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molto ci sarebbe da dire sopra quel passo di Tommaso, ove appunto alla triplice distinzione delle relazioni dell'uomo applicando l'altra notissima delle virtù, dice: Le virtù teologiche ordinano l'uomo rispetto a Dio, temperanza e fortezza rispetto a sé stesso, giustizia a' prossimi. Ognun vede che la giustizia comprende le relazioni verso Dio e verso sé, e che da quelle verso i prossimi non possono essere escluse la fortezza e la temperanza.

Ma per seguire le consonanze del pensiero di Dante con quel di Tommaso leggansi i luoghi seguenti: Pecca contro Dio l'eretico e il sacrilego e il bestemmiatore.... Peccano contro se il goloso, il lascivo ed il prodigo..... Contro il prossimo, il ladro e l'omicida..... L'uomo è naturalmente animale politico e sociale (1). Chi pecca nel prossimo, pecca e in Dio e in sè medesimo.... (2). In quanto l'ordine rispetto a Dio inchiude ogni ordine umano, il peccare contro Dio è comune a ogni peccato; ma in quanto l'ordine rispetto a Dio sovrasta alle relazioni dell'uomo con sé e col prossimo, il peccato contro Dio è uno speciale genere di peccato.

Sempre i peccati contro Dio sono più gravi... Bestemmiare è dir contumelia o parola di spregio in ingiuria del Creatore... Il nome di bestemmia importa una certa negazione (3) di bontà eccellente, e principalmente della divina (4).... La bestemmia deroga alla bontà divina o con l'opinione o con la detestazione dell'affetto; può essere bestemmia del cuore (5) e bestemmia del labbro... La bestemmia che deroga alla bontà divina non solo quanto alla verità dell'intelletto ma anche quanto alla gravità della volontà detestante, e che impedisce al possibile l'onore divino, è bestemmia compiuta..... La bestemmia deroga alla carità. Con quest'ultima sentenza il gran pensatore vuol farci accorti che i vincoli delle anime singole con l'invisibile sono insieme vincoli sociall, e che l'idea religiosa non può dalla civile mai essere separata. E però forse Dante sceglie per tipo de' bestemmiatori Capaneo, il guerriero, assediatore di Tebe, il ministro di fraterna guerra:

A questo Canto ho serbato appunto il parlare della pena del fuoco che quattro Canti prende, acciocchè sia più chiara l'intenzione del Poeta, nella varia intensità d'essa pena. La sentenza evangelica del fuoco eterno (6) il Damasceno dichiara cosi fuoco non materiale; ma quale Dio sa (7). E la Somma: Il fuoco è massimamente afflittivo per ciò che abonda in virtù attiva; e però col nome di fuoco significasi ogni azione che sia.

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(1) Ar. Pol., I. —(2) Ecco il modo: avere in sè man violenta. (5) Inf., XI: Far forza nella Deilade, Col cuor negando e bestemmiando quella. (4) Ivi: E spregiando natura e sua bontade. (5) Ivi Col cuor negando e bestemmiando. (6) Matth., XXV, 41. (7) Dam., de ort. fid.; Aug., Gen., 1. XII. Forse così interpretavano quel di Giobbe: Devorabit cum ignis qui non succenditur (XX, 26).

veemente (4). Gregorio: Uno è il fuoco della Geenna, ma non in un modo cruciati i peccatori; che ciascheduno, quanto chiede sua colpa, tanto sentirà della pena (2). E ancora la Somma: Siccome l'uomo allontanandosi dall'Uno per il peccato, pose il proprio fine nelle cose materiali che sono molte e diverse, così in moltiplici modi e da molte cose saranno afflitti. In Dante, dunque, i bestemmiatori, soddomiti, usurai son puniti di fuoco perchè fulmini piovvero sul disprezzatore di Dio, Lucifero, e fulminato fu Capaneo bestemmiatore sotto le mura di Tebe; fuoco sopra Gomorra; e l'usura da' vecchi canoni punita con fuoco. E un antico Come fuoco che si distende è l'usura.

I violenti in Dio sono supini, per ricevere tutta senza riparo la fiamma, e forzati a riguardare in alto la potenza che offesero, immobili, quasi da lei continuo fulminati: i violenti nella natura, correndo, per dinotare l'inquietezza delle ignobili voglie, ma nel corso schermendosi alquanto dall'incendio cadente: i violenti nel prossimo per usura, che offendono insieme Dio e la natura e l'arte delle quali due creature di Dio abusano a inerzia spietata, se ne stanno rannicchiati in sé, per significare la grettezza dell' avaro usuraio ; ma appunto col porgere meno spazio alla fiamma e coll'aiuto delle mani per pure far prova di rinfrescarsi, hanno tormento men duro de' bestemmiatori di Dio. E stanno più basso degli altri perchè l'usura è cosa vile, e più confinante alla frode punita nelle bolgie di sotto; laddove la bestemmia ha più del violento, e però è men lontana dalla sanguinosa selva de' suicidi.

Dell'acquisto usurario dice Aristotile che est maxime præter naturam (3); e la Somma, ragionando dell'usura, eccettua dal biasimo di essa. solo quel frutto che serve a compensare il danno che il prestatore avesse dal mutuo a patire (4). Se non che i moderni teologi ed economisti consentono che per compenso del danno abbiasi eziandio a computare quel tanto che il prestatore potrebbe ritrarre di frutto dal suo danaro s'egli medesimo l'adoprasse; del qual frutto privandosi nel mutuo, egli viene a ricevere danno vero, quasi come di somma perduta; se non che sola la coscienza può essere giudice di casi tali: né basta la lontana possibilità del guadagno per farsi titolo al pro del danaro, ma richiedesi che il prestatore abbia forza e d'industria e di volontà da poter rendere il danaro fruttuoso operandolo. Di qui consegue che gli oziosi, per poco di censo che piglino, sono usurai e peccano di comunismo tanto più reo, quanto più mascherato.

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CANTO XVIII.

Argomento.

Siamo all'ollavo cerchio, diviso in fossi, e su ciascun fosso un ponte: i fossi girano in tondo. l'uno inchiude l'altro, come i tre gironi de' violenti, sì che la decima bolgia è più angusta di tutte. Nel mezzo della decima, cioè di tutte, s'apre il pozzo che ingoia i traditori. Le dieci bolge sono pe' frodolenti: nella prima i seduttori di donne per propria libidine o per altrui. Tra' mezzani trovano un Bolognese; tra' seduttori, a propria libidine, trovan Giasone. I seduttori si rincontrano co' mezzani, quasi per farli arrossire a vicenda delle loro turpitudini e delle frustate che pigliano. Nell'altra bolgia gli adulalori, tuffati in isterco.

Nota le terzine 1 alla 6; 9, 10, 12, 15, 16, 21, 22, 27, 28, 31, 32; 55 alla 40; 42, 43, 44.

. Luogo è in inferno, detto Malebolge,

Tutto di pietra, e di color ferrigno, Come la cerchia che d'intorno 'l volge. 2. Nel dritto mezzo del campo maligno

Vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
Di cui suo luogo conterà l'ordigno.

3. Quel cinghio, che rimane, adunque è tondo,
Tra 'l pozzo e 'l piè dell'alta ripa dura;
E ha distinto in dieci valli il fondo.

4. Quale, dove per guardia delle mura
Più e più fossi cingon li castelli,
La parte dov'e' son, rende figura;

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(SL) Malebolge. I diavoli chiamerà poi Malebranche. Bolgia arnesc simile a bisaccia; cosi chiama il luogo, Che'l mal dell'universo tutto 'nsacca (Inf., VII), dove giaciono i frodatori di chi fidanza non imborsa (Inf., X1). FERRIGNO. Virgilio, di Caronte: Ferruginea... cymba. - Ferreique Eumenidum thalami (En., VI). CERCHIA. Cerchia dicevansi le mura di Firenze. VOLGE. Come girare, è attivo e neutro assoluto. 2. (L) NEL DRITTO MEZZO: nel bel mezzo. -' - VANEGGIA: s' apre vuoto. — DI CUI SUO LUOGO CONTERÀ L'ORDIGNO: diró a luogo suo come è fatto.

(SL) MALIGNO. Inf., VII: Maligne piagge. Il pozzo è come lo scolo de' dieci fossi; sentina d'Inferno. — VANEGGIA. V. la terzina 25.

3. (L) Quel cingHIO, CHE RIMANE...: il terreno che cinge il pozzo e la roccia perpendicolo è tondo e diviso da dieci argini, sopra ciascuno de' quali un ponte.

(SL) DIECI.Georg., IV: Novies stix interfusa coercet. 4. (L) QUALE... RENDE FIGURA: qual figura presenta la parte dove sono i sassi che cingono il castello.

(SL) FIGURA. Conv.: Tutto cuopre la neve e rende una figura in ogni parte, sicchè d'alcuno sentiero vestigio non si vede.

5. Tale immagine quivi facean quelli;
E come a tai fortezze, da' lor sogli
Alla ripa di fuor, son ponticelli;

6. Così da imo della roccia scogli

Movén, che ricidean gli argini e i fossi,
Infino al pozzo che i tronca e raccogli.
7. In questo luogo, dalla schiena scossi
Di Gerion, trovammoci; e 'l poeta
Tenne a sinistra, ed io dietro mi mossi.
8. Alla man destra vidi nuova piéta,
Nuovi tormenti, e nuovi frustatori,
Di che la prima bolgia era repleta.

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5. (L) QUELLI argini.
(SL) SOGLI. Vive in Corsica.

6. (L) DA IMO della roccia scOGLI MOVEN...: dal fondo, dal piè del masso si partono scogli che quasi ponti accavalcian le bolge e le tagliano a traverso, e mettono al pozzo il quale pare li tronchi e ravvolga.

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(SL) MOVEN. Inf., XXIII: Un sasso che dalla gran cerchia Si muove e varca tutti i vallon feri. Rammenta la potente evidenza di quel di Virgilio: Refugitque a litore templum (En., III). TRONCA. En., V e IX: Secuit... arcum. - Tutti ad esso convergono, come l'asse d'una ruota raccoglie i raggi e quasi li tronca. I fossi e i ponti tutti tendono verso il pozzo, onde gli argini vanno scemando in altezza. RACCOGLI. Accolo per accoglilo (Purg., XIV, t. 2), e côle, in prosa, per coglile. 7. (SL) Scossi. Esprime il dispetto con cui li posò. En., X: Excussus curru.

(F) SINISTRA. Solita direzione de' due Poeti; perche scendon sempre a tormenti e reità maggiori. I frodatori stanno chiusi in bolge, come rei di più chiuso delitto.

8. (L) PIÉTA dolore.

(SL) PIETA. Petr. : Di piéta e di paura smorto. — FRUSTATORI. Æn., VI: Hinc exaudiri gemitus, et sæva sonare Verbera. 1 REPLETA. Par., XII, t. 20.

9. Nel fondo erano ignudi í peccatori:

Dal mezzo in qua ci venian verso 'l volto; Di là con noi, ma con passi maggiori: 40. Come i Roman, per l'esercito molto,

L'anno del giubileo, su per lo ponte Hanno a passar la gente modo tolto, 14. Che dall'un lato tutti hanno la fronte

Verso 'l castello, e vanno a santo Pietro, Dall'altra sponda vanno verso 'I monte. 12. Di qua di là su per lo sasso tetro,

Vidi dimon cornuti con gran ferze, Che li battean crudelmente di retro. 13. Ahi come facén lor levar le berze

Alle prime percosse! E già nessuno
Le seconde aspettava nè le terze.

14. Mentr' io andava, gli occhi miei in uno
Furo scontrati: ed io si tosto dissi:

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9. (L) DAL MEZZO IN QUA....: dal mezzo della larghezza della bolgia venivano vôlti al Poeta; dall' altro mezzo in là e più veloci.

10. (L) ESERCITO: moltitudine. - PASSAR. Attivo. MODO TOLTO: preso spediente.

(SL) ESERCITO. Georg., I: Corvorum.. exercitus. PONTE di Castel Sant' Angelo; l'anno 1300, quando Dante fu a Roma ambasciatore della Repubblica a Bonifazio. Questo papa, primo istitutore del Giubileo, fece dividere il ponte per lo lungo, sicchè la gente dall' un lato andasse verso Castel Sant' Angelo a S. Pietro, dall'altro verso il Monte Giordano a S. Paolo senza intopparsi; e v'erano guardie, dice l'Ottimo, che additavano il passo. Altri pel monte intende il Gianicolo. - TOLTO. Anco in prosa. 11. (SL) SANTO. Così intero nel Malespini: Santo Giovanni.

12. (L) LO SASSO TETRO: La bolgia è tutta pietra. FERZE: sferze.

(SL) SASSO. Saxum per parte di monte è in Virgilio (En., II). FERZE. Æn., VI: Sontes ultrix accincta flagello Tisiphone quatit insultans. BATTEAN. Orazio, de' verseggiatori che reciprocamente si adulano, dice, con finissima urbanità: Cœdimur, et totidem plagis consumimus hostem, Lento Samnites ad lumina prima duello (Epist., H, 2).

(F) CORNUTI. Siamo alla pena del lenocinio. Le visioni del diavol cornuto frequenti nelle leggende. Boll., I, 529.

13. (L) LE BERZE: la gamba dal ginocchio al pié. E GIÀ NESSUNO LE SECONDE ASPETTAVA NÉ LE TERZE: correvano.

(SL) BERZE. Alzar le gambe, dicesi tuttora per fuggire. Altri berza per pustola.

14. (L) Di vedER COSTUI NON SON DIGIUNO: lo vidi già.

(SL) SCONTRATI. Sempre gli occhi hanno vita e quasi anima propria. DIGIUNO. Cosi dirà la vista sazia; e le luci inebbriate (Inf., XXIX); e pascere gli occhi (Inf., XVII). Arios.: Vorrebbe dell'impresa esser digiuno... Nessuno Di far festa a Ruggier restò digiuno.

15. (L) FIGURARLO raffigurarlo. INDIETRO GISSI.

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Ma che ti mena a sì pungenti Salse? 18. Ed egli a me: O Mal volentier lo dico: Ma sforzami la tua chiara favella, Che mi fa sovvenir del mondo antico. 19. I' fui colui che la Ghisola bella

Condussi a far la voglia del marchese, Come che suoni la sconcia novella. 20. E non pur io qui piango Bolognese; Anzi n'è questo luogo tanto pieno, Che tante lingue non son ora apprese 21. A dicer sipa tra Savena e 'l Reno. E se di ciò vuoi fede e testimonio, Récati a mente il nostro avaro seno.

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16. (SL) BASSANDO. En., VI: Vix adeo agnovit pavitantem, et dira tegentem Supplicia. GETTE. Inf., XVII, t. 24. Dan., X, 45: Dejeci vultum meum ad terram. En., X: Oculos Rutulorum rejicit arvis. LucAN., II: Defixum lumina vultu. Semint. Gettato il volto in terra.

(F) CELAR SI CREDETTE. I viziosi più vili fuggono ogni conoscenza. Aug., de Erem. Per la turpezza del corpo e la nudità confusi, vorranno celarsi, e non potranno. Confusi dejectique pudore.

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17. (L) LE FAZION: le fattezze. CHE TI MENA A SÌ PUNGENTI SALSE: chi seducesti e vendesti?

(SL) FAZION. En., III: Sic ora ferebat. Novellino, VIII: Era di nobili fazioni, e stava con peritosa faccia.

SALSE. Cosi era chiamata un'angusta valle circondata di grige coste senz'alberi fuori di Porta S. Mammolo in Bologna, dove punivansi i malfattori, frustavansi i ruffiani e simil gente, gettavansi i corpi scomunicati. Ed era proverbio infame quel nome. E tuttodi i contadini chiamano quel luogo le Sarse. Parlando ad un Bolognese, Dante gli rammenta i supplizit del luogo natio; egli ch' era stato a studiare a Bologna. E però il dannato dice chiara la sua favella, che gli ridesta le memorie della patria, e con questa dolcezza lo muove a dire quel che avrebbe celato. Salse, in Toscana, fanghi vulcanici.

18. (SL) SFORZAMI. Simile nel XXIV dell' Inferno (t. 46).

19. (L) NOVELLA: fama.

(SL) GHISOLA. Sorella di Venedico; egli la indusse a servire alle voglie d' Obizzo da Este (detto anche dal Villani semplicemente Marchese), signor di Ferrara. Pare che varia corresse di ciò la voce; ma Dante, in odio de' Guelfi Estensi, asseverantemente l'afferma. E la guelfa Bologna è da lui detta madre di mezzani feconda, feconda perchè avara; e l'avarizia fa di Roma una lupa (Purg., XX) e una meretrice dissoluta. - NOVELLA. Albertano: La falsa novella tosto vien meno, 20. (L) APPRESE: ammaestrate.

(SL) BOLOGNESE. Inf., XVII: Con questi Fiorentin' son Padovano. APPRESE. Brunetto: Ben appreso di guerra.

21. (L) SIPA: sia. TRA SAVENA E'L RENO: fiumi tra' quali è Bologna. TESTIMONIO testimonianza. (SL) SIPA. I Bolognesi dicono sipa per sia. AVARO. Juv. Quando Major avaritiæ patuit sinus.

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(SL) Mi. Inf., XII, t. 44: Si raggiunge Ove.... RIPA. Costeggiarono finora l'alto muro a sinistra, guardando a destra; ora trovano un ponte che si parte dal muro, e accavalcia il fosso, lo salgono, e si partono dalla stagliata rocca, eterna cerchia, non caduca come quella della città di Firenze.

24. (L) SCHEGGIA. Bastava una striscia del masso per far da ponte.

(SL) ETERNE. Inf., I, t. 38: Luogo eterno. Lucano, del monte che copre Tifeo: Æterna mole (Phars., V). 25. (L) VANEGGIA... PER DAR PASSO AGLI SFERZATI : era vuoto per dar passo ai dannati. ATTIENTI: fermati. FEGGIA LO VISO IN TE.... ferisca, venga diritto a te l'aspetto loro.

(SL) ATTIENTI. Vit. ss. Padri: Io non mi posso attenere ch'io non mi lovi. - FegGIA. Inf., X: Sentier ch'ad una valle fiede.

26. (L) VISO: vista."

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30. Ello passò per l'isola di Lenno
Poi che l'ardite femmine spietate
Tutti i maschi loro a morte dienno.
31. Ivi con segni e con parole ornate
Isifile inganno, la giovinetta

Che prima l'altre avea tutte 'ngannate. 32. Lasciolla quivi gravida e soletta.

Tal colpa a tal martiro lui condanna: Ed anche di Medea si fa vendetta. 33. Con lui sen va chi da tal parte inganna. E questo basti della prima valle Sapere, e di color che 'n sé assanna. 34. Già eravam là 've lo stretto calle Con l'argine secondo s'incrocicchia, E fa di quello ad un altr'arco spalle. 35. Quindi sentimmo gente che si nicchia Nell'altra bolgia, e che col muso sbuffa, E sé medesma con le palme picchia. 36. Le ripe eran grommate d'una muffa, Per l'alito di giù che vi s'appasta, Che con gli occhi e col naso facea zuffa. 37. Lo fondo è cupo si, che non ci basta L'occhio a veder, senza montare al dosso Dell'arco, ove lo scoglio più sovrasta.

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33. (L) DA TAL PARTE: seducendo. - ASSANNA: afferra. (SL) ASSANNA. Inf., XXXI: Divora.

34. (L) GIÀ ERAVAM LA... Il ponte sul fosso s'incrocic-. chia coll'argine perchè il medesimo scoglio traversa gli argini tutti divisi come in tant' archi. L'argine è spalla al fosso seguente.

35. (L) CHE SI NICCHIA : dolersi con ripugnanza. (SL) NICCHIA. Erano nello sterco, e però shuffa vano; atto di chi sente gran puzzo. 36. (L) ALITO: puzzo. APPASTA: appiastriccia. CON GLI OCCHI E COL NASO FACEA ZUFFA: facea schifo e a vedere e a sentire.

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(SL) ALITO. Æn., VI: Talis sese halitus atris Faucibus effundens supera ad convexa ferebat.

(F) ZUFFA. Dicesi urtar l'odorato, offender la vista, percoter l'udito. S Gregorio pone in Inferno, fetore intollerabile, flagelli di percotenti, orribile veduta di Demonii. In queste parole è come il germe del Canto. 37. (L) OVE... PIÙ SOVRASTA: nel mezzo che è più alto. (SL) Dosso. Scoglio. Æn., I: Dorsum immane. (F) Dosso. Conveniva salire nel più alto del ponte, perchè per poco che il raggio visuale si fosse scostato dalla perpendicolare, sarebbe ito a ferire no 'I fondo, ma l' una o l'altra sponda del fosso. Significa forse che per bene osservare certi vizii e' bisogna allontanarsene; l'adulazione segnatamente cupa insieme e schifosa.

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(SL) FANTE. Purg., XI: E sallo in Campagnatico ogni fante. Arios., XXII· A farsi moglie d'un povero fante. UNGHIE. Altro segno di dolore. En., IV: Unguibus ora soror fœdans et pectora pugnis. (F) SCAPIGLIATA. La fa scapigliata per contrapposto ai meretrici ornamenti. OR. Atti d'inquieta e di sfacciata.

45. (L) Ho 10 GRAZIE... Appo TE?: mi sei tu grata ?

(F) TAIDA. Non la greca famosa, ma Taide dell'Eunuco di Terenzio. Il Poeta qui prese uno sbaglio. Trasone in Terenzio domanda al lusinghiero Gnatone : Magnas vero gratias agere Thais mihi ? E Gnatone: Ingentes. - Ain tu læta est? - Non tam ipso quidem dono, quam abs te datum esse. Forse Dante avrà inteso che le lusinghe venissero da Taide, e Gnatone le riferisse; e ponendo lei nell'Inferno, avrà voluto indicare che adulazione è vizio meretricio.

46. (L) E QUINCI SIEN LE NOSTRE VISTE SAZIE: e qui s'è visto assai.

(F) SAZIE. Eccles., 1, 8: Non saturatur oculus visu. Nella prima bolgia un antico e un moderno, Caccianemico e Giasone; nella seconda un moderno e un antico, Alessio e Taide. Il Canto è del genere comico: bellezze dal classico antico diverse, ma classiche.

Pena degli adulatori.

L'adulazione è da Tommaso definita lode a fin di piacere ad altrui; e la definizione è meglio dichiarata nelle condizioni seguenti, che segnano i gradi varii del turpe peccato se lodato il male; se lodato per semplice debolezza o per fine di lucro; se lodato il bene oltre al giusto, se innanzi tempo, se fuor di luogo, se in maniera da invanire il lodato e sviarlo. Ed è sentenza che non solo gli uomini pii, ma i politici e i letterati dovrebbero aver sempre alla mente. Anco il biasimare il male e lodare il bene, se non si faccia nel modo debito, è vizioso (1). Non so se nel sot

(1) Som., 2, 2, 115.

tomettere alle frustate de' demonii que' che lusingano per sedurre il pudore in servigio proprio od altrui, Dante avesse la mira a queste parole del Grande Gregorio: Acciocchè dall'immoderate lodi non siamo inorgoglili, Dio permette che le detrazioni ci lacerino (4). Certo è che tra la corruzione indotta dalle lusinghe nel pudore della donna, e tra quella che generano le lusinghe nel pudore d'ogni anima umana, è trista affinità: onde il Poeta le accosta. Nulla cosi come l'adulazione corrompe la mente (2). Adulare, dice il Grisostomo, è de' seduttori; e Plutarco: l'adula

(4) Mor., XXII. (2) Hier., Ep. XIV.

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