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(F) SALIVAM. Un Padre: La lunga consuetudine del peccare ci fece il cammino della virtù essere insoave e aspro. STREMO. Matth., VII, 44: Angusta è la via che conduce alla vila. Arist. Eth., II: Virtus est circa difficile et bonum. Som.: La speranza che merita il nome di virtù è di un bene arduo ma maggior dell'umano. 13. (L) ACQUISTA : sali.

(SL) ACQUISTA. Æn., XI: Arripuitque locum, et silvis insedit iniquis.

(F) GAGGIA. Un antico inedito: Cioè torni addietro: perocchè chi nuovamente si dà a virtù, non debba subito tornare adrieto ne' vizii.

14. (L) SUPERBA: alta.

(SL) SUPERBA. Æn., VII: Tiburque superbum. — VINCEA. Georg., II: Aëra vincere summum Arboris haud ullæ jactu potuere sagittæ:

(F) LISTA. La costa faceva colla perpendicolare un angolo minore di gradi quarantacinque. Si tiri sopra un'orizzontale una perpendicolare: tra le due linee un arco e dal mezzo dell'arco una linea all' angolo delle due prime. L'angolo della linea di mezzo all'orizzontale sarà di gradi quarantacinque: ma se si tiri un'altra linea più alta di quella che si parte dal mezzo del cerchio, questa farà coll'orizzontale un angolo maggiore e sarà più ripida alla salita.

15. (F) Lasso. Antico inedito: A dimostrare che ciascuno quando si dà a virtù di nuovo, tosto s'allassa, se Virgilio, cioè la ragione vera, non conforta ed aiuta ciascuno.

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18. A seder ci ponemmo ivi" amendui, Volti a levante, ond' eravam saliti; Chè suole a riguardar giovare altrui. 19. Gli occhi prima drizzai a' bassi liti,

Poscia gli alzai al Sole: ed ammirava Che da sinistra n'eravam feriti. 20. Ben s'avvide il poeta che io stava Stupido tutto al carro della luce, Ove tra noi ed Aquilone intrava. 21. Ond' egli a me :- Se Castore e Polluce Fossero 'n compagnia di quello specchio Che su e giù del suo lume conduce; 22. Tu vedresti 'I Zodiaco rubecchio Ancora all'Orse più stretto rotare,

Se non uscisse fuor del cammin vecchio. 23. Come ciò sia, se 'I vuoi poter pensare, Dentro raccolto, immagina, Sión

Con questo monte in su la terra stare

18. (L) OND': di dove.

(SL) LEVANTE. En., VIII: Surgit, et ætherei speclans orientia Solis Lumina.

(F) SALITI. Lact., VI, 5: Quella via è migliore che è volta al nascer del sole. Som.: La virtù del primo movente, che è Dio, appare in prima nelle parti d' Oriente di dove comincia il primo moto. — GIOVARE. Fatta la fatica dello studio e della virtù, giova poi riguardare la via percorsa. Æn., I: Hæc olim meminisse juvabit.

19. (F) BASSI. Guardò a quell' oriente che per il nostro emisfero è occidente. L'ombra del corpo suo gli cadeva a sinistra. Così Lucano, degli Arabi venuti ad aiutare Pompeo: Ignotum vobis, Arabes, venistis in orbem, Umbras mirati nemorum non ire sinistras (Phars., III). In Europa e in tutti i paesi di qua dal tropico di Cancro, chi è volto a levante vede l'ombra alla destra. 20. (L) CARRO DELLA LUCE: sole. OVE: dalla parte dove.

(SL) CARRO. Georg.. III: Præcipitem Oceani ru-bro lavit æquore currum,

(F) Not. Il Purgatorio antipodo a Gerusalemme posto di qua dal tropico del Cancro; e in Gerusalemme il sole nasce tra noi e austro, punto contrario all'aquilone. 21. (L) CASTORE E Polluce: i Gemini.-SPECCHIO: sole. (F) SPECCHIO. Il sole è specchio della luce che dalle intelligenze riceve, e conduce il suo lume or sotto or sopra al nostro emisfero. Il senso intero è: se il sole che illumina di su Giove e Saturno, di giù Venere e Mercurio la Luna e l'oriental mondo, fosse in Gemini, cioè nel giugno, sarebbe ancora più lontano da te, sempre verso sinistra.

22. (F) RUBECCHIO. Altri spiega per rosseggiante: Pietro dice che rubecchio in Toscana valeva rota dentata di mulino, e spiega le rote dello zodiaco (non bene, parmi). Le Orse contigue al nostro polo artico son più vicine a' Gemini che all' Ariete, dove il sole era allora (Inf., 1); onde se fosse stato in Gemini, ed esso sole e la porzione dello zodiaco da lui tocca, sarebbe più prossima all'Orse. Lucan., IX: Zona rubens. Georg., I: Quinque tenent cœlum zonæ, quarum una corusco Semper Sole rubens. 23. (L) DENTRO: in te. MONTE del Purgatorio. (F) SION. Il monte del Purgatorio è perpendicolarmente opposto al monte di Sion, ch'è, secondo Dante, nel mezzo della terra abitabile, onde i due monti hanno emisferi diversi, e un solo orizzonte; e quel ch' a noi è oriente, nel monte del Purgatorio è occidente, e al contrario. Psal. II, 6; Sion montem sanctum ejus.

24. Si ch' amendue hanno un solo orizzon, E diversi emisperi; ond' è la strada Che mal non seppe carreggiar Feton. 25. Vedrai com'a costui convien che vada Dall'un, quando a colui dall'altro fianco, Se lo 'ntelletto tuo ben chiaro bada. 26. Certo, maestro mio (diss' io), unquanco Non vidio chiaro si com' io discerno, Là dove mio ingegno parea manco. 27. Che'l mezzo cerchio del moto superno, Che si chiama Equatore in alcun'arte, E che sempre riman tra 'l Sole e 'l verno, 28. Per la ragion che di', quinci si parte Verso Settentrion, quando gli Ebrei Vedevan lui verso la calda parte.

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(F) Mezzo. Circulus medius. Tra i due poli e l'equatore. Tra i poli e l'equatore il tropico estivo, ed il tropico iemale: il sole gira obbliquamente per lo zodiaco; quand'è a'due tropici fa state e verno: quando tocca l'equatore, e lo tocca in due parti, i giorni sono uguali alle notti.Quella regione lì del cielo ch'è fra' tropici, Dante la chiama estate; quella che tra i due poli, verno: anche in tutta la spera, ,dice l'Ottimo, è una state e due verni. — EquaTORE. Conv., II, 4: (Ciascuno cielo ) si lo nono come gli altri, hanno un cerchio che si puole chiamare equatore del suo ciclo proprio: il quale ugualmente in ciascuna parte della sua rivoluzione è rimoto dall' uno polo e dall'altro. Nel mezzo del moto celeste è un cerchio imaginario che va da oriente a occidente, e si chiama equatore, perchè, quando il sole è ivi, i giorni allora sono uguali alle notti. Allora è l'equinozio che segue nel segno dell'Ariete e della Libra. Il circolo dell' equatore è sempre tra il sole cioè mezzogiorno, e'l verno cioè tramontana. Di là dal circolo equinoziale si stende un circolo, ch'è là dove il sole a lungo risplende nel cielo, e si chiama solstizio e quel circolo è il tropico detto del Cancro. Il tropico del Capricorno è quello dove il sole più declina da noi, e i di son più corti. La Libia e l'Arabia son poste tra il detto circolo equinoziale o equatore, e il tropico detto del Cancro. Noi siamo al di qua: e però riguardando verso il nostro oriente vediam sempre a destra l'ombra del corpo nostro. Non così que' d'Arabia e di Libia, massimamente allorchè il sole è nel tropico del Cancro. Cosi Pietro di Dante. Il Purgatorio e Gerusalemme son dunque ugualmente distanti dall'equatore, e l'equatore rimane sempre tra la parte ove il sole venendo fa la state, e quella ove il sole trovandosi fa l'inverno.

28. (L) QUINCI: nel Purgatorio. Mezzodi.

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CALDA PARTE:

(F) EBREI. Sul monte Sion l'hanno verso austro;

29. Ma, s'a te piace, volentier saprei

Quanto avemo ad andar; chè 'l poggio sale Più che salir non posson gli occhi miei. 30. Ed egli a me: Questa montagna è tale, Che sempre, al cominciar, di sotto è grave; E quant' uom più va su, e men fa male. 31. Però quand'ella ti parrà soave

Tanto, che 'l su andar ti fia leggiero, Come a seconda giù l' andar per nave; 32. Allor sarai al fin d'esto sentiero:

Quivi di riposar l'affanno aspetta. Più non rispondo; e questo so per vero. 33. E, com'egli ebbe sua parola detta, Forse Una voce di presso sono: Che di sedere in prima avrai distretta. · 34. Al suon di lei ciascun di noi si torse; E vedemmo a mancina un gran petrone, Del qual nè io ned ei prima s'accorse. 35. Là ci traemmo: ed ivi eran persone

Che si stavano all'ombra dietro al sasso, Come l'uom per negghienza a star si pone. 36. E un di lor, che mi sembrava lasso, Sedeva, e abbracciava le ginocchia, Tenendo 'l viso giù tra esse basso.

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35. (L) NEGGHIENZA: negligenza.

(SL) PERSONE. Antico inedito: Altre specie di negligenti, i quali, offuscati di ricchezza mondana, indugiarono il virtuosamente vivere sino all' ultim' ora.

36. (F) ABBRACCIAVA. Prov., VI, 10. Un po' dormirai, un po' sonnecchierai, un po' starai con mano in mano per prendere sonno. - XIX, 24: Nasconde il pigro la sua mano sotto l'ascella.

37. (L) SIROCCHIA: sorella.

(SL) SIROCCHIA. Prov., VII, 4: Dic sapientiæ, soror mea es. Albertano: Di alla sapienza, mia suora. Job, XVII, 44: Dissi alla putredine: padre mio sei; madre mia e sorella mia, a vermini. Dante, ad una canzone: Figliuola di tristizia. Un animale del Brasile dai Portoghesi è detto Pigrizia. Questo illustra il III dell'Inferno, dove gl'inetti hanno vermi a' piedi, e raccolgono il sangue loro misto di lagrime.

(F) PIGRIZIA. Anco nel Convivio (1, 4) la condan

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na: Alli loro piedi si pongano tutti quelli che per pigrizia si sono stati, che non sono degni di più alto sedere. Som. La negligenza è difetto dell' interiore atto della volontà; e quindi appartiene al poco o mal uso della libera elezione: la pigrizia e il torpore piuttosto riguardano l'eseguire.

38. (SL) VALENTE. Ov. Met., IX, 108: En., V: Membris... valens.

39. (L) M'AVACCIAVA... LA LENA: mi faceva frequente il respiro.

40. (SL) APPENA. Virgilio, di Palinuro aggravato dal sonno: Vix attollens... lumina (Æn., V). — HAI. I pigri si ridono delle cure de' saggi. 41. (L) MOSSON : mossero. so salvo.

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NON DUOLE ora che ti

(SL) MOSSON. Hor. Epist., I, 3: Moveat... risum. Poco. Antico inedito: Conciosiacosachè non fosse suo atto: ma per dimostrare che tal gente è di poco prezBELACQUA. Dice un antico postillatore: Fu ottimo maestro di cetere e di liuti, e pigrissimo uomo nelle opere del mondo e nelle opere dello spirito. DUOLE. Purg., VIII, t. 48: Nin gentil, quanto mi piacque Quando ti vidi non esser tra' rei!

42. (L) QUIRITTA : qui. ISCORTA Scorta. - LO MODO USATO T'HA' RIPRISO: hai ripreso la pigrizia. (SL) QUIRITTA. In Semintendi e nel Canto XVII, t. 29 del Purgatorio. Liviritta è nel Lippi.

43. Ed ei: Frate, l' andare in su che porta? Chè non mi lascerebbe ire a' martiri L'uscier di Dio, che siede 'n su la porta. 44. Prima convien che tanto 'l ciel m'aggiri Di fuor da essa, quanto fece in vita, Perch' i' 'ndugiai al fin li buon' sospiri; 45. Se orazione in prima non m'aita,

Che surga su di cuor che 'n grazia viva: L'altra che val, che 'n ciel non è gradita? 46. E già 'l poeta innanzi mi saliva, E dicea: Vieni omai. Vedi ch'è tocco Meridian dal Sole; e dalla riva

47. Cuopre la notte già col piè Marrocco.

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PORTA

43. (L) PORTA: giova. USCIER: angelo. del Purgatorio. 44. (L) M'AGGIRI: giri intorno a me. - BUON' SOSPIRI di penitenza.

(SL) AGGIRI. Se il Poeta tenesse il sistema pittagorico o copernicano, potremmo intendere meglio: mi porti con sè ne' suoi giri. Qui vale: Mi si aggiri intorno; come nel XXXIV dell'Inferno: D'un ruscelletto che quivi discende... Col corso ch'egli avvolge (per cui s'avvolge). BUON. Purg., XXIII: Del buon dolor ch'a Dio

ne rimarita.

(F) TANTI. Decret. Quanto tempo conosci d'avere peccato, tanto umiliati a Dio.

45. (F) VAL. Som., Sup., 74: Il valore dei suffragi misurasi secondo la condizione di quello per cui si fanNo.- GRADITA? Joan., IX, 51: Peccatores Deus non audit. Is., I, 15: Cum multiplicaveritis orationem, non exaudiam manus enim vestræ sanguine plenæ sunt. Eccl., XXXIV, 23: Dona iniquorum non probat Altissimus. XXXV, 21: Oratio humiliantis se, nubes penetrabit. V. Som., 3, 73, 3.

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46. (SL) Tocco. Æn., V: Mediam cœli nox humida metam contigerat. Ov. Met., II: Dum loquor, Hesperio positas in litore metas Humida nox tetigit. Petrarca, con soverchia abbondanza: Perchè s' attuffi in mezzo l'onde E lasci Ispagna dietro alle sue spalle, E Granata e Marocco e le Colonne.

(F) MERIDIAN. Quivi meridiano, dunque a Gerusalemme mezzanotte, e crepuscolo notturno a Marocco, ch'è nell' occidente della parte meridionale della terra abitabile, dove regnò, dice Pietro, il re Jarba (Æn., IV). 47. (SL) PIÈ. Imagine più gigantesca del virgiliano: Nox ruit,et fuscis tellurem amplectitur alis (Æn., VIII). Georg., IV, della Pleiade: Occani spretos pede reppulit amnes.

Le potenze dell'anima.

Non si ferma il Poeta a raccontare i lunghi discorsi tenuti con re Manfredi, ma dalle cose dette li lascia imaginare, e ancora meglio dalla attenzione che dice avervi prestata, tanto da non s'accorgere del lungo tempo e della lunga via fatta seco. Reticenze che dimostrano ingegno maturo e artista maestro.

Questa nota riguarda solamente le prime terzine, le quali meritano illustrazione distinta, perch' accennano a una dottrina che sotto varie forme ritorna nelle due Cantiche; e però i passi a questo luogo recati ne dichiarano altri parecchi. Lungo sarebbe spiegare come le sentenze d' Aristotele svolte e ampliate nella Somma portino luce nella

tenebrosa storia del pensiero, e possano fecondare anco la scienza moderna. Chi medita, può vederlo; a chi lunghe spiegazioni fossero necessarie, forse tornerebbero inutili.

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Le potenze sono proprietà naturali conseguenti alla speciale essenza dell'anima (1). Le polenze dell'anima sono i principii delle operazioni della vita (2). La potenza dell'anima è il prossimo principio dell'operazione dell' anima : onde le azioni che non si possono ridurre ad un solo principio richieggono diverse potenze (3). — In Dio nulla è impotenza: le creature più perfette sono meno in potenza (4). L'anima ha diverse potenze, perch'è nel confine delle creature spirituali e corporali; e però in lei concorrono le virtù di queste e di quelle. Tutte le potenze dell' anima sono a lei concreate. Le potenze dell' anima possonsi dire un che di mezzo tra la sostanza e l'accidente, siccome proprietà dell' anima naturale. L'anima, in quanto è sostanza della sua propria potenza, dicesi allo primo ordinalo ad un atto secondo. è all'anima come il calore alla forma del fuoco. L'emanazione degli accidenti dal soggetto non si fa per trasmulazione ma per naturale risultanza; al modo che naturalmente una cosa dall' altra risulta, come dalla luce il calore (5).

La potenza

Le potenze dell'anima non si dicono parti di lei integrali, ma si potenziali (6). Le potenze dell'anima o sono essenzialmente in essa, come taluni dicono, o almeno sono di lei naturale proprietà. Una è l'essenza dell'anima, ma le potenze più (7). Nell'anima altro è l'essenza, altro la virtù ossia potenza (8). Le potenze dell'anima procedono dall'essenza di lei siccome da causa. O il soggetto loro sia l'anima sola, o l'ente composto d'anima e corpo. Siccome la potenza dell'anima procede dall' essenza di lei e tuttavia coesiste ad essa anima, così l'una potenza procede dall'altra e pur coesistono nell'anima tutte insieme. Il senso e la ragione sono potenze dell'anima. Le potenze conosconsi per gli atti; or l'atto dell'una potenza é causato dall'altro, come l'alto della fantasia dall'atto del senso. L'una potenza dell' anima dunque è causata dall' altra. — Agli oggetti di genere diverso, diverse polenze dell'anima sono ordinate (9). Le potenze non si diversificano secondo la materiale distinzione degli oggetti, ma secondo la distinzione formale che concerne la ragione dell'oggetto (10). La ragione è polenza dell'anima non legata ad organo corporale (44).

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(1) Som., 2, 4, 110. (2) Som., 1, 78. (5) Aristotele (De Anima, II) pone nell' anima più potenze, che chiama anche parti, e le assomiglia alle figure. (4) Som., 1, 72. — (5) Som., 1, 77. -- (6) Som., Sup., 70. (7) Som., 1, 72 (8) Som., 1, 77.-(9) Arist. Eth.,

YI. (19) Som., I,

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E qui, come una delle solite note nel testo, o, se si vuole piuttosto come parentesi, ma di quelle per le quali il Poeta faceva il testo dell'intero poema, egli accenna all'errore che metteva più anime in un luogo solo; errore di Platone che Aristotele confutó (1), Averroe lo rinnovo. Dicevano che in noi sono tre anime, l'intellettiva nel cerebro, la nutritiva o vegetativa nel polmone, la sensitiva nel cuore. La prima infusa nel feto per farlo crescere, la terza nel feto organizzato per farlo sentire, la seconda nel feto vicino a nascere. Se, dice Aristotele, l'anima nel corpo si pone per forma, com'è, gli è impossibile che in un corpo sieno più anime differenti d'essenza. Se l'uomo dall'anima vegetativa ha la vita, dalla sensitiva il sentimento, dalla razionale l'essere umano, la non è più un ente solo. S. Tommaso dice, che l'anima non si riferisce a parte alcuna del corpo. L'ottavo Concilio (2): Appare taluni essere venuli in tale empietà che impudentemente insegnano gli uomini avere due anime. Credevano anco i Manichei che oltre all' anima razionale fosse la sensitiva, da cui gli atti della concupiscenza venissero.

Quel che è nel soggetto è il medesimo, può distinguersi nell' umana ragione. E però può concernere diverse potenze dell'anima (3). Le potenze dell'anima non sono opposte tra loro se non come il più perfetto al meno perfetto, siccome le specie de' numeri e delle figure: ma tale opposizione non impedisce che l'una potenza dall'altra abbia origine; perchè le cose imperfette naturalmente dalle più perfelle procedono. Potenze dell' anima sono la vegetante, la sensitiva, l'appetitiva, la motrice, l'intelligente (4). Le polenze distinguonsi in ordine di dignità, intellettiva, sensitiva, nutritiva, e in ordine di tempo, che è inverso: secondo gli oggetti, colore, suono, odore (5). Le polenze dell'anima che sono prime in ordine di perfezione e di natura, sono principio delle altre potenze, come principio attivo di quelle e come fine loro. Le potenze sensitive riguardano l'oggetto meno comune, che è il corpo sensibile; e le intellettive l'oggetto comunissimo che è l'essere universale. Questo, secondo l'oggetto; secondo il modo poi che l'anima tende alle cose esteriori le potenze appetitive in quanto l'intenzione ci mira siccome a fine, e le motrici in quanto l'animo tende a esse siccome a termine delle proprie operazioni e de'mali (6). Non le potenze sono per gli organi, ma questi per quelle; e però non sono tante le potenze quanti gli organi: ma la natura istitui diversità negli organi acciocchè alla diversità delle potenze

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L'anima sebbene non sia composta di materia e di forma, ha in sè del potenziale, cioè che può svolgersi in atto ma non è sempre in alto (3). Il tutto universale si stende anco alle singole parti o facoltà dell'ente, ma non il tutto polenziale. · Non sempre l'ente che ha anima esercita in alto le operazioni della vita, onde anco nella definizione l'anima è detta l'atto del corpo avente la vita in potenza. Quando la intenzione dell' anima è fortemente tratta all'operazione dell' una potenza, è ritratta dall'operazione d'un'altra. Quella virtù dell'anima che è sciolta dall' organo del corpo è in certo modo infinita per rispetto al corpo stesso (4). Il diletto estraneo impedisce l'operazione, perchè mentre all' una cosa intendiamo forte, necessario è che dall' altra l'intenzione sia ritratta (5). Quando noi non muliamo pensiero, o mutandolo, non ce ne avvediamo, non ci pare che sia trascorso alcuno spazio di tempo (6).

(1) Som., 1, 71. (2) Som., 1, 78. (5) Som., 1, 77. · (4) Som., 1, 2, 2. Abbiamo qui il modo di Dante: Questa è quasi legata e quella è sciolta. Ne' Bollandisti (I, 194): Non potrai d'altro che di Dio; per ch' io sono il solo che posso legare la mente. - (5) Som., 1, 2, 4. -(6) Arist. Fis., IV.

Recheremo da ultimo un passo de' Bollandisti, che congiunge la tradizione filosofica con la ascetica: L'astrarsi che fa la mente dell' uomo da' sensi corporei, è naturale o sopranaturale. Quella che chiamiam naturale è prodotta da forte applicazione dell' animo ad un pensiero. Perchè sebbene sien varie le potenze dell'animo, una però è l'intensione con cui nell' attendere alla contemplazione delle cose umane e delle divine, si fa vano (1)

acume degli occhi e gli alli dell'udito e degli altri sensi. L'astrazione oltre natura dalle divine letlere chiamasi rallo. Il qual ratto o proviene da malattia, o da malo spirito, o da nume divino (2). Di tali astrazioni il Poeta non so s'io abbia a dire pativa o che ne era patente: Comincio il naturale mio spirito ad essere impedito nelle sue operazioni; perocchè l'anima era tutta data nel pensare di questa gentilissima (3)...... Mentr' io... disegnava, volsi gli occhi, e vidi lungo me uomini.. e, secondo che mi fu detto poi, egli erano stati già alquanto anzi che io me ne accorgessi (4). Il simile seguì, narra il Boccaccio, al Poeta quando essend' egli in Siena, statogli recato un libro e non avendo spazio di portarlo altrove, sopra la panca si pose col petto; e benchè in questa contrada per festa pubblica si facesse armeggiata e rumore con istrumenti e con versi e balli di vaghe donne e giochi di giovani, mai non si mosse në levò gli occhi dal libro, e quivi stette da nona a vespro finchè tulto non l'ebbe percorso.

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