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Così, giù d'una ripa discoscesa,

Trovammo risonar quell' acqua tinta,

Sì che in poc' ora avria l'orecchia offesa.

Io aveva una corda intorno cinta,

E con essa pensai alcuna volta
Prender la lonza alla pelle dipinta.
Poscia che l' ebbi tutta da me sciolta,
Sì come 'l Duca m' avea comandato,
Porsila a lui aggroppata e ravvolta;
Ond' ei si volse inver lo destro lato,
E alquanto di lungi dalla sponda
La gittò giuso in quell' alto burrato.

Riccardiani e quattro Patavini. Dove...
dovria è parso fare aspro suono ai dili-
cati, per la ripetizione della stessa silla-
ba iniziale.

DOVRIA è la lezione del Burgofranco, Ven. 1529, e del cod. Rovelliano, Lion. 1551 accettata da' più. DovEA leggono le quattro edizioni del 1472, riprodotte per cura del benemerito G. G. Varren Lord Vernon, Londr. 1858, il codic. Filippino (del sec. XIV), quello dell'Ottimo, e del Boccaccio. Potria, lez. varior. del Witte. Questa lettera accennerebbe ad un villaggio, a nome S. Benedetto, che i Conti Guidi aveano in animo di fare abilare da' loro vassalli: dovria e dovea più al maggior numero de' frati, di cui era capiente la Badia dello stesso nome; ma le rendite servivano pe' pochi, e pel parente e per altra più brutta cosa. Parad. XXII, 76-93.

106. Dante fu cordigliere e terziario di S. Francesco. Finge bene portarne la cocolla in questo viaggio penitenziale. La CORDA o il cordone monastico che lo precinge denotò, ma non fu, capestro alla indomita bestia della libidine. Le pene de'carnali, la infernal bufera che:

Di qua, di là, di su, di giù gli mena. smarriscono il Poeta (Inf. V, 72); dinanzi alla pietà de' due cognati vien egli meno e cade come corpo morto: pure resta attaccato all'

Amor che in cor gentil ratto s'apprende. Dopo quella prima scossa, veduto nell'ORRIBIL SABBIONE, con le piaghe recen

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ti e vecchie incese dalla fiamma eternale, punirsi sotto la pioggia del fuoco il più sozzo tra i vizi della lascivia, ed ecco quell'affetto mondano già scosso crollar del tutto. Virgilio gli comanda che sciolga da sè TUTTA la corda, come inutil cosa dove la Ragione abbia ottenuta piena signoria su' sensi. Un tempo il Poeta, CON LA CORDA,cioè precinto del cordone, tentò pigliar la Lonza dal pel maculato (Inf. I, 33-42 e 49 not. in fine), e nol difese il santo cingolo dagli assalti della carne ribelle. Forse e questa corda, che or si gitta nel fondo del Tartaro come cosa degna di Gerione, fu per Dante, come pe' frati e preti le cocolle e le sottane, disonesto mezzo onde la Frode

con la coda aguzza

E passa i monti e rompe mura ed armi. Questo gran Poeta, il cui viaggio è ordinato a morale, civile e politico perfezionamento dell' umanità, porge qui un savio ammaestramento che gitlar si debbono i cordoni, i sarrocchini e le vesti sacre,quando cuoprono sotto mentito colore di santità il mal talento della libidine, piaga de' popoli e della religione.

Questa nostra interpretazione sembra la più semplice, e rivela più poetico il concetto dantesco; presenta insieme quell'unità, che non si saprebbe integrare dalle speciose note che a questo luogo, da Pietro Alighieri a Niccolò Tommaseo, han fatto i più valenti e sottili comentatori.

114. BURRATO, luogo buio e profondo. Chiama altrove (Inf. XI, 69) baratro il fondo degli ultimi cerchi infernali. Quan

E pur convien che novità risponda,

Dicea fra me medesmo, al nuovo cenno,
Che 'l Maestro con l'occhio sì seconda.
Ahi quanto cauti gli uomini esser denno
Presso a color che non veggon pur l' opra,
Ma per entro i pensier miran col senno!

to al significato e origine della voce Bur-
rato vedi Inf. XII, 10.

115-116. NOVITÀ E NUOVO. Vedi Inf. VII, 20, nota.

118 seg. OPRA è atto morale, mezzo o fine dell'agente; epperò può essere buon o malo, secondo che buona o mala è la volontà da cui parte. Opus è il lavorio dell'operante; opera n'è l'effetto. I latini le nostre azioni chiamarono col nome di actus da Agere. Dante mostra aver inteso per questo vocabolo ciò, intorno a cui l'uomo s'adopra con le sue facoltà per compiere checchessia. Perciò disse (Parad. XXVI, 130):

Opera naturale è ch' uom favella, e può estendersi facilmente a ogni cosa che l'uomo si faccia bene o male che fosse, giusta le parole di S. Matteo: Reddet unicuique secundum opera ejus. Prima del nostro Dante, Fra Jacopone traslatando queste parole avea detto: L'uomo secondo l'opera Sarà rimunerato.

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Chè dopo lui verrà di più laid' opra

Di ver ponente un pastor senza legge ec. (Inf. XXXII, 455):

Trovai un tal di voi che per su' opra Coll'anima in Cocito già si bagna ec. (Parad. XXXI, 34):

Veggendo Roma e l'ardua sua opra
Stupefacensi (i barbari)...

Che opera non fosse come dicono i Comentatori l'azione estrinseca pura e semplice, ma vi s' includesse talora elemento occulto, consiglio o altro, che a rigore non potrebbe venire col nome di azione estrinseca, ce lo apprende Guido da Montefeltro (Inf. XXVII, 73):

Mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe,
Che la madre mi diè, l'opere mie
Non furono leonine ma di volpe.

Gli accorgimenti e le coperte vie

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Io seppi tutte; e sì menai lor arte, Che al fine della terra il suono uscie (a). OPRA per impresa, fatto illustre ec. è voce usitatissima.- Intendiamo ben fatto che diasi un'idea generica del vocabolo, dalla quale si possa poi discendere alle svariate sue applicazioni.

MIRAN COL SENNO. È fuori dubbio che senno si sia adoperato da' nostri padri della lingua per senso; ma più comunemente venne tolto in significato di saviezza, o sapienza, che più s' appartiene al vecchio che abbia saputo coltivare le sue facoltà mentali ed approfittarsi dell'esperienza. Virgilio è chiamato (Inf. VIII, 7) mar di tutto senno, perchè simbolo della ragione. Dante fu sesto tra cotanto senno, quanto n'aveano i sommi poeti che lo ebbero onorevolmente accolto (Inf. IV,102); e Salomone (Par. XIII, 95) fu il re che chiese senno ed ebbe scienza o sapienza: e così Fare a suo senno vuol dire Fare come della la propria ragione. Ser Brunetto Latini ci dice che propriamente voglia intendersi per senno: E chi sa giudicare

E per certo triare (scegliere, scernere) Lo falso dal diritto,

Ragione è il nome ditto.

E chi saputamente

Un grave punto sente

In fatto, e 'n ditto, e 'n cenno
Quello è chiamato senno.

Ed ecco perchè coloro che hanno come Virgilio la fortuna di possederlo, accade che non solo giudichino rettamente delle opre esterne; ma eziandio penetrino con l'acume della mente entro l' altrui pensiero, quasi partecipi della potenza di Dio, che addentro spia:

Nel più secreto lor gli affetti umani. (Tasso) (V. Purg. XV, 133).

(a) Nota qui, lettore, che Dante dice di Guido Volpone quello che la parola divina disse degli Apostoli: In omnem terram exivit sonus eorum, et in fines orbis terrae verba eorum. Tolse la locuzione nulla curando a cui l'applicasse. (Vedi anche Inf. XXX, 58).

Ei disse a me: tosto verrà di sopra

Ciò ch' io attendo; e che 'l tuo pensier sogna
Tosto convien ch' al tuo viso si scopra.
Sempre a quel ver, ch' ha faccia di menzogna,
De' l' uom chiuder le labbra quant' ei puote,
Però che senza colpa fa vergogna;
Ma qui tacer nol posso: e per le note

Di questa commedia, lettor, ti giuro,
S'elle non sien di lunga grazia vote,
Ch' io vidi per quell' aere grosso e scuro
Venir notando una figura in suso,
Meravigliosa ad ogni cor sicuro;
Si come torna colui, che va giuso

Talvolta a solver l'àncora, ch'aggrappa
O scoglio od altro che nel mare è chiuso,
Che 'n su si stende, e da piè si rattrappa.

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gegno) e così ella aggradisca e sia tenuta in onore per lungo tempo, come vero è che vidi venir nuotando ec. Si giura per le cose più care e più sante. Di qui il Poeta mostra far già non poca stima del suo poema.Nore, versi. Inf. III, 34 not.

134. SOLVER nel senso proprio di sciogliere, sviluppare. AGGRAPPA..... SCOGLIO ec. cioè s'inarpica co' raffi a scoglio o altro ch'è chiuso, non visibile sotto

l'acqua; dove mal capitata l'àncora non si può salpare, se indi non sia prima divelta.

124-127. SEMPRE A QUEL VER ec. Cui sia incontrato di leggere il volgarizzamento che il Giamboni fece dell'opera di Martino vescovo di Dumense (VI sec.) intitolata Forma d'onesta vita, parrà chiaro come, al concetto di questa terzina, Dante abbia tenuto presente il passo che ne piace di qui addurre: La natura del savio è di esaminare e di pensare in suo consiglio, innanzi ch'egli corra alle cose false per leggieri credenza. Delle cose che sono dottose non dare giudicamento, ma tieni la tua sentenzia pendente, e non la fermare, perocchè tutte le cose verisimili non sono vere; e ciascuna cosa che sembra non credibile non è però falsa. La veritade ha molte FACCE DI MENZOGNA, ed è tal fiala (a) co- derà perchè Gerione salga aggrappato verta in simiglianza di verità, che siccome lo lusinghieri cuopre lo suo mal alla fune, egli che poteva per l'aria talento per mostrare bella cera del suo nuotare. Dieci risposte potrebbersi daviso, tulto altresì puote la falsitade rilascio questo indovinello ai lettori. Perre ingegnose più l'una che l'altra. Io cevere colore in simiglianza di veritade per meglio altrui beffare.

129. S'ELLE ec. Qui il Se è deprecativo, come nel verso 64, 66 ec. V. In sentenza: Lettore, ti giuro per le note di questa Commedia, cioè per quanto essa mi è cara (quasi figliuola del proprio in

(a) Mancano forse nel testo le parole la menzogna.

136. Questo verso è una pittura non men viva del vero.

Il Tommaseo nella fine delle sue illustrazioni al XVII canto dice: Si doman

donate, signor Tommaseo,se francamente vi diciamo che stavate di buona vena quando questo scriveste. Voi volete la baia de' lettori di Dante, e mentre ne illustrate il Poema, avete cuore di lasciarne alcuna volta allo scuro, proponendo a mo' d'indovinelli le quistioni che un illustratore come voi ha l'obbligo di risolvere. Tenete in corpo non meno di dieci risposte e dormite senza il rimorso di

Gerione.

CANTO XVII.

Ullimo sguardo sulle anime che si puniscono nel settimo cerchio.
Discesa nell' ottavo.

Ecco la fiera con la coda aguzza,

Che passa i monti, e rompe muri ed armi: Ecco colei che tutto il mondo appuzza.

non averne spiegata pur una all' onorevole pubblico? Voi ci affamate, come fe la Cicogna alla Volpe, ponendoci innanzi la guastada piena del minuzzato cibo, dove non altri che voi potete ficcare il collo lungo. Non abbiamo poi il torto d'avervi invitato alla patena della liquida sorbizione. Tra noi Davi qual Edipo disnoderà l'enigma della Sfinge Tebana? Or le son dieci, ed io mi fo ardito di tentare se possa coglierne una; ma vorrei non però che la mia risposta fosse meno ingegnosa che semplice e vera, perchè sola più delle dieci valesse. Ed ecco qual ne pare che sia. Gerione ascende per la corda, perchè la frode non nuota invano quando le si porge un capo dove possa appigliarsi. Date alla frode un appicco ed essa sale,trionfa, si eleva dall' Inferno, e vien su più presto e per la più corta. Gittatele un cordone da frate onde possa ricingere i suoi lombi, un piviale che le possa coprire il fusto serpentino,ed ella corriva a porre in opera le sue arti non s' indugia a venir su speranzosa di sue conquiste. Cala poi volteggiando pel vano del burrato, perchè oppressa ed aggravata al fondo sotto il peso della RAGIONE e della UMANITA raffigurate per Virgilio e Dante. E quel discendere nuotando a spire larghe pel vacuo è secondo suo usato, che circuit quaerens quem devorel: quando però la Ragione l'è addosso e la Civiltà, la malvagia bestia circuisce a voto, e discende dispettosa e trista, come il falcone che non abbia falta sua preda.

Se questa nostra interpretazione non sia tra le dieci del Tommaseo ; avrà per lo meno il pregio di fare che ormai l'egregio illustratore di Dante fosse meno avaro delle sue preziose risposte.

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do per l'aere grosso e scuro del burrato (Inf. XVI, 130 segg.). Si rattacca il principio di questo con la fine del canto precedente, non intraponendosi altro tempo, che quanto ne passò dallo scernerla salire, al vederla sulla proda.

CON LA CODA AGUZZA. Il capo e il busto vedea Dante da sè; a compir la figura ci volea la coda, cui la fiera non trasse sulla riva. Virgilio dipigne a parole ciò che l'occhio non vedeva. Anche perchè questa parte, sebbene ultima, compie l'opera della frode: e la Ragione discopre quel che più nascosto più nuoce.

2. PASSA I MONTI E ROMPE MURI ED ARMI. Non è difesa che vaglia contro la frode. PASSA I MONTI. Il Petrarca:

Ben provvide natura al nostro stato
Quando dell'Alpi schermo

Pose tra noi e la tedesca rabbia Or dentro ad una gabbia ec. ecco la frode che perfora, valica i monti, turba le nazioni.

MURI: ed ella entra ne' castelli, nelle città, nelle case e ne' luoghi più muniti.

ARMI: nelle fazioni onorate di Marte

ella defrauda talvolta gli eserciti degli allori dovuti al valore. «La frode del cavallo ruppe le mura di Troia (En. II); il dar do insidioso di Paride ruppe le armi di Achille (En. VI): così Pietro.» Tommaseo.

Orazio (Lib.III,od. XVI) parla di Giove che converso in pioggia d'oro espugna la torre di bronzo non bastata a difendere la castità di Danae; e seguitando dice:

Aurum per medios ire satellites,
Et perrumpere amat saxa polentius
Ictu fulmineo. Concidit auguris
Argivi domus, ob lucrum
Demersa excidio: diffidit urbium
Portas vir Macedo, et subruit aemulos
Reges muneribus. Munera navium

Saevos illaqueant duces.
E vedi sempre la Lupa che incita la
Frode la pinge di mille colori.

3. Appuzza, di puzza ammorba e corrompe.

Si cominciò lo mio Duca a parlarmi,
Ed accennolle che venisse a proda,
Vicino al fin de' passeggiati marmi:
E quella sozza imagine di froda
Sen venne, ed arrivò la testa e 'l busto,

TUTTO IL MONDO, perchè non è dove gli uomini vivano nell' età dell' oro, nè sarà tempo (Virg. Ecl. IV):

quo ferrea primum Desinet, ac toto surgel gens aurea mundo: quando:

si quae manent, sceleris vestigia nostri Irrita perpetua solvent formidine terras

nec magnos metuent armenta leones. Il Poeta (Inf. XI, 52) dice:

La frode, ond'ogni coscienza è morsa. e ne accenna le diverse generazioni, che s'additerebbe come cosa mirabile chi di tutte quante andasse immune.

5. PRODA, riva; s' intende l' orlo od estremità superiore del burrato, tra il sabbione e l'ottavo giro (v. 24). Altrove (Inf. IV, 7 seg.):

Vero è che sulla proda mi trovai
Della valle d'abisso dolorosa ec.

6. FIN DE' PASSEGGIATI MARMI, l'estremità degli argini tra cui corre Flegetonte e dove divallasi nel Burrato.

PASSEGGIATI. Ecco un altro participio di verbo neutro come la colpa pentula (Inf. XIV, 38); e la lagrimala pace, Purg. X, 35 ec., usati a mo di passivi. MARMI, gli argini impietriti.

7. FRODA, per Frode, come Saluta antic. per salute; e lita, apa, cota, seta, nuba, sorla, fama, tossa, vita ec. invece di lite, ape, cole, sete, nube, sorte, fame, tosse, vile ec. tutti sustantivi venutici dai rispettivi nomi femminini della terza de' latini: e de' quali hannosi esempi ne' vecchi scrittori. Noi or li abbiamo terminati in e come l'ablativo ordinario di quella declinazione; ma negl'incunabuli della lingua volgare piacque dar loro la desinenza in a, secondo il modulo de' nomi italiani femminini: e così parimente da mulier si disse muliere dal lat. muliere sesto caso, (poi mogliere) e mogliera; altri fecero moglie e moglia dal nominativo (a).

(a) Quindi dal singolare moglia e moglie si vien bene le moglie;e noi diciamo le mogli irre

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Per la stessa ragione Dante fece da
Callis, ablat. Calle, it. Calla per Calle,
come dipoi invalse l'uso di dire.
Purgat. IV, 19:

Maggiore aperta molte volte impruna
Con una forcatella di sue spine

L'uom della villa, quando l'uva imbruna,
Che non era la Calla, onde saline

Lo duca mio.

Anche fu in antico del genere comune il sust. calle che ora è soltanto maschilmente adoperato.

Il latino stesso, il provenzale e lo spagnuolo, in verso ed in prosa, sì ne' nomi, come negli aggettivi, usaron fare il simigliante; siccome gli esempi ne fanno fede. Epperò per turpe Dante disse turpa nel Paradiso (XV, 145):

Quivi fu' io da quella gente turpa ec. da turpis, sozzo, brutto ec.

E da acris, acre fece acra. Purgal.
IX, 136:

Non ruggio sì, nè si mostrò sì acra
Tarpeia ec.

Così da rudis si fece ruda, e Gio. Villani, raddoppiata la consonante, disse rudda giustizia, cioè ravida,rozza, severa ec.

Dicasi lo stesso di mille altri aggettivi, come para, informa, solerta, comuna, dolca, sublima ec. invece di pari, informe, solerte ec. ec.

Anche ne' nomi propri: da Aeneis, Thais ec. si disse Eneide ed Eneida, Taide e Taida ec. ec.

Imagine di fRODA. È notevole come si dica qui imagine e nel canto precedente (v.131) figura, e poi molto si appelli la Frode col nome di Gerione. E perchè la fiera è tutta in apparenza,nè altro che specie esteriori son quelle che veggonsi in lei; chi poi fosse lo fan sapere all' ultimo i suoi inganni.

8. ARRIVO, accostò alla riva. I latini usarono Appellere attiv. ed assolut., sic

golarmente, e solo forse o per ischivare le due ii finali che per regola si dovrebbero dare al plur. di moglie, ovvero per evitare la confusione de' due numeri nello stesso nome.

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