Page images
PDF
EPUB

Si che, con tutto ch' e' fosse di rame,
Pure el pareva dal dolor trafitto:
Così, per non aver via nè forame

Dal principio nel fuoco, in suo linguaggio
Si convertivan le parole grame.
Ma poscia ch' ebber colto lor viaggio

Su per la punta, dandole quel guizzo
Che dato avea la lingua in lor passaggio,

11. CON TUTTO CHE: quantunque, sebbene ec. C. VI. 109, nota.

[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]

12. EL: il bue. El: tronco da ello, voce primitiva usata non di rado dagli antichi, e dal Nostro in molti luoghi del Poema; come Inf. XII, 96 — XIV, 58 — XXIII, 119 XXV, 16-XXIX, 36; nel Purgat. II, 51-XVI, 136-XVII, 117; nel Parad. II, 91 XXV, 59XXVIII, 8 · XXX, 146. La Crusca non ammise questa forma in tutt'i luoghi ch'ella trovasi frequentissima nella Nidobeatina. Ello intero, plur. elli, s'inviene spesso nella Div. Comm. Elli fu anche del meno. Tutti questi pronomi trassero l'origine dal lat. ille. V. Inf. III, 42,nota. 13-18. Così ec. In sentenza: Le parole di colui che parlava dal fuoco si convertivano da principio in mormorio, qual di fiamma percossa dal vento: ma poi apertasi la via su per la ci

ma, s'udivano del tenore che dicono i versi 19 segg. Il simigliante avvenne parlando Ulisse (C. prec. 85-90); ed avverrà tra poco, mentre questo nuovo spirito qui si farà a satisfare alle interroga zioni del Poeta, v. 58 segg.

13. PER NON AVER VIA ec. perchè non aveano via onde potessero uscirne ec. 14. DAL PRINCIPIO: dapprima, nel principio, prima ec. è in correlazione col POSCIA V. 16. PRINCIPIO intesero alcuni espositori la cagione che convertiva le parole in linguaggio del fuoco. Il Biagioli, con cui sta l'E. R., spiega: Così le parole grame, per non aver dal principio via nè forame per uscire del fuoco, si converlivano in suo linguaggio. Il Tommasco chiosa: PRINCIPIO: Lingua, cima, aggiungendo che: Nel Purgatorio il Poeta chiama princi

[ocr errors]

15

Dal

pio la cima d'un monte. La esposizione che abbiam dato col Lombardi e col Bianchi ci pare sia più naturale. principio del fuoco leggono il Landino col Vellutello, il Cod. Cassinese, il Bargigi, il Venturi, il Volpi, il Biagioli, G. B. Niccolini, il Tommasco ec. Dal principio nel fuoco hanno la Nidobeatina, i codd. Pat. 9, 67; l'ediz. della Minerva ; del Fulgoni, Rom. 1791; del De Romanis, Rom. 1822; le prime edizioni di Foligno,e di Mantova fatte nel 1472; quella di Napoli del 1474; è la lezione prescelta dal Witte pel suo testo, e che noi accettiamo col Lombardi e col Bianchi.

cipio che conferma anche la interpretaTra le variorum del Witte è Da prinzione da noi tenuta. IN SUO LINGUAGGro: in linguaggio del fuoco.

[merged small][ocr errors]

16-18. EBBER COLTO LOR VIAGGIO ec. ebber trovato uscita, preso via su per la cima della fiamma, dandole esse parole quella vibrazione che la lingua dello spirito chiuso nel fuoco avea dato proferendole. Il Bargigi ordina: Dandole esse parole IN LOR PASSAGGIO QUEL GUIZZO quel movimento veloce che dato loro avea la lingua interiore del peccatore nella fiamma acceso. Guizzare, dice il Landino, è velocemente muoversi. Guizzo, il Vellutello, crollo, veloce moto. Il Poeta spiega la stessa idea nel trinario 58-60, e codesto guizzo chiosa

[ocr errors]

Udimmo dire: o tu, a cui io drizzo
La voce, e che parlavi mo lombardo,

no le sue parole: l'aguta punta mosse— Di qua,di là ec. La fiamma per le parole, che della sua punta uscivano, guizzava così, come la lingua che le proferiva: o, le parole davano alla fiamma il guizzo, ch' elle ricevuto avevano dalla lingua del parlante. Allo spirito che favella dal fuoco può attribuirsi la lingua, e la finzione poetica è più spontanea che non il dover supporre o che si parli senza lingua, o che le parole escano con quello stesso moto vibrato, che lor dava lo spirito mentre informava il corpo mortale.Nondimeno il Tommasco nota: AVEA: in vita. Ma se a tutti gli spiriti mali e buoni dà il Poeta forme corporee, alti e colori d'uomini viventi; chi gli torrebbe la facoltà di farlo anche ora alle anime incese dalla fiamma?

VIAGGIO, via. En. VII, 534, vocis iter.

19-21. Primamente non vediamo perchè il Lombardi stimi non ordinate le parole di questo luogo, e da doversi costruire: o tu, che parlavi mo Lombardo, dicendo ec. e a cui io drizzo la voce. Prima che lo spirito altro dicesse, drizzò la voce proferendo o tu ec. e le parole nella lor giacitura seguon l'ordine ideale, che piuttosto turberebbesi per la costruzione lombardiana, evidentemente stiracchiata e contraria a quella che il Poeta intese. Secondamente ne pare dover qui porre l' altro modo come costruisce ed intende il Bargigi: 0 tu Lombardo, o tu Virgilio, a cui dirizzo la voce e che parlavi mo con la fiamma dalle due corna dicendole ec. Or poi non vogliamo passarci delle varianti di que sto passo ne' vari testi. V. 19 dirizzo hanno il testo Bargigi e le lezioni variorum riferite dal Witte.-V. 21 istra leggono il De Romanis, Rom.1822; l'ediz. di Foligno, di Jesi an. 1472; di Napoli 1474; il cod. Filipp. del sec. XIV. È lezione prescelta dal Witte pel suo teIn stra, il cod. di Santa Croce; stra, il cod. di Berl. (Bibl. Reale). Istu, il cod. Riccardiano n. 1028, pubblicato da Lord Vernon, pe' tipi del Piatti, Fir. 1846. - Ista, il cod. Cassin.;

sto.

20

l'ediz. del Burgofr., Ven. 1529; la 2a delle quattro Rovelliane, Lion. 1551; di Mantova 1472. Tra le varior. del Witte si novera ista, come anche la lettera sta ten va e statti o va; secondo la quale il Bargigi fece: istà len' va, più non t'adizzo (a). Issa hanno la 1a del Sansovino, Ven. 1564; l'ediz. del Fulgoni, Rom. 1791; della Minerva, Pad. 1822; del Zatta, Ven. 1757; il testo del Land. e Vellut. Ven. 1578, e quasi tutte l'edizioni posteriori.-Tadizzo, l'ediz. della Minerva, Pad. 1822; del Fulgoni, Rom. 1791; di Foligno, 1472; di Mantova, 1472; il Cod. Filippino, sec. XIV; il testo Barg.; il cod. Cassinese; la Nidobeatina seguita dal Lombardi. Te dizzo, l'ediz. di Jesi 1472; t'allizzo, tra le variorum del Witte; t'adrizzo e in queste e nella ediz. del Tuppo, Nap. 1474. T'aizzo è della 2a Rovelliana, Lion. 1551; dell' ediz. del Burgofr. Ven. 1529; del testo Landino e Vellut., Ven. 1578; dei codd. Ang. e Vat. 3199, co' quali legge la 3 rom. edizione e quelle di quasi tutti i moderni espositori.

19. DRIZZO. Convit. Canz.: Voi, ch'intendendo ec.:

Onde 'l parlar della vita, ch'io provo, Par che si drizzi degnamente a vui; Però vi prego che m'intendiate. 20. PARLAVI MO LOMBARDO. Il Venturi: Perchè poi Virgilio parlasse no LomBARDO, non so rinvenire una ragione che vaglia. Il P. Lombardi vuole che qui parlar lombardo s'intenda parlare

dice Bartoliniano a questo passo dice non esservi filologo perito della nostra lingua, che per cagione della parola issa non trovi qui un'aperta contraddizione, ed aggiunge, non esser questo issa sbaglio de' copisti, perchè costoro scrissero istra, lezione che fu tenuta per buona anche da' Comentatori, che credendo istra voce lombarda, l'avvalorarono co' loro comenti. Furono i Fiorentini, che misero mano alla correzione, e ci diedero issa, peggiore ancora dell'istra. Anche il testo Bargigi porta istra, ma il comento legge in due luoghi diversi istà ten' va, per cui si conosce chiaramente, che il copista ha fatto errore nel testo, che dev'esser corretto conforme al comento, come l'abbiam noi riprodotto. »

(a) Dove così il Zacheroni: «L'editore del Co

Dicendo: issa ten va, più non t' aizzo; Perch' io sia giunto forse alquanto tardo, Non t'incresca ristare a parlar meco: Vedi che non incresce a me, e ardo.

italiano; chè francescamente lombardi chiamavansi gl' italiani anche al tempo del Poeta (Purg. XVI, 26, 126). Il Tommaseo riconosce nel motto del verso 21 i modi lombardi; dimanda: Or come Virgilio parlava lombardo ai Greci ? e ri sponde: Non perchè i suoi genitori lombardi (Inf. I), ma per LOMBARDO intendesi forse ITALIANO. Si potrebbe replicare: Or come Virgilio parlava italiano ai Greci ? Il Vellutello: Come parlava Virg. Lombardo a questi Greci, avendo nel precedente canto ammonito Dante, che non parlasse lor Latino temendo, che avessero il suo detto a schifo? parendo conveniente che il Greco palisca meglio il Latino che il Lombardo idioma. A che si risponde, che il Poeta finge, che Virg. per caltar benevolentia da loro, acciò che Ulisse satisfacesse a quello che Dante desiderava intender da lui, fece la sua orazione nella loro materna lingua; inteso poi quello che voleva da lui, poco importava, nel li

cenziarlo, in che lingua si parlassi, non essendo necessario con quelli, che hanno usato l'ingegno nel vizio, d'osservar tutt'i convenienti lermini, come con quelli, che l'hanno usato nella virtù. Ma l'è una mera ipotesi del Vellutello. A che poi cominciar greco e finire il

discorso in lombardo? sarebbe stato inconveniente ed indecoroso, non sapremmo se più all'uditore, o al dicitore. Non si volea esser villano al famoso Ulisse; nè Virgilio è da credere che ispregiasse menomamente l'eroe celebrato pe' versi:

Di quel Signor dell'altissimo canto, Che sovra gli altri com'aquila vola. e l'accomiatare si dovea far con gentilezza pari a quella che splende nel discorso tenuto dal Itacense, per ritrarre, in satisfazion di Virgilio, i più minuti particolari delle sue avventure e della sua fine. Pare adunque che il Poeta latino parlasse sempre italiano come mostra aver fatto nel C. prec. vv. 79-84; e che Ulisse non solo intendeva questa

lingua, ma la parlava (Ivi vv. 90-142) a maraviglia. Dante fece udire la sua favella agl'infernali d'ogni nazione e d'ogni lingua, e agli spiriti più eccelsi del Paradiso. Gli fu detto ch'ei dovesse zittire, perchè i Greci sarebbero stati forse schivi del suo detto (C. prec. 74 seg.); ma è forza convenire che cotesto dello significasse meno la forma del linguaggio, che le cose le quali potess'egli dire per indurre lo spirito a parlare dal fuoco; al che riuscì egregiamente Virgilio. Le parole del commiato non monta che fosser miste di modi lombardi; questi entrando nel patrimonio di nostra lingua, e stando bene in bocca del Mantovano; che dovea, (vedi l'arte del nostro Poeta!) con que' pochi accenti render verosimile la sopravvegnenza d' un altro spirito, e far luogo ad una nuova scena.

: 21. Issa ten va: Ora vattene, Più non T'AIZZO: non ti eccito più oltre a parlare. AIZZARE O ADIZZARE: sluzzicare, in

cilare, e quasi allizzare, ben qui detto là menando la cima della fiamma entro a colui, che non parlava, se non qua e cui era. ISSA, C. XXIII, 7, nota. Altri legge ISTA, TEN VA PIÙ NON T'ADIZZO: resti o vada, non li domando davvantaggio (V.20-21, nota), non ho di che più

intrallenerti.

22. PERCHÈ: tutlochè, quantunque ec. C. VIII, 121 — XV, 15 ec.

del Witte. Ti rincresca stare l'ediz. di 23. RISTARE. Var. di stare, Varior. Jesi 1472; del Caetani; e del Fulgoni, Rom. 1791. Inf. X. 24.

24. E: e pure. Ha qui il valore dell'et adoperato alcuna volta invece di et tamen, o quamvis appresso i latini. Cic. de Sen.: Defendi legem Voconiam magna voce, et videlis annos meos: cioè, ancorchè sì vecchio io sia ARDO: abbrucio in questa fiamma. Il senso è: Se non incresce a me che ardo, manco a te, che non ardi, increscer dovrebbe

[ocr errors]

Se tu pur mo in questo mondo cieco
Caduto se' di quella dolce terra
Latina, onde mia colpa tutta reco;
Dimmi se i Romagnuoli han pace o guerra;
Ch' io fui de' monti là intra Urbino
El giogo di che Tever si disserra.

di stare a parlar meco. Al. lez. che
ardo, ediz, di Jesi, 1472; e del testo
Bargigi; e ardo col codice di Montecas-
sino leggono il Venturi, il Volpi, il Bian-
chi, il Tommaseo ec.; ed ardo, il Lan-
dino e Vellutello,il Lombardi, G. B. Nic-
colini ec. I più hanno onde con l'ediz.
del Burgofr. Ven. 1529, e la 2a delle
Rovell. Lion. 1551. Ma i codici più so-
lenni di Mantova, di Foligno, an. 1472;
di Nap. 1474; il Filippino, sec. XIV; la
1a delle tre Sansovin., 1564, hanno:
ond'io ardo; lezione prescelta dal Witte
pel suo testo, secondo la quale il con-
cetto sarebbe questo: Vedi che non in-
cresce a me (di stare nella fiamma) on-
de, per la quale ec., io ardo.

25. PUR мo: pur ora, testè; lat. modo.-MONDO CIECO; Inferno. Nel C.IV,13:

Or discendiam quaggiù nel cieco mondo. E ciechi, C. VI, 92 seg., son detti i dannati:

Guardommi un poco, e poi chinò la testa
Cadde con essa a par degli altri ciechi.
Il Nostro chiamò cieco il mondo di
qua. Purg. XVI, 65 seg.:

Frate,

Lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.
E il Petrarca disse di Laura, son. 209:
Ch'è sola un Sol, non pure agli occhi miei,

Ma al mondo cieco, che virtù non cura.

CADUTO SE' passato prossimo voluto dal PUR MO del v. prec. Di scusa da, come C. II, 71:

Vegno di loco, ove tornar desio ec. Caduto se' di ec. modo simile a quello del C. XXIV, 122 seg.:

I' piovvi di Toscana

Poco tempo è in questa gola nera. Dove piovvi è caddi, ec. Vedi ivi not. Se nonchè il piovere, in tutt'i luoghi ov'è adoperato, sembra significare maggior moltitudine di dannali che precipitano in Inferno; come C. VIII, 82 seg.: Io vidi più di mille in sulle porte Dal ciel piovuti.

25

30

non Ulissi, Diomedi e Guidi da Montefeltro in terra.

DOLCE TERRA. Dolce, perchè patria.
En. IV, 281:

Ardet abire fuga, dulcesque relinquere terras.
Ivi X, 781 seg.:

nota.

Sternitur infelix alieno vulnere, coelumque Adspicit, et dulces moriens reminiscitur Argos. 27. LATINA: d'Italia, C. XXII, 65, Terra latina, anche nel C. seguente, v. 71. ONDE: dalla quale. Ond'io è delle più antiche edizioni. MIA colpa tutti, al. lez. tulla mia colpa è del cod. Caetani. Usato qui il sing. pel plur. come in Virg. Ecl. 1: Quamvis multa meis exiret victima septis ec. ovvero al modo lat. mea culpa omnis.— RECO pres. pel passato. Arreco legge l'ediz. di Jesi, an. 1472.

terra

Latina, ond'io tutta mia colpa reco.

In essa avendo consumala ogni mia vila. Bargigi. Con che accenna d'essere un italiano e aver vissuto e peccato in Italia, e forse più ch'altro per amore d'Italia. Bianchi. Quest'ultima interpretazione starebbe col testo, pigliando l'ONDE in sentimento di per cui cagione; e RECO MIA COLPA porto pena de' miei falli; ma si sforzerebbe la locuzione. Il dotto espositore ha posto Guido a paro d'Ulisse, che per amore portava alla Grecia machinò la distruzione di Troja. Ma per frode nessun vero bene s'acquistò mai alla patria sua.

28-30. CH'IO FUI: perch'io fui romagnuolo, ed ho curiosità di sapere lo stato della mia patria.

29 seg. DE' MONTI ec. di Monte Feltro, città posta sopra un monte tra Urbino, città della Marca ne' confini della Romagna, e quella parte dell'Appennino, onde si disserra: si dischiude, esce fuori (Vellut.) nasce e dismonta (Barg.) scaturisce, prende origine IL TEVERE.E v'avea più spiriti mali in cielo, che Il Tommaseo nota: « DISSERRA. Arios.,

-

-

Io era ingiuso ancora attento e chino,
Quando l mio Duca mi tentò di costa,
Dicendo: parla tu, questi è Latino.
Ed io ch' avea già pronta la risposta,

Senza indugio a parlare incominciai:
O anima, che se' laggiù nascosta,
Romagna tua non è, e non fu mai

XXXI: Guicciardo al corso si disserra.Disserrarsi il Sacchetti (Nov. XXI) degli asini ». Ma qui la metafora par tolta da' cavalli e dagli asini, che usciti del chiuso scapolano e trottano più volentieri; e le fonti han d'ordinario placida la loro sorgente: aquae lene caput. Horat. GroGo: dosso del monte. Virg. Ecl. V, 76:

Dum juga montis aper, fluvios dum piscis ama(bit ec. Che T. Tasso, nel Rogo di Corinna, traduce così:

Mentre il cinghial de' monti i duri gioghi, Mentre il pesce amerà gli ondosi fiumi ec. 31. INGIUSO ANCORA ATTENTO ec. verso la oltava bolgia, che assimigliasi alla vallea (C. prec. v. 29); ove gli spiriti si moveano per la gola del fosso (ivi v. 40 seg.); il Poeta stava sopra 'l ponte a veder surto ec. e il suo Duca, che lo vede tanto atteso, gli dà contezza di loro (ivi v. 43 segg.). La voce ANCORA dipinge l' attitudine, in cui già era il Poeta.

32. Mi tentò di costa. Tentare,stigare altrui col gomito o con la mano per farlo attento. C. XII, 67:

Poi mi tentò e disse: quegli è Nesso.
Orazio, II, Satyr. 5:
Nonne vides(aliquis cubito stantem prope tangens
Inquiet) ut patiens? ut amicis aptus? ut acer?

DI COSTA: di fianco.

33. PARLA TU, QUESTI È LATINO. Parlò Virgilio ai Greci Ulisse e Diomede per quel ch'è detto nel C. XXVI, 70-75. Consente ora egli che il nostro poeta parli a Guido Montefeltrano.C.XXII.65. LATINO: italiano. V. v. 27, nota ec. 36. ANIMA... LAggiù nascosta. Perchè laggiù se chi ode è presente a chi parla? Per la stessa ragione, onde lo spirito dice al v. 128 seg.:

Perch'io là dove vedi son perduto,
E si vestito andando mi rancuro.

35

L'anima in fiamma volante trovavasi per incidente dinanzi ai Poeti; ma il luogo nel quale fu dannata è sempre il fos so della bolgia (XXVI,41) o fondo (v.64) ov' ella cadde, e stavvi quasi seppellita (condila) e NASCOSTA: nascosta, poichè Guido fu di gran fama, ed ora lo serra una gola d'Inferno, che fa assai contrapposto a quel che dice il v. 78. Più probabilmente ne pare che laggiù nascosta sia detto secondo quel verso (XXVI 42):

E ogni fiamma un peccatore invola. ed è anche nascosta perchè (XXVI, 48):

Ciascun si fascia di quel ch'egli è inceso. Laggiù e là posson dinotare ne' passi accennati nel luogo in genere, senza relazione a distanza da chi parla e da chi ascolta. Così il Petrarca prendendo per astrazione sè e il suo cuore quasi da sè distante dice son. 1:

Era la mia virtute al cor rist retta, Per far ivi, e negli occhi sue difese, Quando il colpo mortal laggiù discese, Öve solea spuntarsi ogni saetta. Oltre di che ne' versi di Dante i due non far confondere, ma di considerar la avverbi sono anche adoperati con arte di fiamma come separata, distinta ed estranea dallo spirito ch'essa involgeva.

37 seg. NON È, E NON ec. Tra le lezioni variorum del Witte trovasi la variante nè non che piacque al Costa, la qual certo non è spregevole; essendo appresso i nostri antichi scrittori frequentissimo l'uso della particola nè come congiunzione copulativa. Ni valse e appo i Princ. Lib. I, part. II, cap. VII. Ed anProvenzali. Egid. Colonn., Govern. dei co dovemo sapere che siccome noi avemo delto, questi costumi nè queste maniere in neuna persona fanno necessità, Jacopo da Lentino, son. Madonna ha in sè vertute ec. dice:

Di nulla cosa non ha mancamento
Ne fu, ned è, nè non sarà sua pari ec.
Vedi C.II, 93, e la nota n. 2o. Non-

« PreviousContinue »