DIVINA COMMEDIA DI DANTE ALLIGHIERI TRADOTTA IN DIALETTO VENEZIANO E ANNOTATA ᎠᎪ GIUSEPPE CAPPELLI PADOVA DALLA TIPOGRAFIA DEL SEMINARIO 1875 PREFAZIONE Ꮮ dialetto veneziano, fra i tanti parlati in Italia, è senza dubbio il più affine alla lingua pura italiana, e perciò il più idoneo a rilevare la espressione dantesca, oltre di essere il meglio inteso per tutta Italia. Cotal dialetto adunque, sebbene adoperato comunemente per trattare argomenti famigliari e scherzevoli, non è spoglio di venustà, e potremo anche dire di una certa gravità e decoro a preferenza degli altri, che mancanti di tali prerogative, mancano altresì di quella grazia, di quella dolcezza e fluidità che la veneziana parola caratterizza. Ne fanno piena testimonianza l'immortale Goldoni, il Pastò, il Lamberti, il Gritti e il Buratti, nelle più castigate sue composizioni, che seppero all'occorrenza dare al vernacolo la lirica ed elegiaca impronta. La versione della Divina Commedia da me fatta in dialetto veneziano, non già per i dotti, ma per coloro che a tale ordine non appartengono, non esclusi quelli che quantunque di coltura forniti, non vogliono affaticare la mente applicandosi ad uno studio più serio, ha per iscopo di rendere, per quant'è possibile, popolare un' opera astrusa alle volte persino nell' esteriore sua forma, e dai pochi studiosi soltanto compresa, nonchè ad agevolarne la intrinseca intelligenza: al .qual fine ho corredata la versione stessa di note storiche, sacre, profane e mitologiche e della spiegazione ben anco delle più interessanti allegorie, ed a comodo dei lettori non veneziani, vi aggiunsi la dichiarazione nella lingua italiana delle frasi veneziane e dei termini meno comuni. Per l'opportuno confronto sta di fronte alla versione l'originale, e in testa d'ogni canto ho riportato l'argomento composto dal rinomato Gaspare Gozzi, e che pure voltai in veneziano. Fuori di questa via non saprebbesi per verità quale altra migliore possa dare a comprendere il divino poema a que' tali che di buoni studi non sono punto forniti, e indurli a leggere, dopo la traduzione, l'originale, chè non apparirebbe loro, come dapprima, di difficile intelligenza. Del resto il dialetto da me usato, reso così men arduo nella sua vera appropriata intelligenza, è quello che parlasi dalla civile società veneziana, quello usato dai poeti sopraccitati, siccome il più adatto alla dignità del soggetto. Ciò non di meno fino ad un certo punto fui titubante a rendere di pubblica ragione questo faticosissimo mio lavoro; senonchè a vincere la mia esitazione valse il suffragio avuto e l'incoraggiamento datomi da uomini illustri consumati nelle lettere, e segnatamente l'autorevolissimo giudizio del periodico fiorentino L'Unità della Lingua, diretto dall'insigne e chiarissimo filologo Cav. Pietro Fanfani, che dichiarò (V. N.° 10 del 5 Maggio 1873) questa mia traduzione « utile nel riguardo » dello scopo cui mira, e veramente bellissima »; valse l'encomio diffusamente ragionato dal sig. Conte Alessio Besi nel suo dotto opuscolo Della necessità di tornare allo studio di Dante (coi Tipi di L. Merlo di Venezia 1873); come pure il cenno bibliografico inserito nella Gazzetta di Venezia 9 Gennaio 1874 N.° 8, più d'ogn'altra competente in siffatta materia, la quale a proposito del detto opuscolo, manifestò <«< il desiderio di vedere al più presto diffusa questa traduzione ad onore >> del nostro concittadino e del nostro dialetto, che così bene si presta » alla difficilissima versione ». Anche il giocoso Sior Tonin Bonagrazia trovò in questa traduzione materia degna di encomio (Vedi 2 maggio 1874 N.° 52). L'illustre Mons. Canonico Luigi Dalla Vecchia, nel Foglietto di Vicenza (26 Aprile 1874 N.° 17) manifestò l'impressione che gli produssero parecchi saggi di questo mio lavoro. È troppo seducente l'onore che me ne deriva dall'articolo dettato da un personaggio di sì alta fama e per ogni riguardo rispettabilissimo, perchè debba tralasciare, sia pure col rischio di apparire vanitoso, di qui riprodurlo nella sua integrità. Eccolo: << Chi non ha sentito nominar Dante e la sua Divina Commedia? >> Ma quanto pochi la intendon bene e penetrano il midollo che si na»sconde sotto quei versi strani? Commenti sopra commenti vennero fatti, >> tanti da formarne una libreria. Ma volete senza rompicapo, e senza >> tante note farvelo tutto vostro? Prendete in mano il Dante tradotto »>in Dialetto Veneziano da Giuseppe Cappelli, Cappelli, e vi assicuro che la vi>> vacità, la forza, la naturalezza, il fraseggiare di quel linguaggio vi farà >> gustare con vero diletto e senza stento quella sublime Commedia. Fatica >> immensa deve avergli costato a travestirla così; ma si merita gratitudine >> dall' universale, chè interpretazione più esatta non si avrebbe potuto >> fare. Un'occhiata alla terzina di Dante che sta di fronte, un' altra a » quella del Cappelli, e si maraviglierà del come siasi così bene rilevato >> il concetto »>. Che si sappia, fino ad ora quattro poeti italiani, tra cui taluno di chiara fama, fecero prova di tradurre la Divina Commedia, e sono: il D. Nardo: La morte di Ugolino, in dialetto chioggiotto; il Candiani: Un saggio di traduzione di Dante, in dialetto veronese; l' Jacarino: Il popolare Dante, in dialetto napoletano; il Porta: Traduzione libera del Canto I.' dell'Inferno e Frammenti dei canti II.o, III., V., e VII. l'Inferno, in dialetto milanese; ma il tutto si è limitato a semplici tentativi; nessuno ha compiuto l'opera, probabilmente per gli inciampi della troppo ardua fatica. pure del Quanto siasi cresciuto lo studio sulla Divina Commedia lo attesta ad esuberanza l'insegnamento che se ne dà in tutta Europa, ove sono instituite cattedre per farne la spiegazione nei vari idiomi nazionali. Perfino in America il poeta Longfellow si è reso benemerito per i suoi studi Danteschi. Non sarà dunque fuor di proposito il modo per me usato ad estenderne la intelligenza anche a coloro, e sono il maggior numero, che non |