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Non la tua conversion, ma quella dote
Che da te prese il primo ricco patre!
E mentre io gli cantava cotai note,

O ira o coscienza che 'l mordesse,
Forte spingava con ambo le piote.
Io credo ben ch' al mio Duca piacesse,
Con si contenta labbia sempre attese
Lo suon delle parole vere espresse.
Però con ambo le braccia mi prese,

E poi che tutto su mi s' ebbe al petto,
Rimontò per la via onde discese;
Nè si stancò d' avermi a sè ristretto,

Si men portò sopra 'l colmo dell' arco,
Che dal quarto al quinto argine è tragetto.
Quivi soavemente spose il carco,

Soave per lo scoglio sconcio ed erto,
Che sarebbe alle capre duro varco:
Indi un altro vallon mi fu scoverto.

Ecco personificata anche dal Venosino la Povertà, da cui non chiede neppur egli dote per farla sua donna. Probabilissimamente Dante da quest'ultimo verso oraziano prese l'idea della dote che diede Costantino alla Chiesa, e di quella che Cristo e Francesco rifiutarono, amandola povera e casta, com' ella ci nacque.

Del resto Costantino è posto da Dante in Paradiso sul ciglio dell'Aquila simbolica; poichè Dio guardò non ai mali seguiti nella sua chiesa dalla donazione (supposta, e storicamente falsa) fatta a Papa Silvestro; ma alla buona intenzione di lui « che fe mal frutto ». Là egli (Parad. XX, 58):

Ora conosce come il mal dedutto

Dal suo bene operar, non gli è nocivo, Avvegna che sia il mondo indi distrutto. 118. CANTAVA COTAI NOTE. (Inf. III, 34 nota).

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ta, prima adiettivamente, poi come sustantivo usata a significare la pianta del piede. V. v. 75, nota.

122. LABBIA. V. Inf. VII, 7, nota.

124 seg. Espressione significativa di maggiore affetto, che non si mostra per le parole de' vv. 34, 44. Lì Virgilio porta Dante sull'anca, qui sel reca al petto, lo stringe con ambo le braccia, e lo spone poi soavemente, affinchè non gli noccia lo sconcio scoglio. Per noi sta che il Poeta abbia voluto dinotare anche per atto sensibile il compiacimento ch' ebbe il suo Duca (v. 21-23), della cantilena fatta ai simoniaci, e figuratamente che sia grato alla Ragione, epperò ragionevole, il rimproverare il vizio in chicchessia, non eccettuati gli stessi pontefici ec., ché quando son mali non dee coprirli dallo spregio la tiara e il gran manto. Quel salire che Dante fa col volo della Ragione non è senza che; ma quel posar soave accenna fuor di dubbio ai perigli mette il piè su questa roccia terrena (V. che porta colui che seguitando ragione Inf. XVI, 77 e 79, note). Ricordivi che

Dante è simbolo dell'Umanità.

128. Sì. Sinchè. V. v. 44 nota.

CANTO XX.

Quarta bolgia: gl' Indovini.

Di nuova pena mi convien far versi,
E dar materia al ventesimo canto
Della prima canzon, ch' è de' sommersi.
Io era già disposto tutto quanto

A risguardar nello scoverto fondo,
Che si bagnava d'angoscioso pianto:
E vidi gente per lo vallon tondo

Venir, tacendo e lagrimando, al passo
Che fanno le letane in questo mondo.

1. Nuova, non ancor veduta. V. Inf. VII, 20. Nel VI, 4:

Nuovi tormenti e nuovi tormentati. Di ha forza del De, circa ec. de' Latini, intorno a.

3. PRIMA CANZON. Per lo modo del parlare, che usa l'autore, quando dice della prima canzone, apertamente vediamo, che le tre principali parti di tutta la Commedia, Inferno, Purgatorio e Paradiso son chiamate Canzoni ovvero Cantiche; quando poi dice al vigesimo Canto, vediamo, i capitoli essere chiamati Canti composti di molti versi, e per questo suo parlare in effetto vuol dire, che in questo vigesimo Canto descriverà nova pena quale non avea vedula, nè udito mai dire. Bargigi. Al Venturi, che non sa qual nome si dia il Poeta a questa sua opera chiamandola or Comedia, or Poema, or Canzone; risponde il Rosa Morando, che Comedia la dice quanto allo stile, Poema con appellazione generica d'ogni maniera di poesia, e che: Dante dividendo l'Opera sua in tre parti, e a ciascuna dando il nome di Canzone o sia Cantica non viene per questo a dar più d'un nome alla sua Comedia, come non si danno molti nomi a una Comedia chiamandone le parti or Prologo, ora Alto, ora Scena. V.tutto il suo ragionamento, e leggasi il Mazzoni Toselli, Difesa della Divina Commedia (Part. I, Lib. 2,cap. 20).

SOMMERSI diconsi per proprietà di vocabolo gli affogati nell' acqua ec. Virg.

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submersasque obrue puppes; ma qui il
Poeta teologo prende la voce nel senso
mistico per cui si dice Abisso l'Inferno
e sommerso il peccatore, rassomigliato a
Faraone e suoi seguaci sepolti nelle on-
de dell'Eritreo: Abyssus humanae mali-
tiae invocat abyssum divinae justi-
tiae (a). Le acque dinotano non solo nel
linguaggio sacro, ma eziandio nel comu-
ne i flutti e le tempeste della vita. Davi-
de (salm. 41): Fluctus tui super me
transierunt. Con bella allegoria descri-
ve egli, nel salmo LXVIII, la schiavitù
che significa lo stato de' perversi. Noi
rechiamo qui la parafrasi fatta dal nostro
Saverio Mattei:

Salvami, o Dio; per me non v'è speranza.
I rigogliosi flutti

Mi copron già: mi s'impedisce il libero
Uso di respirar, che l'onde amare
Entran già nelle fauci: in quali io scendo
Voragini profonde! Una sdrucita
Tavola, a cui m'appigli, un fermo e stabile
Poggiuolo, ove posar io possa almeno
Il vacillante piè, non trovo, o Dio!
Che debbo far? In alto mar già sono,
Mi si celan le sponde, e Cielo, ed acque
Sol mi veggo d'intorno: io manco: al nuoto
Più non resisto, e la terribil onda

Ecco già cresce, ecco m'ingoia e affonda.
E questo a dimostrare (e il potremmo
con più copia di argomenti) come qui
dall'Alighieri la voce sommersi sia tolta
in senso figurato, secondo l'uso che ne
fecero le scritture sante.

8-9. AL PASSO CHE FANNO LE LETANE ec. A simil passo lento e tardo, co

(a) Vedi Sav. Mattei al salmo 41.

Come 'l viso mi scese in lor più basso,

Mirabilmente apparve esser travolto
Ciascun dal mento al principio del casso:
Chè dalle reni era tornato il volto,

Ed indietro venir li convenia,

Perchè 'l veder dinanzi era lor tolto.
Forse per forza già di parlasia

Si travolse così alcun del tutto;
Ma io nol vidi, nè credo che sia.
Se Dio ti lasci, Lettor, prender frutto

Di tua lezione, or pensa per te stesso
Com' io potea tener lo viso asciutto,

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questa lezione potrebbe, forse non assurdamente, intendersi per passo il ponte sul quale stavano i due poeti. V. Inf. IX, 80, nota.

10-11. VISO... scese in lor pIÙ BASSO. Vedi la linea visuale del Poeta volto ai maliosi che vengono verso lui; la quale variabile a ogni lor passo, quando poi scende quasi a perpendicolo sulla testa loro che son quasi sotto il ponticello, epperò più da presso, ed egli distingue il travolgimento del collo alle reni di quei miseri che camminavano a ritroso. Vista onde molto si maraviglia, come fan manifesto le parole MIRABILMENTE Apparve ec.

12. CASSO. V. Inf. XII, 122, nota. 13. TORNATO, Travollo v. 11. - Tornare per girare ec. V.Inf. VII, 31, nota.

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16. PARLASIA dal gr. paralysis che suona rilasciamento di nervi. Voce fat

Il testo Bargigiano ha la variante al passo Come fan le lelanie. Il Zacheroni nota: LETANE è idiotismo, che gli Accademici non dovevano giammai anteporre al vocabolo italiano LETANIE. Inoltre la lezione Bargigi degli ultimi due versi di questo trinario rende migliore il concetto del poeta. Come lo renda migliore non s'intende; poichè, posta anche la diversità della lettera, la sposizione bargigiana è la stessa di quelle che ne danno gli altri, e il concetto poetico è uno a tutti. Letanie hanno infatti l'edizioni del 1472 ristampate a cura diligentissima del Vernon, tranne la Mantovana; e Letonie lez. prescelta dal ta Witte pel suo testo. Lilanie è tra le variorum dello stesso Witte, come nel codice Cassinese. Il Filippino ha stranamente Letame, dove chiaro dee leggersi letanie; invece di che pare abbia scritto il copista, trascurando di porre il punto sulla lettera che mal si è presa qual terzo piede dell' emme. Letane poi è del lungo codazzo che va dietro all'edizione Veneziana del 1529 e Lionese 1551. COME, COм e Co'leggono col Bargigi oltre il testo del De Romanis, il Codice di S. Croce o di Filippo Villani e quello della bibl. Reale di Berlino. Secondo

ital. paralisi e paralisia, come poesis, haeresis, hypocrisis ec. divennero nella lingua nostra poesia.eresia, ipocrisia ec. Ben pochi nomi ritennero l'una e stasi (b), palingenesi (c) che si dicon l'altra desinenza:come emollisi (a), emonesia. Dante sincopò la voce in Parlaanche emottisia, emostasia, e palingesia siccome in antico si disse anche parlelico per paralelico o paralitico. 19. SE, deprecativo. V. Inf. X, 82, 94.

(a) Da éma, sangue, e ptio, sputare. (b) Da éma, sangue, e stasis, stazione, ristagno.

(c) Dapálin, di nuovo, e génesis, generazione.

Quando la nostra imagine da presso
Vidi sì torta, che 'l pianto degli occhi
Le natiche bagnava per lo fesso.
Certo io piangea, poggiato ad un de' rocchi

22. IMAGINE s'intende per la faccia o
il volto tutta la forma e la figura del cor-
po umano. V. v. 23, e il Tasso, Gerus.
liber. IV, 49 e XVIII, 30.
L'IMAGINE... TORTA, per la ragione e-
spressa dal Poeta nel trinario 37-39.

24. FESSO, partic. passato in luogo del sust. fessura. Il Nostro, Rim. Canz. XV: Poi guardo la sua svelta e bianca gola

Commessa ben dalle spalle, e dal petto, E il mento tondo fesso e piccioletto, Talchè più bel cogli occhi nol disegno. Dove con le parole mento fesso s' intende non più che l'avvallamento, la pozzetta o fosserella del mento.

25-28. Torquato Tasso: Nota che Dante è ripreso da Virgilio che compatisca agl'indovini, benchè non sia stato prima ripreso, quando mostrò compassione de' mali de' due cognati, o di Ciacco, oppur di Piero dalle Vigne; anzi Virgilio stesso mostra compassione ove dice:

l'angoscia delle genti,

Che son quaggiù, nel viso mi dipinge Quella pietà che tu per tema senti. Nell'Inf. XXXIII, 150, così la villania si tramuta in cortesia, come qui sarebbe empietà la pietà: nel Parad. IV, 105, Almeone si fe spietato per non perder pietà. Alla sentenza di S. Girol., Ep. XXIII: Grandis in suos pietas, impietas in Deum est... il Tommaseo dice: Ma della giustizia umana parlando, la sentenza risica di diventare spietata; e distingue la misericordia che sorge quasi per istinto dalle altrui afflizioni, da quella di elezione, ch'è ragionevole. Pure queste sottili considerazioni non risolvono le difficoltà avvertite dal Tasso. Come dunque Virgilio riprende nel suo alunno quel nobile affetto della pietà, che a lui scolora il viso sulla proda della valle d'Abisso? (Inf. IV, 20 seg.). Ivi la Ragione, secondo a noi pare, si acconcia più al senso umano di Dante, ch'è il simbolo dell' Umanità; qui si pretende che l'anima del Poeta sgombra dagli affetti che gli possono far velo,giudichi di

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rittamente l'opera della severa giustizia di Dio. Dante stesso nella bolgia de' Simoniaci (Inf. XIX, 10 seg.) esclama:

O somma Sapienza, quanta è l'arte Che mostri in Cielo, in terra e nel mal mondo, E quanto giusto tua virtù comparte! non mostrando punto di pietà verso coloro, che per moneta uccidono l'anima, come gli assassini il corpo. Le angoscie delle genti pungono di pietà la nobile anima di Virgilio; i due Cognati, e Ciacco e Pier delle Vigne destano la compassione in Dante: furon peccatori tratti dall'amore, dal senso, da forti affetti a violare la legge, in un motto, incontinenti, e meritano l'umano compianto: i simoniaci e i maliosi, che persistettero con freddo calcolo di maligna frode nel male operare, non meritano affetto e che per loro si pianga. D'altronde chi può dire che il nostro Poeta non abbia veduto in quegli sciocchi indovini dal viso travolto la figura dell'Umanità, che non curando gli ammaestramenti del passato nè del presente, si pasce di vani calcoli sul futuro, e invece di progredire, tace, lagrima e va lenta a ritroso per gli eterni circoli delle utopie? E Virgilio qui gli dice: Tu saresti più torto (a) di cotestoro, se ti prendesse pietà della pena a che gli ha dannati la divina Giustizia. Allegoria non indegna del gran Poeta della civiltà; sebbene questa nostra interpretazione non sia confortata dall' autorità di nessun altro comentatore.

UN DE' ROCCHI. A una delle sponde del ponte, intende il Bargigi. Rocchio

(a) Abbiamo avuto ad osservare che Dante spesse volte è oscuro, perchè usando egli dei vocaboli in tutto il rigore della loro primitiva significazione, noi immemori della proprietà di essi, smarriamo la via che ne menerebbe a ragpare sia dal Poeta messo per torto, secondo la giungere il suo vero concetto. Ora Scellerato qui nozione indita alla voce, che viene o da oxo.òs, obliquus, pravus; o da oze.λos, perversus: ed egli altra volta (Inf. XIX, 36, V. nota) adopera torti, come qui intende torto sotto la voce scelin sentimento di peccati o ingiustizie la voce lerato che vale anche ingiusto ec.

maseo

Del duro scoglio, sì che la mia Scorta
Mi disse: ancor se' tu degli altri sciocchi?
Qui vive la pietà quand' è ben morta.
Chi è più scellerato di colui,
Ch' al giudicio divin passion porta?
Drizza la testa, drizza, e vedi a cui

masso prominente e scabroso tra tanti
ch'erano per lo scoglio sconcio ed erto
(Inf. XIX, 131). Il Volpi: Rocchio, pez-
zo di sasso, di figura quasi cilindrica.
Lat.saxum teres.-Rocchi, massi. Tom-
A noi non sembra improbabi-
le che in origine rocchio fosse una cosa
con roccia; poichè il c anticamente non
ebbe il suono dolce, e roccia doveasi
pronunziare come or dicessimo rocchia;
di che troviamo vestigio nel francese ro-
che, rocher che vagliono anche scoglio,
rupe, balza; e dippiù è risaputo moltis-
simi nomi di nostra lingua avere avuta
la doppia uscita in a ed in o.

30. AL GIUDIZIO DIVIN PASSION PORTA. Prendendosi GIUDIZIO DIVIN pe' giudicati o dannati da Dio, la sentenza sarebbe: chi è più scelerato di colui, che porta compassione ai rei giudicali e dannati da Dio? Ancora noi diciamo: a questo egli pianse cioè in udire o in vedere questo, ovvero quando questo ebbe udito ec. Così ci avvisa debbano prendersi le parole: AL GIUDIZIO DIVIN per in vedere o quando vede il giudizio (a) divin, cioè la condanna che Dio dà ai rei. PASSION PORTA, si duole, come il lat. fert dolorem ec. In sentenza (vv. 29, 30): Non è lecilo piangere, nè aver compassione a quelli che per giusto giudicio di Dio sono dannati. Barg. Notabile la sposizione del Tommaseo: Scellerato è portare le umane passioni nell'esame de'divini giudizii; perocchè non pare si possa, o con passione o senza, entrare mai ad esaminare i divini giudizi; nè Dante avrà intenso ciò dire, memore della scritturale sentenza: Quam

go,

(a) Giudizio per condanna, punizione, castiin ispezialità, ed è ovvio (judicium) nella Bibbia, e trovasi in alcun luogo del Poema, siccome, Inf. II, 96. e Purg. VI, 100.- S. Paolo: Judicium sibi manducat et bibit non dijudicans corpus Domini ec.

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incomprensibilia sunt judicia lua Domine! Varianti sono passion comporta ch'è del cod. Cassin., della Nidob. del testo Caet. E. R. Vat. 3199, Poggiali, Frullani, Pucciano 9, e de' Riccardiani 1025, 1027. - Passion porta leggono l'ediz. del Burgofranco Ven. 1529, la 2a Rovelliana, Lion. 1551, la 1a del Sansovino 1564 e la più parte delle posteriori. Lo Strocchi preferisce la lettera comporta all'altra, e intende per figura gramm. detto passion comporta invece di com-passion porta a mo' latino comportare passionem. E infatti il Bargigiano ha:

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Che al giudicio di Dio compassion porta. ta dal Witte. e compassion porta è la lezione prescel

31. DRIZZA... DRIZZA esprime premura, sollicitudine ec. Si dà oltracciò ad intendere che il Poeta era incurvo e col capo inchinato a veder quelli ch'eran più presso di sotto dal ponte: Virgilio vuol che drizzisi a vedere Anfiarao che appariva in maggior distanza.-A cui, vi è sottinteso quello, colui al modo latino. Così il Nostro, nelle Rime, Canz. XII:

Sono, che per gittar via loro avere
Credon capere

Valere là, dove gli buoni stanno.
Orazio Lib. I, Od. I:

Sunt quos curriculo pulverem Olympicum
Collegisse juvat...

Est qui nec veteris pocula Massici ec.
E Lib. II, Satyr. Ï:

Sunt, quibus in Satyra videar nimis acer... Ed infiniti luoghi di questo, come di altri scrittori.

tosamente.-Enea (V.741) all'ombra del DOVE RUI-RUI, rovini, cadi precipipadre Anchise,... Quo deinde ruis?

Di Anfiarao, che fu uno di que're che assediarono Tebe (Inf. XIV, 68) e indovino famoso nell'antichità, e della terra che s'aperse per tranghiottirlo, Stazio VII: Ecce alte praeceps humus ore profundo Dissilit.

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