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Poco dinanzi a noi ne fu; per ch'io
Nel parlare avvisai l'altro nascosto;
E volsi gli occhi agli occhi al Signor mio;
Ond' egli m' assentì con lieto cenno
Ciò che chiedea la vista del disio.
Poi ch'io poteì di me fare a mio senno,
Trassimi sopra quella creatura,

Le cui parole pria notar mi fenno,
Dicendo: spirto, in cui pianger matura

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Quel, senza 'l quale a Dio tornar non puossi,
Sosta un poco per me tua maggior cura.

Chi fosti, e perchè volti avete i dossi
Al su mi di', e se vuoi ch'i' t' impetri
Cosa di là, ond' io vivendo mossi.
Ed egli a me perchè i nostri diretri

Rivolga 'l Cielo a sè, saprai; ma prima
Scias quod ego fui successor Petri.

83-84. Per ch' io Nel parlare avvisai l'altro nascosto: mi accorsi che, sebbene quell' anima da cui fu risposto sapeva che io non era li per purgarmi, non sapeva però l'altro mistero, che io era in carne e in ossa.

85. Volsi gli occhi agli occhi ec.: per iscoprire s'era Virgilio contento che parlasse egli a quell'anima.

87. La vista del disio, la dimostrazione del mio desiderio.

91-92. In cui pianger matura Quel ec. in cui il pianto affretta ed accelera quella soddisfazione alla

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divina giustizia, senza della quale non si può tornare a Dio, cioè andar a stare con Dio.

93. Sosta un poco ec.: affrena un poco per amor mio la tua prima e maggior cura, ch'è di piangere per presto purgarti, e farti degno di salire al cielo

99. Scias quod ego ec. Il Biagioli a questo verso chiosa: Sappi ch'io fui successore di san Pietro, cioè Pontefice; e lo dice con párole latine, perchè pare che allontanandosi dal volgare, sieno più convenienti alla dignità della co

sa ".

Intra Sïestri e Chiaveri s' adima

Una fiumana bella, e del suo nome Lo titol del mio sangue fa sua cima. Un mese e poco più provai io come Pesa 'l gran manto a chi dal fango 'l guarda, Che piuma sembran tutte l'altre some.

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La mia conversione, omè! fu tarda ;
Ma, come fatto fui Roman Pastore,
Così scopersi la vita bugiarda.
Vidi che lì non s'acquetava 'l cuore,
Nè più salir potìesi in quella vita;
Per che di questa in me s'accese amore.
Fino a quel punto misera e partita

Da Dio anima fui, del tutto avara;

Or, come vedi, qui ne son punita. Quel ch'avarizia fa qui si dichiara, In purgazion dell' anime converse;

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108. La vita bugiarda, cioè bugiarda la speranza che ci lusinga di poter ritrovare piena contentezza in questa vita mortale.

111. Per che ec. Laonde venni desideroso di questa seconda vita.

115-116. Quel ch' avarizia ec. Dal giacer legate mani e piedi colla faccia per terra, che in purgazione dell'avarizia fanno qui quest' anime convertite a Dio, si dichiara l'effetto della medesima avarizia, di rivolgere cioè tutto l'animo dell' uomo al danaro, e renderlo incapace d'alcun buono operare.

E nulla pena il monte ha più amara.
Sì come l'occhio nostro non s'aderse
In alto, fisso alle cose terrene,
Così giustizia qui a terra il merse.
Come avarizia spense a ciascun bene
Lo nostro amore, onde operar perdèsi,
Così giustizia qui stretti ne tiene
Ne' piedi e nelle man legati e presi;

E quanto fia piacer del giusto Sire,
Tanto staremo immobili e distesi.
Io m'era inginocchiato, e volea dire;
Ma com' io incominciai, ed el s' accorse,
Solo ascoltando, del mio riverire:
Qual cagion, disse, in giù così ti torse?

Ed io a lui: per vostra dignitate
Mia coscienza dritto mi rimorse.
Drizza le gambe, e levati su, frate,

Rispose; non errar; conservo sono
Teco e con gli altri ad una potestate.

118. Non s'aderse, non si sollevò.

120. Merse per abbassò, affondò. 125. Giusto Sire, Iddio. 128-129. Ma com' io ec.: ma incominciando io così inginocchiato a parlare, ed accorgendosi egli (pel solo ascoltare avvicinata la mia voce a lui, non per vedere, perocchè avendo quell' ombre le facce affisse al suolo non potevano vedere) dell'atto mio riverenziale. 132. Mia coscienza dritto mi ri

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morse. La mia coscienza rettamente, giustamente mi diede stimolo a questo doveroso atto. L'altre edizioni leggono:Mia coscienza dritta mi ec.

134-135. Non errar; conservo sono Teco ec. Piglia queste parole dall'Apocalisse, dov'è scritto, che inginocchiandosi Giovanni evangelista a' piedi dell' Angelo, ricusò l'Angel tal onore, dicendo Vide ne feceris: conservus tuus sum et fratrum tuoruin—conservo sono Teco, sono servo insieme con te.

Se mai quel santo evangelico suono,

Che dice neque nubent, intendesti,
Ben puoi veder perch'io così ragiono.
Vattene omai; non vo' che più t'arresti ;
Chè la tua stanza mio pianger disagia,
Col qual maturo ciò che tu dicesti.
Nipote ho io di là, ch' ha nome Alagia,
Buona da sè, pur che la nostra casa
Non faccia lei per esempio malvagia;
E questa sola m' è di là rimasa.

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la Chiesa - perch' io così ragiono,
perchè dico che son tuo eguale.
140. Stanza per dimora.
141. Maturo, accelero.
142. Alagia, de' Conti Fieschi di
Genova, nipote di Papa Adria-
no V, maritata, come alcuni scri-
vono, al Marchese Marcello Ma-
lespini.

145. E questa sola ec.; quasi dica de' congiunti, ai quali tu possa, giusta l'esibizione tua, raccomandarmi, non ho che questa sola nipote.

FINE DEL CANTO DECIMONONO

CANTO XX

ARGOMENTO

Mentre pel balzo va dove si piange
Avara voglia che tenne ristretta

La mente al mondo che acquistando s'ange;

Trova il Poeta starsi Ugo Ciapetta

Fra quegli afflitti che de' suoi si lagna

E sopra lor predice aspra vendetta, Poi tremar sente alfin l'alta montagna.

pugna;

Contra miglior voler voler mal
Onde contra 'l piacer mio, per piacerli,
Trassi dell' acqua non sazia la spugna.
Mossimi; e 'l Duca mio si mosse per li
Luoghi spediti pur lungo la roccia,
Come si va per muro stretto a' merli;

1-3. Contra miglior ec. Tra due voleri, ossia desiderii contrari, vincendo sempre il migliore, ciob il più premuroso, avvenne quindi, ch' essendo in Dante più premuroso il desiderio di compiacere Adriano, che comandato gli aveva di partirsene, di quello fosse il desiderio di compiacere sè mede

DANTE V. N

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simo col proseguire ad interro-
garlo d' altre cose, si parti perciò
con la spugna non ben sazia d'ac-
que,
cioè colla brama di sapere
non del tutto soddisfatta.

6. Come si va ec. Come suolsi
camminare sulle mura d'una città
stretto, cioè rasente ai merli. Al-
tri legge per muri stretti.
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