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Qual suole il fiammeggiar delle cose unte
Muoversi pur su per l' estrema buccia,
Tal era li da' calcagni alle punte.
Chi è colui, Maestro, che si cruccia,

Guizzando più che gli altri suoi consorti,
Diss' io, e cui più rossa fiamma succia?
Ed egli a me: se tu vuoi ch' io ti porti
Laggiù per quella ripa che più giace,

strope (a) di salici con le quali ritorte
si sogliono legar molte cose. STRAMBE
sono corde che usano i Saracini molto
nel
regno di Valenza in Ispagna, sono
falte d'un'erba da essi chiamata spar-
to, la quale tessono in modo di trecce,
estendendole in quanta lunghezza vo-
gliono.

30. TAL ERA LÌ ec., cioè tal moveasi li il fiammeggiare DA' CALCAGNI ALLE PUNTE, cioè alle dita de' piedi.

33. SUCCIA: Dice SUCCIA, perocchè la fiamma di cose unte qual' era questa, pare quasi non ardere la materia soggetta, ma suggere la untura fuori della detta materia. Se Dante non pose senza un fine la fiamma che lambisce le piante de' Simoniaci, esso non può essere altro da questo: che quella fiamma la quale come lingua di fuoco, simbolo di carità e di grazia, apparve sul capo degli Apostoli, si è per questi pseudo seguaci di Cristo mutata in segno di odio e dl riprovazione; ardendo buccia buccia su per quelle piante ch' ebbero calpestati i doni dello Spirito Santo, e divenendo tormento in Inferno quello stesso che dovea esser gioia di Paradiso: tremendo modo di consumarsi per dolorose fiammelle il Santo Crisma onde alcuni che rici furono di nome e non di fatto gli unti del Signore. Ma bella ne sembra la chiosa sincrona del Cassinese: Quae pena sic ad hunc mundum allegorizatur, videlicet quod clerici delecti ministri Dei in hoc mundo si oculos mentis quos debent erigere ad celestia hic cupiditate et avaritia ad terena bona mundana inclinant possunt vere dici esse summersi deorsum incendium

(a) Stropa voce ancor viva tra' Bolognesi, Romagnuoli, Veneziani e Lombardi.

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planlarum potest accipi pro ardore cupiditatis clericorum in hoc mundo viventium qui cum deberent supeditare et conculcare et ipsi eum elevant in amore suo et affectu.

35. PIÙ GIACE, è più inclinata, epperò men rilla, erta o ripida; sicchè dà non difficil discesa. Giacere, il Volpi, detto d'una riva o montagna che penda, e dia comodo a chi vuol calare o montare. Ma cotesta giacitura spiegata dal Poeta nel canto XXIV, 37-40, s'intende gia, quello che più è verso il pozzo o il da questo: che de' due argini della bolcentro, essendo più basso dell'altro, e le coste toccandosi alla linea di mezzo, ne viene che la costa che appoggia sull' argine meno alto debba essere di maggiocombaciare col piano. re inclinazione, e tender più dell'altra a

B

M

A

C

E

be rappresentare la sezione della bolCosì nella figura ABCDE (che potrebgia III) si vede, che la ripa DC è più intutto abbiano le basi AC e CE uguali: il clinata, e più accessibile, dell'altra BC, che nasce evidentemente dalla disuguaglianza degli argini DE, AB. La DC poi giace più che non la BC, poichè per adeguarsi al piano AE dovrebbe inclinarsi per la quantità DE AB. Poniamo queste linee, perchè i comentatori non pare mostrino avere idee chiare in questo punto, e non vogliamo che i nostri lettori imbottino nebbia.

Da lui saprai di sè e de' suoi torti.
Ed io: tanto m'è bel, quanto a te piace:
Tu se' signore, e sai ch' io non mi parto
Dal tuo volere, e sai quel che si tace.
Allor venimmo in su l'argine quarto;

Volgemmo, e discendemmo a mano stanca
Laggiù nel fondo foracchiato ed arto.
El buon Maestro ancor dalla sua anca
Non mi dipose, sin mi giunse al rotto
Di quel che si piangeva con la zanca.

36. TORTI, ingiustizie; poichè voce opposta a dritto o drittura bene dagli antichi usitata in sentimento di giustizia. Si può intendere per peccati ec. come dicono i comentatori, giacchè peccato è violazion della legge: ma pare a noi che questo TORTI qui sia relativo a quel che (v. 104 seg.) dice il Poeta:

Chè la vostra avarizia il mondo attrista,
Calcando i buoni e sollevando i pravi.

37. M'È BEL, mi piace, m'è in grado ec. Nel Convivio: Siccome omai per quello che detto è, puote vedere, chi ha nobile ingegno, al quale è bello (a) un poco di falica lasciare. Così inversamente usaron gli antichi piacente, piacenza ec. per bello, bellezza ec. V. Inf. V, 104.

38. TU SE'SIGNORE ec. Inf. II, 139 seg.
Or va, che un sol volere è d'ambedue
Tu duca, tu signore e tu maestro.
Non partirsi dal volere di Virgilio,
val quanto seguitar la Ragione, ch'è Si-
gnore e Duca al Poeta. V. loc. cit. not.
39. SAI QUEL CHE SI TACE. Altrove
(Inf. II, 36) gli dice:

Se' savio, e intendi me' ch'io non ragiono.
E Virgilio era già un di coloro. (Inf.
XVI, 119 seg.):

che non veggion pur l'opra,
Ma per entro i pensier miran col senno!
or vede, ancorché Dante si taccia, il de-
siderio ch' egli ha di esser portato lag-
giù. E porlato, perchè la Ragione lo
sforza a discendere, e vedere e dire quel
che avrebbe voluto tacere. La Ragione
SA QUEL CHE SI TACE; e il Poeta non teme
di visitare i Papi simoniaci e pubblicarli
al mondo.

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40. IN SULL'ARGINE QUARTO, confine tra la terza e la quarta bolgia. Virgilio volse a man sinistra, calando con Dante in braccio, di su questo argine per quella ripa che più giace (v. 35).

41. MANO STANCA si dice anche oggidì da' Lombardi per la man manca e benissimo; imperocchè, parole del Rosa Morando, la man sinistra è per così dire debole e STANCA, ed è la meno atta alle operazioni che si usano comunemente tra gli uomini.

42. ARTO stretto, per le coste che giacciono, perchè non sì molti i simoniaci come gli altri dannati; e perchè quelli stretti in fori e come pal commessi. Artezza per strettezza o angusto luogo, Purg. XXV, 9.-Arto Parad. XXVIII, 33 ec.

43. ANCA, osso tra il fianco e la coscia.

44. SIN e S particelle ellitticamente usitate per sinchè, sin tanto che. Altri testi hanno sì. Il Bargigi l' intende per l'etsi de' latini e chiosa: Quantunque fossimo giunti là giù, non mi depose ancora dalla sua anca sopra la quale ei mi aveva portato, ma prima mi portò appresso di quel piantato. Ma sì per finchè usa evidentemente il Poeta (v.128):

Nè si stancò d'avermi a se ristretto
Si mi portò sovra 'l colmo dell'arco.
MI GIUNSE, mi ebbe accostato, ap-
pressato.

ROTTO, la parte forata della costa, il

foro.

45. PIANGEVA, altri leggono pingeva confortando questa lettera col v. 120

(a) Cioè m'è bello, piacemi, lasciare ec.-V. che ha spingava da spingare, spingere, Ediz. Ven. 1758, Zatta, a pag. 129.

anche perchè pare evidente che le zan

O qual che se', che 'l di su tien di sotto,
Anima trista, come pal commessa,
Comincia'io a dir, se puoi, fa motto.

che non piangano, e che duro anzi che
no sembra, intender che piangano in
quanto movendosi dan segni di dolore.
Pingeva accetta il Bianchi come lez. del
Cod. 2865 della Cors. È anche tra le
variorum del Witte. Il sig. Mazzoni To-
selli tiene che si debba nel cit. v. 120
leggere Springava siccome è scritto in
alcuni codici, e questo per pringava o
pingava che per errore si legge pigava
nel cod. della bibl. bologn. comentato
da Benvenuto da Imola in questo v. 45:
Di quel che si pigava con la zanca.
con le parole: Quasi dicat qui agitabat
crura. SI PIANGEVA qui vale senz'altro si
dibatteva. Avendo il Poeta già detto di
colui che si crucciava (v. 31):

Guizzando più che gli altri suoi consorti. e sì forte (v. 26):

Che (le giunte) spezzate averian ritorte e strambe serba ora a questo verbo la nozione propria del latino plangere ch'è battere, percuotere, dall'antiq. plago, onde plaga e planctus, che si usarono in accettazione di percossa o battitura.

ZANCA, gamba.In Corsica zanca, in Toscana cianca. Lat.bar.,Zancha, Zanga, e Tzanga specie di calzare; d'onde alla pillacchera e al loto, che salta, in camminandovi su, per gli stivali, i calabresi dicono ancora Zanga, gl' Italiani Zacchera; e nell' idioma Ferrarese si ha la voce Dszacullar in sentimento di Spillaccherare.

46. QUAL CHE SE', chi che tu se', chiunque, lat. quisquis. Inf. I, 66: Qual che tu sii. VIII, 123. Qual che... s' aggiri ec. Vit. Nuov. Canz. Donne che: Degli occhi suoi, comecch'ella gli mova Escono spirti d'Amore infiammati, Che fieron gli occhi a qual, ch'allor gli guati. IL DI SU ec. lieni di sotto il capo che dovresti tener di su. Barg.

47. PAL. I grammatici dicono che convien guardarsi dal troncare le parole,massime le uscenti in lo, quando ciò facendo restassero monosillabe come da polo,telo, calo,stelo,zelo,melo,molo,palo,mulo ec. pol, tel, cal, stel, zel, mel ec. Esempi

d'approvati autori fanno contro a cotesta teoria; e, posti da parte quelli degli altri, ci basterebbe questo, che qui arrechiamo, di Dante Alighieri. Anche il Pucci, Centiloq. C. XLV, 14: « E ad un pal fe legar le mani e' piedi ». Il Tasso, Rinald. C. VI,/11: « Chi con gran forza il pal di ferro tiri ». Nel Ricciard. C. IX, 52: « Vo' che di dietro un pal ti sia ficcato ». Il Buonarr. Fier. G. II, 2, 4: «Datogli di quel pal traverso il collo ». Inf. XXIV, 124: « Vita bestial mi piacque, e non umana, Siccome a mul ch'io fui... ». E il Pulci, Morg. C. XIV, 74: « E 'l mul che tutto par di vizj pieno ». Il Barberino, Reg. 74, sotto Industria: «Non voler trar lo mul di sua natura ». - Simigliantemente, Inf. XXI, 137: « Ed egli avea del cul fatto trombetta ». E il Pulci, Morg. C. XXI, 92: «Dicendo: al cul l'avrà chi sia ghignoso ». Il Tassoni, Secch. rap. C. IX. 53: « Balestrava col cul ballotte allesso ». E il Ricciard. C. II, 15: « E pel cul gli esce il Paladin di Francia ». Vedete, di grazia, quanto si van lungi dal vero i grammatici, quando prescrivono regole di troncamenti, astraendo dall'uso degli ottimi scrittori. Eppure in nessuna materia quanto in questa, hanno i più valenti tra essi usata maggior sottigliezza, tutto che men favoriti dall'autorità de' padri di nostra favella.

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48. FAR MOTTO è frase ovvia in Dante. Anticamente si disse mutto. Jacopo da Lentino:

E non dicesse mutto a voi sdegnosa.
È voce dal Lat. muttum, o mutum.
Cornuto, sopra Persio, Sat. I: Prover-
bialiter dicimus:muttum nullum emise-

ris. Forse che la stessa voce latina deri-
vi dal greco μos, sermo. Anche il pro-
venz. e il franc. mot, e lo spagn. mote
nella stessa significazione. Festo dice
mutire valer loqui. Ennio antichissima-
mente scrisse: Palam mutire plebeio
piaculum est. Nondimeno mulire per
ammutolire, non far motto, zittire ec.
Lat.: ne mu quidem audere facere: che

Io stava come 'l frate che confessa

Lo perfido assassin, che, poi ch'è fitto, Richiama lui, perchè la morte cessa. Ed ei gridò: se' tu già costì ritto, Se' tu già costi ritto, Bonifazio? Di parecchi anni mi menti lo scritto. Se' tu si tosto di quell' aver sazio, Per lo qual non temesti torre a inganno

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Jos. Scalig. dice tanto essere, quanto: ne multum quidem audere dicere. D'onde l'origine della voce, e le due forme: far motto, dir motto parlare, profferire parola ec. Ma essendo m consonante labiale di lieve pronunzia, ed u la più stretta delle vocali; ne dovette venire che mu e mutto o motto (Fare) valesse in origine: dire un accento, proferire una parola, piccola che la si fosse. Invalse nondimeno l'uso di prendere la voce molto per sentenza intera, come nel seguente luogo di Dante (Inf. XXII, 97):

Se voi volete vedere o udire. . . Toschi o Lombardi, io ne farò venire; Ma stien le male branche un poco in cesso, Si che non teman delle lor vendette; Ed io seggendo in questo loco stesso, Per un ch'io son, ne farò venir sette, Quando sufolerò, com'è nostr'uso

Di fare allor che fuor alcun si mette. Cagnazzo a cotal motto levò il muso ec.

Tutto il discorso di Ciampolo è signi

ficato col vocabolo motto. Il Poeta usa la locuzione Parlar verbo (Inf. XXV, 16): E si fuggì che non parlò più verbo. Loffo Bonaguidi (1280):

E non posso trovar motto si altiero, Che più alto non sia vostro valore. 51. RICHIAMA. Diaglisi a soggetto non il FRATE, ma l'ASSASSINO; il quale, quando, giusta l'uso barbaro (a), veniva fitto col capo in giù nel fosso, ad esser seppellito vivo, cessava (V. Inf. XXII, 100-XVII, 33) cioè interrompeva l'esecuzione della giustizia, richiamando il confessore, come volesse di altro rendersi in colpa. PERCHÈ LA MORTE CESSA, perchè l' assassino cessa, lien da sè lontana, quanto può, la morte. Altri intendono cessa

(a) Tra i decreti antichi di Firenze si legge: Assassinus plantetur capite deorsum, ita quod moriatur. A questa pena detta Propagginare a cui erano condannati gli assassini, Dante assomiglia quella che si da ai simoniaci, fossero anche coloro, che vestirono il papale ammanto.

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neutr.; ma s'ingannano; perchè la morte è un punto che si può ben ritardare, allontanare, differire, non mica interrompere.

Il Bargigi non pare che bene sponga: Il Frate stando inchinato RICHIAMA lui, richiama quell'assassino ec.

il Venturi; ma nelle voci costiritto, co52. COSTI RITTO, costì in piedi,spiega stiritla, quiritta, quicirilla, quiviritta ec. bene osserva il Lombardi, il ritto vo; ma come voce niente significante, o ritta non dover prendersi come adiettied aggiunta per mera proprietà di linguaggio. Il Cod. Cassin. ha costirilta, il che conforta l'opinione lombardiana.

La ripetizione della frase: SE' tu già COSTIRITTO, è significativa di forte maraviglia. E a questa duplicata dimanda si acconcia bene la risposta ch'è al v. 62:

Non son colui, non son colui che credi. 54. DI PARECCHI ANNI ec. Niccolò III (b) che qui parla, vedeva ancor lontana (c) la morte di Bonifazio (d), che morì nel 1303, mentre la visione del Poeta si finge avvenuta nel 1300. Dante non prima del 1307 continuò dal canto VII la can

tica dell' Inferno,e Bonifazio era già trapassato più che da quattro anni. Giovò supporlo ancor vivo, per quegli anacronismi che fan gioco alle poetiche fin

zioni.

intesi dal Poeta: l'uno del tollere, aufer56-57. TORRE, ha qui due significati re lat., l'altro del ducere uxorem.

Bella donna, la Chiesa, la quale non

(b) Niccolò III fu eletto Papa nel 1278 e tenne il seggio pontificale anni 8 e gior. 28.

(c) V. Inf. X, 100 segg. LO SCRITTO, in cui leggono i dannati.

(d) Bonifazio creato Papa nel 1295, occupò la sedia pontificia per 8 anni e 9 mesi.

La bella Donna, e di poi farne strazio?
Tal mi fec' io, quai son color che stanno,
Per non intender ciò ch'è lor risposto,
Quasi scornati, e risponder non sanno.
Allor Virgilio disse: dilli tosto,

Non son colui, non son colui che credi:
Ed io risposi come a me fu imposto.
Per che lo spirto tutti storse i piedi:

Poi sospirando, e con voce di pianto
Mi disse: dunque che a me richiedi?
Se di saper chi io sia ti cal cotanto,
Che tu abbi però la ripa scorsa,
Sappi ch' io fui vestito del gran manto:
E veramente fui figliuol dell' orsa,
Cupido sì, per avanzar gli orsatti,

Che su l'avere, e qui me misi in borsa.
Di sotto al capo mio son gli altri tratti

Che precedetter me simoneggiando,
Per la fessura della pietra piatti.

ha macchia, ruga o nulla di simigliante (Paol. ad Ephes. V, 27). Delle bellezze di essa, qual dovrebb'essere siccome sposa di Cristo, ne son piene le S. Scritture; massime il salm. 44, il Cantico de' Cantici e l'Apocalisse cap. XXI: dove le virtù di lei son simboleggiate da quelle gemme che ai tempi di Bonifazio le erano state già rubate, nè veggiamo ancora chi gliele restituisca.

INGANNO. Dietro la renunciazione fatta da Celestino quinto (a), con grande astuzia (Bonifazio VIII)seppe tener modo che fu eletto esso alla somma dignità papale, ed iniquissimamente fece restringere Celestino in prigione nel Castello di Sulmona, ove non visse molto. La qual cosa malignamente fece per poter più sicuramente riversare il mondo a suo modo senza timore, che Celestino mai più potesse aspirare al papato. Bargigi.

62. NON SON COLUI. V. v. 52, nota. 64. PER CHE. Onde, per la qual cosa. TUTTI, pleonasmo.

(a) Celestino soli nove mesi tenne il Papato, al quale fu eletto nell' anno 1293, e vuolsi che Bonifazio lo confortasse a fare il gran rifiuto.

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66. CHE, che cosa. A ME. A scusa anche da.

69. VESTITO DEL GRAN Manto, perifrasticamente per Papa. PAPALE AMMANTO. Inf. II, 27.

70. FIGLIUOL DELL'ORSA: di casa degli Orsini detti Filii ursae.

73. DI SOTTO AL CAPO... TRATTI. TRATche raccolti (V. Inf. III, 106 not.). TI, tirati giù, dicono; ma tratti vale an

75. PER LA FESSURA DELLA PIETRA PIATTI. Il Barg. leggendo al num. plur. fessure, spone: ascosi entro questo sasso, sicchè veder non li puoi. PIATTI appiattati, ovvero, come dice il Bianchi, schiacciali, compressi lungo lo stretto foro della pietra. Noi crediamo insito alla voce piatti lo stesso significato che ha la latina Plaulus,plotus dal gr.λxrus, latus, e che qui il Poeta dir voglia PIATti per la fessura, larghi PER, secondo, o in proporzione del foro; cioè aventi di spazio quel che loro permette la fessura della pietra e non più. La frase cel dice, e Dante sappiamo che ha contro i malvagi in ogni accento una spada. Così cui non bastava la terra, tocca ora

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