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nè Sibilla di quella acqua santa di quello chiaro fiume, però che vivi sono, e tornare gli conviene nel mondano regno; del quale se que' loro spiriti fossero degni di berne, potrebbero meglio andare a quello luogo che ciascuno uomo disidera.

» Passando il fiume, lo raggio del sole, il quale si muove del beato Eliso, per me' la faccia (1) rendea loro chiarezza assai maggiore che nel mondo umano non fa il sole quando meglio luce. Quivi sono prati di molte verdi erbe, rose, gigli, e fiori d'ogni maniera, arbuscelli e soavi frutti (2); rivi d'acque tanto chiare e freschi che insino al fondo si vede senza limo la cristallina e candida ghiaia. Soavi e dolci canti di uccelli (3) da ciascuna parte s'odono, al cui dilettevole verso chi dorme qui si risveglia per lo diletto che muove la mente quale a dormire gli spiriti conduce. Questo grande prato tutto è pieno di drappelli di santi padri, di pure vergini, di santi confessori, di beati martiri, di coloro che vollero giustizia osservare e conoscere Dio, nel mondo vivendo. Quivi sono e' savi letterati i quali santa memoria lasciarono nel mondo del loro lavorio e del loro bello affare. E ancora quegli che furono difenditori degli miseri orfanegli, i quali per tirannia forza riceveano. E tutti quegli che furono osservatori de' comandamenti del verace Creatore; e quegli che furono persecuti da' loro più possenti, acciò che il loro bene fare abbandonassero; e fare non lo vollero: e ciascuno altro che sua voglia raffreno e costrinse per soddisfare a' necestosi. »

Lo spazio mi manca per porre a paragone l'Inferno omerico, il virgiliano, il dantesco, questo del giudice di Bologna, e altri dei secoli precedenti per dedurre dalla distinzione delle colpe una prova del perfezionato senso morale; dalla stessa gravità delle pene un indizio della coscienza, già più viva, di certi mali dell'anima; dalla determinazione ed evidenza che vengono col tempo acquistando le pitture di simili fantasie, l'accresciuta forza di quella potenza imaginativa che crea, commentando. Mi sia lecito almeno notare come i supplizii dal Minosse di Bologna assegnati a' suoi peccatori sieno talvolta più sapientemente appropriati e in verità più diabolici che in Dante stesso.

Dante dipinge le anime dappoco, o spinte ad un correre violento o stimolate da mosconi e da vespe; Armannino per più disprezzo le colloca sull'olmo de' sogni a dormire letargo continuo di paura, e a tentare e atterrire con visioni i viventi. Armannino non mette nel limbo insieme co' non battezzati i savi gloriosi dell'antichità, pensiero non molto teologico dell' Allighieri: ma

(1) Purg., passim. (2) Purg., XXVII. — (5) Purg., XXVIII.

in compenso e' caccia nel limbo anco I fanciulli battezzati a purgare le colpe de' padri loro.

Sapiente è l'idea del Poeta, che nel cerchio stesso raduna i prodighi e gli avari a insultarsi e a voltare gran pesi da due parti contrarie, e nel Purgatorio li condanna a giacere legati ed immobili a terra; ma quanto a tormento, non è meno infernale quel d'Armannino che fa colare in bocca agli avari piombo e ferro. De' lascivi in Dante agitati dalla incessante bufera o bruciati nel fuoco, e de' lascivi in Armannino buttati a cuocere nelle fiamme e a friggere nell'acqua gelata, quali sien peggio conci sarebbe difficile giudicare. L'Allighieri che tuffa gl'iracondi con gl'invidi e con gli accidiosi nel fango, che gl'iracondi purga col fumo, e gl'invidi con un fil di ferro che lor euce gli occhi, mostra il disprezzo ch' egli ha di que' vizii; ma forte è l'idea d'Armannino che gl'iracondi costringe ad aggrapparsi a ferri roventi per non precipitar fra le spine.

A' golosi, vedete lusso di pene! Dante li fa starealla pioggia immonda e alla neve e alla grandine, o correre verso l'albero delle dolci poma; il Bolognese pone loro dinnanzi eletti cibi a cui sospirano indarno; li fa inghiottire alla Gorgona ed evacuare per nuovissima via; li fa pungere agli artigli di quelle ch'e' chiama ceraste, li cambia da ultimo in porci, in lupi, in draghi, animali voraci. All'invidia destina un proprio tormento: non la caccia nel fango, ma le fa uscir di corpo un serpente che la morde nella bocca e negli occhi, poi le si configge nel cuore.

Altra pena propria degli accidiosi, e infernalmente bella, l'essere puniti da forconi diabolici, e artigliati da crudeli avvoltoi che lor mangiano il cuore. I seminatori di scandali, che l'Allighieri consegna a un demonio perchè li tagli in mille maniere, Armannino li consegna a Tesifone che co' forconi li volti sossopra, e lega loro con ami di ferro la lingua ch'ebbero al male si pronta.

Nuovo peccato e nuova pena: contro i goditori delle fatiche altrui, contro quegli oziosi che son peste del mondo, perchè col contagio dell' inerzia guastano l'intera società, creano nuov' arti di lusso e di corruzione, spengono ne'poveri ogni coraggio, ogni forza. Costoro stanno tuffati nell'acqua gelata fino alla bocca, e patiscono sete inestinguibile, e bevono di quell'acqua che agghiaccia loro il cuore con tormento peggior della morte; e le ceraste (con crudeltà veramente infernale) gettano loro addosso i serpenti del capo, non per altro che per veder s'e' li sentano, cioè se il freddo e la sete li tormentino tanto da assorbire ogni loro potenza.

L'ira di Dio che scende per la gran torre nel castello di Dite, è imagine degna di Dante e tocca il sublime. Quegli spiriti che a guisa di vespe si affollano intorno alle porte per la fretta d'entra

re, è pittura che manca al divino poema. Quel Cerbero che mangia non i golosi come nel sesto dell' Inferno, ma i diavoli stessi, quando son lenti a tormentare i dannati; quelle ceraste che squartano, pure appostando, la vittima innanzi di toccarla; che in un batter d'occhio corrono dall'alto al basso il castello; quella Megera che raccoglie a fasci le anime disperate e le getta in bocca alla Gorgona; que' demoni che si tormentan fra loro e che tormentano il re loro stesso, son bellezze degnissime d'ogni sovrana poesia.

L'Allighieri, agli sprezzatori di Dio ed a' tiranni assegna luogo men fondo del giudice di Bologna:

questi li caccia nel tremendo castello; e ci aggiunge coloro che nelle loro aringhe mostrarono di consigliare il meglio del Comune, facendo intanto per sè o per gli amici; unisce loro gli avvocati e i procuratori malvagi; e nel più fondo confine non già i traditori, ma coloro che di misfatto in misfatto più s'allontanarono da Dio; onde, siccome s'aggravò la malvagità, cosi crescano i loro tormenti.

O si riguardino dunque le imagini o la distribuzione delle pene, questa compilazione d'Armannino ha bellezze che alla moderna nostra poesia non sarebbe facil cosa emulare.

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IL PURGATORIO

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