Mostrocci un'ombra dall' un canto sola, Dicendo: colui fesse in grembo a Dio Lo cor che 'n su 'l Tamigi ancor si cola. 120 Poi vidi genti, che di fuor del rio Tenean la testa, e ancor tutto 'l casso: E di costoro assai riconobb'io. 125 Lo bulicame, che sempre si scema, Disse 'l centauro; voglio che tu credi, Che da quest' altra a più a più giù prema 130 li che cibano sangue. Salm. V, 7. Virum minestra, capanna, toga, dimora, colsanguinum et dolosum abominatur do- pa ec. si trovano appo gli antichi, ed minus. La qual sentenza il nostro com- anche tra le scritture de classici postePatriota Sav. Mattei reca ne' versi : riori al 1300, usitati con la desinenza in Si che tu odi chi simula, e finge 0, emutato il genere di femminino in maLieto volto, cortesi parole, E le mani poi macchia, e si tinge scolino, favolo, pluvio, cruno ec. Dell'amico nel sangue, crudel (a). E qui è da notare la ragionevolezza 120. SI COLA. Il Provenz. Colar, lat. lino, per significare specialmente la par dell'uso, che ritenne Casso sust. mascoColere, nel senso di servire, aver cura, te concava del corpo tra le costole, e rispettare, onorare. Il Poeta però dice non confonderla con le altre casse che si cola, per si cole; chè in antico molti verbi della seconda, come della terza, alla filologia s' appartiene, è da sapere sono arnesi di casa. E, per quello che s'inflettevano sulla prima coniugazione che il simile fecero i latini: imperciocchè (V. Inf. VI, 84). Vedi, e riderai, (dice de' nomi della prima declinazione fem . il Nann. anal. crit. verbi, pag. 337 (2)) minili ridussersi appo loro alla seconda, le strambe interpretazioni che di que- prendendo il genere mascolino o neusta voce danno i commentatori, per non averne conosciuta l'origine. tro: come delicia e delicium, clavicula e claviculus, con molti altri. 122. Francesco Ismera contempora La qual cosa non vuole trasandarsi, neo di Dante (1290), in una sua can- chi ami essere sperto, come nel fatto zone: delle lingue, possa dirsi, una di tutte esE porto dentro formato nel casso Amaro pianto, ch'agli occhi m'abbonda. sere la fortuna. (V. Purg. XXII, 1 seg.) Casso è da Capere latino; onde Capsa, sta voce dicendo: al principio del casso: Il Poeta (Inf. XX, 12) usa anche queCassa, dipoi fatta Casso con la desinen e così (ivi XXV, 74): il ventre e 'l casza maschile: siccome ne fanno fede molti altri nomi, che in antico vennero si- s0; (Purg. XXIV, 72): l'affollar del migliantemente mutati: Ad esempi: per casso (b). favola, pluvia, cruna, ambra, pietra, 126. Passo, varco, guado, passaggio cetra, noia, saliva, favilla, apparenza, V. Inf. IX, 80 not. comedia, grotla, bica, nottola, tavola, briciola, gocciola, candela, soma, for- (b) Affollare è propriamente dal lat. Follis, za, preghiera, festuca, spera, pignatta, mantice. Basti sol questo ad ammirare la pro prietà della frase dantesca: affollar del casso (a) Qui veramente è pena data al virum san- ch'è metafora dipintiva dell'alenare affannoso guinum : ai traditori e più giù parata la Giu. dell'uomo ec. il cui petto come ansa rassemdecca. bra agitato mantice che manda e tira l'aria. Non era ancor di là Nesso arrivato, Quando noi ci mettemmo per un bosco Che da nessun sentiero era segnato. 5 Non han sì aspri sterpi, nè si folti mai non si trovò nodo nel giunco.Schiello in isterpi dalle spine altossicate ; che 2. CI METTEMNO ben delto rispetto ad simboleggiano le punte de' tormentosi un bosco inospitale, e dove non era se rimorsi. La vita razionale si parte dal gnata orma, nè via. Altri che Dante non suicida, e vi lascia soltanto la vita animav'era mai capitato, che vivo vi lasciasse le: questa gli resta in Inferno, acciocchè vestigio. Mettersi per un bosco, per una senta la pena; ma la sua vita formale è via, per un luogo qualunque, 'dicesi di quella delle piante infruttuose e selvagcolui, che non essendone esperto e pra- l'infimo grado a cui discende chi se me ge, cioè la vita vegetale; che significa е desimo uccide. Quelle fiere selvagge, che in odio hanno Tra Cecina e Corneto i luoghi colti. Che cacciar delle Strofade i Troiani 10 10 segg. Virgilio (En. III, 210) se- Leman rapaci (a) e l'ugne incurve e torte (b) guitando il racconto d'Enea, gli pone in Grande e fetido il ventre ec. bocca quelle parole, alle quali allude il STROFADE per Strofadi anche in pronostro Poeta: sa. Fior. Ital. Rubr. 99: Questi uccelli Strophades grajo stant nomine dictae Ercole li cacciò dalle mense del delto Insulae Ionio in magno: quas dira Celaeno, Fineo con le saelle, fino alle isole che Harpyiaeque colunt aliae, phincia postquam Clausa domus, mensasque metu liquere priores. si chiamano Strofade. Rubr. 120; Dopo Tristius haud illis monstrum, nec saevior ulla molta tempesta che sostennono, capilaPestis et ira Deûm stigiis sese extulit undis. rono alle Strofade. Virginei volucrum vultus, foedissima ventris Proluvies, uncaeque manus, et pallida semper Similmente le Amazzone, le Ciclade, Ora fame. le Najade, le Driade, le Nereide cc. per Come queste brutte arpie insozzassero Amazzoni, Cicladi, Najadi ec. le mense apparecchiate, e tutto contami- Purg. XXXIII, 49: nassero il pasto ai Trojani; come la tri- Ma tosto fien li fatti le Najade. (Lajade) sta profetessa Celeno annunziasse loro i Coteste desinenze derivano evidentefuturi danni e la fame crudele, che gli mente dalla terza declinazione latina; stringerebbe a divorare il desco; i colori onde da matres, faces, dulces ec. furotratti dalla viva pintura virgiliana, potrà no antic. madre, face, dolce ec. per mavedere chi leggerà il citato luogo infino dri, faci, dolci ec. La prima e la quinta al verso 267. Intanto ecco il tristo an- favorivano la stessa finale, ed ebbero nunzio, al quale si riferiscono le parole tutt' i sustantivi femminili uniforme cadi Dante. Parla la Celeno, fierissima di denza in e al plurale: oggi quelli della tutte le arpie: terza vogliono uscire in i. Parad. XXIII, Accipite ergo, animis atque haec mea figite dicta; 43: Dape per Dapi. Ivi. XXVII, 10: le Quae Phoebo pater omnipotens, mihi Phoebus A. qualtro face. Purg. XX, 100: nostre pre (pollo Praedixit , vobis Furiarum ego macima pāndo. Iv. XVI, 106: alle curule. Anche degli ce. Parad. XXI, 77: tra le tue consorte. Italiam cursu petitis, ventisque vocatis Ibitis Italiam, portusque intrare licebit. aggettivi fu fatto il simigliante. Par. XV, Sed non ante datam cingctis moenibus urbem, 9: concorde per concordi. Ivi. XXIII, 57: Quam vos dira fames, nostraeque injuria caedis (lingue) pingue. Ivi. I, 109: (nature) acAmbesas subigat malis absumere mensas. cline ec. In poesia, in prosa, in, e fuori 11. STROFADE son due isolette ora di rima si trovano dagli antichi scrittori chiamate Strivali. Questo nome, che si- de' primi secoli fino ai Poliziano, al Pulgnifica rivolgimento, venne lor dato, ci, al Sannazzaro ec. usate codeste finadacchè agli alati figli di Borea, essendo li. Noi trasandiamo gli esempi che avietato da Giove di perseguitare oltre le vremmo a mano; e siam sicuri che coloArpie, fu sopra di quelle che cotesti ra- ro, i quali non apparano le lingue dalle paci, mostruosi e sozzi uccellacci ferma- grammatiche e da dizionari soltanto, ma rono il volo e la stanza, nè più tornaro- dalla diuturna ed assidua lettura degli no ad imbrattare la mensa di Fineo re di Arcadia o di Tracia, in pena de' suoi (a) Dalla loro rapacità ebber nome le Arpie; delilli. poichè apargely significa rapire. L'Ariosto segue anche Virgilio nel de- praedam pedibus circumvolut uncis. Dante, che (b) Virgilio (En. III, 233) : Turba sonans scriverle (Orl, fur. XXXIII...); le considera come uccelli, dà loro li artigli; Volto di donna avean, pallide e smorte l'Ariosto le ugne incurve; perchè le guarda coPer lunga fame attenuate e asciutte, me fiere mostruose. Imperocchè diciamo con Orribili a veder più che la morte: proprietà le unghie del leone, della tigre ec. li Le alacce grandi avean deformi e brutte, artigli dell'aquila,dell'astore,dello sparviere ec. e Ali hanno late, e colli e visi umani, Piè con artigli, e pennuto 'l gran ventre: 15 E’l buon Maestro: prima che più entre, Sappi, che se' nel secondo girone, Mi cominciò a dire, e sarai, mentre 20 E non vedea persona, che 'l facesse: approvati scrittori, terranno con noi che la più logica,dacchè meno si è ragionato il nostro Poeta non violò in nulla le leg- a vedere la legittimità di quella che s'ingi della favella de' suoi dì. viene ne'MSS e codici di maggiore auto15. Strani i LAMENTI E GLI Alberi più rità. Noi prescegliamo quella pur riteASPRI E POLTI, che que'tra il fiume Cèci- nuta dal Bianchi e dal Tommaseo; e ciò Na e la città di Corneto. I quali son sen facciamo considerando che qui Virgilio za Pomi, cioè non portano frullo, e fanno dica a Dante: Vedrai cose che tu non quella selva selvaggia ed aspra e forte, crederesti se io te le dicessi. Quelli che cui abitano uomini vissuti e morti fuori pensano il Mantovano volere accennare dell' uso umano : i quali abborriscono per queste parole al fatto di Polidoro, gentilezza ed umanità, siccome le fiere non vedono ch'egli troppo vagamente aHANNO IN ODIO i luoghi colti. vrebbe parlato, avrebbe fatto un sermo ne dell' Eneide, e si sarebbe mostrato 16.Entre,entri(V.Inf.XI, 101not.ec.). 17. Nel secondo de' tre gironi in cui poco modesto in dir qui la medesima co sa a Dante, che signiticò poi a Pier delvedemmo essere scompartito il VII cer- le Vigne (v. 48). Nel primo de' due luochio. (Inf. XI, 17 not.). ghi si dice: Dante, tu non aggiusteresti 18 e 19. MENTRE... VERRAI NELL'ORRI- fede al mio detto, se io ti dicessi quel BIL SABBIONE (Inf.XIV,13 segg.). Sarai nel che sei per veder con gli occhi tuoi: nel secondo girone infino che tu sia entrato secondo Virgilio dice veramente all'aninel terzo. Sapremmo grado al Poeta che ma di Piero: se questi mi avesse creduquesto dicesse come gli fan dire tutti i to in ciò che teslè gli ho detto (v. 28 comentatori; i quali non vanno di là del segg.), e che anche narrai nel mio poeMENTRE, finchè, donec e dum. Ma egli ma, (v. 48) non avrebbe pur distesa la qui misura lo spazio per la durata, vo- mano in te, nonchè schiantarti e scerlendo dire: tullo il tempo che tu poni parti: ma la sua incredulità ho voluto per giugnere all’ORRIBIL SABBIONE, cam- io vincere con la sperienza del fallo. minerai sul secondo girone: potrai sì Dopo queste considerazioni, chi ben giudicar quanto sia esteso. Noi così so- vi attende, troverà di nessun momento gliam dire: di qui alla riva di quel fiu- le sottigliezze Biagioliane ec. in sostegno me, tu andrai sempre per le terre del della lezione contraria a quella che noi tale: e vogliam significare dal moto e dal teniam per vera. lempo la dimensione del luogo che percorriamo. Misura non matematica, ma 23. E NON VEDEA PERSONA. Persona propria de' luoghi dove sono i Poeli. per niuno, a mo' Francese, ma non dal Francese: se non, dobbiam dire che o i 20. TORRIEN FEDE. La lezione vagheg- Galli son ladri delle cose italiane, o gl'lgiata dal Biagioli, da G. B. Niccolini, dal tali son ladri delle cose galliche, per ciò Lombardi e da molti altri è quella del Ni- solo che le due lingue hanno le stesse dobeato, cioè DARAN FEDE.Questa è credu- lettere dell'Abbici. Perch' io tutto smarrito m'arrestai. 25 Che tante voci uscisser tra que' bronchi Da gente, che per noi si nascondesse. Qualche fraschetta d'una d'este piante, 30 Allor pors' io la mano un poco avante, E colsi un ramuscello d'un gran pruno, E'l tronco suo gridò: perchè mi schiante? 35 28. TRONCHI. Il Tasso (Gerus. liber. la voce di Clorinda; il cui spirito aniXIII, 37 e segg.) toglie di qui l'idea del- mava i rami d'una pianta, la quale ebla selva incantata: dove è vinto Tancredi, b' egli ardilamente con la spada pere scioglie poi l'incanto il valoroso Rinal- cosso. do. Più semplice, e più morale l'inven- I tre grandi vati sembrano in tutto ozione dantesca. riginali nella loro poetica invenzione; 30. Monchi,quasi manchi o mancanti, perciocchè Dante non è inferiore al suo incompiuti. La realtà ferma e compie il Maestro; e non sapreste dire se il cantor nostro pensiero. Un pensiero che non di Goffredo, tuttochè dopo i due, fosse aggiunge il fatto è come un moncheri- superiore al secondo. L'imitazione è neno che nulla afferra. Dante pensava che gl'ingegni sublimi una sola favilla, che su pe'tronchi di quegli alberi gente si incende la fantasia e la fa possente di nascondesse da loro per paura: il fatto nuove creazioni. mostrò che questa sua opinione fu mon- 32. GRAN PRUNO, conforme all'anima ca o corta, perchè di qua dal vero. Ora ch'era in quell'arbore spinoso e silvestro. un pensier tale non si direbbe nullo, co- 33. Dove in questo canto si legge me intendono i chiosatori; perocchè un TRONCO, il testo del Bargigi ha Broncon: pensiero nullo non è nessun pensiero. Un lettera creduta la vera dai Zacheroni, il braccio, un lavoro, un pensier monco, è quale dice: Quello che gridò non fu il tuttavia braccio, lavoro, pensiero comun- TRONCO ma il BRONCONE del pruno, e lu que imperfetto. lo vedi chiaramente se rifletti al grido 31. Porsi LA MANO, distesi la destra: ch' esso fece, quando Dante lo colse : Lat. Manum porrexi. Qui Dante fa par- PercuiÈ MI SCHIANTE? Non è così facil lare Pier delle Vigne dal rolto sterpo cosa schiantare il pedale d'un gran pruin che fu convertito, pena dell'essere sta- no, quando invece facilmente si può to suicida. Imilò Virgilio (En.III, 19-48) rompere uno de' suoi polloni. che della mortella fa uscire lamentosa la SCHIANTE, schianti (V. v. 16 not.). Alvoce di Polidoro e dire ad Enea: trove (Inf, IX, 70): Quid miserum, Ænea, luceras? jam parce se. Li rami schianta, abbatte e porta fori. (pullo. I più vaghi colori poetici tolse Dante 34. DA CHE... POI, quando poi o da dal citato luogo Virgiliano. Giova rileg- poi che, per dopo che o poichè. Quest'ulgerlo. Si vedrà quanto più feconda sia tima particola sarebbe più conforme al l'invenzione del Fiorentino poeta. costrutto: in cui troviamo un passato riTorquato Tasso imitò. Virgilio e Dante moto composto seguito da un passato (Gerus. liber. XIII, 41-42-43) ove, poi- semplice. Da che, V. Inf. II, 85 not. chè Tancredi ebbe superati gl'infernali 35. SCERPi ha la forza dell' excerpis orrori della selva incantata, fu vinto dal- ch'è da ex e carpere.Virg.summa papa e |