conda rispondo senza esitanza, che molto anzi rimane dell'oscuro e del dubbio nella Divina Commedia; ma dico al tempo stesso, che tali oscurità e dubbiezze sono di tal natura, che i comentatori non possono, e forse non potranno mai, dileguarle: ed eccone in poche parole il perchè. Primieramente, le imagini o finzioni composte e presentateci dall' Alighieri non sono sempre, o almeno non appaiono a noi, così certe e definite, che non si possano volgere in tutto o in parte a più e diversi sensi : quindi la divisione degl' interpreti secondo lo spirito o la preoccupazione di ciascuno, la qualità dell' ingegno, degli studj ec. Manchiamo in secondo luogo di molte notizie particolari riguardanti la vita di lui; conosciamo poco gli uomini con cui ebbe che fare; non ci è chiaro abbastanza, e per ogni rispetto, l'andamento delle cose di quel tempo, certe opinioni, certi usi; perlochè sono lasciati alla congettura e al forse parecchi passi, che per più e migliori cognizioni sarebbero manifesti. In terzo luogo, è da considerare la natura delle parole, che non essendo numeri, non rendono sempre un'idea certa e immutabile, ma divenute talvolta col variare dei tempi e degli usi capaci di più significazioni, tengono sovente sospeso tra l'una e l'altra l'interprete. E a tutto ciò s'aggiunga l'incertezza del testo in tanta diversità dei codici, de' quali non ne trovi pur uno, per quanto pregevole sia, che non porti più qua più là degli errori palesi, e men felici lezioni; tanto che non potendo un comentatore dar tutta la fede ad un solo, e quello seguire da capo a fondo, è costretto a comporsi un testo raccolto da cento manoscritti e stampati; i quali sebbene non presentino altra differenza che di parole, pure queste non di rado son tali da torturare il cervello, senza che si possa dopo tutto uscire affatto del grave dubbio se si abbia in nessuna delle note lezioni la genuina dell'Alighieri. E questa è forse la sorgente più ampia delle dispute e delle gare dei letterati; così che io son d'avviso che se la fortuna impietosita di tanto loro arrotarsi tirasse fuori oggi o domani dalle tenebre dove si giace il codice autografo del gran Poeta, sarebbe risparmiato per questo solo lato un buon terzo del lavoro a chi comenta, e altrettanto di noia a chi legge. Queste sono le cagioni che in molti luoghi fanno difficile e dubbio il concetto di Dante; e finchè rimarranno, i comentatori saranno sempre alle prese, e nel gran campo dell' opinione chi terrà l'una parte, e chi l'altra. Ma venendo ora a dire qualche cosa del mio lavoro, ripeto quel che anco nelle precedenti edizioni avvertii, che ho mirato principalmente ai giovani, coi quali non si vuol essere nè troppo parchi, per non lasciarli al buio o imbarazzati; nè di soverchio copiosi, per non recar loro fastidio. Perciò io annoto tutto, ma tutto speditamente: poche citazioni, pochissimi confronti, e allora soltanto che sian richiesti dalla necessità di convincere il lettore rarissime quelle esclamazioni, così frequenti ad altri moderni comentatori, sulla bellezza dei versi, dei concetti, delle descrizioni, perchè troppo ripetute stancano; e sono poi anco vane, quandochè chi ha un po' d'anima la sente da sè senza bisogno di svegliarino, e chi non l'ha, non serve che il comentatore gridi bada bada. Quanto all'accennata difficoltà della lezione, e per quel che riguarda l'allegoria principale, per la prima ho sempre seguito la più semplice e quella che ho stimato la più conveniente al contesto, scegliendo dai codici e dalle edizioni più accreditate, e fuggito in ogni caso l'arbitrio, a costo anco di ritenere talvolta quel che apparisce men chiaro o men buono. Quanto alla seconda, persuaso che quella allegoria non sia governata da un solo e medesimo concetto (conciossiachè, secondo i principj di Dante, la Rigenerazione morale, che certamente è l'intendimento primario del poema, non si possa operare senza la riforma politica, perchè il Guelfismo è disordine necessario, e solo l'Impero conduce il mondo a virtù, sì che l'uno è respettivamente quasi sinonimo dell' altro), ho messo in mano ai giovani questa doppia chiave, di cui volgendo accortamente ora l' una parte ora l'altra, potranno aprirla quanto basti ed intenderla. E qui mi cade opportuno di fare una dichiarazione, la quale potrebbe dirsi vana e ridicola, se non fosse provocata dal mal giudizio che fin dalla edizione precedente pronunziò contro le mie note uno zelante censore di questo mondo. Col quale io farò come fece con Filippo di Macedonia quel buon uomo, che arrivato con una di quelle non tanto insolite sentenze sbrigative tra il capo e il collo, e parendogliene male, e non potendo far altro, se n'andò dicendo: m'appellerò a Filippo digiuno. La dichiarazione dunque è questa: Quando io dico che Dante, quanto è reverente e devoto al Papa come vicario di Gesù Cristo e Capo della Chiesa universale, altrettanto è avverso a lui come principe temporale; che dalla potestà secolare e dall' avarizia della curia papale, ora sotto figura ora scopertamente espresse, petendo egli la più forte opposizione al rinnovamento dell'impero latino, ripete altresì la massima parte dei vizj e dei mali d'Italia e della Chiesa, e via discorrendo (e queste cose non gliele fo dir io, ma provo che veramente le dice), io non sono sostenitore o seguace di queste sue opinioni, chè anzi in più luoghi all'occasione le ho notate come esagerate, e parto di passione; ma quali che fossero, non potevo dissimularle nè falsarle, quando era necessario che l'esponessi a intelligenza di varj punti del suo Poema. E questo sia suggel ch'ogni uomo sganni. Quanto poi a chi patisse scandalo per le acerbe riprensioni della vita irreligiosa e del mal costume dei prelati e del clero di quei tempi, dirò che costui non deve aver mai letto quel che già scrissero su tale argomento uomini santissimi, come un San Pier Damiano, un San Bernardo, una Santa Caterina sanese (non vo' dir del Petrarca perchè non è santo), chè altrimenti nè si scandalizzerebbe nè farebbe le maraviglie per tanto meno che ne ha detto Dante. Eppure i liberi scritti di quei sapienti non sono stati per anche da alcuna potestà condannati. Del rimanente, ho voluto che a questa nuova edizione della Divina Commedia fosse premessa la vita che del sommo Poeta scrisse con molta eleganza il Bruni, detto comunemente Leonardo Aretino; e a parecchie notizie che forse i giovani po tevan desiderare, ho supplito con alcune brevi note, che ho poste a piè di pagina. Ma chi gradisse acquistare più profonda cognizione dell'uomo e delle sue opere può ricorrere agli eccellenti lavori del Pelli e del Balbo, dove troverà largamente da sodisfarsi. Finalmente, a maggior pregio dell' edizione, e provvedendc anche al comodo degli studiosi di Dante, il tipografo-editore vi ha unito il Rimario, col quale, sol che ti ricordi d'una finale d'un verso, potrai ritrovare ogni passo che ti bisogni. |