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l'uso che dovea. Questo è il primo racconto delle Cento Novelle del Parlar Gentile, scritte per coloro che hanno intelligenza sottile; e possiam dire delle altre che l'unghia fa conoscere il leone.

Lo Presto Giovanni, o Prete Gianni, dicono i molti novellieri e romanzieri che ne parlano, era appunto della Tartaria o del Catajo a, donde uscì quell' Angelica che aveva una pietra simile, che, messa in bocca, la faceva sparire a voglia sua; quell' Angelica bella che fece perdere il cervello a tanti, e più che ad altri al Senatore Romano, il cui cervello andò a ficcarsi proprio nella Luna, da cui lo ritrasse il patrocinio potentissimo di Giovanni Evangelista; quell' Angelica figlia del Re del Catajo in Tartaria....ma non tocchiamo questo tasto d'Angelica, che mena a sinfonia troppo lunga.

"Cathari-in ancient geography a people of India.-Cathari came from Greece into Italy, and were first discovered in the Milanese, about the middle of the eleventh century. They were called in France, and other countries, Albigenses, Paterini, Paulicians, and Puritans. These Cathari held many tenets of the Manicheans.— The general assembly of the Manicheans was headed by a president who represented Jesus Christ-who had twelve apostles, and seventytwo bishops, the image of the seventy-two disciples of our Lord."Rees' Cyclopædia, art. Cathari-Manicheans.

Con questo talismano della pietra in bocca ond' esce la parola, o nella mano che muove la penna, sparirono agli occhi nostri e Dante, e Petrarca, e Boccaccio, e cento altri, tutti lapidarj del Presto Giovanni. E qual è questa pietra miracolosa? E' la parola del Signore, Verbum Dei, PETRA ERAT CHRISTUS (1 Corint.). E udite che insegnarono gli Angeli, ch'erano stati fra i Tartari, a quel dottorone che andava fra gli Angeli quando gli ene veniva il prurito. "Cette ancienne parole du Seigneur se conserve encore chez quelques peuples de la Tartarie orientale, avec le culte relatif, par les correspondances: les Anges qui, durant leur vie mortelle, habiterent cette partie du monde, attestent qu'elle est l'ancienne Parole." (Swedenborg, Abrégé de la Nouvelle Jérusalemme Céleste, pag. 135. Stockholm 1788.) Ed altrove torna a dirlo così: "Je me trouvai avec des esprits et des anges qui avoient passé leur vie mortelle dans la Grande Tartarie: ils me dirent que de toute antiquité ils possédoient une Parole Divine (Divinum Verbum, dice l'originale latino) qui régloit leur culte, le quel étoit tout en correspondances." (ivi p. 139). Io non so se questi Tartari sieno que' medesimi che Principia suorum tribuum Deos vocant, come disse Ivone che dai Patarini passò ai Tartari.

Fintantochè il gergo rimane ne' romanzi, noi siam usi a prenderne le stravaganze per i speciose bizzarrie, e non vi sospettiamo disegno celato; ma quando poi passa alla storia ed alla biografia, allora ne vediamo l'incongruenza e la inverisimiglianza. Da ciò è derivato che le Vite di molti Trovatori Provenzali, scritte dal Nostradamus e dal Monaco dell' Isole d' Oro, furono dichiarate fole e chimere dai

a Vedi la nota apposta alla novella citata, nella edizione de' Classici di Milano.

critici posteriori, e fra gli altri da Millot e da Sismondi. Coloro nar rarono pericolosi fatti, e perciò ricorsero al gergo; e costoro che il gergo ignoravano, tenendosi alla lettera, li dichiararono sciocche bugie. Per esempio. Uno de' più famosi Trovatori fu Pier Vidal, il quale fingendo, pel suo modo di scrivere, esser Guelfo ed amante della Guelfa potestà, portò l'illusione a tal punto che ne soffrì perse-cuzioni e morsi dal suo stesso partito. Or poteva ciò dai biografi manifestarsi, senza svelarsi insieme il gran segreto? Quindi scris sero che Pier Vidal, per molti anni, andò coperto d'una pelle di Lupo, per dichiararsi così amante d'una donna chiamata Lupa; e che spinse tant' oltre la sua frenesia da farsi dar la caccia come Lupo, così vestito da Lupo, per madonna Lupa; sino al punto che da cani e da cacciatori ricevè morsi e ferite, e ne restò quasi malconcio e morto. Ed ei, dopo ciò, traeva vanità e menava vanto di aver fatto il Lupo per madonna Lupa! Tutti scrivono intanto, che, toltane tanta incredibil pazzia, egli è uno de' più ragionevoli, anzi più eleganti Trovatori Provenzali; e trovano che i suoi detti mal s' accordano a' suoi fatti. Oltre Pier Vidal, narrasi che molti altri Trovatori, come Raimondo di Miraval, il Conte di Foix, e il Signore di Scissac, e il Signore di Mirapoix, e il Signore di Monreal ecc. furono tutti amanti della stessa Madonna Lupa. Ve' quanti cani intorno ad un osso! E coloro che si dicono animali ragionevoli han potuto prendere questi racconti alla lettera !

Se vogliamo intanto capir meglio che significa quello strano vestire del Trovatore Vidal, vediamo come la Setta figurò se stessa. Ella a significarci il suo interno satirico, e il suo esterno conforme al satirizzato, si rappresentò nel capo de' satiri, coperto della pelle d'un Lupo, piena di occhi ed orecchie che ne indicano la sua vigilanza ; mentre dalla sua bocca esce il motto Favete linguis, cioè, State attenti alle mie parole. Infatti, la fraternità di Bruselles, nel 1743, "caused a medal to be struck, which represented on one side a heap of rough stones, with this inscription, Equa lege sortitur insignes et imos; on the other side appeared Silenus covered with a skin of a wolf, full of eyes and ears, and from a cornucopia which he held in one hand, he poured out squares and other instruments of Masonry. He lays the other hand upon his mouth, with these words, Favete linguis."(J. Scott, The Pocket Companion and History of Free Masons, p. 301. London, 1759.)

Da questo concetto si sono sviluppati mille racconti bizzarri, talvolta in aspetto romanzesco, e talvolta storico; quindi s'incontrano uomini trasformati in lupi, e lupi in uomini, e lupi che parlano, e lupi che salvano le pecore. Nel libro De' Segreti del Wecker, quello stesso che insegna come si può parlare segretamente (vedi innanzi p. 109), s'incontrano segreti curiosissimi, raccolti da varj autori in gergo. Tal è quello che ne indica in figura ciò che i poeti han fatto nello scrivere satire atroci, senza riceverne danno e biasimo. "Si l'on cueuille la plante du souci (detta altrimenti la pensée) et on l'enveloppe dedans la feuille de laurier avec une dent de Loup, personne

ne pourra parler contre celui qui les aura sur lui, si non propos de paix. Albert (de Villanova) est l'auteur de ce secret (p. 879 a)." Sebbene Alberto abbia egli stesso chiuso i pensieri nelle foglie del lauro con un dente di lupo, come fece ne' molti scritti suoi, pure fu dai Papi assai perseguitato. Quest' altro segreto insegna come preservare una famiglia d'Amore da scrutinatori infesti. "On croit que la tête d'un loup, ou par son odeur, ou par faculté secrette, pendue au colombier, chasse les furets, foines et bellettes.-Corn. Agrippa" (p. 380). Quest'altro insegna a regolar l'esterno e l'interno, per preservarci dal pericolo di amori illeciti. "Si aucun porte dedans peau de loup le coeur d'une tourtourelle, celui qui la portera ne desirera illecitement l'act de Venus (p. 275)." E quanti poveri gnocchi, prendendo alla lettera queste parole, avran gettato tempo e denaro a procurare pelli di lupo, teste di lupo, cuori di tortorelle, e l'altro che qui sopra è indicato!

la

Nella Vita Nuova di Dante, s' incontrano bizzarrie che apertamente si svelano per finzioni. Senza citare que' varj sogni, noterò questa sola. Ei narra di avere scritti insieme sessanta nomi di Donne in una serventese, e maravigliosamente addivenne che in alcun altro numero non sofferse il nome della sua donna stare, se non in sul nono. Oh che nome saltarizzo, che s' andò a situare giusto lì!

Inverisimiglianze non meno palpabili si leggono nella Vita di Dante, scritta da Boccaccio: tali sono, fra l'altre, il sogno della madre del poeta prima ch' ei nascesse, e il sogno del figlio di lui poichè fu morto: i quali due sogni svelano grandi cose, a chi ben gl' intende. E in quanti e quali modi non ci fu dai novellieri indicato il segreto dell' Alighieri? I lor racconti sembrano il più delle volte o voti o assurdi, ma se vi entri bene, li troverai pieni e conseguenti. Fra i molti, scerremo i più brevi per darne un saggio.

Sublimare e adimare sono termini opposti; e ognun sente a chi si applicava l' uno e a chi l'altro. Mostrammo nel nostro Comento che il Cavallo è simbolo dell' Impero, e Dante lo indica al me del canto sesto del Purgatorio. Or udiamo la novella 114 di Franco Sacchetti.

"L'eccellentissimo poeta volgare, la cui fama in perpetuo non verrà meno, Dante Alighieri Fiorentino, era vicino in Firenze alla famiglia degli Adimari." Uno di questa famiglia "per non so che delitto era impacciato, e per essere condennato per ordine di justizia da un suo esecutore, il quale pareva avere amistà nel detto Dante." Quel tale degli Adimari volle interporre Dante appo l'esecutore, e 'l poeta avendogli risposto che'l farebbe volentieri, si avviò a quella volta. Passando per porta San Piero sentì cantare il suo poema assai guasto e contraffatto (come diremo), di che fortemente s' indispettì. Giungendo all' esecutore, e considerando che il cavaliere degli Adimari che l'avea pregato era un giovane altero e poco grazioso, quando andava per la città a cavallo, che andava sì con le gambe aperte che tenea la via―ed a Dante che tutto vedea, sempre

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a Rouen, 1639.

Executorem justitiæ è chiamato l'Imperadore nel libro della Monarchia.

erano dispiaciuti così fatti portamenti; dice allo esecutore: Voi avete dinanzi alla vostra corte il tale cavaliere, per lo tale delitto : io ve lo raccomando; comechè egli tiene modi siffatti che meriterebbe maggior pena; ed io mi credo che usurpar quello del comune è grandissimo delitto. Dante non lo disse a sordo; perocchè l'esecutore domandò che cosa era quello del comune che usurpava. Dante rispose: Quando cavalca per la città, e'va sì con le gambe aperte a cavallo che chi lo scontra convien che torni indietro, e non puote andare a suo viaggio. Disse l'esecutore: Egli è maggior delitto che l'altro. Disse Dante: Or ecco, io sono suo vicino, io ve lo raccomando. Ei tornossi a casa, dove dal cavaliere fu domandato come il fatto stava; Dante disse: Ei m'ha risposto bene (equivoco). Stando alcun dì, il cavaliere è richiesto che si vada a scusare dell' inquisizioni. Egli comparisce, ed essendogli letta la prima, il giudice gli fa legger la seconda del suo cavalcare così largamente. Il cavaliere, sentendosi raddoppiare la pena, dice fra sì stesso: Ben ho guadagnato! che dove per la venuta di Dante credeva esser prosciolto, ed io sarò condennato doppiamente. Trovato Dante gli dice: In buona fè tu m'hai ben servito! L'esecutore mi voleva condennare d'una cosa, innanzi che tu vi andassi; da poi che tu vi andasti mi vuole condennare per due. Dante disse: Io t'ho raccomandato tanto, che, se fosse mio figliuolo, più non si potrebbe fare. Il cavaliere crollando la testa se n'andò a casa. Da indi a pochi dì fu condennato in lire mille per lo primo delitto, e in altre mille per lo cavalcare largo; onde mai non lo potè sgozzare, nè egli, nè tutta la casa degli Adimari. E per questo, essendo la principal cagione, da indi a poco tempo fu per Bianco cacciato di Firenze, e morì in esilio.”

Qual futile racconto inverisimile! Condannar quell' Ademari a grave multa perchè andava a cavallo con le gambe larghe! e ciò si chiama usurpar quello del comune! e ciò impedisce altrui il passare le strade di Firenze, e l' obbliga a tenere altro viaggio! E perchè il poeta fingendo di scusar colui lo accusò è mandato in esilio per Bianco! Il far ciò costituisce dunque l'esser Bianco !

per

Il Sacchetti situò questo fatto fra due altri, i quali c'informano che la Divina Commedia è appunto quell' accusa in aspetto di raccomandazione, fatta da Dante per l'Adimari, ch'ei sì bene adimò fingendo giovargli; e che quel poema nell'esser passato sulla bocca di chi mal lo comprese venne tutto storto dal vero esser suo. Ecco il titolo de' due fatti: "Dante Alighieri fa conoscente uno fabbro ed uno asinajo del loro errore, perchè con nuovi volgari cantavano il libro suo.' Col primo fatto si narra che passando il poeta per porta San Piero, (si noti il gergo) nel disegno di far cattivo servigio all'Ademari cu

a Virg. Ma tu perchè ritorni a tanta noja?
Dan.-Vedi la bestia (la lupa) per cui io mi volsi.—
Virg. A te convien tenere altro viaggio....

Che quella bestia per la qual tu gride

Non lascia altrui passar per la sua via.

E il Cavaliere degli Adimari tenea la via, come qui innanzi è

espresso.

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fingea di favorire, trovò sotto quella portaun fabbro che cantava i suoi versi smozzicando e appiccando (cioè, detraendo ed aggiungendo) che pareva a Dante ricever da quello grandissima ingiuria; onde gittò a terra tutti gli ordigni dell' ignaro storpiatore dicendogli : "Se tu non vuogli ch'io guasti le cose tue, non guastare le mie tu canti il libro, e non lo dì com' io lo feci." Si narra col secondo fatto che un asinajo, seguendo certe some di spazzatura, cantava il libro di Dante, e, quando avea cantato un pezzo, toccava l'asino e dicea, Arri. Dante allora gli diè una grande batacchiatura sulle spalle dicendo: Cotesto Arri non vi misi io. Colui tocca gli asini forte, e pur Arri. Quindi “si volse a Dante cavando la lingua, e facendo con la mano la fica: Togli. Dante dice: Io non ti darei una delle mie (fiche), per cento delle tue. Oh dolci parole, piene di filosofia!" Ora capiamo tutta la forza di questa esclamazione del Sacchetti, che finora parve sì milensa. Ma le botte di Dante all'asinajo andarono per cinque e più secoli a voto, e l'asinajo segue a volersi del suo poema, e a dir Arri agli asini suoi, e a fargli sulla barba le fiche. Ecco quai sono i racconti del Sacchetti : e quante volte non furono ripetuti come fatti veri! Ei distingueva l' Alighieri degli uomini e l'Alighieri degli asini, secondo l'interno e l'esterno del poema. Quindi puoi capire il gergo della novella 229, che comincia così:"Messer Aldighieri degli Asinacci volle procacciare di fare la magion della Morte, come il Duca di Borgogna quella della Vita." Ivi vedrai come questo Messer Aldighieri, per consiglio d'un grande scultore Fiorentino, prese Maestro Jacopo per fare la magion della Morte; e come questo Jacopo, pieno di bizzarre idee, godea burlarsi della gente; e seppe far tanto che ridendo di un prete vecchio, e corbellando un nuovo, si usurpò la camera e'l letto del prete: il prete fuori, ed esso dentro. Non altro qui ne diremo a chi già iniziato può interpretar da sè.

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Giunge il Sacchetti a far sì accorto uso del gergo, che trova il modo di dire che Dante nell' Inferno ha dipinto il governo papale. Ei narra che un Papa volea sapere da un Abbate quello che si fa in Inferno; e che gli fu risposto: In Inferno si taglia, squarta, arraffia e impicca, NE PIU' NE' MENO, COME FATE QUI VOI.-Che ragione rendi tu di questo? chiese il Papa; e colui rispose: Io favellai con uno che v'era stato; e DA COSTUI EBBE DANTE FIORENTINO CIO CHE SCRISSE delle cose dell' INFERNO. Queste son le precise parole del Sacchetti, ma chi vuol vedere con quali astuti andirivieni son dette, legga la sua novella quarta. Dell'empio motto di Antonio da Ferrara, amico di Petrarca, che voleva adorar di Dante (nov. 121), e d'una apparente sciocchezza di Dante, riguardo ad un uomo sparuto (nov. 8), quantunque gravidi di senso, non ci curiamo qui di ragionare.

Tutto così in gergo è il lungo novellare di Franco Sacchetti, in cui le frequenti buassaggini sono cifre segrete. I racconti sui Lupi sono molti; e curioso è quello d'un Lupo di Porto-Venere che, impossessatosi destramente d'una barca, si pose a navicare (“O navicella mia com' mal sei carca!" sclamerebbe Dante); il che è seguito dalla riflessione: "Queste cose ci sono mostrate in figura dall'eterno

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