'era costume, per lo scadere del semestre o dell'anno alla sua autorità destinato, ma per viva forza, e non senza sua colpa. Lo vediamo scacciato e di Cesena e di Gubbio e di Lucca e di Pisa: le quali disgrazie cosi frequenti potrebbersi imputare al furor delle parti e alla miseria de' tempi, se la voce stessa di coloro che suoi ammiratori si mostrano, ed eran certo partigiani, non confessasse i suoi torti. Non è a negare che a molto ardimento non accoppiasse molta prudenza ed astuzia, se di piccolo (io non dico già povero) stato seppe sorgere a tale altezza: ma riesce difficile a conciliare questa tanto avveduta prudenza con le solenni sventure alle quali e' soggiacque forse più ch'altro capitano di quella travagliatissima età. E questa stessa, qualunque si fosse, avvédutezza, a riguardarla meglio, era tale, che forse ad animi alteri e franchi, quale. I' Allighieri, non doveva apparire nè grandemente onorevole né conducente a buon fine.

La prima sua guerra, di cui parli la storia, contro la guelfa Bologna in favore di Azzo VIII, guelfo di razza, ma per momentanee cagioni collegato alla fazione ghibellina. Codesto collegarsi ad uomo la cui lealtà doveva sembrare sospetta, io non so quanto potesse piacere all'Allighieri; a lui che alle nozze della figlia di Carlo il Siciliano con quest'Azzo, Ghibellino novello, imprecò con si manifesto disdegno (2). E quel vedere la guerra procedere si lenta per le mediazioni di Bonifazio, e per esse aver fine, non so quanta stima dovesse ispirare nell'animo di Dante verso il marchese d'Este, e verso chi combatteva per esso. Io so bene che ne' magnati ghibellini e nelle città a quella parte devote, talvolta la soggezione al pontefice era velo a'coprire i desiderii e gli odii segreti (3); ma questa stessa duplicità, l'Allighieri doveva rigettarla per nocevole da ultimo, e sempre vergognosa. Il disprezzatore d'Azzo VIII, tuttochè ghibellino, non poteva, pare a noi, apprez

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zare i suoi ghibellini alleati. E chi sa quando l'Allighieri gridava a Guido di Montefeltro nel 1300:

Romagna tua non è, e non fu mai,
Senza guerra ne' cuor de' suoi tiranni (1),

c' non avesse il, pensiero a que' capitani di Romagna che per non avere presso di sè da esercitare le loro armi, si rivolgevano a fornire aiuto al già guelfo marchese? chi sa ch' egli direttamente non accennasse a quella guerra stessa che nell'anno innanzi il 1300 ebbe fine?

E' pare davvero difficile che ad Uguccione fosse dedicata quella Cantica dove si leggono i versi:

La città di Lamone e di Santerno
Conduce il leoncel dal nido bianco,
Che muta parte dalla state al verno.
E quella a cui il Savio bagna il fianco,
Così com' ella si è tra 'l piano e 'l monte,
Tra tirannia si vive e stato franco (2).

Dove, quand'anco non si volesse trovare accenno diretto al Faggiolano, che di Faenza, d'Imola e di Cesena fu capitano generale, certo il biasimo è chiaro contro coloro ai quali egli s'era collegato, i quali a lui però non era lecito disprezzare, come Dante faceva. Ed infatti Mainardo da Susinana, il lioncello dal nido bianco, mutava parte con tanta agevolezza, che di lui si diceva che in Romagna era buon Ghibellino, e più che buon Guelfo in Toscana (3). E questo Mainardo, al quale era moglie una dei Tosinghi di Firenze, nel 1289 aveva cc' Romagnoli portato guerra ad Arezzo: e forse di là cominciarono le prime relazioni di lui con Uguccione, di cui nulla sappiamo a quel tempo. Più crederemo noi che il Poeta dicendo di Cesena : Tra tirannia si vive e stato franco, non avesse in pensiero i fatti del 1301, quando Uguccione abitante in Cesena, insieme con altri due grandi, sospettati di aspirare alla tirannide, fu dalla città à viva forza cacciato? (4)

Nè il nome di potente e temuto Ghibellino, acquistatosi da Uguccione, doveva essere dinanzi all'austero animo di Dante valevole a coprire gli altri suoi morali e politici torti. Non è forse contro i Ghibellini faziosi diretta quella sentenza notabile del Paradiso?

L'uno al pubblico segno i gigli gialli

Oppone, e l'altro appropia quello a parte;
Si ch'è forte a veder qual più si fallí (5).

(4) Inf., XXVII. — (2) Ivi. — (3) Benvenuto da Imola. - (4) Scip. Chiaramonti, Hist. Cæsen., 1. XI. - Si dirà che Dante per tirannide intendeva la potenza di Bonifazio ma Dante qui finge di parlare nel 1300, quand' egli non era ancora il nemico di Bonifazio. Parla in suo nome, non per altrui; talche, bene considerando, io non direi che il Poeta credesse che da Uguccione dovesse venire a Cesena la libertà. — (3) Cauto VI.

Dante non sapeva se più grave errore o peccato fosse muovere guerra all'impero, o del nome dell'impero far arme alle private cupidigie, agli odii di parte.

Appunto nell'anno in cui Dante colloca la poetica visione, nel 1300, ritroviamo Uguccione podestà in Gubbio, scacciatore de' Guelfi, e di li a poco da Guelfi scacciato. Qual giudizio di questo fatto recasse l'Allighieri, noi nol possiamo indovinare: ma possiamo dire almeno che la si decantata prudenza d'Uguccione a questo passo gli venne meno (1), poichè non vide la vicina vendetta de' Guelfi; o vedendola, non la seppe, se nou vincere, differire. Persecutore nel dì 23 di maggio, nel dì 23 di giugno egli è il perseguitato, il bandito.

Adunque nel 1300 cacciato di Gubbio, nel 1301 cacciato di Cesena: nel 1302 sorta guerra tra Ravenna e Cesena, Uguccione con Federigo di Montefeltro e co' suoi Aretini s'impadronisce, e a tradimento, d'alcuni castelli del Cesenate: poi senza più altro tentare, forse perchè non secondato dagli Aretini, ritorna.

Podestà di nuovo in Arezzo, egli se ne va a Bonifazio, è da lui amorevolmente accolto, conchiude la pace tra i Ghibellini e i Guelfi d'Arezzo (2). Non molto innanzi, Dante ritornava da Roma, sapendosi già esule, già condannato; e vedendosi schernito quasi dall' avveduto pontefice, che a Carlo di Valois commetteva il compimento de' suoi disegni, intanto che il Poeta fiorentino stava con lui trattando ben altri trattati (3). Il diverso esito della legazione di Dante da quella del Faggiolano doveva nel cittadino sdegnoso eccitare sospetto che lo scaltro Uguccione avesse saputo men che onorevolmente piegarsi al volere del papa. E certo, quand'anco l'ambasciata d'Uguccione fosse stato effetto della vittoria da'Neri avuta in Firenze, Dante non l'avrebbe potuta non riguardare come un abbassamento non degno di anima costante che se il podestà d'Arezzo era a ció mosso non da altro che dalla predominante passione del popolo, codesta condiscendenza ad opinioni non sue, non poteva, parmi, trovare scusa nell'animo irritato di Dante.

Io poi non oserei credere che impulso d'estranio volere movesse a Roma Uguccione, allorchè rammento che nell'anno medesimo, nel 1302, gli Aretini, guidati da Federigo di Montefeltro, sconfiggono l'esercito fiorentino, depongono Uguccione dall' uffizio di podestà, e lo cacciano via (4). Ell'è la fazione ghibellina che discaccia l'autore della pace tra Bonifazio e i Ghibellini d'Arezzo: e questo indizio si noti, come quello che in tante dub

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biezze può servirci a giudicare meno ambiguamente l'animo di Uguccione.

Ma la cosa, come la narrano gli Annali aretini, è ancor più sospetta. I Fiorentini guerniscono il castello della Penna, e bruciano Montorio, per ciò che gli Aretini avevano preso Castiglione d'Arezzo e Montorio, dai Fiorentini occupato. Dopo la ritirata de' Fiorentini, allora seguì che Uguccione fu dimesso dalla podesteria, fu scacciato dalla città; segui allora che Federigo di Montefeltro venne podestà d'Arezzo, e diede ai Fiorentini la mentovata sconfitta. Or donde questa subita punizione? Certo da gravi sospetti di segreta collusione coi Neri di Firenze, a quel che pare da' fatti indicati. L'indubitabile si è che nel valore e nella lealtà di Federigo gli Aretini hanno più fede che non d'Uguccione.

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Il veridico Dino Compagni narra (1) che Uguccione antico Ghibellino, corrotto da speranza datagli da papa Bonifazio di fare uno suo figliuolo cardinale, a sua petizione, fece a' Bianchi tante ingiurie, che convenne loro partirsi. » Uguccione dunque era uomo arrendevole alle istigazioni di Bonifazio; uomo che per vane promesse tradiva quelli di sua parte, e gl'ingiuriava, e li forzava a ritirarsi in Forli sotto un vicario della Chiesa, dove si tenevano più sicuri che sotto un podestà ghibellino (2). E Dante che contro i simoniaci rapaci sonava si alto la tromba (3); che contro i traditori e i barattieri (4) arrotava alla cote dell'ira la spada della celeste giustizia; che le lunghe promesse e la corta fede di Bonifazio segnava d'infamia; Dante amare, ammirare Uguccione ? Nelle battaglie del 1304 tra Firenze ed Arezzo, gli Annali aretini, che delle cose d'Uguccione accennano le principali particolarità, di lui non fanno parola: segno ch'egli non fu gran parte delle loro vittorie. Fino al 1308, de' suoi pubblici fatti non abbiam cenno: e si noti che i meriti ghibellini d'Uguccione, pe' quali Dante poteva avergli dedicato l'Inferno, non devono, per legge posta dal signor Troya, passare l'anno 1309, nel quale uscì, secondo lui, l'edizione Ilariana della prima Cantica, e il Poeta non potè più ritoccarla. Io do questa come sentenza del signor Troya, non come affermazione mia propria.

Or che fec'egli per la parte a cui Dante trovavasi collegato, che fec' egli fino al 1309 Uguccione? Le guerre di Romagna, dalle quali altro effetto non venne che paci favorevoli a'Guelfi, e a lui cacciate oltremodo frequenti: e quand' anco più fortunato ne fosse stato il successo, ogni benemerenza nell'opinione di Dante doveva, pare a noi, essere cancellata dalla negoziazione con Bo

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nifazio, e da'mali servigi prestati a’Bianchi. Poi, quando la causa dell'Allighieri avevà più bisogno di pronti ed efficaci soccorsi, Uguccione, o per non curanza, o per altra cagione che sia, se ne sta spettatore degli altrui sforzi, per più di quattr' anni.

Ma nel 1308 troviamo anche peggio. Il giovane Francesco Tassi degli Ubaldini riconduce in Arezzo (1) Uguccione della Faggiuola co' Verdi. Non la città lo desidera, non forza propria nella città l'introduce, ma opera altrui. Il Tassi è che governa la città, e che da' Tarlati e dal popolo nel 'mese d'ottobre è cacciato; e nell' uffizio di podestà vi è posto Uguccione. Come avvenisse che il suo protettore, il suo introduttore in Arezzo n'andasse sbandito, ed egli posto a governare in sua vece, io nol so spiegare, e non oso congetturarlo: ma sarà lecito rammentare la molta destrezza dell'uomo, quella che altra volta gl'insegnò a patteggiare con Bonifazio e cacciare i Bianchi per forza d'ingiurie. Certo è che le intenzioni stesse del Tassi, egli le aveva in cuore, e lo diede ben presto a divedere co'fatti; io dico il disprezzo e l'oppressione del popolo. Or come, intanto che colui che l'aveva introdotto in Arezzo fugge cacciato, egli nel governo avrebbe potuto sottentrare, se non avesse presso i nemici del Tassi dissimulate le sue intenzioni nascoste, e deluso il popolo per poi farne a sua voglia governo? Se questa vittoria potesse al Faggiolano meritare la dedica dell'Inferno, altri vegga. Ma foss'anco incontaminata, non poteva Dante, parmi, stimarla tale da sperare perciò che Uguccione sarebbe salute dell'umile Italia.

Nel 1309 lo ritroviamo quivi stesso in Arezzo, capitano del popolo; ma la cronaca dice ch' egli in tal carica male si portò (2), sforzandosi, quanto poté, di distruggere il popolo; onde venne a discordia con Ciapetta di Montacuto podestà; e la città tutta fu in armi, e nel di 24 d' aprile ebbe intestina battaglia. Ritornarono allora i Tarlati ; e Ciapetta fu vinto co' Guelfi della città e di fuori, e co' Verdi. Questi sbanditi, morti non pochi di loro, parte della città saccheggiata; un de' primi di parte perdente, decapitato; trentadue altri condannati al fuoco per solenne sentenza; Uguccione, podestà in luogo dell'esiliato Ciapetta, e disignato, per l'anno vegnente, podestà insieme e capitano del popolo.

In tanto difetto di quelle particolarità storiche senza le quali è impossibile giudicare i fatti, non ardiremmo portare sopra gli indicati alcuna opinione sfavorevole al prode Uguccione, se un coetaneo, uomo di rara fede, di raro senno, non li giudicasse per noi: Uguccione da Faggiuola» (è

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(4) Ann. Arel. - (2) Ivi.

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Dino Compagni che parla) co' Magalotti e con » molti nobili, seminarono tanta discordia in » Arezzo, che come nemici stavano i possenti Ghibellini (4). » Adunque Uguccione seminava la discordia, non solo tra nobili e popolani, ma tra Ghibellini potenti; e per ambizione o per checchè altro si fosse, nuoceva a quella parte della quale, secondo il signor Troya, l'Allighieri lo teneva efficacissimo sostenitore. E cotesto nell'anno appunto che il Poeta pensava dedicargli la prima delle sue Cantiche, quella dove son fulminati d'infamia gli uomini ambigui, insieme con

. quel cattivo coro

Degli Angeli che non furon ribelli

Në fur fedeli a Dio, ma per sè foro (2);

quella dove a vergognoso supplizio son condannati i

Seminator' di scandalo e di scisma (3).

All'uomo volontariamente macchiatosi di civil sangue, che contro i perdenti imprecava quella medesima condanna di fuoco a cui Firenze aveva più volte condannato l'infelice Allighieri; all'uomo che, per più chiaramente dimostrare il motivo che a simili mene lo spingeva, assume in sè tutto intero il governo e militare e civile della città, e se ne rende tiranno (4); a uomo, tale avrebbe Dante voluto affidare l'adempimento delle sue ideali speranze?

Nel 1340 Uguccione prosegue ad opprimere il popolo, a scacciare i più amati tra' difensori di quello, intanto che gli movevano contro i Fiorentini, coi Guelfi d'Arezzo stesso, e co' Verdi (5). Atto se non tirannico, almeno imprudente.

Alle intestine discordie aggiungonsi l'esterne sventure. I Fiorentini, ancorché colti all' improvvista, sconfiggono terribilmente gli Aretini assalenti (6); e nulla vale al Faggiolano il suo decantato valore: e il suo potere in Arezzo viene con non molta gloria a finire; e appena sottentrato un podestà novello, è stretta la pace fra gli esuli e i popolani (7): indizio della cagione principale che tenne viva insin allora la guerra. D'un fatto importante, occorso innanzi il 1309, abbiam taciuto, per farne più opportunamente cenno a questo luogo; dico della parentela d'Uguccione con Corso Donati. Nel 1304 il Donati aveva presa moglie una figliuola del Faggiolano : quindi aggravati col tempo i sospetti che Corso aspirasse alla tirannide di Firenze, quindi la sua misera morte (8). Or come credere che al con

(1) Stor. fior., 1. III. — (2) Inf., III. — (3) Inf., XXVIII. (4) Gli andamenti d'Uguccione in Arezzo ci mostrano che Dante non poteva di tal uomo intendere ch'e' volesse ridurre a stato franco Cesena: ma si piuttosto a tirannide (Inf., XXVII). - (5) Ann. Aret. - (6) Vill., VIII, 449 (7) Ann. Aret. - (8) Vill, VIII, 96.

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più che a bene uso (1), e que' che più n'ha colpa (2) della ruina della depravata Firenze? - E Dante che il suo proprio cognato cacciava all' Inferno, dedicare l'Inferno all' uomo che non vergogno farsi di lui collegato; e poi vistolo agli estremi, più nol volle difendere? E poteva egli Uguccione cacciar la lupa e rimetterla (3) in quegli abissi dove un amico suo e della lupa, per sentenza di Dante giaceva?

Sceso Enrico in Italia, Uguccione, di suo consigliere, diviene ben tosto podestà di Genova; e quivi, al dire d'un lodatore di lui, commette non poche uccisioni (4). Di là, morto Enrico, viene invitato podestà in Pisa: non prima però che i Pisani offrissero a Federigo re di Sicilia (5), e poi ad Amedeo di Savoia, e ad Arrigo di Fiandra la signoria: Ma niuno d'essi si senti voglia di ⚫ entrare in si sdrucita nave: talchè, non tro» vando i Pisani altro compenso alla loro va»cillante fortuna, elessero per loro signore Uguccione (6). - Rechiamo qui le parole di Francesco Lomonaco:

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I Pisani che tenean da parte ghibellina, privi dell'ajuto dell'imperatore, si videro all'orlo del precipizio. E. come per l'addietro speravano di rendere la città loro centro dell'impero d'Italia, cosi poscia furon costretti a mendicare l'altrui soccorso. Sciagura che soprasta ad ogni ⚫ potentato cui salda interna forza non sostenga... » Non sapendo che altro farsi, crearono a loro

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primieramente mirarono come a successore d'Enrico. Non è a credere però che illimitato fosse, almeno in sul primo, il potere di lui, poichè nel febbraio del 1314 troviamo che Pisa, senza saputa d'Uguccione, stringe la pace col re Roberto; onde il magistrato deluso fa correre a'suoi Tedeschi la città con l'aquila viva, gridando: muojano i Guelfi traditori!, e fa uccidere due ragguardevoli ed amati personaggi di Pisa, Bonduccio e Pietro Buonconte (1). Per quanto all'Allighieri paressero degni d'odio i Genovesi e Roberto, e i Lucchesi e i Pisani, io non credo che tali atti d'Uguccione potessero a lui sembrare lodevoli e virtuosi.

Or che dirò dell' aperta tirannia, della quale l'uccisione di Buonconte è il preludio? Già fin d'allora i Pisani presero a odiarlo; ma per la ⚫ sua forza e signoria, niuno ardiva a contrasta⚫re (2). E che le sue mire fossero non all'ingrandimento della città e di parte imperiale, ma al proprio rivolte, cel dice quel suo disfare molte castella e in Pisa ed in Lucca (3). Lucca governata dal suo figlio Francesco, presa per tradimento, saccheggiata in modo insolito e vergognoso; le mene ite a vuoto per occupare con simile tradimento Pistoia; la improvvisa e quasi incredibile cacciata che questo Uguccione dovette con iscorno soffrire nel giorno stesso e da Lucca e da Pisa, e i rimproveri di cui l'aggravano, come insopportabile tiranno, gli uomini stessi di sua parte; mi muovono a credere che Dante non potesse nutrire ammirazione tanta per l'uomo coperto di tanta vergogna.

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Uguccione (son parole del Lomonaco) non potendo affatto mettere in obblio i suoi due > stati, venne con ajuto di Cane dalla Scala sino > in Lunigiana. Prima d' intraprendere il viaggio » si era adoperato col marchese Spinetta di rien» trare in Pisa mediante un accordo che questi » avea già fatto con alcuni Ghibellini. Ma il popolo, scovertone i maneggi, confinò i traditori; e poichè la difesa è assai più agevole dell' offesa, rese inutili tutti gli altri sforzi di Uguc»cione. Come egli sente di non poter consumare l'impresa, ritorna subito in Verona, ove la stizza, la vendetta, l'ambizione gli mangiano a » poco a poco l' anima. Avendogli fatto Cane nuove

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» sua disgrazia ci richiama alla memoria quella ⚫ sentenza di Falaride, benchè pronunziata da bocca profana: che torni meglio l'esser soggetto ⚫ alla tirannide che il far da tiranno. Perocchè > l'uomo torreggiante nell'assoluta possanza è tutto » di esposto alle ribellioni del popolo o alle congiure dei pochi liberi uomini o alle insidie dei cortigiani maligni.

Raccontando egli una volta in mezzo a una brigata, che in gioventù solea mangiar di molto, gli disse un gentiluomo di ciò non mi maraviglio quando considero che tu vecchio e senza ⚫ denti, ti hai divorato in un pranzo due città; > alluder volendo alla perdita di Lucca e di Pisa. » Questi ed altri simili dileggi soffriva in mezzo » a rochi mormoratori di corte un personaggio ⚫ quanto pieno d'ambizione, altrettanto valoroso; » di abbietti natali, ma di alto coraggioso animo, e perciò nobile; atto al comando perchè avea ben servito, ond'era espertissimo capitano, aspro, > rigido, inflessibile soldato; nella prospera fortuna sommerso in libidini, e alle cieche crudeltà prono per esser guasto dall'imperio. Più illu»stre il nome suo apparirebbe alla posterità se egli, come seppe conquistare, cosi avesse sa

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» puto conservare le conquiste. Ma per la prima opera è necessario soprattutto l'ardire, il quale è ovvio; dove per l'altra si richiede la prudenza civile, ch'è molto rara. Quindi è che le rivolu»zioni de' mondani imperi son più facili della » conservazione loro. »

Uguccione macchiato di tirannide, goloso, lascivo, venale, amico de' tradimenti, amico di Bonifazio (1), poteva egli essere tanto ammirato da Dante che queste colpe punisce con si gravi flagelli ? E quand'anco l'amore di parte avesse acciecato il Poeta, non avrebb'egli potuto con più accorte parole prendere a lodarlo senza dire di lui che non ciberà terra né peltro, ma sapienza e amore e virtute, e che caccerà l'avarizia di città in città, finchè l'abbia fatta rientrar nell'Inferno? (2) Le osservazioni che vengono fatte al Lomonaco nel paragonare tra loro Uguccione e Castruccio, mi paiono vere.

Circa alle doti dell' animo, Castruccio diede segni di maggior nobiltade. Ei per far risplen» dere la sua virtù, mescolava la severità colla clemenza, dove l'altro ebbe sempre in pregio le crudeltadi, per dar retta alle sue scatenate pas

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» sioni.... Castruccio fece le altrui maraviglie per le pratiche di addestrare i suoi alle battaglie » col mezzo di una nuova severissima disciplina.

(4) Di questi torti d'Uguccione parte sono stati da noi dimostrati più sopra, parte si trovano confessati nel Mussato, nel Ferreto, nella Cronaca di Pisa, nelle Storie pistoiesi, in. Giovanni Villani ed in altri. (2) Inf., I.

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