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casi d'Ulisse e di Guido da Montefeltro, e passa sul ponte che soperchia questa nona bolgia per attendere:

A quei che scommettendo acquistan carco. Per tutto abbiam veduto due cose seguitado i passi del Poeta: 1. che l' animo suo è più sensibile alla vista di quel le pene che vi son date a colpe, ond'egli stesso si sente reo; 2. che dove le cose sembrano incredibili, egli a farcele credere non impegna la sua coscienza. D'onde viene che, trattandosi in questo canto de' seminatori di scandalo, tronca di netto le mani al Mosca, e dipinge il quadro di Beltramo, senza tema che niuno abbia mai a potergli dire: quella figura è il ritratto di te, che ribellasti per amor di parte i figliuoli dalla lor madre Firenze. E questa ne pare che fosse la sicurezza che gli viene dal sentirsi pura la propria coscienza;questo lo francheggia, cioè lo rende ardito a descrivere la pena ch'è data a una colpa, della quale non è chi possa far carico a lui; e tale usbergo finalmente lo cuopre dalle saette, che i nemici avriano potuto lanciargli contro in questo passo dell'Inferno, che per noi sta come una solenne protesta politica dell'Alighieri; la cui anima non desiderò mai, se non la pace e la gloria della terra natia. E qui il Poeta non trattiene per nulla tema che s'abbia, il volo alla sua fantasia, dicendogli la sua Ragione come nel Purgatorio (v. 10 segg.): Perchè l'animo tuo tanto s'impiglia,

Disse il Maestro, che l'andare allenti?
Che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
Vien dietro a me e lascia dir le genti;
Sta, come torre, fermo, che non crolla
Giammai la cima per soffiar di venti.

Le quali parole traducono quelle di Orazio (Epist. Lib. I, 1):

Hic murus aheneus esto

Nil conscire sibi nullaque pallescere culpa.

Dove la rocca della buona coscienza si fa difesa non per quel che s'abbia a dire degli altri, ma per quello che gli altri dir si possano di noi, quando si riprende un vizio con la franchezza che ci consente la nostra non biasimevole vita. E così va inteso il testo di S. Bernardo: Fortitudo tua fiducia fidelis conscientiae; così quel d'Isaia (LIX, 16, 17 seg.): Justitia eius ipsa confirmavit eum. Indutus est iustitia ut lorica, el galea salutis in capite eius; indulus est vesti

mentis ultionis, et opertus est quasi pallio zeli. Sicut ad vindictam, quasi ad retributionem indignationis hostibus suis, et vicissitudinem inimicis suis. E non vedete voi qui Dante, che, ad imitazione del Cristo profetato, flagella con sicurezza un vizio del quale sentiva pura la propria coscienza, e in questo fare si vendicava de' suoi nemici, che aveano partita la bella città? Non si vede qui quel Dante che, dopo aver posate come pietre fondamentali della sua Monarchia la pace (a), l' unità (b) e la concordia, procede nel terzo libro all'ardua questione de' due gran luminari, cioè del Romano Pontefice e del Romano Principe? Nel trattar la quale prevedendo che molti si sarebbero seco indignati, egli inflessibile al sostegno del vero ricorda le parole di Daniele: Conclusit ora Leonum el non nocuerunt mihi: quia coram eo iustitia inventa est in me; nelle quali vede la potenza divina farsi scudo ai propugnatori della verità. E perchè, dic' egli, temerò io di mettermi in questo arringo, quando per bocca di Davide lo Spirito Santo ci fa sentire che: In memoria aeterna erit iustus, ab auditione mala non timebit? Il sentirsi puro di sua coscienza vale dunque al Poeta in questo luogo della Divina Commedia, per chiudere la bocca dei leoni, acciocchè non gli nuocano; e perchè non abbia a temere ab auditione mala, che, cioè, non altri gli dia mala voce. La verità e la giustizia sono lo scudo e l'usbergo di Dante, quando, senza riguardo ai riguardi del mondo, egli le proclama a viso aperto nel divino poema: ma questo scudo adamantino di Dio non sarebb'egli profanazione imbracciarlo ove

(a) Lib. I: Patet, quod genus humanum in quiete sive tranquillitate pacis ad proprium suum opus, quod fere divinum est,liberrime atque facillime se habet. Unde manifestum est, quod pax universalis est optimum eorum quae ud nostram beatitudinem ordinantur ec.

(b) In omni genere rerum illud est optimum quod est maxime unum... Unde fit, quod unum. esse, videtur esse radix eius quod est esse bonum: et multa esse, eius quod est esse malum,.. Constat igitur, quod omne quod est bonum, per hoc est bonum, quod in uno consistit. Et cum concordia, in quantum huiusmodi, sit quoddam bonum: manifestum est eam consistere in aliquo uno, tanquam in propria radice ec.

E vidi cosa, ch'io avrei paura,

Senza più pruova, di contarla solo; Se non che conscienzia m'assicura,

La buona compagnia che l'uom francheggia
Sotto l'osbergo del sentirsi pura.
Io vidi certo, ed ancor par ch'io 'l veggia,
Un busto senza capo andar, sì come
Andavan gli altri della trista greggia,
El capo tronco tenea per le chiome
Pesol con mano a guisa di lanterna,
E quel mirava noi, e dicea: o me!
Di se faceva a se stesso lucerna,

Ed eran due in uno, e uno in due:
Com' esser può, Quei sa, che si governa.

non si trattasse di altro, che di accreditare come vera una visione poetica?

Ecco in che modo intenderemmo noi il luogo di Dante. (V. le due note segg.)

113-114. VIDI COSA CHE AVREI PAURA, cioè, che temerei, SANZA PIÙ Pruova, nonchè di farne nuova esperienza o vederla di nuovo, MA DI CONTarla solo, ma di pur narrarla.

115-117. SE NON CHE еc. Ma io di ritrarla punto non temo, perchè il non sentirmi l'animo rimorso dalla colpa ond'è punito Beltramo, mi FRANCHEGGIA, mi fa franco e ardito a mostrare al mondo in che guisa dalla divina Giustizia vien punita laggiù. E così la coscienza pura presta al Poeta franchezza a flagellare il vizio, non mica argomento per far credere altrui le proprie visioni. Che se le parole paiono favorire l' interpretazione fatta da sei secoli in qua, l'in

convenienza che ne nascerebbe da essa

potrà per avventura farci ricordare che il nostro Poeta spesso nasconde alti veri Sollo il velame degli versi strani.

121 seg. IL CAPO TRONCO ec. Questo luogo di Dante venne imitato dal Tasso (Ger. liber. VIII, 60); laddove egli fa che la furia crudele di Aletto s'appresenti in sogno ad Argillano sotto orribili larve,e per istigarlo a ribellarsi dal sommo capitano Goffredo, simula sè esser l'ucciso Rinaldo:

Gli figura un gran busto, ond'è diviso

Il capo, e della destra il braccio è mozzo;

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E sostien con la manca il teschio inciso, Di sangue e di pallor livido e sozzo. Spira e parla spirando il morto viso, E'l parlar vien co'l sangue,e co'l singhiozzo: Fuggi, Argillan, non vedi omai la luce? Fuggi le tende infami, e l'empio Duce. 123. QUEI. Al. lez. quel, riferito a capo tronco (v. 21).

O ME!: oh me, ohimè, oimè. Lat. o me miserum!

Nel canto XXVII, 121:

O me dolente come mi riscossi ! V. XXI, 127-XXII, 91-XXV, 68 ec. Può notarsi che qui per ragion del metro la voce me si priva dell' accento tonico proprio, in favore della penultima sillaba del verso, sulla quale dee la pronunzia farlo cadere necessariamente.

124. DI SE. Bella sineddoche, onde solo capo, ch'è parte principale di essa. per tutta la persona vien significato il Bertrando portava in mano il suo capo, e come di lanterna si faceva lume, gli occhi guidando i passi del proprio tronco.

125-126. ERAN DUE IN UNO: capo e

busto separati l'un dall'altro facevano

un solo individuo; E UNO individuo solo era, IN DUE corpi divisi. Questo lo spirito dà vita al corpo umano finchè non s'intende COM'ESSER PUÒ; sendo che le parti sieno congiunte ed organizzate tra loro secondo natura, l'anima parendo allora (secondo Aristotile) tutta in tutto il corpo,e tulta in ciascuna sua parte: in Beltrando un' anima stessa opera in

Quando diritto appiè del ponte fue,
Levò il braccio alto con tutta la testa
Per appressarne le parole sue,
Che furo: or vedi la pena molesta

Tu che, spirando, vai veggendo i morti:
Vedi s'alcuna è grande come questa.
E perchè tu di me novella porti,
Sappi ch'i' son Bertram dal Bornio, quelli

due parti disgiunte, e queste pure di due
che sono non fanno che una sola perso-
na. Come ciò accada lo sa QUEI CHE Sì
GOVERNA: che siffattamente punisce il
peccatore: sallo Iddio, del quale scla-
ma altrove (XIX, 10 segg.) il Poeta :

O somma Sapienza, quanta è l'arte
Che mostri in Cielo, in terra e nel mal mondo,
E quanto giusto tua virtù comparte!

127. DIRITTO. Questa particella ha qui
officio di determinare con più esattezza
il luogo dove Bertramo ristette; ed è qual
si dicesse: Appunto appunto appiè del
ponte. Tal valore pare s' abbia la voce
ritto o ritta nelle parole costì ritto (Inf.
XIX, 52), quiritta (Purg. IV, 125), e
nel Purg. XVII, 85: dove si dice:
l'amor del bene scemo

Di suo dover quiritta si ristora. cioè affatto qui.

Così trovasi liviritta per lì appunto, e Dante nomina il luogo appiè del ponte;chè qui non gli farebbe nulla l'avverbio locale. (C. XVIII. 4, nota). Altrove (Inf. IV, 118 seg.): Colà diritto sopra il verde smalto Mi fur mostrati gli spiriti magni. DIRITTO secondo altri è di contro, dirimpetto. Il Vellutello chiosa DIRITTO APPIÈ ec. vicino al ponte sopra del quale era Virgilio e Dante. DIRITTO APPIÈ DEL PONTE: appiè del ponte, sotto noi appunto. Bianchi.

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128. CON TUTTA LA TESTA: con esso

la testa,cui con mano tenea per le chiome. CON TUTTA son parole che valgono in simili esempi l'una o simul de' latini. Il Boccaccio, G. X, 9: Perchè incontanente, in presenzia del Saladino, il letto con tullo messer Torello fu tollo via ec. E non s' intende già che quel letto fosse via tolto con tutto il messere, anzichè con parte di esso; ma sì, che la virtù del Negromante avea di uno in altro luogo fatto trasferire e letto e messer

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Torello insieme. È modo proprio di nostra lingua vivo tuttavia, come nota il ch. Tommaseo, nel dialetto di Corfù; e, come noi abbiamo notato, anche ne' dialetti calabrese e napoletano.

131. SPIRANDO: respirando, cioè vivo. Purg. V, 81:

Ancor sarei di là dove si spira.
Purg. XIII, 139 segg.:

Ma tu chi se', che nostre condizioni
Vai dimandando, e porti gli occhi sciolti,
Si come io credo, e spirando ragioni ?
Più chiaro ivi II, 67 segg.:
L'anime che si fur di me accorte,
Per lo spirar, che io era ancor vivo
Maravigliando diventaro smorte.
E nel XXIII, 88, dell'Inferno:
Costui par vivo all'atto della gola.
Vedi quivi la nota, e in questo canto
il v. 46 segg.:

132. Vedi se alcuna ec. Sentenza simile

a quella di Geremia, Thren. Cap. I, 12: Ovos omnes, qui transitis per viam, attendite, et videte si est dolor sicut dolor meus. Vedi C. XXVII, 78, nota.

133. NOVELLA PORTI. Vedi v. 92,nota.

134-135. Bertram dal Bornio (a) è annoverato dal Nostro tra i primi che eloq. Lib. II, Cap. II: Quare haec tria, poetarono nel volgare illustre. De vulg. Salus videlicet, Venus, Virtus apparent esse illa magnalia, quae sint maxime pertractanda, hoc est ea, quae maxima sunt ad ista, ut armorum probitas, amoris ascensio, et directio voluntatis. Circa quae sola, si bene recolimus, illustres viros invenimus vulgariter poetasse; scilicet Bertramum de Bornio,

Orbo. Altramente detto Bertrans de Born, e Bel(a) Appellato Bornio o Borgno, cioè Lusco, trand de Borme; ma Borme scrissero erroneamente i copisti in luogo di Bornie, siccome il giata la voce Araba Zemt in Zenit, che oggi diCrescimbeni indovina essersi per opposito camčiamo al punto verticale del cielo.

Che al Re Giovane diedi i mai conforti.

Arma, Arnaldum Danielem, Amorem, Gerardum de Bornello, Rectitudinem, Cinum Pistoriensem, Amorem, Amicum eius, Rectitudinem... Arma vero nullum Italum adhuc invenio poetasse. E passarono ben due altri secoli sino a Torquato Tasso.

Bertrando dal Bornio fu Visconte di Altaforte nella diocesi di Perigueux in Guascogna, e più che altri mai sublime trovatore e armigero valoroso: tale però che, come si legge nella sua vita: Melia tot son senno en mesclar guerras, e fes mesclar lo paire e 'l filh diEnglaterra. Il figlio primogenito di Errico II re d'Inghilterra ebbe nome anche Errico; il quale, incoronato re in età di quindici anni, fu appellato il re giovane per distinguersi dal padre che lo chiamarono il re vecchio: così li troviamo ricordati nel Novellino e ne' Conti degli antichi Cavalieri (a). Il giovine re istigato da Beltramo a ribellarsi dal padre, morì quindi a poco nel fior della vita (an.1183). Errico II che imputava a Beltramo le mire sediziose del figlio, lo assediò in Altaforte, rocca d'Inghilterra e lo prese; ma poi gli perdonò, e restituì castello e dominio.

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Così nelle prime edizioni di Foligno, di Mantova (an. 1472); di Napoli 1474; nel cod. Cassinese, nel testo Bargigi, nonchè in quelli del Landino, Vellutello, Venturi, Volpi, Lombardi, Biagioli e di altri. Il Witte prescelse pel suo testo questa lezione, siccome fece il ch. Tommaseo tenendosi col più de' codici, e parendogli che Giovanni faccia il verso anche migliore. Il Guinguené col lume della storia prese a mostrare che re Giovanni, per re giovane era o errore del Poeta, o alterazione del testo. Contro il valoroso critico francese si levarono a sostenere la lezione della Crusca prima il Carpani (b) e poscia il Biagio li (c). La controversia destò l'attenzione de' più dotti critici di Francia e d'Italia. Il Rainuard, il Parenti, il Viviani, il Niccolini (Gio. B.) (d), il Rossetti, Ugo Foscolo, il Costa, il Bianchi, il Nannucci, il Cesari ec. rigettano l'antica lezione, e con pochi de' migliori MSS. adottano la lezione re giovane, secondo la quale il verso sarebbe:

Che diedi al re giovane i ma' conforti

ovvero:

Che diedi al re giovine i mai conforti i quali sebbene abbiano l'accento fonico Dante, che non ebbe la gran bontà di sulla quarta e ottava; tuttavia paiono al quel Cavaliere antico, colloca in Inferno Biagioli ripugnanti ad ogni orecchio itaquello stesso Beltramo che fu da lui tan- liano. Il Blanc (e) pensa che Dante to ammirato come scrittor di versi, e tan<< pronunciasse giovane, come umìle e to inviso come seminatore di scandali e altre simili voci, nelle quali i poeti a modi risse. do loro traslocano l'accento ». Re gio134. QUELLI: quegli; così elli per vane hanno infatti ottimi codici del seegli ec. in antico.

135. CHE AL RE GIOVANE DIEDI I MAI CONFORTI: diedi i mali incitamenti, le maligne instigazioni, i malvagi consigli. MAI e ma' per mali, siccome quai o qua' per quali, ta' per tali ec. Al. lez. mal conforti.

Questo verso nella maggior parte dei codici antichi si legge:

Che diedi al re Giovanni i mai conforti.

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colo XIII, come l' Estense, i Ricciardini 1033 e 1045, il Bartoliniano, il Florio, il Pucciano 3 (f), e a questi s'aggiunga il codice Filippino, del sec. XIV; dove si legge il verso:

Che al re Giovane diedi i mai conforti

il quale omai è ritenuto quasi universal

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(d) Prosa letta nell'Acc.della Crusca il 9 giugno 1835.

(e) Diz. Dantesco voc. Giovanni. Ediz. Fir. Barbera ec. 1859.

(f) In questo codice si trova corretto Giovanni in Giovane.

Io feci'l padre e 'l figlio in se ribelli:
Achitofel non fe più d'Absalone
E di David co' malvagi pungelli.
Perch'io partii così giunte persone,

Partito porto il mio cerebro, lasso!
Dal suo principio, ch'è 'n questo troncone.
Così s'osserva in me lo contrappasso.

mente per autentico, e che invero non
sembra disgradar di numero al paragon
dell'altro.

È da considerare che l'Abate Francesconi, in un discorso da lui recitato in Padova (giugno 1821), avvertiva come per Giovan Villani venisse chiamato Giovanni il primogenito d'Errico II. Così lo chiamò l'Ottimo. Quindi potrebbe inferirsi che nello stesso errore incorressero Dante e il Cronista. Nel Novellino, XXXV (a), abbiamo notato che allo stesso Giovine Re d'Inghilterra si riferiscono nel seguito del racconto le seguenti parole: E certo di ciò e'facea bene,conoscendo che egli era il nobile Re Giovanni d'Inghilterra. Onde, se il testo non fosse errato, si potrebbe sospettare che quel primogenito avesse nome Giovanni. Ma Arrigo II ebbe quattro figli, de' quali l'ultimo fu Giovanni. Questi secondo Paolo Giovio divenne re dopo la morte del fratello, nel 1200; Arrigo II era già morto nel 1189 (Polid. Vergilio Stor. Anglic.): or come potea costui ribellarsi dal padre dopo undici anni dacchè questi giacea nel sepolcro? Pure noi dichiariamo non esser di nostra competenza l'entrar giudici in sì difficile controversia. Forse il più savio ancor dirà: Piacemi aver vostre quistioni udite Ma più tempo bisogna a tanta lite (b). 136. IN SÈ RIBELLI: l'un contro l'altro nemici, avversari.

137-138. ACHITOFEL ec. Reg. II, Cap. XV, 12, 31. Cap. XVI, 15, 20 seq. Cap. XVII, 1-23 ec.

Consilium autem Achi-tóphel, quod

(a) Ediz. Milano 1804. Tip. Class. ital. (b) Petrarca P. II, Canz. VI, Chiusa.

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dabat in diebus illis, quasi si quis consuleret Deum: sic erat omne consilium Achi-tóphel, et cum esset cum David, et cum esset cum Absalom.

Co' MALVAGI PUNGELLI. Assalonne andava già da sè al male, Achitofel malvagiamente lo stigava, e vi aggiungeva il pungolo o stimolo a far più presto. Sono come i mai conforti del v. 135.

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139. PARTII: divisi Così GIUNTE PERSONE: quali sono padre e figlio tenacemente congiunti e legati dai santi vincoli di natura.

140-141. DAL SUO PRINCIPIO ec. Il principió del cervello fu riposto da Aristotile nel cuore; e credesi che il Poeta significasse il cerebro diviso dal principio della vita. Il Zacheroni nota nel suo Bargigi : « Piacemi di riportar la chiosa di Floriano Caldani, professore di anatomia a Padova. Prassagora, dic'egli, e Plistonico, al dire di Galeno, furono di parere, che il cervello considerare si debba quale appendice della midolla spinale, e forse a questa opinione che fu pure quella di Aristotile, volle qui riferire il Poeta nel dire, che il cervello era diviso dal suo principio, cioè dalla midolla spinale ch'è nel tronco delle vertebre ».

142. CONTRAPPASSO. T. Tasso nola: «La giustizia, secondo i Pittagorici, come riferisce Aristotele nell'Etica, non è altro che il contrappasso ». E per teso significar la legge del taglione: cioè, questo vuolsi che lo Stagirita abbia infu diviso il capo dal busto a Beltramo, che tal sia uno punito, qual fece. E tal quale per sua opra tra padre e figlio fu fatta scissura.

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