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via, la virtù è nella patria: quivi il premio di lei : qui in opera, là in mercede; qui in officio, là in fine. PRIA. Prima che la rivelazione venisse, le virtù naturali erano ancelle mandate a prepararle la via, tenevano il luogo delle virtù Teologali, Sap., VII, 29: Ell'è più cospicua del sole, e comparata all'ordine e alla luce di tutte le sfere, trovasi essere prima. Nato Gesù Cristo, le dette virtù condussero gli uomini dall' idolatria a contemplare nuovi misteri. Intendi ancora che le quattro virtù furono ancelle alla vera Beatrice, amata da Dante.

37. (L) MERREMTI: ti meneremo. LE TRE virtù teologali a destra.

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(SL) GIOCONDO. En., VI: Cœli jucundum lumen. AGUZZERAN. Par., XXXI, t. 35: Chè veder lui l'acuirà lo sguardo, Più a montar per lo raggio divino. — - TRE. Purg., XXIX, t. 41. MIRAN. Hor. Sat., I, 3: Cernis acutum.

38. (L) MENARMI: mi menarono.

(F) MENARMI. Gli atti di virtù menano alla cognizione della virtù rivelata.

39. (L) LE VISTE NON RISPIARMI : aguzza l'ingegno e l'affetto. AGLI SMERALDI: agli occhi. —OND' di dove. TRASSE SCOCcò.

(SL) FA. Dante, Rime: Faccia che gli occhi d'esta donna miri. RISPIARMI. Tuttora in Toscana. SMERALDI. Plin. Nullius coloris adspectus jucundior est... Disse sopra: Giocondo lume; o perchè gli occhi di lei erano d'azzurro chiaro. Ott.: Li uccelli grifoni li materiali smeraldi guatano. Ismeraldo... rende imagine a modo di specchio. [Antichi poeti inglesi e francesi hanno dato l'epiteto di verdi agli occhi, e anche Shakspeare.]

ARMI. Dante, Rime: Lo fin piacer di quell' adorno viso Compose il dardo che gli occhi lanciaro Dentro dallo mio cor. Altrove: Degli occhi suoi... Escono spirti d'amore infiammati Che fieron gli occhi a qual che allor gli guati, E passan si che'l cor ciascun ritrova. 41. (L) REGGIMENTI: atti.

(SL) REGGIMENTI. Conv.: Gli atti, che reggimenti e portamenti soglion essere chiamati.

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(F) SPECCHIO. Sap., VII, 26: Specchio senza macchia della maestà di Dio, e imagine della bontà di lui. DENTRO. Boll., I, 195: Videbat quod oculi Dei respiciebant eam, in quibus oculis anima respiciebat. · ALTRI. Gesù Cristo è veduto dalla Teologia, or Dio, or uomo e Dio. REGGIMENTI. Sap., VII, 24: Omnibus... mobilibus mobilior est sapientia.

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(F) Cosa. Nel filosofico senso di res il reale, contrapposto al soggettivo ch'è l'idolo. IDOLO. Negli occhi dov'era l' imagine di Gesù Cristo varie si facevano le forme di lui; perchè vario per debolezza è l' umano ingegno e non può tutta in uno sguardo comprendere la virtù di cosa nessuna; e perchè in Gesù Cristo si può considerare ora la divina ora l'umana natura. Ott.: Se noi ponemo uno specchio dol destro della cosa specchiata, l'idolo parrà in altro modo che chi lo ponesse dal sinistro. Idolo da ɛidos.

43. (F) ASSETA. Greg. Hom., XVI (de' beni dello spirito): Saturitas appetitum parit.

DANZANDO

44. (L) TRIBO: tribù, schiera celeste. AL LORO ANGELICO CARIBO: accompagnavano la danza coll'angelico canto leggiadro.

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(SL) TRIBO. L'Ottimo più volte. CARIBO. Grazia, garbo. Da xapis. A Genova dicon tuttavia gaibo e garibo per garbo; e da garibo, garbo, come da carico, carco. Bocc., Ameto, XLIII: Operato sia degno caribo (ringraziamento) a cosi alti effetti.

45. (L) SUA: loro.

(SL) FEDELE. Inf., II, t. 33. Fedele d'amore e di desiderio, se non d'opera.

46. (L) Nor: a noi. - LA SECONDA la più intima.

(SL) GRAZIA. Non aveva Dante alcun merito. Bocca. Per viso, come os ai Latini. Poi gli occhi e' vedeva già non restava che il viso. La seconda bellezza è la bocca, e dice nel Convivio: Che gli occhi e la bocca la natura massimamente adorna.

(F) CELE. Ott.: Gli integumenti e mistiche figure. Il velo è qui simbolico, e vale che l'uomo errante non vede la verità rivelata così chiaro come l'uomo pentito. 47. (L) PALLIDO dallo studio. CISTERNA fonte.

(SL) (ISPLENDOR. Sap., VII, 26: Ella (la Sapienza) è lo splendore della luce eterna, e lo specchio senza macchia della virtù di Dio.]· PALLIDO. Orazio in altro senso Pindarici fontis qui non expalluit haustus (Epist., 1, 3). Par., XXV, t. 1: M'ha fatto per più anni macro. CISTERNA. Pers., prol. Nec fonte labra prolui Caballino. La cisterna pare indichi l'ispirazione raccolta con arte.

(F) ISPLENDOR. La Sapienza da Salomone è detta: Candor... lucis æternæ (VII, 26). E nel Convivio, della

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(F) CIEL. Purg., XXX, 51: Notan sempre Dietro alle note degli eterni giri. Nel Convivio parla dell'armonia delle sfere, e per essi intende le scienze. Or Beatrice la scienza divina; e tutte armonizzano intorno a lei. 49. (L) SOLVESTI: apristi.

(SL) APERTO. En., 1: Seindit se nubes, et in æthera purgat apertum. Nella Trasfigurazione una nube avvolge gli apostoli (Luc., IX). SOLVESTI. In senso d'aprire. Georg., IV: Fatis ora resolvit.

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La vita di Matilde è soggetto degno di storia, e, qua e là, di poema. Non credo che il Parmigianino traesse da' libri antichi l'imagine a cui diede il nome dell'alta donna: e a me giova imaginarla, quale Donizone l'accenna, dotata di forme belle. La vera forza e rettitudine della mente e dell'animo più sovente si trova ne' corpi ben fatti che ne' deformi. Che Matilde, a quindici anni guerriera, non fosse di tempera forte, ma soggetta a frequenti infermità, questo è contrapposto non rado, che la rende più amabile agli occhi miei. Nè dee parer cosa maravigliosa, che donna usa all'armi fosse pure umana di sensi e ne' modi piacevole. Cesare e Napoleone, e il Catinat e Clemente de' Paoli, e tant'altri fuori della battaglia erano ben altro che fieri. Non robusta di corpo, e occupata alle cure del governare e del combattere, e circondata da gravi pericoli, e pia nell'anima, e altera, e congiunta con mariti disavvenenti o superbi, stranieri all'Italia, stranieri alle ardenti credenze di lei; non è punto maraviglia che in tempi corrotti e non molli, in mezzo ad esempi famosi di castità difficile, e di più difficile continenza, ella sia potuta vivere, quasi vergine nel fatto, se non vergine, come vuole il Fiorentini, per voto. Il primo marito doveva, non tanto con la bruttezza svogliarla di sé, quanto con le sue pertinaci ire contro papa Gregorio, da Matilde venerato, e come pontefice e come grand'uomo, e con le arti abiette da esso usate per vincerlo. N'era svogliata, non l'odiava, però, come forse egli lei; che a marito e straniero e meno potente non poteva non dispiacer forte la ferma volontà di Matilde, e la coscienza ch'ell' aveva e dimostrava d'avere della sua potenza esteriore e della sua propria dignità. Mortole quel marito, Matilde raccomandava l'anima

di lui alle preghiere di Gregorio, e quello spirito severo, dimenticando i torti gravi di lui, non disperava della sua eterna salute, e ne ragionava con pacate parole. Chi raffronta quest'onesto linguaggio con le infami imprecazioni che scaglia nella Stuarda l'Alfieri contro il marito della sua donna; da questo solo indizio, lasciando stare ogni altro, s'avvede che tra il vecchio papa e Matilde non era tresca d'amore, si come i preti scismatici andavano piamente spacciando; 1 quali dalle loro simonie e dalle lor concubine avevano l'imaginazione così viziata, che non sapevano dar fede alle pure e nobili cose. Nè, se tresca c'era, Matilde si sarebbe mai allontanata da' luoghi dove dimorava Gregorio, ned egli avrebbe avuto coraggio o cura di tanto dire e far tanto contro i preti conviventi con femmine. Quando si offrono due maniere di giudicare un fatto, un'intenzione, un' anima umana, ell'è cosa onesta e pia, ed onorevole ancor più al giudice che al giudicato, attenersi alla parte più pura e più generosa massime dove si tratti d'anime singolari. Del resto, Matilde s'è dimostrata non meno fervente difenditrice de' papi che vennero dopo Gregorio: e nessuno ha pensato che di tutti cotesti papi ella fosse l'amica nel turpe senso odierno.

Ma non ciecamente devota era alla sede pontificia Matilde e quando Rangerio vescovo di Lucca, intrinseco di lei, riprese liberamente nel pubblico Concilio il pontefice, che non reggesse abbastanza Anselmo, l'illustre Italiano, contro il re d'Inghilterra, Matilde non cessò dall'avere a consigliero fidato esso vescovo, il cui zelo fu, come timidamente nota il Fiorentini, per avventura indiscreto. E chi sa quanti schietti consigli e arditi ella avrà dati a Gregorio stesso; ed egli da lei

(nobilmente affezionatagli, ed esperta delle arti del governare e del resistere e del vincere, esperta delle nature italiane e delle straniere) senza rossore accettati? Queste cose la storia non narra, perchè la storia non penetra oltre alla corteccia de' fatti; e quand' entra a toccare le intenzioni, då sovente in congetture fantastiche ed in giudizii temerarii. Pur tuttavia dalla storia sappiamo che Matilde intercesse per Enrico IV imperatore presso lo sdegnato pontefice. Ne codesta era commedia preparata; chè quelli non erano tempi di politica rappresentativa, e di tragicomica diplomazia nè Gregorio era uomo da lasciare a Matilde la lode e il merito della clemenza, tenendo per sè l'odiosità di crudele rifiuto, se egli avesse voluto essere sul bel principio indulgente di suo proprio movimento. Ma a Gregorio pareva, e forse era vero, che non minore fermezza, non minore durezza si richiedesse a rompere quelle che il buon Fiorentini chiama insolenze d'Alemagna: e quattro o cinque volte ripete questa parola insolenze. Coloro che dannano gli atti di Gregorio VII come stranamente arroganti, non pensano con che strane e dure teste egli avesse a combattere; non pensano che senz'esso l'Italia diventava otto secoli prima una provincia dell'impero; non pensano che a quella resistenza violenta essa deve le sue repubbliche ajutatrici di civiltà a tutta Europa. Fatto è che Matilde con l'armi, con l'oro, col cuore, col senno, fu di quella resistenza gran parte. Onde Enrico V nel venire in Italia disprezzó gli altri potentati; ma lei con rispetto onorò; nè poco valse a conciliarle stima negli occhi di lui il parlare ch'ella faceva il tedesco come un Tedesco. Sapeva il francese altresì; e al suo servigio aveva Francesi, Inglesi, Sassoni, Russi; che adesso tengon uomini italiani a meno onorato servigio. Era più dotta de' vescovi (dice un uomo del suo tempo), e combatteva co' vescovi, e quel di Parma fece prigione; e ruppe le corna ai marchesi lombardi. Notabile che i più acri nemici a Gregorio fossero i vescovi di Lombardia: della terra che porto il Tamburini: e che aveva preti un po' giansenisti. Venezia le era amica, Venezia potentato e ne' difetti e nelle virtù, intimamente italiano, il più italiano di tutti; che seppe essere altamente credente e franco insieme dalle soverchierie della corte di Roma, prima che le insegnasse le sue fratesche impertinenze il troppo lodato Servita. Se l'Italia contava parecchi reggitori della mente e dell'animo di Matilde, non sorgevano forse le guerre civili che la deturparono e fiaccarono; guerre aizzate da' signorotti vilmente ambiziosi e mantenuti come strumento di sminuzzata miserabile potestà. I coetanei di Matilde avevano un senso confuso ma forte di questo, se nella morte di lei fu scritto: adesso le sette

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cominceranno. Nessuna donna regnante, ch'io sappia, ebbe lode più desiderabile nè più meritata. Perchè Matilde veramente era l'arra, e come il preludio dell'italiana unità di quell'unità che non soffocasse le libere forze de' popoli, che li tenesse sottomessi ad un' autorità suprema, ma non soggiogati; di quella unità, che i Ghibellini due secoli dopo dovevano malauguratamente chiedere altrui, come elemosina, sempre promessa e sempre negata, parte per non curanza, parte per provida impotenza. E per questo non è maraviglia che Dante, non ghibellino pretto, ma Bianco, e nato guelfo e guelfo sempre nell'anima, collocasse Matilde al sommo del monte, onde gli spiriti umani volano al cielo. Dante, leale e generoso com'era, non potea non amare il leale e generoso coraggio di questa donna amata e tremenda; nemico com'era dell'avarizia principesca, della benefica ed elegante liberalità lodatore, non poteva non ammirare quant'ella fece a prò e degli studi e delle leggi, del culto sano, e delle arti più nobili e più sontuose. Quell' imparzialità che l'indusse a mettere Costantino, l'autore della favoleggiata donazione, su in cielo, molto più volenteroso doveva farlo a dipingere con sì freschi colori la donna soletta, al cui guelfo zelo dovette Firenze la sua popolana grandezza, e senza la quale egli, Dante, non avrebbe forse su quasi tutti i poeti d'Europa levato il suo canto.

Chiamare tal donna, come altri fece, l'Elisabetta dei secoli di mezzo, mi pare ingiuria immeritata chè Elisabetta non ebbe di Matilde nė il guerriero coraggio, nè il senno civile, sereno ne' pericoli e proprio suo; nè la fede umilmente salda, nè l'anima ardente, nè il nome puro; fu invidiosa, rabbiosa, vana, falsa, crudele, ipocrita, tradita, infelice. Piuttosto, con un uomo del suo tempo, vorrei assomigliare Matilde a Debora; se non che i meriti di Matilde furono nella storia dell'umanità più difficili ad acquistare e più grandi. E più degna di poesia e di pittura mi par questa donna, o ch' io l'imagini, tutta armata, levarsi l'elmo di capo, e inginocchiarsi agli altari; o arrestare la lancia contro il petto di un vescovo fellone; od accogliere, modestamente dignitosa e severamente leggiadra, i ricchi presenti dell'imperatore Comneno; o raccolta in sé, meditare gli anm della giovanezza fuggiti senza gioia d'amore; richiamare alla mente l'imagine lontana, e pur viva e luminosa, di qualche povero ma animoso guerriero, che piacque agli occhi di lei vergine combattente; più degna, dico, che non la regina di Saba, la quale viene a cavallo di un dromedario via pel deserto, a far la pedante col re Salomone, e proporgli Dio sa che indovinelli da giornale, o che domande spropositate sul cedro e l'isopo

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Che Matilde non un mero ideale, una radice greca.

(Da lettere.)

27 maggio 1832.

La congettura del signor R. è certamente ingegnosa. Del resto, che la pontificia Matilde dovesse da Dante, guelfo anch'egli prima dell' esilio, essere abbominata non pare a me. Dante ebbe amici tra' Guelfi; e molti Ghibellini cacciò nell'inferno. Può egli aver anche prescelto questo nome, avuto riguardo all'etimologia di Matelda, come forse prescelse Lucia, nella quale figura la grazia illuminante; ma d'altra parte, le donne dal Poeta condotte nella mistica scena pajono tutte reali: Beatrice, Rachele, Lia. Reali dunque io crederei e Lucia e Matelda: chè al tempo di Dante non era ancora costume ai poeti il personificare un astratto, il far un idolo d'una etimologia. Certo s'altri scoprisse una Matelda reale a cui meglio che alla Contessa attribuire quest' uffizio, io ne sarei ben contento; sebbene quella contessa mi paja donna altamente poetica e degna dell' ammirazione di Dante ma intanto l'essere lei amica ai pontefici non fa forza. Pensi il signor R. che a Matilde molto dovette la Toscana civiltà; pensi che il mettere sotto la sua Beatrice, quasi precorritrice e ministra, la signora di tanta e si bella parte d'Italia può essere gentile accorgimento dell' amoroso Poeta ; pensi a quel lavacro operato per man di Matilde che lo fa degno di vedere la donna del suo cuore svelata; pensi.... Ma il foglio mi manca. Addio. »

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soggiungevo che non però Matelda è da credere un fantoccio ideale, se altri personaggi simbolici che il Poeta incontra, oltre alla cosa che simboleggiano col nome o con altra particolarità, sono personaggi reali. Favorevoli alla congettura del signor R. sono i nomi stessi de' due fiumi, nomi che, come quel di Matelda, esprimono cose riguardanti la memoria e la mente: ma questa congettura non distrugge, ripeto, l'opinion mia; che Matelda debb' essere donna vissuta quando che sia.

» Ma qual donna? il signor R. nega che sia la Contessa, donatrice di tante possessioni alla Chiesa, e cita i versi che riguardano Costantino. Ma Costantino non però è cacciato nell' Inferno, anzi posto nel cielo di Giove, a far parte della simbolica aquila, ai Guelfi nemico. Quel passo è notabile:

L'altro che segue, con le leggi e meco,

Sotto buona intenzion che fe' mal frullo,
Per cedere al Pastor si fece Greco.

Ora conosce come 'l mal, dedutto

Dal suo bene operar, non gli è nocivo
Avvegna che sia 'l mondo indi distrutto (1).

Poteva dunque il Poeta creder funesta e alla religione e alla patria la vera o supposta donazione di Costantino; e poteva credere lui non solo innocente ma santo. Cosi di Matilde, così di Carlomagno, posto anch'egli tra' Beati, e che pure

quando 'l dente longobardo morse La santa Chiesa, sotto a le sue ali vincendo, la soccorse (2).

E si noti che Matilde non è nemmen collocata fra gli eletti; è dunque meno prediletta dal Poeta che sia Costantino. E quando il signor R. rammenterà che Catone, il nemico di Cesare, il nemico di quell'impero ch'era l'unico voto di Dante, Catone, un pagano, è posto quasi a censore degli spiriti purganti, non gli farà più maraviglia trovare nel Purgatorio stesso Matelda. Che se nell'idea del Poeta non faceva alcun torto a Costantino il discorso dell' Aquila che condannava la sua donazione, né a Matelda doveva far torto la voce di rammarico che uscì del cielo, e che contro a lei non era, come quella dell'Aquila contro Costantino, così direttamente rivolta.

Il signor R. mi permetta di aggiungere che l'autorità degli antichi commentatori, Pietro, il Buti, ed altri, merita qualche riguardo. Essi ad

(1) Par., XX, t. 19. (2) Par., VI, t. 32.

ditano chiaramente la Contessa e non altra donna; e il Buti segnatamente, il cui codice io ho consultato, s' avvicina in questo alla congettura etimologica del signor R., in questo, io dico, le si avvicina che per Matelda interpreta: loda alla scienza di Dio. Pietro, il cui commento inedito (1) io spogliai tutto, vede in Matelda il simbolo della vita attiva che giustifica le anime, espiando il passato, e a buona intenzione (Eunoė) consacrandole nell'avvenire. Esso Pietro chiama Matelda magnificentissima, probissima, che infinitas construxit, de suo dotando, basilicas. Di testimonianza si chiara é da tener qualche conto, cred'io: ed è da notare che se nell'interpretazione del Veltro gli antichi commenti variano, in questa sono concordi. Una donna la cui liberalità si fortemente contrastava con l'avarizia di tanti preti e di tanti principi del tempo di Dante; una donna che d'anni 15 esce a militare con più che virile coraggio (2); che dai barbari normanni difende l'Italia (3); che tante volte s'adopra per conciliare l'Imperatore col Papa (4); che non combatte l'impero ma un principe, convien pur dirlo, soverchiamente ostinato, e ne libera la moglie (5); e tanto lontana dal negare allo straniero invocato da Dante ogni diritto sulle cose d'Italia, che in luogo d'Enrico fa riconoscere Corrado suo figlio (6); una donna di coltissimo ingegno (7); che alla grande impresa di Terra Santa, ammirata da Dante, accende i Pisani (8); che osa fino tentare fra' canonici di Lucca una specie di morale e religiosa riforma (9); una donna si grande in ogni tempo, e nel decimo primo secolo ancora più grande, poteva ben meritare le lodi del religioso, del coraggioso, del giusto Allighieri. Aggiungete che circa la donazione sua stessa le cose non sono si chiare (10); e che molti tengono non da lei donato tanto quanto che da taluni si volle. Aggiungete che qualche cagione a Roi mal cognita poteva movere l'Allighieri a singolarmente onorare, ed ornare delle poetiche ghirlande Matelda. Io trovo in un antico atto della Contessa (11) un Adigerio sottoscritto come testimone; e chi sa, dico io, che altri vincoli ignoti a noi, tra Matelda e la casa Allighieri, non rendessero sacro al Poeta il nome della mirabile donna ?

» Se un mio sospetto, da ultimo, s'avverasse, ne verrebbe forse agli accennati argomenti nuovo rincalzo. Io sospetto che guelfa fosse la famiglia di Beatrice stessa, l'idolo della Divina Commedia. Certo un Pigello dei Portinari, coetaneo di Dante, era guelfo (12); e altri dei Portinari guelfi trovo

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(1) Ora edito a spese di lord Vernon. - (2) Fiorentini, Memor., pag. 71. — (5) Pag. 95-129. (4) Pag. 125128-175-303. (5) Pag. 265. (6) Pag. 268-272. (7) Pag. 336. (8) Pag. 265. (9) Pag. 189. —- (10) Pagina 345.- (11) Delizie dei Letter. Tosc., pag. 165. (12) Villani; Pucci, C. XXXVII.

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Il Poeta in quel Canto fa la storia simbolica della Chiesa; e toccando dell'eresia non poteva tacere di Maometto, alla cui legge egli acceuna assai volte, e sempre con sensi di biasimo e di disprezzo (2). Ne a torto; che lasciand' anche da parte il male religioso, quella divisione dell' Oriente dall' Occidente aggravò le sventure dell'una regione e dell'altra; e il domma maomettano chiude in se tutti i germi della tirannide e della schiavitù. Se nel Drago gli antichi vedevano il custode dei tesori nascosti, ciò non fa al caso nostro; poichè si tratta non d'un male intrinseco ma d'una separazione funesta:

Trasse del fondo e gissen (5)

Non si lasci il signor R., dall' acuto ingegno ch'egli dimostra, non si lasci condurre a troppo sottili interpretazioni e contorte: anche in fatto di commenti giova rispettare le tradizioni, almen quanto è possibile..

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