Uscendo fuor della profonda notte Che sempre nera fa la valle inferna? Son le leggi d'abisso così rotte?
O è mutato in ciel nuovo consiglio, Che dannati venite alle mie grotte? Lo Duca mio allor mi diè di piglio,
E con parole e con mani e con cenni, Reverenti mi fe' le gambe e il ciglio. Poscia rispose lui: Da me non venni.
Donna scese dal ciel, per li cui preghi Della mia compagnia costui sovvenni. Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi Di nostra condizion, com' ella è vera, Esser non puote il mio che a te si nieghi. Questi non vide mai l'ultima sera,
Ma per la sua follia le fu sì presso, Che molto poco tempo a volger era. Sì come i' dissi, fui mandato ad esso Per lui campare, e non c'era altra via Che questa per la quale io mi son messo. Mostrata ho lui tutta la gente ria;
Ed ora intendo mostrar quegli spirti Che purgan se sotto la tua balìa.
Come io l'ho tratto, saria lungo a dirti: Dell' alto scende virtù che m'aiuta Conducerlo a vederti e ad udirti. Or ti piaccia gradir la sua venuta: Libertà va cercando, che è sì cara, Come sa chi per lei vita rifiuta. Tu il sai, che non ti fu per lei amara
In Utica la morte, ove lasciasti La veste che al gran dì sarà sì chiara. Non son gli editti eterni per noi guasti:
Chè questi vive, e Minos me non lega; Ma son del cerchio ove son gli occhi casti Di Marzia tua, che in vista ancor ti prega, O santo petto, che per tua la tegni: Per lo suo amore adunque a noi ti piega. Lasciane andar per li tuoi sette regni: Grazie riporterò di te a lei,
Se d'esser mentovato laggiù degni. Marzia piacque tanto agli occhi miei,
Mentre ch' io fui di là, 1 diss' egli allora, Che quante grazie volle da me, fei.
Or che di là dal mal fiume dimora, Più mover non mi può per quella legge Che fatta fu quando me n'uscii fuora. Ma se donna del ciel ti move e regge
Come tu di', non c'è mestier lusinga: Bastiti ben, che per lei 2 mi richegge.
Va dunque, e fa che tu costui ricinga
D'un giunco schietto, e che gli lavi il viso, 95 Sì che ogni sucidume quindi stinga:
Chè non si converria l'occhio sorpriso D'alcuna nebbia andar davanti al primo Ministro, che è di quei di Paradiso.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo, Laggiù colà dove la batte l' onda,
Basti si che per lei tu †
Porta de' giunchi sovra il molle limo. Null' altra pianta che facesse fronda,
O indurasse, vi puote aver vita, Perocchè alle percosse non seconda. Poscia non sia di qua vostra reddita;
Lo sol vi mostrerà, che surge omai, Prender il monte a più lieve salita. Così sparì; ed io su mi levai
Sanza parlare, e tutto mi ritrassi Al Duca mio, e gli occhi a lui drizzai. Ei cominciò: Figliuol, segui i miei passi: Volgianci indietro, che di qua dichina Questa pianura a' suoi termini bassi. L'alba vinceva l'ora mattutina
Che fuggia innanzi, sì che di lontano Conobbi il tremolar della marina. Noi andavam per lo solingo piano
Com' uom che torna alla smarrita strada, Che infino ad essa li par ire in vano. Quando noi fummo dove la rugiada Pugna col sole, e per essere in parte Ove adorezza, poco si dirada; Ambo le mani in su l'erbetta sparte
Soavemente il mio Maestro pose; Ond' io che fui accorto di su' arte, Porsi ver lui le guance lagrimose: Quivi mi fece tutto discoperto Quel color che l'inferno mi nascose.
Venimmo poi in sul lito diserto,
Che mai non vide navicar sue acque Uom, che di ritornar sia poscia esperto. Quivi mi cinse sì come altrui piacque:
O maraviglia! che qual egli scelse L'umile pianta, cotal si rinacque Subitamente là onde la svelse.
rià era il sole all'orizzonte giunto,
Lo cui meridian cerchio coverchia Jerusalem col suo più alto punto: E la notte che opposita a lui cerchia, Uscìa di Gange fuor colle bilance, Che le caggion di man quando soverchia; Sì che le bianche e le vermiglie guance, Là dove io era, della bella Aurora, Per troppa etate divenivan rance. Noi eravam lunghesso il mare ancora, Come gente che pensa suo cammino, 1 Che va col core, core, e col corpo dimora:
del mattino, presso Per li grossi vapor Marte rosseggia Giù nel ponente sopra il suol marino; Cotal m' apparve, se io ancor lo veggia, Un lume per lo mar venir sì ratto, Che il mover suo nessun volar pareggia; Dal qual, com' io un poco ebbi ritratto
L'occhio per dimandar lo Duca mio, Rividil più lucente e maggior fatto. Poi d'ogni parte 3 ad esso m' apparìo
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