« ricerca con molta sottigliezza e gusto in tutti e tre i proposti argo« menti; ma in quello della lingua per modo che non si poteva nè « più nè meglio... « Dei luoghi più oscuri o di dubbia intelligenza ed incerta, CE« SARI dà illustrazioni chiarissime; nè credo vi sia persona fornita « di qualche lettera, la quale, con questa Opera alla mano, non possa « intendere da capo a fondo tutto il Poema. E ben a ragione gli scri« veva il P. Villardi : - Questo è un operare che suggella la gloria « di questo secolo, che si dice Dantesco, ed è per l'amore che si porta « a DANTE, non per la conoscenza che se n'abbia, se mal non m'ap« pongo; ma voi farete che ci sia il detto, ed il fatto. Ed in al« tra:-E se un tempo alcune città d'Italia vollero aver cattedra pe<< culiare per la spiegazione di DANTE, or questa cattedra voi l'avete « donata non pure alle città, ma alle castella, ed eziandio ai borghi « ed ai villaggi d'Italia tutta, se vogliono farsene pro; e cattedra im« mortale ed eterna, non potendo qui temersi la morte del profes((sore. - Ed io aggiungo, che non solo l' ha donata per la spiega« zione della Divina Commedia, ma e per far assaggiare e conoscere « una buona parte del bello maraviglioso del linguaggio nostro dol<< cissimo, » Chi potrebbe ora dubitare dell' eccellenza di siffatto lavoro dopo il giudizio di questi distinti Campioni della italiana letteratura ? INFERNO PROEMIO Egli è un pezzo, che io vagheggio meco medesimo, ed ho già in parte grossamente colorito un cotal mio disegno che assai mi piace; ma dal metter la mano a incarnarlo, la coscienza del mio poco valore contro al mio desiderio scoraggiandomi mi ritira: dirò la cosa. Da che io incominciai intender Dante alquanto più che non avea fatto prima, egli mi venne sempre l'un dì più che l'altro piacendo ; iscontrandomi ciascuna volta a nuove bellezze, che non avea notatovi per l'avanti; e secondo quel poco discernimento che mi diede lo studio degli altri poeti, io fui sempre tentato di crederlo primo per avventura di tutti: io non dico, che e'sia (che il giudizio non me ne arrogo), ma che egli mi parve. Ora d'un Poeta di tanto pregio, chi accuratamente cavasse fuori e mettesse in mostra tutte le bellezze; senza l'onore, che grandissimo ne verrebbe alla nostra Italia, tornerebbe altresi in troppo grande utilità a' giovani studiosi, ponendo loro in mano un esempio di tal perfezione. Veramente (quanto all' onore degl'Italiani) mostra Dante essere oggidi assai conosciuto, ed assai della sua Commedia nobilitata l'Italia: il che potrebbesi mostrare alle sole edizioni, che a sì gran numero ne furono fatte, e fannosi tuttavia mentre io scrivo: e, quanto al servigio degli studiosi, tanti sono i comenti, le chiose, le note fatte a questo Poema, od anche a questo ed a quel luogo di lui, che niente più sembra potersi desiderare. Ma (io non so, se io m' abbia a dire quello che sento) io dubito, non la fama che ha Dante sia, piuttosto che altro, (cavatine alcuni pochi che l'hanno ben a fondo ricerco, e ben conosciuto) un come suono di voce, che di generazione in generazione, a guisa di eco, segue tuttavia rispondendo, sopra una incerta e vaga opinione od uno starsi all'altrui detto, anzichè nata da maturo e ragionevol giudizio del valore di quel Poeta, per un lungo studio e sottile fattovi sopra; e che in fine i comenti fatti alla sua Commedia non tocchino però il punto principale, nè abbiano recate a luce nè illuminate tutte nè le vere bellezze sue; e che però la massima parte della meritata lode sia defraudata a sì gran Poeta, ed altrettanto dell'utilità (che da questo studio ne potrebbono cavare) a' lettori. In questi comenti, cominciando da quello che ne fece esso Boccaccio, tutto va in chiarire i luoghi oscuri con note ed osservazioni grammaticali, ovvero nell'illustrare i punti di storia, alla quale accenna in molti passi il Poeta; e finalmente (e questo forse più che altro) nello spiegar il senso al legorico o mistico, che assai delle volte egli copre sotto 'l velame degli versi strani. Or di questa fatica, fatta già per molti valent' uomini, certo è da saperne loro assai grado, perchè alla intelligenza del Poeta, talor malagevole, serve non poco. Ma questo servigio, comechè utilissimo, non era il tutto e forse nè il meglio, che sembrami bisognare ad aver piena conoscenza di quella Divina Commedia; e mi parea, che rimanesse da notare e spiegar sottilmente tuttavia quello, dove peculiarmente dimora il pregio e l'eccellenza altissima di qnel Poema; cioè, le Bellezze della lingua adoperata da Dante, quelle dell' arte poetica, e finalmente dell' eloquenza: nelle quali cose singolarmente egli è grande, e veramente miracolo dei poeti. Or questo servigio io non so persona, che fino a qui gliel'abbia ancora renduto, o certo compiutamente: e pertanto, sentendomene io la voglia assai grande, pensava meco medesimo (come dissi al principio), e venia divisando come io potessi a ciò pervenire, accozzando idee e disegnando partiti da ciò. Finalmente, dopo lunghe consultazioni fatte meco medesimo, mi son deliberato di prendere un partito di mezzo, per forma ch'io fuggissi gli estremi opposti, si della presunzione e sì della viltà; e fu di metter mano all'opera, e, tentando le mie forze, vedere fino a quanto elle mi dovessero poter condurre: e secondo che nel processo io trovassi di me, secondo fare; ed o tirar innanzi il lavoro, o levarlo d' in sul telajo: e per questo modo io avrei agli amici, a'nemici (se alcun ne ho), al mio desiderio, al timore, e forse, da ultimo, eziandio alla espettazione degli studiosi senza mio pericolo soddisfatto. Presa adunque siffatta deliberazione, rimanea da vedere il modo, come recare ad effetto il divisato proponimento. Il dialogo m' è paruto di tutti il migliore; perocchè queʼtramezzamenti di domande, risposte ed uscite scemano a'lettori la noia del troppo continuato dire; ed anche la varietà dei pensamenti, che si suol dare agli interlocutori, secondo l'indole e'l piacer diverso di ciascheduno, dà molto ricreamento. Oltre a ciò, vi soglino aver luogo i be' motti, le opportune digressioni con le tornate: e in somma v'è comodità di trattar la materia minutamente, e tuttavia senza fastidio, per le piacevolezze che porta il novellare di più persone: e veggo, a Platone ed a Cicerone la cosa esser così paruta com'ella a me. I personaggi che avessero a far il dialogo ho voluto che fossero tre, come le Grazie; e quasi per buon augurio; comechè in processo mi sia caduto in concio d'aggiugnervi un quarto. Anche gli volli pigliare de' Veronesi nostri, senza dirne il perchè, ed holli in vero studio eletti di età, natura, e talento diverso, per dare più ragionevol cagione a que'varj accidenti, che io dissi al dialogo convenire; e ciò sono il sig. Giuseppe Torelli, il sig. Dottor Agostino Zeviani, e 'l sig. Filippo Rosa Morando. Il primo fu de'nostri maggior letterati, gran matematico; il cui Archimede, da lui tradotto e comentato, gli fu con magnifica edizione stampato in Londra. Fu poeta eccellente, comechè poche cose ci abbia lasciate: ma queste poche sono scritte con eleganza di concetti e di stile Attico direttamente: la lingua nostra egli seppe profondo, e di Dante in ispezieltà fu conoscentissimo e innamorato. Era uomo grave, in ogni cosa moderato e di dolce natura, e cristianissimo soprattutto. Il Dottor Zeviani fu avvocato dottissimo, e d'interezza maravigliosa: amava le lettere e gli autor classici sommamente; ma il Petrarca era a lui quel medesimo, che al Petrarca fu Laura: e quantunque in poesia non valesse gran fatto, nondimeno la eleganza delle maniere e del numero di quel Poeta sentiva fin ne' capelli. Fu gran critico e molto sottile, e tuttavia forte e libero, come dice la sua Critica Poetica: e co 1 VII me nella ragion civile, cosi nelle lettere, anima veramente sdegnosa d'ogni ingiustizia ed irragionevolezza: in somma, fu esso Dante pretto e maniato. Il signor Filippo Rosa Morando, in età assai fresca (che di forse ventiquattro anni morì, con infinito danno delle lettere ), fu grand'uomo in letteratura: compose tragedie, ed un bellissimo Canzoniere; e Dante in ispezieltà amò, e al suo onore prestò assai utile servigio, singolarmente nelle Contrannotte fatte al Comento del P. Venturi. Gran conoscenza avea del Latino e del Greco, anzi pur del Tedesco; il che mostrò nella Dori d'Alberto Haller, da lui voltata in Toscana canzone. Per tanta dottrina, e per non minore pietà lasciò di sè alla patria un acerbissimo desiderio. Del sig. Girolamo Pompei, che ho introdotto per quarto, dirò al luogo del suo entrare in questa compagnia. Questi quattro personaggi mi parvero da questo dialogo; a'quali io ragiono di metter in bocca tutto ciò, che de' tre generi di bellezza che dissi, la poca mia scienza ed ingegno mi darà di poter nel poema di Dante osservare; e ciò non menando i lettori alla scuola della grammatica, ma eleggendo e schiarendo i luoghi più notabili e singolari, dove il Poeta l'arte sua e l'ingegno ammirabile più manifesta. Tuttavia il testo intero della Commedia ho voluto stampare; credendo che ai Lettori dovesse piacere d'aver in questi Dialoghi tutto il Dante. Quanto alla lezione del testo, io debbo assai ringraziare la diligenza e lo studio di tanti nostri letterati, i quali, avendo fatto della Commedia lungo e sottile ragguaglio con assaissimi manoscritti, e notate le varie lezioni e fatteci le ragioni accuratissime, non lasciarono da desiderare nè da sperar altro nè meglio, ad avere un sicuro testo del Dante. L'edizione fattane in Padova il 1822 ha raccolto quanto di questo Poeta fu mai dagli antichi e da'moderni trovato e osservato; fra'quali ci ha non pochi di Veronesi: la loro lezione è approvata da codici senza numero: sicchè que'dotti e diligenti compilatori hanno fatto alle lettere un molto util servigio. E c'è anche il codice Bartoliniano, dal Professor Viviani pubblicato con belle note in Udine nel 1823, col riscontro di sessantacinque testi a penna, e delle prime edizioni di Dante, fatto da lui medesimo; nel quale di bellissime ed alcune importantissime varie lezioni a me pare d'aver veduto. S'aggiunga altresi non pochi riscontri fatti da me medesimo di molti luoghi della Commedia, in Toscana ed in Roma: e finalmente un codice bene antico, gentilmente prestatomi dal sig. Marchese Capilupi di Mantova; il cui copiatore, comechè fosse uomo assai rozzo, tuttavia dovette aver avuto un assai buon esemplare: da che io posso affermare con verità, chè nelle tante varietà notate in tanto numero di codici, esso delle dieci volte le nove s'accorda col codice Bartoliniano e con le migliori lezioni degli altri. Adunque dietro il lume di tali scorte ho creduto andare sicuramente; eleggendo tuttavia fra le migliori lezioni quella che l'ottima m'era sembrata; lasciando delle altre intero il valore e pregio al giudizio dei più dotti e saggi di me: e non lascerò il Dante stampato in Roveta, nella provincia di Bergamo; il quale, quanto a lezione, scusa un codice raro; avendolci il sig. Fantoni dato, come dice, da una copia a mano dal Boccaccio: e posso dire che assai lezioni s'accordano con gli altri codici. Per le quali tutte cose parmi di poter fidatamente affermare, che questo mio testo (la mercè di que' letterati) debba poter essere il più sicuro di tutte le edizioni di Dante. Questo ho io creduto di dover dire; ed a fidanza della benignità di quelli che leggeranno, metto mano a'miei Dialoghi. |