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Vegna ver noi la pace del tuo regno;
Chè noi ad essa non potèm da noi,
S'ella non vien, con tutto nostro 'ngegno.
Come del suo voler gli Angeli tuoi

Fan sagrificio a te, cantando Osanna,
Così facciano gli uomini de' suoi.
Dà oggi a noi la cotidiana manna,

Senza la qual per questo aspro diserto
A retro va chi più di gir s' affanna.
E come noi lo mal ch' avem sofferto
Perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
Benigno, e non guardare al nostro merto.
Nostra virtù, che di leggier s'adona,

Non spermentar con l'antico avversaro,
Ma libera da lui che sì la sprona.
Quest'ultima preghiera, Signor caro,
Già non si fa per noi, chè non bisogna,
Ma per color che dietro a noi restaro.
Così a sè e noi buona ramogna

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Quell' ombre orando, andavan sotto 'l pondo, Simile a quel che tal volta si sogna,

8-9. Chi noi ec. Perciocchè, s' ella non viene a noi data da te, noi con tutto nostro ingegno non possiam ad essa pervenire.

17. E tu perdona; qui la particella e ha forza di così anche. 19. S'adona, si abbatte.

22. Quest'ultima preghiera, cioè l'ultima parte di questa preghiera.

23. Chè non bisogna, non es

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sendo più soggette quelle anime a tentazioni, nè a peccati.

25. Ramogna. Nessuno dice con sicurezza che cosa significhi questo vocabolo. L'opinione più probabile, è che valga presso a poco successo o ventura; e quindi pregar buona ramogna vorrà significare, domandar prospero successo, pregar che le cose vadano a buon fine, e simili.

Disparmente angosciate tutte a tondo
E lasse su per la prima cornice,
Purgando la caligine del mondo.
Se di là sempre ben per noi si dice,

Di qua che dire e far per lor si puote
Da quei ch'hanno al voler buona radice?
Ben si de' loro aitar lavar le note

Che portâr quinci, sì che mondi e lievi
Possano uscire alle stellate ruote.
Deh! se giustizia e pietà vi disgrevi

Tosto, sì che possiate muover l'ala,
Che secondo 'l disio vostro vi levi
Mostrate da qual mano inver la scala

Si va più corto; e se c'è più d'un varco,
Quel ne 'nsegnate che men erto cala:
Chè questi che vien meco, per lo 'ncarco
Della carne d'Adamo onde si veste,
Al montar su contra sua voglia è parco.

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Le lor parole, che rendero a queste
Che dette avea colui cu io seguiva,
Non fur da cui venisser manifeste;
Ma fu detto: a man destra per la riva
Con noi venite, e troverete 'l passo
Possibile a salir persona viva.
E s'io non fossi impedito dal sasso,

Che la cervice mia superba doma,
Onde portar conviemmi 'l viso basso,
Cotesti, ch' ancor vive, e non si noma,

Guardere' io per veder s'io 'l conosco,
E per farlo pietoso a questa soma.
Io fui Latino, e nato d'un gran Tosco;
Guglielmo Aldobrandeschi fu mio padre:
Non so se'l nome suo giammai fu vosco.
L'antico
sangue e l' opere leggiadre

De' miei maggior mi fer sì arrogante,
Che, non pensando alla comune madre,
Ogn' uomo ebbi 'n dispetto tanto avante,
Ch'io ne mori', come i Sanesi sanno

57. Per farlo pietoso a ec.: per far si che, compassionandomi sotto questo grave peso, pregasse Iddio per me.

58. Latino, e nato ec., Italiano, e figliuolo di un gran signore di Toscana, Fu costui Omberto dei Conti di Santafiore nella monta. gna di Siena, figliuolo di Guglielmo Aldobrandesco, che non potendosi più per la sua arroganza da' Sanesi patire, lo fecero am

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mazzare in Campagnatico, luogo
della Maremma di Siena,
60. Se giammai fu vosco, se fu·
tra voi udito.

61. Opere leggiadre, cioè gloriose, virtuose, lodevoli e non già venuste ed eleganti, come spiega la Crusca. Così il ch. Cav. Mon ti nella sua Proposta.

63. Alla comune madre, alla Terra, di cui siamo tutti egualmente figliuoli.

E sallo in Campagnatico ogni fante.
Io sono Omberto; e non pure a me danno
Superbia fe', chè tutti i miei consorti
Ha ella tratti seco nel malanno:
E qui convien ch'io questo peso porti
Per lei, tanto ch' a Dio si soddisfaccia,
Poi ch'i' nol fei tra' vivi, qui tra' morti.
Ascoltando chinai in giù la faccia :
Ed un di lor, non questi che parlava,
Si torse sotto 'l peso che lo 'mpaccia;
E videmi, e conobbemi, e chiamava,
Tenendo gli occhi con fatica fisi

A me, che tutto chin con loro andava.
O, diss' io lui, non se' tu Oderisi,

L'onor d'Agobbio, e l'onor di quell'arte
Ch' alluminare è chiamata in Parisi?

Frate, diss' egli, più ridon le carte

Che pennelleggia Franco Bolognese:

L'onore è tutto or suo, e mio in parte.

Ben non sare' io stato sì cortese

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66. Ogni fante. Fante, dal latino eccellente uscito dalla scuola di

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68. Tutti i miei consorti, tutti te, cioè, dilettano colla varietà e

quei di mia schiatta.

75. Le 'mpaccia per lo 'mpacciava; probabilmente in grazia della rima.

79-80. Oderisi d'Agobbio, città nel Ducato d'Urbino, miniatore

bellezza de' colori.

84. L'onore è tutto or suo, egli è ora l'intieramente applaudito emio in parte, ed io non ho se non l'onore d'essergli stato inaestro.

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Mentre ch' io vissi, per lo gran disio Dell' eccellenza, ove mio core intese. Di tal superbia qui si paga il fio:

Ed ancor non sarei qui, se non fosse
Che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
O vanagloria dell' umane posse,

Com' poco il verde in su la cima dura,
Se non è giunta dall' etadi grosse!

Credette Cimabue nella pintura

Tener lo campo; ed ora ha Giotto il grido,
Sì che la fama di colui oscura.

Così ha tolto l'uno all' altro Guido

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La gloria della lingua; e forse è nato Chi l'uno e l'altro caccerà del nido. Non è il mondan romore altro ch' un fiato Di vento, ch' or vien quinci, ed or vien quindi, E muta nome, perchè muta lato.

89. Ed ancor non sarei qui val quanto, e di più non sarei nè meno in Purgatorio, ma nell' Inferno.

92. Com' poco ec. Detto metaforicamente a significare che l'umana fama dura assai poco se ec. 93. Se non è giunta ec.: se non le sopravvengono tempi ignoranti per entro i quali niuno arrivi a superarla.

94. Cimabue. Giovanni Cimabue, Fiorentino, uno de' primi ristauratori della pittura in Italia. 95. Tenere il campo dicesi dei guerrieri che vincono la battaglia;

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qui vale ottenere il più alto grido

Giotto, altro Fiorentino pittore, discepolo di Cimabue, il quale, aggiungendo perfezione alla rinascente arte, oscurò la fama del maestro.

97-99. L'uno all'altro Guido ec. Intendi per il primo Guido Cavalcanti Fiorentino, eccellente filosofo e poeta, il quale nella poesia oscurò la fama dell'altro Guido, cioè di Guido Guinicelli, Bolognese, poeta a' suoi tempi stimato forse è nato ec. Credono alcuni che il Poeta alluda qui a sè medesimo.

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