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fuoco eterno, eternale ardore; elerna notte, lenebre, rezzo; eterna la pioggia con grandine e neve; la bufera infernale non resta mai; faticoso in eterno è il manto che aggrava gl'ipocriti; i falsatori non danno volta in sempiterno, e il Poeta desidera ad essi che al lavoro del grattarsi l'unghia.... basti Eternalmente (1). In quella valle nessun mai si scolpa; nessuna speranza li conforta mai di minor pena nonchè di riposo. La città dolorosa eterno dura; l'aria sua è senza tempo tinta; ed è ragione che senza termine si doglia Chi, per amor di cosa che non duri Eternalmente... si spoglia dell' amore delle cose immutabili (2). Eterne le rote de' cieli, eterne le loro

(4) Inf., XXIX. — (2) Par., XV.

bellezze, eterni i raggi della vita beata; eterna la luce ove i beati riguardano; eterna margarita, un' anima eletta; e tutte senza fine cilladine della Roma superna. Eterne le penne degli Angeli, i quali notano sempre le loro armonie dietro alle note degli eterni giri, ed in quella primavera sempiterna perpetualmente svernano Osanna; ei beati vegliano in amore con perpetua vista, e il loro diletto fa perpetue nozze nel cielo e v'insempra il gioire. Egli che in sua eternità fuor di tempo s'aperse, amore eterno, in nuovi amori; egli eterno spiro, elerno valore che ardendo in se dipinge di fuori le eterne bellezze; egli nel cui cospetto eterno si dipinge ogni cosa; egli sempiterna le rote lucenti con sempre nuovi desiderii desiderato.

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CANTO XVII.

Argomento.

Salila la fiera, Virgilio scende dall'argine a parlarle: Dante per l'orlo di quel cerchio, orlo che non è tocco dal fuoco (altrimenti il fuoco cadrebbe nel cerchio otlavo), va guardando gli usurai che, seduti e rannicchiati s'aiulano con le mani a rinfrescarsi alla meglio. Riconosce taluno all'arme del casato dipinta sopra una tasca: ma non parla con loro, come a troppo spregevole razza. Torna a Virgilio; salgono in groppa a Gerione, il quale nuotando per l'aria, discende all'ollavo cerchio; e, depostili si dilegua, sdegnoso dell'insolita soma, egli che non usa portare se non frodolenti par suoi.

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1. (SL) Ecco. Si badi ai lirici cominciamenti dei Canti I, III, IV, VII, X, XV. — APPUZZA. Inf., XI: La frode, ond ogni coscienza è morsa.

(F) FIERA. Apoc., XI, 7: Bestia che ascende d'abisso. Non è senza intendimento questo salir della frode dal fondo e pel vano. ROMPE. La frode del cavallo ruppe le mura di Troia (Æn., II); il dardo insidiosc di Paride ruppe l'armi d'Achille (Æn., VI): cosi Pietro di Dante. Orazio, dell' oro: Per medios ire satellites, Et perrumpere amat saxa (Carm., III, 46).

2. (L) DE'... MARMI; gli argini eran impetrati dall'acqua. (SL) PASSEGGIATI. Come in Virgilio: Errata... Liiora (Æn., III).

3. (L) ARRIVÒ. Attivo.

(F) FRODA. Virgilio colloca sulle soglie d' Inferno Gerione. Forma tricorporis umbræ (Æn., VI). Dante che tra' violenti in altrui pone i Centauri, tra' suicidi le Arpie, e quasi passaggio dall' alto Inferno a Dite, Flegiás; dagli eretici ai violenti, il Minotauro; da' violenti a' frodolenti colloca Gerione; sia perchè quel triplice corpo simboleggi le forme varie della frode; sia perchè vinto Gerione, Ercole venne in Italia (Æn., VIII) e fu annoverato tra i padri dell' italica civiltà: onde siccom' Ercole è simbolo della forza, così l'altro vien posto ad imagine della frode. Pietro, nel triplice corpo, intende i tre modi di frodare: in parole, come adulatori, mezzani, seminatori di scisma e di scandalo; in cose, come falsificatori, simoniaci, ipocriti, maghi; in opere, come barattieri, ladri, traditori: e questa distinzione corrisponde con quella della Somma tra dolo e frode. L'Ottimo dice che i tre corpi di Gerione erano tre fratelli, che l'uno lusingava, l'altro rapiva, il terzo feriva;

4. La faccia sua era faccia d'uom giusto,
Tanto benigna avea di fuor la pelle;
E d'un serpente tutto l'altro fusto.
5. Due branche avea pilose infin l'ascelle;
Lo dosso e 'l petto e ambeduo le coste
Dipinte avea di nodi e di rotelle.

6. Con più color sommesse e soprapposte
Non fêr ma' in drappo Tartari, nè Turchi,
Ne fur tai tele per Aragne imposte.

e ciò risponde alla faccia benigna, al busto serpentino, alla coda velenosa. Dante non gli dà tre corpi. Hor. Carm., IV, 9: Avaræ fraudis, perchè l'avarizia è frodolenta; e la frode è quasi sempre tinta di cupidità. 4. (L) L'ALTRO FUSTO: il restante.

(SL) GIUSTO. Ariosto, della frode (XIV, 87), sempre con meno parsimonia del nostro e quasi scolaro che maestrevolmente amplifica: Avea piacevol viso, abito onesto, Un umil volger d'occhi, un andar grave, Un parlar si benigno e si modesto, Che parea Gabriel che dicesse: Ave. Era brutta e deforme in tutto il resto. PELLE. Hor. Ep., I, 16: Introrsum turpem, speciosum pelle decora

(F) SERPENTE. Gen., III, 4: Il serpente più astulo di tutti gli animali della terra. La frode ispira sul primo fiducia, ha forma di giustizia; poi viene agl' inganni, fusto di serpe; vibra in ultimo il colpo, nella coda il veleno; e ha coda aguzza, perché acuto al male è il frodolento; ha branche pelose, perchè cosa bestiale è la frode i nodi figurano gl' intrighi; le rotelle, i raggiri.

5. (SL) PILOSE. Anco in prosa. - INFIN. Purg., XXXII : Insin le piante. Noni. Virgilio (En., VI) pone nel suo Inferno coloro quibus.... fraus innexa clienti. Orazio, d'un leguleio: Cicuta Nodosi tabulas centum (Sat., II, 3). ROTELLE. Arios.: Destrier... tutto sparso di macchie e di rotelle.

6. (L) IMPOSTE su telaio.

(SL) ARAGNE. Ov. Met., VI, e Purg., XII. Ben torna l'imagine delle tele a significare i tramati inganni, le ordite insidie, le tessute frodi. E ben tornano le sommesse, il fondo, e le sovrapposte, il ricamo, per indicar la doppiezza del frodolento.

7. Come talvolta stanno a riva i burchi, Che parte sono in acqua e parte in terra; E come là tra li Tedeschi lurchi

8. Lo bevero s'assetta a far sua guerra; Così la fiera pessima si stava

Su l'orlo che di pietra il sabbion serra. 9. Nel vano tutta sua coda guizzava,

Torcendo in su la venenosa forca,

Ch' a guisa di scorpion la punta armava. 10. Lo duca disse: Or convien che si torca La nostra via un poco infino a quella Bestia malvagia, che colà si corca. —

11. Però scendemmo alla destra mammella ; E dieci passi femmo in su lo stremo, Per ben cessar la rena e la fiammella.

12. E quando noi a lei venuti semo,

Poco più oltre veggio in su la rena Gente seder, propinqua al luogo scemo. 13. Quivi 'l maestro: Acciocchè tutta piena Esperienza d'esto giron porti,

Mi disse, or va, e vedi la lor mena.

7. (L) LURCH: divoratori immondi.

(SL) LURCH. Tacito dice i Germani dediti somno ciboque. In latino lurcones vale ghiottoni. Segni, I: Sporcizia di quella gente lordissima. Dante accenna fors'anco ai cento Tedeschi, i quali mandati da Manfredi a soccorso de' Fiorentini usciti, furon da questi, pe' loro fini, empiuti di cibo e di vino, e devoti a certa morte. Forse accenna agl' imperatori tedeschi, i quali volevano tenere l'Italia e non la soccorrere; e non istavano, come suol dirsi, nè qua nè là. Qui del resto si vede come sola necessità lo movesse a invocare l'armi straniere; quella, dico, ch' egli stimava necessità.

8. (L) LO BEVERO: il castoro. SUA GUERRA: colla coda intorbida l'onda e piglia i pesci. — DI PIETRA IL SABBION SERRA: serra il sabbione con pietra.

(SL) BEVERO. Cosi anco in prosa antica bevero il castoro. Questa guerra attesta Pietro. Io non n'entro mallevadore. PESSIMA. Frase della Genesi. — ORLO.

Il cerchio de' violenti era cinto d' un orlo di pietra: se no, Dante non sarebbe potuto scendere illeso dalle fiamme cadenti.

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(SL) MAMMELLA. Inf., XII: Destra poppa.· CESSAR. Nel Convivio. Novellino: - Cessar briga a coloro ed a me. Dino, pag. 40.

(F) DESTRA. Fin qui avevan sempre svoltato a sinistra: ora scendono a destra pur per andare alla bestia. Poi, per iscendere la via dell' Inferno, ripigliano sempre la manca.

12. (L) AL LUOGO SCEMO: orlo al vano.

(F) SCEMO. Gli usurai stanno ultimi de' violenti, e contigui alla frode.

13. (L) LA LOR MENA: il dimenarsi che fanno.

(SL) PIENA. Som.: Habere pleniorem notitiam.

14. Li tuoi ragionamenti sien là corti. Mentre che torni, parlerò con questa, Chè ne conceda i suoi omeri forti. 15. Così ancor su per la strema testa Di quel settimo cerchio, tutto solo Andai, ove sedea la gente mesta. 16. Per gli occhi fuori scoppiava lor duolo: Di qua di là soccorrén con le mani, Quando a'vapori e quando al caldo suolo. 17. Non altrimenti fan di state i cani,

Or col ceffo, or col piè, quando son morsi O da pulci o da mosche o da tafani. 18. Poi che nel viso a certi gli occhi porsi, Ne' quali il doloroso fuoco casca, Non ne conobbi alcun: ma i' m'accorsi 19. Che dal collo a ciascun pendea una tasca Ch'avea certo colore e certo segno;

E quindi par che 'l loro occhio si pasca. 20. E com'io riguardando tra lor vegno, In una borsa gialla vidi azzurro

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14. (L) MENTRE: fin. QUESTA fiera. 15. (L) TESTA: orlo.

(F) SOLO. L'usura è vizio più moderno che antico. E gli usurai italiani, odiatissimi in Francia, forse perchè stranieri e perchè impacciavano le faccende degli usurai del paese (de' quali erano famosi que' di Cahors), li discacciò re Filippo.

16. (L) CON LE MANI, Scotendo la fiamma cadente, smovendo il suolo.

(SL) SOCCORREN. Petr.: Soccorri alla mia guerra. 17. (SL) CANI. Arios., X : Simil battaglia fa la mosca audace Contra 'l mastin nel polveroso agosto, O nel mese dinanzi o nel seguace, L'uno di spiche e l'altro pien di mosto: Negli occhi il punge e nel grifo mordace; Volagli intorno, e gli sta sempre accosto. E quel sonar fa spesso il dente asciutto: Ma un tratto che gli arrivi, appaga il tutto. Evidente, ma lungo.

18. (SL) PORSI. Altrove dice inviare, gettare, ficcare, porgere l'occhio, e più sotto il curro dello sguardo. Petr.: Ove gli occhi prima porsi. Bolland., 1, 51: Porrigens visum. Fa che tengano il viso basso a guardare la tasca; sia perchè Dante voglia mostrare di non aver mai avuto commercio con tale genia; sia perché, come gli avari, La sconoscente vita che i fe' sozzi, Ad ogni conoscenza or gli fa bruni (Inf., VII).

(F) Fuoco. Ezech., XXII, 27, 31: I principi suoi, avari... in fuoco d'ira gli consumò. 19. (L) QUINDI: di questa vista.

(SL) TASCA. Poi la chiama sacchetto: non dice se pieno; forse a più scherno e tormento, meglio è farlo vuoto. E la tasca portava l'arma del casato: ingegnoso per dar a conoscere que' dannati senza lungo discorso, e per portare in Inferno lo scherno della sudicia nobiltà. Firenzuola: Mi levai la tasca dalla spalla.

(F) PASCA. Æn., I: Animum pictura pascit inani. Georg., II: Animum..... pascat prospectus inanem. Ecclesiastes, IV, 8: Nè si sazia l'occhio suo di ricchezze. Trecent. ined. Pascendo lo suo animo di quelle dipinture. Luc., XII, 34: Ov'è il vostro tesoro, ivi è il vostro cuore. 20. (L) CONTEGNO: atto.

(SL) CONTEGNO. Inf., IX: Membra femminili aveno e atto. Arme de' GianGigliazzi fiorentini.

21. Poi, procedendo di mio sguardo il curro,

Vidine un'altra come sangue rossa, Mostrare un'oca bianca più che burro. 22. E un, che d'una scrofa azzurra e grossa Segnato avea lo suo sacchetto bianco, Mi disse: Che fai tu in questa fossa? 23. Or te ne va. E perchè se' vivo anco, Sappi che 'l mio vicin Vitaliano Sederà qui dal mio sinistro fianco. 24. Con questi Fiorentin' son Padovano. Spesse fiate m'intronan gli orecchi, Gridando: Vegna il cavalier sovrano 25. Che recherà la tasca co' tre becchi! » Quindi storse la bocca, e di fuor trasse La lingua, come bue che 'l naso lecchi. 26. Ed io, temendo no 'l più star crucciasse Lui che di poco star m'avea ammonito, Tornámi indietro dall'anime lasse. 27. Trovai lo duca mio ch'era salito

Già su la groppa del fiero animale; E disse a me: Or sie forte e ardito. 28. Omai si scende per si fatte scale.

Monta dinanzi; ch'i' voglio esser mezzo,
Si che la coda non possa far male.

21. (L) CURRO cocchio o Corso.

(SL) CURRO. S'usava anco in prosa. L'oca è arme degli Ubriachi, nobili di Firenze, usurai (Malespini). 22. (L) GROSSA: pregna.

(SL) SCROFA. Degli Scrovigni. D'una Scrovigni narrasi nel 1306 innamorato in Padova Dante. - FAI. Tu che non se' nè usuraio, nè dannato. Simile alla domanda di Caronte, di Flegias, dei diavoli. Lo conosce vivo all'andar libero fra' tormenti. FossA. Inf., XXIII, 44.

23. (L) VICIN: concittadino.

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(SL) SOVRANO. Inf., XXII: Barattier fu non picciol ma sovrano. Giovan Buiamonte fiorentino, ancor vivo nel 1300, che poi mori poverissimo. Aveva per insegna in campo giallo tre becchi neri e l'atto che segue, è in ispregio de' Fiorentini usurai, ed è appropriato alla viltà di tale peccato.

25. (F) STORSE. Isa., LVII, 4: Super quem lusistis? Super quem dilatastis os, el ejecistis linguam? 26. (L) No 'L PIÙ STAR CRUCCIASSE LUI: che il più star mio li non crucciasse Virgilio.

(SL) LASSE. Fessus in Virgilio ha senso di dolore: Quam fessis finem rebus feral (Æn., III). 27. (L) SIE: sii.

29. Qual è colui ch' ha si presso 'l riprezzo

Della quartana, ch'ha già l'unghie smorte, E trema tutto, pur guardando il rezzo; 30. Tal divenn' io alle parole pôrte:

Ma vergogna mi fêr le sue minacce, Che 'nnanzi a buon signor fa servo forte. 31. I' m'assettai in su quelle spallacce: Si volli dir (ma la voce non venne, Com' i' credetti): Fa che tu m'abbracce. — 32. Ma esso, ch'altra volta mi sovvenne Ad altro forte, tosto ch'io montai, Con le braccia m'avvinse e mi sostenne. 33. E disse: Gerïon, muoviti omai: Le ruote larghe, e lo scender sia poco. Pensa la nuova soma che tu hai. 34. Come la navicella esce di loco In dietro in dietro, si quindi si tolse: E poi ch'al tutto si senti a giuoco, 35. Là 'v'era 'l petto, la coda rivolse;

E quella, tesa, come anguilla mosse; E con le branche l'aere a sẻ raccolse. 36. Maggior paura non credo che fosse

Quando Fetonte abbandonò gli freni,
Per che 'l ciel, come pare ancor, si cosse;

29. (L) RIPREZZO: brivido. E TREMA TUTTO, PUR GUARDANDO IL REZZO: non vorrebbe escir dal sole, e al veder pur l'ombra trema.

(SL) RIPREZZO. Vit. ss. Padri: Sentire ribrezzo di febbre. Petr.: Qual ha già i nervi e i polsi e i pensier egri, Cui domestica febbre assalir deve; più languido. 30. (L) PÔRTE: dette. CHE... FA SERVO FORTE: la qual vergogna dà coraggio.

(SL) MINACCE. Non sempre ostile. Mince i Latini, le voci con che il bifolco stimola i bovi al lavoro. SERVO. Similitudine di padrone con servo è nel Canto XXIX dell'Inferno.

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31. (SL) SPALLACCE. Virgilio, di Cerbero: Immania terga (En., VI). VENNE. Æn., XII: Nec vox aut verba sequuntur. - VI: Inceptus clamor frustratur hiantes. - II, III, IV e XII: Vox faucibus hæsit. 32. (L) ALTRO FORTE: difficile passo.

(F) FORTE. Così diciamo qui sta'l forte. Lo soccorse dall' avarizia; e or dalla frode; due mali che infestarono la politica e il costume di Roma e d'Italia. Greg., Mor., XXXI: È figliuola dell'avarizia la frode. 33. (L) LO SCENDER SIA POCO: scendi lento e a chiocciola per non iscuotere troppo il vivo.

(SL) RUOTE. Come sogliono gli uccelli specialmente di rapina. Conv.: Meglio sarebbe voi, come rondine, volar basso, che, come nibbio, altissime rote fare sopra cose vilissime.

34. (L) A GIUOco: a tiro da poter muovere libero.

(SL) NAVICELLA. Rammenta i burchi della terzina 7.-A GIUoco. Volare a giuoco, nota la Crusca, degli uccelli di rapina quando si spaziano lasciati liberi dal cacciatore. Il francese avoir beau jeu; e l'italiano far giuoco, di cosa che torni conto.

35. (L) COM' ANGUILLA: come notando. (SL) TESA. Come fa l'uccello dell'ala. 36. (L) Fosse in Fetonte. GLI FRENI del carro soPER CHE: onde. PARE: apparisce nella via

(F) FORTE. Reg., II, X, 12: Esto vir fortis. 28. (L) MEZZO: tra te e la coda velenosa. - MALE a te. (SL) SCALE. Gerione, Anteo (Inf., XXI); Lucifero (Inf., XXXIV). MEZZO. ED., X: Medius densos prorumpit in hostes. lare. VI: Medium... turba Hunc habet. Machiav. I popoli mezzi fra loro e i Cartaginesi. lattea. (F) Mezzo. Tra l'uomo e la frode si pone la scienza

onesta.

COSSE: bruciò.

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(SL) FOSSE a Fetonte. Modo latino. Buc., 1: Dum me Galatea tenebat, Nec spes libertatis erat. Æn., H:

37. Ne quando Icaro misero le reni

Senti spennar per la scaldata cera, Gridando 'I padre a lui: « Mala via tieni: . 38. Che fu la mia quando vidi ch'i' era Nell'aer d'ogni parte, e vidi spenta Ogni veduta, fuor che della fiera. 39. Ella sen va notando lenta lenta;

Ruota, e discende: ma non me n'accorgo; Se non ch'al viso e di sotto mi venta. 40. I' sentia già dalla man destra il gorgo Far sotto noi un orribile stroscio;

Per che con gli occhi in giù la testa sporgo. 41. Allor fu' io più timido allo scoscio;

Però ch'i' vidi fuochi, e senti' pianti,
Ond'i', tremando, tutto mi raccoscio.

Ast ubi jam patriæ perventum ad limina sedis (cioè pervenimus ). FRENI, OV. Met., II: Mentis inops, gelida formidine lora remisit. Semint: (Fetonte) lascioc i freni, gli quali poi che cavalli sentiro giacere nel sommo dosso presero spazio.

37. (L) GRIDANDO: Gridante. Abl. ass. PADRE : Dedalo.

(SL) MISERO. 1 verso suona caduta. -RENI. OV. Met., VIII Mollit odoratas, pennarum vincula, ceras. Ovid. Art. Amat., II: Tabuerant core; nudos qualit ille lacertos.

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39. (L) SE NON CH'AL VISO E DI SOTTO MI VENTA: pel moto dell' animale sente vento al viso, pel moto dello scendere lo sente sotto.

40. (L) GORGO di Flegetonte.

(SL) DESTRA. Scesero dal margine destro il fiume dunque restava a sinistra. Per averlo ora a destra, convien che le rote che fa Gerione scendendo si tengano vicine al fiume. GORGO. En., VI: Gurges Estuat.

SPORGO. Passa da sentia a sporgo; come alle terzine 20 e 24 da vegno a vidi. Passaggi frequenti in Virgilio. 41. (L) ALLO scoscio: per guardar giù s' era piegato quasi scosciato.

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(SL) Raccoscio. Il Varano, duro ma forte, assai volte imitatore delle estrinseche forme dello stile di Dante: Su l'onde in rotator circoli strette Fissai, ritorsi, chiusi le pupille Da un improvviso orror vinte e ristrette. 42. (L) E VIDI... LO SCENDERE E 'L GIRAR: dal suono appressantesi sentiva di scendere, dal variare del suono sentiva di girare con larghe ruote.

(SL) APPRESSAVAN. Inf., VIII, t. 2. GIRAR. Arios.: Ove dopo un girarsi di gran tondo, Con Ruggier seco il grande augel discese.

43. (L) Su L'ALI: In alto. LOGORO di cuoio o di penne per richiamar il falcone o dirizzarlo alla preda. TU CALI senza preda.

44. (L) FELLO, perchè senza preda.

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(SL) Cocca. En., VII: Arundo per istrale. Georg., IV: Nervo pulsante sagittæ.

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Giova ritornare sull'ordine delle pene qual'è ragionato da Dante, di che già fu detto nell' undecimo Canto. La Somma (1), con l'usata profondità ed esattezza, vien distinguendo le colpe secondo gli oggetti a' quali esse tendono, secondo che riguardano più specialmente lo spirito o la materia, secondo, le cagioni che le muovono, secondo le persone contro le quali si pecca, secondo la gravità che le rende più o meno remissibili, secondo il commettere alcun atto o l'ommetterlo, secondo l'eccesso o il difetto degli atti, secondo le circostanze, secondo il procedimento: poi cerca come ed in quanto sien le colpe connesse fra loro, se pari di gravità o no; se questa sia da misurarsi secondo la condizione di chi pecca, o se

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condo la quantità del nocumento che reca. Nell'assegnare a' peccati gravità diversa, Tommaso nota, come seguendo l'errore degli stoici, e forse interpretando male un passo di Jacopo certi eretici facessero pari a tutti i dannati le pene. Dante le viene variando secondo la qualità e quantità della colpa, come può umana ragione e fantasia, ma non so che in altre visioni non si rincontrino supplizii forse più convenevolmente appropriati. Nella Somma stessa è la distinzione principale de' peccati contro Dio, sè, i prossimi ; che è altresì in Isidoro (4). Nè è maraviglia che la poesia non ritrovi proporzioni giuste tra il fallo e il gastigo, se non le rinviene irreprensibili neppure la scienza politica e la filosofica: e

(1) De summo bono.

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