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Lo Duca stette un poco a testa china,

Poi disse: mal contava la bisogna
Colui che i peccator di là uncina.
El Frate: io udi' già dire a Bologna

Del Diavol vizi assai; tra i quali udi',
Ch' egli è bugiardo e padre di menzogna.
Appresso 'l Duca a gran passi sen gì,
Turbato un poco d'ira nel sembiante:
Ond' io dagl' incarcati mi parti'
Dietro alle poste delle

a mo' di costa. SOPERCHIA: si leva alto
dal fondo. Così C. XXI, 51:

Non far sovra la pegola soverchio. 139-141. STEtte un poco a TESTA CHI

NA: atto significativo di raccoglimento e di riflessione. Virgilio sospetta trovarsi già nel medesimo luogo, dond' erasi con Dante messo in marcia con la compagnia de'diavoli, sotto la scorta di Barbariccia. I Poeti si volsero sempre da man manca per grand' arco di cerchio, sul sesto argine: altro lungo tratto ne corsero fuggendo le insidie degli angeli neri: si precipitano dalla pendente roccia nella bolgia degl'ipocriti, e vanno con questi anche a sinistra: restava ben poco di via per compiere il giro della stessa circonferenza. In tutto questo andare non venne veduto a Virgilio nessun ponte (a); onde coglie bugiardo il diavolo Malacoda nelle insidiose parole (C.XXI, 125 seg.):

care piante.

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abbiano errando a dir quello, che fu una bugia de' diavoli barattieri.

142-144. IO UDii ec. Vedi quel Frate ipocrita come non per anco ha smesso di tener sermone de' vizi de'diavoli, e parla quasi che ti volesse catechizzare. Dante con que' suoi tratti di pennello ti dipigne a vivo questi Farisei, i quali gridano contro i vizi e ne son brutti; predicano le virtù e non ne hanno fiore. A BoLOGNA; dove il Frate mostra aver fatto assai progressi in divinità! (b).

UDI'. Qui Dante scrisse udi e al verso 147 PARTI in vece di udii, parlii. La rima essendo con gì; non si potrebbe la cosa altramente spiegare, che come sta detto nel C. XVII, 122, nota.

145. A GRAN PASSI ec., quasi per guadagnare il tempo perduto a cagione del tardo andare di quegl'ipocriti, e dell'essersi troppo intrattenuti i Poeti co' diavoli aggirandosi sull'argine degl' impegolati, e indi volti per tutta una cerchia.

146. TURBATO ec. dell' aver discoperto le trame ordite da Malacoda, e delle beffe di que' diavoli barattieri ec.

Costor sien salvi insino all'altro scheggio, Che tutt'intero va sopra le tane. ed esce in questa sentenza (v.140 seg.): Mal contava la bisogna Colui che i peccator di là uncina. Questa sentenza sarebbe mal dedotta, dov'egli non avesse chiuso il cammino a tondo; e resterebbe illesa la fama di Malacoda, se questi dir potesse ai Poeti : Proseguite il viaggio per questa bolgia, e più innanzi troverete il ponte, di cui vi parlai. Coloro, dunque, che col P. Lombardi, col Tommaseo, e col Bianchine, e imitato il gran Poeta latino; a cui dice altrove (C. I, 83 seg.):

ammettono più di un sol ponte in Malebolge, stieno sull' avviso, che mal non

(a) Supposti i molti ponti, gli archi caduti nella bolgia degl'ipocriti avrebber fatto una ruina simile a quella di cui parla il Poeta al v. 137; il che ed avrebbe impedito il passaggio de' dannati, e se ne sarebbe fatto alcun motto.

148. POSTE O PESTE, come altri leggono,son le orme o le vestigia.-DELLE CARE PIANTE di Virgilio. CARE, perchè il Nostro si gloria aver seguitato la Ragio

Vagliami il lungo studio e'l grande amore,
Che m'han fatto cercar lo tuo volume.

(b) Ne' Farisei e ne' Frati Gaudenti il Poeta flagella l'ipocrisia religiosa insieme e politica. E da essa la pena ch'egli le dà, gittandola nella fiera gola del sesto fosso tra la pece dei barattieri e le anfesibene de' ladri.

CANTO XXIV.

Settima bolgia: I Ladri.

In quella parte del giovinetto anno,
Che 'l sole i crin sotto l' Aquario tempra,
E già le notti al mezzo dì sen vanno;
Quando la brina in su la terra assempra
L'imagine di sua sorella bianca,
Ma poco dura alla sua penna tempra;

1-6. IN QUELLA PARTE ec. Da questo verso al 18 il Poeta per modi, figure e locuzioni elettissime, dice in sentenza, ch' egli sbigotti al vedere (Canto prec. v. 146) turbato d'ira il suo Duca; ma che questo suo shigottimento durò tanto poco, quanto dura la brinata percossa dal sole, e il tribolo del villano che quella vede biancicare per la campagna, e poi dileguatasi fa egli cuore e rimena a pascere le pecorelle.

IN QUELLA PARTE DEL GIOVINetto anNo ec. In quella parte del nuovo anno, in cui il Sole, entrato ai 21 di gennaio nel segno zodiacale d'Aquario, tempra, cioè non ha nè sì deboli, come per l'innanzi, nè sì cocenti i suoi raggi, come verran dappoi;e le notti invernali già sì lunghe si accostano omai all'equinozio, avendo la durata di 12 ore che sono il mezzo dì, cioè la metà di ore 24, ch'è tutto il giorno naturale. Ed è quanto dire: verso il 15 di febbraio (a).

GIOVINETTO ANNO. Dante dice nel Convito: che l'umana vita si parte per qualtro etadi che sono l'Adolescenza, la Gioventule, la Senettute e il Senio. Ciascuna di queste s'appropria due de' quattro combinatori delle contrarie qualità, che sono il caldo, l'umido, il secco e il

(a) A giustificare l'anticipata cessazione dei troppi rigori iemali, e l'avvicinamento all'equinozio, nel punto di tempo toccato qui dal Poe: ta; giova notare che il 1300, (cioè tre secoli prima della Correzione Gregoriana), nel calcolo dell'annuo corso solare si contavano sette giorni dippiù. Questo errore portava che il sole trovandosi già da sette giorní in Ariete si tenea come stesse ancora sotto il segno dell'Aquario. Dippiù il Nostro non dice che fosse allora l'equinozio; ma che le notti SEN VANNO a quello: com'è verissimo.

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freddo; e queste quattro parti si fanno simigliantemente nell' anno in Primavera, in Istate, in Autunno, e in Inverno (b).

La prima età dell'anno risponde all'Adolescenza, la quale è accrescimento di vita... E perocchè infino a quel tempo l'anima nostra intende al crescere e allo abbellire del corpo; onde molte e grandi trasmutazioni sono nella persona, o, come dice in versi:

E nella prima etate

È sua persona acconcia di biltate. ecco il giovinetto anno temprar sotto Aaltitudinem suam ul in robur revertiquario i suoi crini. Macrob.; Sol in

tur iuventutis. Metafore ovvie nel Petrarca ed in altri poeti.

ASSEMPRA ec. Mostra esemplo,rappresenta l'immagine della neve. BargigiCopia. Tommaseo Ritrae, ricopia Rassol'imagine della neve. Bianchi miglia: propriamente è ritrarre e copiare; nè la credo licenza poetica quasi dica ASSEMPRA per assembra, rassembrare. Venturi-Sembrare, somigliare. Volpi-Il Lombardi crede che qui Dante abbia adoperata figuratamente la frase assempra l'immagine, secondo che gli antichi Toscani dissero assemprare libri e scritture per ricopiarle; e per non uscire del traslato aggiunga che la tempra poco duri alla penna, a significare la poca durata della brina. Assemprare per ricopiare o ritrarre usò il Davanzati, Vit. di Agric.: L'effige della mente è eterna,nè con allra materia od arte straniera l'assemprerai nè man

(b) Comento alla canz.: Le dolci rime d'Amor, ch'i' solta ec.

Lo villanello, a cui la roba manca,

Si leva e guarda, e vede la campagna
Biancheggiar tutta, ond' ei si batte l'anca;
Ritorna a casa, e qua e là si lagna,

Come 'l tapin che non sa che si faccia;
Poi riede, e la speranza ringavagna,
Veggendo 'l mondo aver cangiata faccia
In poco d'ora, e prende suo vincastro,
E fuor le pecorelle a pascer caccia:

terrai, che de' tuoi proprj costumi. Il
Vellutello e il Daniello traggono il voca-
bolo dal Franc. assembler, assomigliare,
e voglion qui detto assempra per as-
sempla. Noi osserviamo che, senza aver
ricorso alla lingua Francese, avrebbe po-
tuto derivarsi la voce dal basso latino
exemplare, che ha l'identico significato,
e che gli antichi dissero rassemplare
per rassemprare (a); esemplo, esempro
e assempro, invece di esempio (b): ma
nondimeno ci pare che qui la frase Ali-
gheriana abbia il valore della latina ad
exemplar effingere, come avvisò la Cru-
sca; che l'idea della semplice somi-
glianza tra la brina e la neve esclude il
sesto verso, ed è tanto triviale, quanto
poetico ne sembra il concetto che dà vi-
ta alla brina, e la ti fa quasi vedere at-
teggiata a ritrarre in sè l' IMAGINE di sua
SORELLA BIANCA, e mentre studia di com-
piere il suo lavoro, le vengon manco i
pennelli e ne lascia scorgere appena i
primi tratti del suo disegno. Bene adun-
que il Torelli: Nota quanto più viva-
mente ed elegantemente dicesse Dante
che la brina ritragge l'immagine della
neve, di quello che la rassomiglia. Chi
non intende la differenza, suo danno.

7-15. LO VILLANELLO ec. Il povero villano a cui manca la roba, avendo già per l'inverno consumalo lo strame, ed il grano,si leva e guarda fuor di casa, e vede la campagna tutta biancheggiare per la brina, ond' ei per dolore si batte l'anca, vedendo che non è ancor tempo di menar fuori le pecorelle, ed altre bestie a pascolare, e così addolora

(a) Il Frezzi nel Quadriregio,lib. IV, cap.XV:
Quasi dicendo: io Castità rassemplo.
(b) Fra Guittone, Bono Giamboni, Brun.Lat.ec.

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to ritorna in casa,e qua e là andando si lagna e compiange, come tapino miserello, che non sa che si faccia. Poi di lì a pochi giorni riede, ritorna fuori, e rincavagna, rimette nella cavagna, nell'animo suo la speranza, veggendo il mondo aver cangiato faccia, e rinverdir la terra in poco d'ora per la primavera, che sopravviene, e prende il suo vincastro, il suo bastoncello, e caccia fuori le pecore a pascere. Bargigi.

12. LA SPERANZA RINGAVAGNA. Il Venturi con moltissimi altri spone: Ripiglia la speranza, si rincuora: Rimette in cuore la speranza; tenendo con la più parte de' comentatori fatta la voce ringavagna da cavagno o gavagno, che nel Milanese vale paniere, cesto, canestro ; e che quindi la locuzione torni simile all'altra (Inf. IX): Fidanza... imborsa, cioè ripone in cavagna e figuratamente in cuore. Tale fu anche la chiosa del Vellutello, del Daniello, del Perazzini e recentemente del Tommaseo. Il Lombardi nega che, almeno in antico, si dicesse gavagno per cavagno, e asserisce che

Dante scrisse ringavagna, non già rin

cavagna. Queste asserzioni furono avventate; perciocchè sallo Dio come Dante scrivesse; e de' codici hanno Rincavagna (c), e Ricavagna (d); oltre che le due lettere c e g poterono l'una porsi in iscambio dell'altra, e che il Perticari ha dimostrato ringavagnare e gavagno esser voci romanesche nella predetta accettazione. Nondimanco egli pare abbia data la più probabile spiegazione, riu

(c) Il testo Bargigi, il cod. di Berlino (Bibl. Reale); e quel del Caetani del Duca di Sèrmoneta in Roma.

(d) Lezioni variorum riferite dal Witte ec.

Così mi fece sbigottir lo Mastro,

Quand' io gli vidi sì turbar la fronte, E così tosto al mal giunse lo 'mpiastro; Chè come noi venimmo al guasto ponte, Lo Duca a me si volse con quel piglio Dolce, ch' io 'l vidi prima appiè del monte.

scendo con le sue solite antitesi là, dove conducono più valide ragioni di filologia. Suppone dunque il Lombardi che Dante dica ringavagna invece di ringavigna che trarrebbe il significato di aggavignare, che vale pigliare per le gavigne, pel collo, e generalmente pigliare: tanto più che trovandosi adoperato dagli antichi ingavinato per aggavignato, è chiaro dovere per ringavagna intendersi ripiglia. Lo Strocchi rigetta queste interpretazioni, dappoichè questo verbo suona tuttavia nella bocca del volgo Romagnuolo in sentimento di aggiustar cosa guasta, ristorare una perdita, raddrizzare un mal fatto, un mal detto; e secondo lui non fanno al proposito le derivazioni della voce, vuoi da gavagno, vuoi da gavigne. Ma in sostegno della interpretazione del Lombardi ec. si allega la voce Gavanus del lat. barb., che valeva tonsilla, glandula, da cui il verbo gavagnare e gavignare, che si gnificò dapprima prender per le gavigne, o per il collo, e dipoi semplicemente prendere o afferrare: onde RINGAVAGNA LA SPERANZA non vuol dir altro che riprende la speranza fuggita. Il Parenti avvisa (Annot. 3, 402) che uno studioso, anzi maestro di Provenzale, deriva la voce Ringavagnare da Gavanhar che pronunziavasi Gavagnar, e valeva presso i Trovatori quanto il nostro Aggavignare. Il P. Lombardi fu dunque men felice a rintracciar l'origine del vocabolo, che a indovinare il valore del suo traslato. Sicchè par questa la più ragionevole spiegazione; dove altri creder non voglia che Dante abbia detto Ringavagna per Riguadagna, voce che il Baldovini non credette pur degna del suo Cecco da Varlungo, e di esser noverata tra le molte rusticane metatesi e storpiature, che lanciava alla sua Nencia quell'incroiato amante.

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18. AL MAL GIUNSE LO 'MPIASTRO. Dice sotto metafora: al mio sbigottimento diede, applicò il rimedio.- Si serenò. Tommaseo (a).

Il Petrarca Trionf. della Fama II: E chi de' nostri duci, che in duro astro Passar l'Eufrate, fece 'l mal governo (b), A l'Italiche doglie fiero impiastro. 19. GUASTO: rotto, diroccato. È il ponte o sasso, del quale, nel C. XXIII, 133-138, parla Frate Catalano ai Poeti.

20-24. CON QUEL piglio ec. con quella dolce faccia, amorevole aspetto, cera ec. con cui mi apparve appiè del monte, C. I:

Mentre ch'io rovinava in basso loco ec.

Dante quivi non parla di questo dolce piglio, ma che pe' modi e ragionamenti che tenne Virgilio, ad indurre il Poeta smarrito che lo seguisse per l'Inferno; i quali dovettero essere accompagnati da lieto aspetto e cortesia. Spira infatti umanità e gentilezza là dove il Mantovano ubbidisce a Beatrice; dove dà notizia di sè; dove incuora il nostro poeta: e il viso sereno e soave dovettero giovare al successo della sua missione:

Or muovi, e con la tua parola ornata

E con ciò c'ha mestieri al suo compare, L'aiuta sì ch'io ne sia consolata. Somma arte ha Dante di rivolgere a quando a quando l'attenzione del lettore sulle cose già dette. Favorisce così la memoria, e aiuta la forza sintetica della mente a coordinare e comporre in un tutto le svariate parti, che debbono concorrere all'unità del poema.

(a) E questo fece rasserenare anche Dante, cui lo Mastro turbato in vista avea fatto sbigottire. Cessata dunque la cagione, cessò eziandio l'effetto dello smarrimento.

(b) Tocca Crasso, il quale fu rotto nell'impresa contro i Parti; il che fu rimedio peggior del male: cioè più grave piaga all'Italia, che quella fattale da Annibale.

Le braccia aperse, dopo alcun consiglio
Eletto seco, riguardando prima

Ben la ruina, e diedemi di piglio.
E come quei che adopera ed estima,
Che sempre par che innanzi si proveggia;
Così, levando me su ver la cima
D'un ronchione, avvisava un' altra scheggia,

22-24. LE BRACCIA APERSE... E DIEDEmi di piglio. Nel C. XIX, 124, segg.: Però con ambo le braccia mi prese,

E poi che tutto su mi s'ebbe al petto,
Rimontò per la via onde discese.

e C. XXIII, 37 segg.:

Lo Duca mio di subito mi prese

Come la madre ch'al romore è desta ec.

Che è questo, se non dimostrare che l'uomo abbisogna di tutta la forza della ragione ad uscir salvo da certi vizi, come quelli della simonia, della baratteria e dell'ipocrisia, che appestano la società? Si può qui due cose osservare: dico l'ordine ideale e logico, secondo il quale si succedono i pensieri e gli atti di Virgilio; e l'ordine formale, onde il poeta gli esprime. Quegli riguarda innanzi altro la ruina, si consiglia seco, delibera e pone in opera il suo proposito togliendo di peso il Poeta a levarlo su dalla bolgia: questi accenna in ordine inverso le stesse cose. Virgilio opera per analisi; Dante raccoglie per sintesi il fatto, e lo significa per parole: l'uno va da cause ad effetti; l'altro da questi a quelle. Ci è a grado di ciò notare, perchè altri non creda qui trovarsi nel costrutto quella sinchisi, che vuole un valente comentatore.

25. ADOPERA ED ESTIMA. Operando pensa; in quello che opera ragiona. STIMARE, come il lat. aestimare ed existimare,per considerare,giudicare,calcolare, pensare, immaginare, ec. (a).

(a) Dal lat. aestimare i Provenzali fecero aesmar ed esmar; onde i nostri antichi trassero esimare ed emmare nel detto sentimento, come anche esimo, per stima,prezzo,valore, calcolo ec. dal provenz. esme. Dal basso latino aestimium ebbero i Francesi estime, e noi stimo, per estimazione, opinione, giudizio. Vedine esempi nell'Analisi critica de' verbi italiani investigati nella loro primitiva origine dal Prof. Vincenzio Nannucci. Fir., F. Le Monnier 1843, Cap. I, n. XV, pag. 104, (3).

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28. ROCCHIONE: gran roccia ec.masso. Ronchione hanno quasi tutte le edizioni. Così legge il cod. Čassinese, Runchione l'ediz. Mantovana 1472. Roncone quella di Jesi dello stesso anno. Il testo Bargigi ha Rocchione, ch'è anche lettera tra le varior. del Witte, e della Nidobeatina. Siccome questa legge altrove ronchione (Inf. XXVI, 44), il Lombardi tenne con la Crusca, che le due voci fosser tutt'uno, significando, come accr. di rocchio, un pezzo grande di pietra, e qui una grossa scheggia o un masso di pietra sporgente. Il Zacheroni credette che: i soli amanuensi debbono avere alterata la Voce ROCCHIONE, scrivendone malamente RONCHIONE. Tuttochè questo sia non improbabile, e la n si trovi intrusa anche in molte altre voci di nostra lingua; pure Ottavio Mazzoni Toselli (b) rileva una notabile differenza delle due voci. Deriva il vocabolo Rocchione dal Celtico Roch significante sasso, roccia, scoglio, come il Gallese Roc e l'Inglese Rocke; lo spiega per gran rupe, gran sasso, balzo: e tiene per dimostrato che rocchione è la vera lettera di questo luogo. L'altra voce ronchione del verso citato sta quivi a suo luogo: perocchè derivasi essa dal gallico Ronco, cespuglio o sterpo; da cui con l'aggiunta d'un B paragogico, si fece Bronco, grosso sterpo ec. Si trova in antichi monumenti Roncia, cespuglio e spini; Roncalis, luogo pieno di spini o sterpi; d'onde forse Roncare per levare i cespugli,e Ronca, arme con la quale si ronca. Sicchè nel v. 63 di questo canto la voce RONCHIOso vale pieno di sterpi e spini, secondo l' opinione dell'egregio linguista.

AVVISAVA: appuntava con gli occhi,

(b) Diz. Gallo-Italico. Bologna, Tip. Della Volpe 1831.

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