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Poeta, e al suo solito ne condensa in poche parole la moralità e la bellezza. Rechiamo parte del passo di Niobe, quale è in Ovidio:

Nec tamen admonita est pœna popularis Arachnes
Cedere cœlitibus, verbisque minoribus uti.
Multa dabant animos: sed enim nec conjugis artes,
Nec genus amborum, magnique potentia regni,
Sic placuere illi (quamvis ea cuncta placebant),
Ut sua progenies: et felicissima matrum
Dicta foret Niobe, si non sibi visa fuisset.

Utque oculos circumtulit alta superbos;
Quis furor auditos, inquit, præponere visis
Cœlestes?

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Quærite nunc, habeat quam nostra superbia caussam.
Miseranda vel hosti;

Corporibus gelidis incumbit; et ordine nullo
Oscula dispensat natos suprema per omnes.
Orba resedit

Exanimes inter natos (1), natasque virumque:
Diriguitque malis.

.

lumina mæstis

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pena che ad esso tocca, e del premio che al bene contrario, ma anco dall'andare che fa il Poeta curvo a pari coll'ombre. Gli argomenti che insegnano umiltà e che dissuadono superbia e gli effetti di lei sono liricamente disseminati per i tre Canti, e con virtù meglio che scientifica in breve accolti. Il superbo non pensa alla comune madre (1); il figliuolo d'Eva va col viso altiero (2) senza guardare a sua via; il verme non s'accorge della sua piccolezza; l'embrione e l'aborto del verme invanisce dell'imperfezione sua (3). Le posse (4) degli uomini miseri lassi (5) montano in vanagloria e non sanno di volare incontro a quella giustizia, innanzi a cui l'umana albagia non ha schermo (6). Quel sole che fa spuntare la gloria, quel medesimo la fa smuorire; quella fama per la cui gelosia l'uomo è scortese, è un fiato mutabile, una luce oscurata da altra luce che segue, è un punto impercettibile rispetto all'eternità (7). L'orgoglio è infermità dell'occhio e della mente (8), è caligine e tumore (9), giogo di servitù (10), contrazione che rannicchia le forze e le rende sconoscibili (11), sogno d'affanno che fa ire senza riposo (12), a passi radi e sovente ritrosi (13); e trae nel malanno le intere generazioni (14).

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CANTO X III.

Argomento.

Nella seconda cornice gl'invidiosi appoggiali al livido masso, coperti di vil cilicio, reggendosi l' un con l'altro, perchè sentano la necessità del mutuo sofferirsi; chiusi gli occhi da un filo di ferro, gli occhi già dall'invidia accecati. Voci passano per l'aria confortanti ad amare, e rammentano le dolci parole che María disse alle nozze di Cana, e l'amore d'Oreste a Pilade, e il precelto evangelico d'amare il nemico.

La mitologia s'intromette sempre al vero, perchè la mitologia è a Dante simbolo, o vestigio di storia. E tutti gli esempi celebri, di qualunque natura sieno, fanno per lui, purchè celebri. Lo dice nel XVII del Paradiso. Nota le terzine 3, 4, 6; 9 alla 13; 15, 16, 17, 20, 21: 24 alla 27; 30, 33, 34, 39, 41, 43, 45, 49, 51.

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(SL) LEGA. Vincire per circondare è in Virgilio. En., VI: Palus... unda alligat. PIEGA. Semintendi, nel proprio: Piegare l'arco. Purg., XXXII: La ruota Che fe' l'orbita sua con minore arco. 3. (L) GLI: vi. SEGNO Scolpito. - PAIA: appariSCHIETTA: senza rilievi. · COL: Come. (SL) OMBRA Sap., XV, 4: Umbra picturæ... effigies sculpta per varios colores. GLI. Savonarola: Non gli pensa (per ci). - SCHIETTA. Essendo gl' invidi ciechi, sentono, ma non vedrebbero scolpiti gli esempi del bene che al loro male è contrario.

sce.

4. (L) ELETTA: scelta; da che parte volgere. ́(SL) ELETTA. L'usa l'Ariosto (XIX, 92).

(F) FORSE. Con la ragione prevede che gl' invidi non debbono, come i superbi, girare; perchè l'invidia ha astio dell' andare altrui, ma non va.

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5. (SL) SOLE. Æn., VIII: Ætherei spectans orientia Solis Lumina. Il sole gli stava a destra, passato il mezzodi (V. Purg., XII, t. 27). PORSE. Inf., XVII, t. 40: Con gli occhi in giù la testa sporgo, -CENTRO. Volge a destra; come sempre farà. Nell' Inferno sempre a sinistra. Nota i modi varii co' quali dipinge l'atto dell' andare (Inf., I). Nè rifugge dalle forme scientifiche; le trova poetiche, non le fa. - TORSE. Per il semplice volgere. Æn., IV: Cursus detorquet. - VI: Vestigia torsit.

(F) SOLE. Virgilio, ossia la ragione che lo conduce, si volge al Sole perché gli scorga il cammino, vale a dire la scienza speculativa. Joan., I, 9: Lux vera quæ illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum. 6. (L) A CUI FIDANZA: in te fidando. SI VUOL: richiedesi.

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8. Quanto di qua per un migliaio si conta, Tanto di là eravam noi già iti

Con poco tempo, per la voglia pronta. 9. E verso noi volar furon sentiti,

Non però visti, spiriti, parlando Alla mensa d'amor cortesi inviti. 10. La prima voce che passò volando,

Vinum non habent, altamente disse; E dietro a noi l'andò reïterando. 11. E prima che del tutto non s'udisse,

Per allungarsi, un'altra: «I' sono Oreste, » Passó gridando; ed anche non s'affisse. 12.0 (diss' io) padre, che voci son queste? E com'io dimandai, ecco la terza, Dicendo: « Amate da cui male aveste. » Questo cinghio sferza La colpa della 'nvidia: e però sono Tratte da amor le corde della ferza.

13. Lo buon maestro:

Met., IV: Tu puer æternus, tu formosissimus alto Conspiceris cœlo. - PRONTA. Per spingere è nelle Rime, per sollecitare è nel Boccaccio. Da premere, imprenta e impronta.

(F) Duci. Cic., Somn. Scip.: Sol, mens mundi et temperatio... dux et princeps luminum reliquorum. Se grazia soprannaturale non ci stimoli, la naturale ragione dev' essere nostra guida.

8. (L) PER LA VOGLIA PRONTA: vogliosi di andare. (SL) MIGLIAIO. Decreto fiorentino del 1557 : Un migliaio per un miglio di strada. Disillabo, come nel Petrarca Pistoia, e simile nel Berni. CON POCO TEMPO. altrove Con picciol tempo. PRONTA. Som.: Voluntatem promptam.

-

9. (SL) SPIRITI. Forse angelici. Non si veggono, perchè gl'invidi già son ciechi.

(F) MENSA. Luc., XIV.

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(SL) ORESTE. Altri intende qui rammentata l' invidia d' Oreste, sposo ad Ermione figliuola di Menelao; la quale presagli da Pirro che diede Andromaca ad Eleno, Oreste uccise Pirro, come nel III dell' Eneide. Ma meglio intendasi dell' amicizia d' Oreste a Pilade ; che amicizia accomunando i beni, è direttamente contraria all' invidia. E a così intendere ci consiglia il vedere che gli altri due esempi son tutti d' amore, e il Poeta dirà: Tratte da amor le corde della ferza (Terz. 13). Gli esempi d'invidia vengono nel seguente Canto. 12. (L) Cur: chi.

(F) AMATE. Ad Rom., XII, 17: A nessuno reddendo male per male. Luc., VI, 27, e Matth., V, 44: Amate i vostri nemici, fate del bene a chi odia voi.

13. (L) GinghIO del monte. SFERZA.. A... punisce con esempi d'amore, contrarii all' invidia.

(SL) SFERZA. Per incitarli a carità sono sferzati con esempi d' amore: per ritrarli da invidia son frenati con esempi del vizio e de' suoi danni: Aglauro e Caino (Purg., XIV, t. 47). - FERZA. Traslato alquanto contorto. Ma non bello nè anco in Virgilio: Palmes... laxis... immissus habenis (Georg., II).

14. Lo fren vuol esser del contrario suono. Credo che l'udirai, per mio avviso, Prima che giunghi al passo del perdono. 15. Ma ficca gli occhi per l'aer ben flso,

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E vedrai gente innanzi a noi sedersi: E ciascun è lungo la grotta assiso. 16. Allora più che prima gli occhi apersi;

Guardámi innanzi, e vidi ombre con mantı Al color della pietra non diversi. 17. E poi che fummo un poco più avanti, Udi' gridar: « Maria, ôra per noi; »

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Gridar: Michele, e Pietro, e tutti i Santi. » 18. Non credo che per terra vada ancoi Uomo si duro, che non fosse punto Per compassion di quel ch'i' vidi poi; 19. Chè quando fui si presso di lor giunto, Che gli atti loro a me venivan certi, Per gli occhi fui di grave dolor munto. 20. Di vil cilicio mi parean coperti;

E l'un soffería l'altro con la spalla,
E tutti dalla ripa eran sofferti.

21. Così li ciechi a cui la roba falla,

Stanno a' Perdoni a chieder lor bisogna; E l'uno il capo sovra l'altro avvalla, 22. Perchè 'n altrui pietà tosto si pogna,

Non pur per lo sonar delle parole,
Ma per la vista, che non meno agogna.

14. (L) VUOL: deve. PASSO DEL PERDONO: dove l'Angelo ti raderà un altro P. (SL) SUONO. Freno e suono, metafore disparate. - PERDONO. Purg., XV, t. 8.

· CONTRARIO all' invidia. - AL

(F) Avviso. Con la ragione lo deduce. Perchè ciò che spetta ai vizii e alla loro natura, alla ragione è accessibile.

15. (L) GROTTA: rupe.

-16. (L) AL: dal.

(SL) COLOR. Livido, come d'invidi. Ovid. Met., II: Nee lapis albus erat: sua mens infecerat illam. Ovid. Trist., III, 9: Pallor in... ore sedet.,

(F) COLOR. Vite ss. Padri: Come la rugine consuma il ferro, così l'invidia il cuore. L'invidioso è dentro si occupato e amaricato, che non può fare che nol dimostri per segni che appariscono fuori.

17. (L) MARIA, ORA PER NOI...: le litanie de' santi. 18. (L) ANCO: oggi.

(SL) ANCO. Purg., XX, t. 24. Da hac hodie. Vive nel Trentino. I Provenzali: ancuí.

19. (L) CERTI: chiari. PER GLI OCCHI FUI DI GRAVE DOLOR MUNTO: piansi.

20. (L) SOFFERÍA: reggeva.

(SL) SPALLA. Conv. Ciechi con la mano sulla spalla a questi mentitori.

(F) CILICIO. Girolamo, citato da Pietro: Chi è peccatore siccome l'invidioso e a chi la coscienza rimorde si cinga di cilicio le reni. Il cilicio dipinge i pungoli dell' invidia. SOFFERÍA. Al contrario di quel che fanno nel mondo gl' invidi, che si gettano a terra l' un l'altro e soppiantano.

21. (L) FALLA: manca. PERDONI: Inoghi e di di festa solenne. AVVALLA: china. 22. (L) POGNA: ponga. --AGOGNA: soffre quasi agonia. (SL) POGNA. Purg., XVIII: Nuovo pensier dentro da me si mise. -VISTA. Similitudine alquanto lunga.

23. E come agli orbi non approda 'l Sole, Così all'ombre dov'io parlava ora Luce del ciel di sè largir non vuole; 24. Ch'a tutte un fil di ferro il ciglio fora E cuce, si com'a sparvier selvaggio Si fa, però che queto non dimora. 25. A me pareva andando fare oltraggio, Vedendo altrui, non essendo veduto: Per ch'i' mi volsi al mio consiglio saggio. 26. Ben sapev'ei che volea dir lo muto: E però non attese mia dimanda, Ma disse: Parla, e sii breve e arguto. 27. Virgilio mi venía da quella banda

Della cornice, onde cader si puote, Perchè da nulla sponda s'inghirlanda. 28. Dall'altra parte m'eran le devote

Ombre, che per l'orribile costura Premevan si che bagnavan le gote. 29. Volsimi a loro, e: O gente sicura (Incominciai) di veder l'alto lume Che'l disio vostro solo ha in sua cura; 30. Se tosto grazia risolva le schiume

Di vostra coscienza, sì che chiaro Per essa scenda della mente il fiume, 31. Ditemi (che mi fla grazioso e caro)

S'anima è qui tra voi che sia latina:
E forse a lei sarà buon s'io l'apparo.

32. O frate mio, ciascuna è cittadina

D'una vera città: ma tu vuoi dire, Che vivesse in Italia, peregrina. — 33. Questo mi parve per risposta udire

35.

Più innanzi alquanto che là dov'io stava : Ond'io mi feci ancor più là sentire. 34. Tra l'altre, vidi un'ombra ch'aspettava In vista; e se volesse alcun dir: « Come? . Lo mento a guisa d'orbo in su levava. Spirto (diss' io), che per salir ti dome, Se tu se' quelli che mi rispondesti, Fammiti conto o per luogo o per nome. 36. I' fui Sanese (rispose): e con questi Altri rimondo qui la vita ria, Lagrimando a Colui che se ne presti. 37. Savia non fui, avvegnachè Sapia

Fossi chiamata e fui degli altrui danni Più lieta assai che di ventura mia. 38. E perchè tu non credi ch'i' t'inganni, Odi se fui, com' io ti dico, folle. Già discendendo l'arco de' mie' anni, 39. Erano i cittadin' miei, presso a Colle, In campo giunti co' loro avversari; Ed io pregava Dio di quel ch'e' volle. 40. Rotti fur quivi, e vôlti negli amari Passi di fuga e veggendo la caccia, Letizia presi ad ogni altra dispári;

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(SL) APPRODA. Come arrivare: metafora tolta dalla nave. L' Ottimo interpreta: giova. Inf., XXI, t. 26. SOLE. Ovidio, della casa dell' Invidia: Sole carens... caligine semper abundet (Met., 11). - ORA. Purg., XI, t. 40: Di cui tu parlavi ora.

24. (L) NON DIMORA senza questo. 25. (L) CONSIGLIO: consigliere.

(SL) VEDENDO. Qual poeta oserebbe oggidì nel verso medesimo questo vedendo ed essendo veduto; ma qual direbbe con maggiore evidenza? CONSIGLIO. È nel Villani e nelle Istorie pistolesi.

26. (SL) Sapev'. Inf., XVI. - Muro. Purg., XXI, t. 55: Con viso che, tacendo, dicca: Taci.»

(F) ARGUTO. Spesso il Poeta loda la brevità; e nella Volgare Eloquenza (I, 15) la garrulità come vizio condanna.

27. (SL) INGHIRLANDA. Inf., XXXI: Montereggion di torri si corona.

28. (L) COSTURA del fil di ferro. PREMEVAN SI CHE BAGNAVAN LE GOTE: il dolore spremeva lagrime. 29. (SL) ALTO. Purg., VII, t. 9: L'alto Sol che tu disiri. FIUME idea del bene.

30. (L) SCHIUME: peccati.

(F) FIUME. Il vero nell'anima pura scende puro, irriguo, sonante.

31. (L) LATINA: italiana. novella lassù.

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SARA BUON: ne recherò

(SL) GRAZIOSO. Vers. di Livio: Graziose condizioni di pace. CARO. Più che grazioso, perchè vale prezioso per affetto.

32. (L) FRATE: fratello. - CITTA celeste. (SL) [CITTÀ. Tasso, XIV, st. 7: Qui cittadin della città celeste.]

(F) CITTADINA. Med. Alb. Cr. : Anima cittadina di Gerusalem. Vita Nuova: Era fatta delle cittadine di vita eterna. Ad Ephes., II, 19: Jam non... hospites, et advenc sed... cives sanctorum.

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34. (L) CH'ASPETTAVA IN VISTA; mostrava d'aspettarmi. 35. (L) CONTO: noto. LUOGO: patria. 36. (L) RIMONDO: purgo. -A COLUI: a Dio.

NE: sè a noi.

SE

(SL) PRESTI. Par., I: 0 divina virtù, se mi tí presti Tanto...

37. (SL) SAPÍA. De' Provenzani, gentildonna: altri la dice moglie a Cino di Pigezo: visse confinata a Colle, ove, rotti i Sanesi da' Fiorentini, ella che odiava i suoi, ne gioi: Ott.: Per vedere sali in una torre, e dice che prego Iddio che i Sanesi fossero sconfitti... Oh quante volte in questa Provincia di Toscana cotali prieghi sono stati fatti per mali cittadini. Di questa sconfitta, nel Canto XI, t. 41. Scherza sul nome, come su quello di Cane nel primo dell' Inferno; e di Giovanna e Felice nel XII del Paradiso. Tra i nomi e le cose gli antichi trovavano alcun'armonia. Così nel libro di Ruth (I, 20), Noemi vuol farsi chiamare Mara, perchè piena di grandi amarezze.

38. (L) ARCO DE' MIE' ANNI: trentacinque anni.

(SL) ARCO. Conv., 1: Fino al colmo della mia vita (ai trentacinque anni). Altrove: Procede la nostra vita ad imagine d'arco, montando o discendendo. Petr.: Giunto al loco Ove scende la vila che alfin cade. 39. (L) Di quel ch' e' volle: che perdessero. 40. (L) CACCIA della rotta. DISPARI: maggiore.

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41. (SL) MERLO. Chiamansi in Lombardia giorni della merla i tre ultimi di gennaio: e son freddi, dice la favola, per punire la merla che, sentendo a que' di mitigato il freddo, si vantò di non più temere gennaio. Questo notano il Vellutello e il Daniello. Ott. Dicesi favolosamente, che il merlo al tempo della neve sta molto stretto, e come vede punto di buono tempo dice: non ti temo, domine, ch' uscito son del verno. 42. (L) DOVER: debito di pene.

43. (L) A cui DI ME... INCREBBE: pregando la fece dall' Antipurgatorio passare nel Purgatorio.

(SL) PIER. Terziario eremita da Campi, nel Chianti, sette miglia da Siena. Nel 1328 si ripigliò la festa di lui per alcun tempo intermessa (Tommasi, p. II, pag. 258). Ott.: In Siena al tempo dell'autore fece molti miracoli, in sanare infermi, e in vedere molte rivelazioni: al quale la detta donna in vita facea visitazioni ed elemosine, e pregavalo che per lei pregasse. Dice che Piero Pettinagno fu fiorentino per nazione. D'un frate autorevole per santità nelle cose civili parla Dino Compagni (II, 90). INCREBBE. Dante, Rime: E' m' incresce di me si malamente Ch ́altrettanto di doglia Mi reca la pietà quanto il martiro.

44. (L) SPIRANDO: Sapia sente il respiro dall' aria

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45. Gli occhi (diss' io) mi fieno ancor qui tolti, Ma picciol tempo; chè poca è l'offesa Fatta per esser con invidia vôlti. 46. Troppa è più la paura ond'è sospesa L'anima mia del tormento di sotto; Chè già lo 'ncarco di laggiù mi pesa. 47. Ed ella a me: Chi t'ha dunque condotto Quassù tra noi, se giù ritornar credi? — Ed io: Costui ch'è meco, e non fa motto. 48. E vivo sono: e però mi richiedi, Spirito eletto, se tu vuoi ch'i' muova Di là per te ancor li morta' piedi. 49. Oh questa è a udir si cosa nuova (Rispose), che gran segno è che Dio t'ami: Però col prego tuo talor mi giova. 50. E chieggioti per quel che tu più brami, Se mai calchi la terra di Toscana, Ch'a' miei propinqui tu ben mi rinfami. 51. Tu li vedrai tra quella gente vana,

Che spera in Talamone; e perderágli Più di speranza ch'a trovar la Diana. 52. Ma più vi metteranno gli ammiragli.

45. (L) Offesa a Dio.

46. (L) DEL TORMENTO DI SOTTO: della superbia. 48. (L) PER TE: per giovarti.

50. (L) RINFAMI: che non sono dannata. 51. (L) PERDER AGLI PIÙ DI SPERANZA...: ci perderà in questo più speranza che...

(SL) VANA. Inf., XXIX, t. 44. - TALAMONE. Per avere il porto di Talamone comprato nel 1303 dai monaci di Montamiata per novecento fiorini, castello al fine della Maremma, si credono già uomini di mare. L'Ottimo: Perocchè il porto è profondo, e sarebbe di grand' utile se fosse abitato da genti; li Sancsi v' hanno consumata molta moneta in rifarlo più volte e mettervi abitanti: poco giova, perocchè l'aere inferma non vi lascia moltiplicare gente. DIANA. Credevano anticamente vi fosse un fiume sotterra, e molti cavarono indarno. Anco ai tempi di Dante (Tommasi, p. I, pag. 53). 52. (L) Più vi METTERANNO GLI AMMIRAGLI: più vì rimetteran que' che saranno mandati ammiragli del nuovo porto.

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