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28. O avarizia, che puoi tu più farne,

Po' ch' hai il sangue mio a te si tratto, Che non si cura della propria carne? 29. Perchè men paia il mal futuro e 'l fatto, Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso, E nel Vicario suo Cristo esser catto. 30. Veggiolo un'altra volta esser deriso ; Veggio rinnovellar l'aceto e 'l fele ; E tra vivi ladroni essere anciso. 31. Veggio 'I novo Pilato, si crudele

Che ciò nol sazia, ma senza decreto
Porta nel tempio le cupide vele.

mettendo di cedere il suo podere sul reame di Ragona a Don Iacopo per lo re Filippo, col consentimento del papa. Nel Canto VII, t. 45 del Purgatorio lo disse peggiore del padre, Carlo Primo d'Angiò. Vendette ad Azzo d'Este, già vecchio, la figlia in consorte; e n'ebbe, chi dice 100,000 ducati, chi 30,000 fiorini, chi 50,000. Nel XIX del Paradiso, dice il Poeta di lui, che nel libro della giustizia la sua virtù sarà segnata con un 1, la malvagità con un' M, perchè una sola virtù ebbe, e migliaia di vizii. Questo Azzo VIII fu guelfo di razza, ma nel 1299 per suoi momentanei interessi stretto alla fazion ghibellina. Fu Beatrice la figlia, e il matrimonio seguì dopo il 1300.

28. (SL) CHE. Æn, III: Quid non mortalia pectora cogis?

(F) CARNE. Eccli., X, 10: Hic... et animam suam venalım habet: quoniam in vita sua projecit intima sua. Isai., LVIII, 7: Carnem tuam ne despexeris.

29. (L) MEN PAJA IL MAL FUTURO EL FATTO: questo misfatto vincerà gli altri. CATTO: preso.

(SL) MEN. Inf., XXXI: E aspetto Carlin che mi scagioni. — ALAGNA. Per Anagni (Vill., VIII, 63). — FIORDALISO. Dice il Villani che quando Sciarra della Colonna per ordine di Filippo il Bello entrò in Anagni a prendere Bonifazio, addi 7 di settembre del 1393, entro... con tre insegne del re di Francia. Bonifazio stesso paragonava sè a Cristo. — CRISTO. Tasso: E con le piaghe indegne de' Cristiani Trafigger Cristo ond' e' son membra e parte,

30. (SL) DERISO. E schiaffeggiato. V'era il Nogaret inviato di Filippo (Dino, pag. 159). ANCISO. Mori di dolore addi 12 ottobre. Quanto diverso il Poeta da que' di sua parte. Se ne rallegrarono i Bianchi perch' era loro cordiale nemico... Fu di grande ardire e alto ingegno, e guidava la Chiesa a suo modo, e abbassava chi non gli consentia. - Nero Combi adoperò col papa per abbassare lo stato de' Cerchi e delli loro seguaci (Dino, pag. 52-140).

31. (L) 'L NOVO PILATO: Filippo. SENZA DECRETO : di sua potestà. - PORTA NEL TEMPIO LE CUPIDE VELE: distrugge i Templari.

(SL) DECRETO. Fleury (A. Eccl., 1. XCI) narra come Filippo il Bello inviasse a' suoi ufficiali per tutto il regno lettere secrete per prendere in una notte i Templari tutti, e furon presi nell'ottobre del 1307. E il Maestro Generale dell'Ordine era nella Casa del Tempio di Parigi. CUPIDE. Filippo, avaro spogliatore de'negozianti italiani, avaro distruttor de' Templari, de' cui mobili il terzo o due terzi per sè ritenne. Ott.: Clemente V fece pigliare nel 1307 per tutta la Cristianitade i frieri dell' Ordine del Tempio, per certi errori di fede ed altri peccati; ed arrestare loro possessioni e chiese. Ma prima s'era voluto che Filippo avesse cominciata la persecuzione senza l'assenso di lui. VELE. Per insegne, o come barca mercatante.

32. O signor mio, quando sarò io lieto A veder la vendetta che, nascosa, Fa dolce l'ira tua nel tuo segreto? 33. Ciò ch' io dicea di quella unica Sposa Dello Spirito Santo, e che ti fece Verso me volger per alcuna chiosa; 34. Tant'è disposto a tutte nostre prece,

Quanto 'l di dura: ma quando s'annotta, Contrario suon prendemo in quélla vece. 35. Noi ripetiam Pigmalione allotta,

Cui traditore e ladro e patricida Fece la voglia sua, dell' oro ghiotta; 36. E la miseria dell'avaro Mida,

Che segui alla sua dimanda ingorda, Per la qual sempre convien che si rida. 37. Del folle Acám ciascun poi si ricorda, Come furò le spoglie, si che l'ira Di Giosuè qui par ch'ancor lo morda.

32. (F) IRA. Psal. VII, 42: Deus judex justus, fortis et patiens: numquid irascitur per singulos dies? Altrove non è così sofferente. Quod sunt dies servi tui? Quando facies de persequentibus me judicium? (Psal. CXVIII, 84). Apoc., XVIII, 20: Esulta... o cielo e voi santi Apostoli esultate, e Profeli, perchè Dio giudicherà sopra lei il giudizio vostro, — SEGRETO. Desidera la pena degli empii acciocchè mutino, e non patiscano i buoni. Eccli., XXXV, 23: Gentibus reddet vindictam, donec... sceptra iniquorum contribulet. Isai, I, 24: Heu, consolabor super hostibus meis, et vindicabor de inimicis meis. Men bene il Bossuet: La vengeance de Dieu. Lattanzio ha un opuscolo De ira Dei, titolo da non ripetere.

33. (L) QUELL'UNICA..... Maria. per sapere perchè cantavo.

(SL) Ciò. V. terz. 12.

PER ALCUNA CHIOSA:

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38. Indi accusiam col marito Safira;

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Crasso,

Lodiamo i calci ch'ebbe Eliodoro; Ed in infamia tutto 'l monte gira 39. Polinestor ch' ancise Polidoro. Ultimamente ci si grida: Dicci, chè 'l sai, di che sapore è l'oro.. 40. Talor parliam l'un alto, e l'altro basso, Secondo l'affezion ch' a dir ci sprona, Ora a maggiore ed ora a minor passo. 41. Però al ben che 'l di ci si ragiona,

Dianzi non er' io sol; ma qui da presso Non alzava la voce altra persona. 42. Noi eravam partiti già da esso,

E brigavam di soverchiar la strada, Tanto quanto al poter n' era permesso. 43. Quand' io senti', come cosa che cada,

Tremar lo monte: onde mi prese un gelo,
Qual prender suol colui ch'a morte vada.

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38. (SL) COL. Act. Apost., V, 1, 2, 4: Vir... quidam nomine Ananias, cum Saphira uxore sua, vendidit agrum. Et fraudavit de pretio agri, conscia uxore sua... Non es mentitus hominibus, sed Deo. Ruppe il patto della comunanza de' beni. MARITO. Anania (Act. Apost., V). De' beni promessi alla Chiesa tennero parte per sè. CALCI. Voleva spogliare il tempio di Gerosolima. Machab., II, III, 7-27: Erat super negotia ejus, misil... ut... pecuniam transportaret... deposita... et victualia viduarum et pupillorum... At ille pro his quæ habebat in mandatis a rege, dicebat omni genere regi ea esse deferenda... Cum impetu Heliodoro priores calces elisit... Subito autem Heliodorus concidit in terram, eumque multa caligine circumfusum rapuerunt, atque in sella gestatoria positum ejecerunt.

39. (SL) POLINESTOR. Ovid. Met., XIII: Polymnestoris illic Regia dives erat... opes, animi irritamen avari... Capit impius ensem Rex Thracum, juguloque sui defigit alumni. Æn., III: Victriciaque arma secutus Fas omne abrumpit, Polydorum obtruncat, et auro Vi politur. Quid non mortalia pectora cogis, Auri sacra fames? La celebrità di questo motto e la viltà del seguire con misfatto la fortuna del vincitore fa dire al Poeta: In infamia tutto il monte gira. CRASSO. Avarissimo: spoglio il tempio di Gerosolima: fu preso da' Parti contro a' quali andava per sete di ricchezze e per orgoglio; e fusogli oro bollente in bocca, dicevano: Aurum silisti, aurum bibe. Lucan., I: Crassus Assyrias Latio maculavil sanguine Carras. Una canzone attribuita a Dante, di Firenze: E la divoran Capanco e Crasso (empietà e avarizia). [Appian., Parthica.] 40. (L) PASSo: tempo di musica.

(SL) Passo. Segue forse l'imagine dello spronare ma nella musica le figure tolte dal passo sono parecchie.

41. (L) AL BEN: a dire il ben.

42. (SL) PARTITI. Inf., XXXII, t. 42: Noi eravam partiti già da ello. BRIGAVAM. Antico inedito: BriSOVERCHIAR,

gati di campare da... E nel Novellino. En., II: Fastigia... Ascensu supero.

43. (SL) TREMAR. Al rientrare di Euridice in Dite:

44. Certo non si scotea si forte Delo,

Pria che Latona in lei facesse il nido A partorir li due occhi del cielo. 45. Poi cominciò da tutte parti un grido, Tal che'l maestro invêr di me si feo, Dicendo:-Non dubbiar, mentr'io ti guido.— 46. Gloria in excelsis, tutti, Deo

Dicean, per quel ch'io da vicin compresi,
Onde 'ntender lo grido si poteo.

47. Noi ci restammo immobili e sospesi,

Come i pastor' che prima udir quel canto, Fin che 'I tremar cesso, ed ei compiési. 48. Poi ripigliammo nostro cammin santo, Guardando l'Ombre che giacén per terra, Tornate già in su l'usato pianto. 49. Nulla ignoranza mai con tanta guerra Mi fe' desideroso di sapere

(Se la memoria mia in ciò non erra), 50. Quanto parémi allor, pensando, avere: Nè, per la fretta, dimandare er' oso, Ne per me li potea cosa vedere. 51. Così m'andava timido e pensoso.

Terque fragor stagnis auditus Avernis (Georg., IV). E all'entrar d'Enea nell'Inferno: Juga cœpta moveri Sylvarum (En., VI).

44. (L) DUE Occhi del cielo: Apollo e Diana.

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(SL) DELO. Giambull.: Delo fu la prima terra da' raggi del sole percossa. Forse la favola accenna alle prime terre infiammate e ondeggianti, e al crear de' due luminari dopo creata la terra. Asteria mutata in isola (En., III). NIDO. Ovid. Met., VI: Eriguam sedem, parituræ terra negavit. Latona chiese un rifugio all'isola errante; in lei partori Febo e Diana, il sole e la luna; e per merito dell' ospizio, l'isola più non si scosse. Ovid. Met., VI: Exul erat mundi; donec miserata vagantem, Hospita tu terris erras, ego, dixit, in undis, Instabilemque locum Delos dedit. Illa duobus Facta parens. Occm. Ovid. Met., IV: Mundi oculus, il sole. Georg., 1: Clarissima mundi Lumina. Ambr.: Coelum... sole et luna, geminis vultus sui luminibus. Nido e occhio metafore discordanti. [In un dramma indiano il sole è pur detto occhio del mondo.]

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Pena e vendetta.

La pena de' dannati è, al dire di Girolamo, aggravata dal male che vengono mano mano facendo gli uomini traviati dagli esempii o dalle parole di quelli (1). Non è per verità necessario che il rigore della pena si venga accrescendo nel tempo col crescere di que' mali, dacchè la prescienza divina aveva già fin dal primo assegnata a quella colpa madre la sua gravità, computandone tutti gli effetti, e alla volontà del primo colpevole imputandone quel tanto che poteva essere nell' intenzione di lui; ma può dirsi che la notizia giunta o a' dannati o a' purganti del male da colpa loro cagionato nel mondo anche dopo la morte loro, aggravi la pena. Ugo Capeto ha tormento dal pensare ch'egli è radice della nuova dinastia di Francia, la mala pianta Che la terra cristiana tulla aduggia (2): tanto fin da' tempi antichi e in male e in bene attribuivasi di potere alla Francia, e così, a quella influenza credendo, la si creava.

L'esclamazione, più mosaica che evangelica, messa in bocca a Ugo Capeto, esclamazione che gli uomini del novantatrẻ recarono in atto in modo non sognato da Dante, giova che sia spiegata e scusata, e con le parole della Scrittura, e con le dottrine de' Padri. O signor mio, quando sarò io lieto A veder la vendetta che, nascosa, Fa dolce l'ira tua nel tuo segreto ? (3) Qui abbiamo la letizia della vendetta, la dolcezza dell'ira, l'aspirazione lontana al lontano male altrui, il segreto della speranza iraconda gelosamente nascosto come tesoro. Rammentiamo primieramente che tra vindicare e ulcisci ponevano differenza i Latini; che il primo era sovente reprimere o adoperarsi a reprimere per legge o per forza legittima, che poteva essere anco di mere parole, il proprio diritto da altrui violato. Ulcisci è più grave, ma anch'esso ha sovente buon senso di pena giusta diretta a reprimere il male o a farlo espiare. Cosi nell'Apostolo (4): Mihi vindicta, ego retribuam; e altrove (5): Ulcisci omnem inobedientiam; e Cicerone (6) citato nella Somma (7), la quale alla proprietà delle parole pon mente, e in questa, com' anco nel senso loro morale, accetta ed invoca eziandio l'autorità de' profani : Vindicatio est, per quam vis, aut injuria, et omnino quidquid obscurum est, idest ignominio

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sum defendendo aut ulciscendo propulsatur. Unde apparisce che il vindicare comprendeva l' ulcisci; e doveva anco per causa della radice compren. derlo, essendo composto di vim e di dico, la forza cioè e la parola, la religione della forza e della parola. Onde vindicta significava specialmente l'emancipazione de' servi, perchè effetto della parola e della forza giusta adoprate a reprimere ed ammendare la forza e la parola ingiusta, dovrebb'essere l'emancipazione degli spiriti in prima, e quindi de' corpi, strumento agli spiriti.

Con la filologia si concorda al solito la filosofla: Se l'intenzione del vendicante si porta principalmente ad un qualche bene, al quale si perviene per la pena di chi mal fece (come all'emendazione di lui, o a suo freno, o a quello degli altri, e alla conservazione della giustizia e all'onore di Dio), può essere lecito il vendicare, serbati gli altri debiti riguardi (1). Vendetta parte di giustizia (2). Vendicare il male è virtù, e procede da radice di carità (3). La virtù del vendicare il male ha due vizii opposti; l'eccesso, cioè la crudeltà del punire; e il difetto, cioè la troppa remissione (4).

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E con la filosofia si concorda la teologia: Dio non si compiace nelle pene in quanto sono di dolore alle sue creature, ma in quanto sono dalla sua giustizia ordinate (5). I santi godranno delle pene degli empii, non per compiacersi nell'altrui dolore, ma considerando l'ordine della giustizia divina, e godendo dall'essere liberati da quelle (6). Così può taluno rallegrarsi anco de' mali proprii, sebbene l'uomo non possa, nè anche volendo, odiare sè stesso; rallegrarsene, dico, in quanto gli giovano a merito della vita (7).

Ira in Dante ha qui, o giova credere che abbia, il senso datole dalla Somma: Anco all'intelletto s'attribuisce talvolta l'ira, e in questo senso anco a Dio e agli angeli non per passione ma per giudizio della giustizia giudicante (8). La punizione è significata col nome d'ira quando attribuiscesi a Dio... la pena non è segno che in Dio sia ira; ma la pena, perchè in noi può essere segno d'ira, in Dio dicesi ira (9).

Io non dirò che tutte queste parole così squisitamente scelte, e così fortemente commesse significassero nell'intenzione di Dante uno sdegno tutto

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(1) Som., 2, 2, 108. — (2) Cic., I. c. - (3) Som., I. c. (4) Som., I. c. (5) Som. Sup., 94. (6) Psal. LVII: Lætabitur justus cum viderit vindictam. Terz. 32: Lieto A veder la vendetta. (7) Som. Sup., 94 e 99. -(8) Som., 2, 2, 162. 3. - (9) Som, 1, 1, 19, c 1, 1, Figli dell' ira nell'Apostolo, spiegasi della pena.

puro e somigliante alla giustizia divina; ma egli é giusto avvertire che colpevoli di per sè le non sono, e che quella stessa dolcezza dell'ira può essere fino a un certo segno benignamente interpretata. Vero è che chi fa cosa per ira la fa con tristezza (1); e che, se spiegazione è, non sarebbe scusa quell'altra sentenza del Filosofo (2): L'ira assai più dolce di miele che stilla abbonda nei petti degli uomini. Ma la pena attuta l'impeto dell' ira mettendo soddisfazione in luogo di tristezza (3). - Punizione esclude ira (4), ben nota la Somma; cioè, che punizione giusta esclude l'ira maligna; ma il concetto della punizione certa alla quale è destinato il colpevole, questo concetto soddisfacendo alla ragione con l'idea dell'ordine, acqueta le tempeste dell'ira. Ed in questo senso è detto da Dante con forma più cruda del suo pensiero che la vendetta nascosa fa dolce l'ira; cioè, che la pena preordinata fa ragionevole, e però non iniquo, lo sdegno. Delle umane passioni parlando: L'ira chiusa in silenzio dentro alla mente arde più veemente (5). Ma l'ira ragionevole può essere rattenuta in sè allorchè il giudizio della ragione è si forte che, sebbene non spenga il desiderio di punire, raffrena però la lingua dal dire inordinato. Se la pena ė pre

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sente, il soddisfacimento dello sdegno per essa è pieno; ma può la pena presentarsi all' animo in isperanza, perchè lo sdegno stesso non avrebbe luogo se non l'accompagnasse speranza di punire

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chi l'ha provocato, e può presentarsi nel continuo pensiero, dacchè a chiunque desidera è dolce dimorare nel pensiero del suo desiderio (1).

A tutte queste giova però, ed è dovere, soggiungere sentenze più sicure e più miti, massimamente dove si parli non dell'ordine esterno della giustizia o di que' pochi che sono chiamati con la parola o con l'opera a compierlo sulla terra, ma delle misere stizze umane che sovente si velano con nomi grandi e si divinizzano volentieri (2). All'uomo colpa godere delle altrui pene, e lode il sentirne dolore (3). Nell' uomo viatore è pericoloso godere dell'altrui pena, anco giusta, sebbene anch' egli possa riguardare nella pena il bene che ne consegue all'ordine umano e divino; ma pericoloso è fermarsi a tale godimento in quanto in lui per la debolezza di sua natura possono insorgere passioni che lo rendano colpevole, il che non può essere nẻ in Dio nè nelle anime che hanno compiuta la prova (4).

Quando il Foscolo dunque dice del carme che allegrò l'ira al Ghibellin fuggiasco, mettendo insieme la dolce ira d'Ugo Capeto, e la vendetta allegra di Capaneo (5), oltre al dire cosa che non è vera, dacchè i fatti dimostrano che l'ira del suo carme a Dante non fu fatta allegra, egli accoppia, come gl'imitatori fanno, idee disparate, ed abbassa l'intendimento del Poeta, come sogliono gli animi e gl'ingegni men alti.

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CANTO XXI.

Argomento.

Trovano Stazio poeta. Questi dichiara come il tremare del monte non abbia le solite cause terreIstri, ma sia soprannaturale indizio d'un' anima liberata. Stazio conosce Virgilio affettuosa accoglienza, dimostrante e l'amore che aveva Dante a Virgilio e la riverenza ch'e' teneva debila agli ingegni grandi.

Il nome di poeta stima più durevole e più onorando di tutti. Quest' è la più bella parte del Canto, men pieno che gli altri. Anco l'apparizione di Stazio è poetica. Le allusioni mitologiche abbondano, perchè questo colloquio di pagani. La fine del Canto rammenta il decimonono.

Nota le terzine 1 alla 5; 8, 15, 14; 20 alla 23; 32, 35, 36, 37, 45.

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(F) NATURAL. Conv. I, 1: Coloro che sanno... sono quasi fonte vivo, della cui acqua si rifrigera la natural sete (del sapere). Arist, de Metaphys.: Tutti gli uomini naturalmente desiderano sapere. Questo passo è il cominciamento di più d'un trattato del secolo XIV. Ma la scienza umana non si sazia, dice il Poeta, se la grazia divina non vi si aggiunga. — SAZIA, Conv., IV, 15: Nell' acquisto (della scienza) cresce sempre lo desiderio di quella. Joan., IV, 15: Chi bee di quest'acqua avrà sele ancora... Per essa significansi i beni temporali che avuti si sprezzano e bramansene altri. - SE. Som.: Se si vedesse Dio che principio e fonte di tulla verità, riempirebbe così il natural desiderio di sapere, che non si cercherebbe altro.

SAMARITANA. L'Ottimo traduce il passo di Giovanni : Una femmina venne di Samaria per prendere acqua alla fontana, e Gesù le disse: Donna, dammi bere... La femmina disse: Come mi chiedi tu bere, che se' Giudeo, e io Samaritana?..... Gesù le rispose, e disse: Se tu conoscessi il dono di Dio, e chi è colui che ti chiede bere, tu li domanderesti ch'elli ti desse acqua di vila... La femmina disse: Signore, dammi quest' acqua, ch' io non abbia sete e che non mi sia mestiere venir più qua a cavare acqua (Joan., IV, 7-15). Aug.: Chi berrà del fiume di Paradiso, resta che in lui la sete di questo mondo sia spenta. Conv. I, 1: Siccome dice il filosofo nel principio della prima filosofia, tutti gli uomini naturalmente disiderano di sapere. La ragione di che puole essere, che ciascuna cosa, da provvidenzia di propria natura impinta, è inclinabile alla sua perfezione: onde, acciocchè la scienza è l'ultima perfezione della nostra anima, nella quale sta la nostra ultima felicità, lutti naturalmente al suo desiderio siamo suggetti... Coloro che sanno porgono della loro buona ricchezza alli veri poveri ; e sono quasi

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3. (L) NE: ci.

(SL) Duo. Giacomo e Giovanni che andavano in Gerosolima. Luc., XXIV, 15, 15: Et ecce duo ex illis ibant... dum fabularentur, et secum quærerent: et ipse Jesus appropinquans ibat cum illis.-VIA. Luc., XXIV, 32: Dum loqueretur in via, — SURTO, Luc., XXIV, 31: Surrexit... et apparuit.

4. (L) ADDEMMO: avvedemmo. Si: finchè non. DEA: dia. 5. (L) FRATI: fratelli. LUI 'L CENNO: a lui 'I saluto.

(SL) DEA. Nel Boccaccio. PACE. Parola di Cristo risorto. VOLGEMMO. Reg., I, XXIV, 9: Chiamò dictro le spalle di Saul, dicendo: Signore, re mio. E Saul riguardò dietro a sè. CENNO. Inf. IV: Volsersi a me con salutecol cenno.

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