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CENNI STORICI

INTORNO LA VITA

DI DANTE ALIGHIERI.

Dante nacque in Firenze verso la metà di Maggio del 1265. Suo padre chiamavasi Aldighiero, ed era di professione giureconsulto; sua madre donna Bella, la quale non sappiamo a qual famiglia appartenesse. Nobile e antica fu la sua stirpe, intanto che egli stesso teneasi discendere da uno di quei Romani, cho negli ultimi tempi della Repubblica fondarono o colonizzarono Firenze: pure non se ne hanno memorie anteriori al secolo XII. La sua famiglia chiamossi dapprima degli Elisei; ma da donna Aldighiera degli Aldighieri di Ferrara, moglie di Cacciaguida, tritavolo di Dante, i discendenti chiamaronsi Idighieri, cambiato poi, per dolcezza di pronunzia, in Alighieri.

Le case degli Alighieri rispondevano da una parte sulla piazzetta di san Martino, dall' altra sulla piazza de' Donati; e, piegando ad angolo, si estendevano fino alla piazzetta de'Giuochi. Se non possedevano molte ricchezze, non erano però gli Alighieri da dirsi poveri, poichè Dante, oltre le case notate, aveva delle possessioni in Camerata, a San Martino a Pagnolle, e in Piano di Ripoli: luoghi tutti vicini alla città.

I maggiori di Dante furono guelfi, ed in modo siffatto, che Farinata degli Uberti parlando di essi (Inf., X, v. 46), dice: . . . . fieramente furo avversi

A me ed a' miei primi ed a mia parte,

Si che per duo fiate li dispersi.

Infatti un Brunetto Aldighieri, zio di Dante, trovossi alla battaglia di Montaperti, ove tenne un posto assai distinto, poichè era una delle guardie del Carroccio. Doveron pertanto due volte csulare dalla patria; la prima nel 1248, quando ne furon cac

ciati da Federigo d'Antiochia, figlio dell'imperator Federigo II, e la seconda nel 1260 dopo la sconfitta di Montaperti. Ma

S'ei fur cacciati, ei tornår d'ogni parte

l'una e l'altra fiata,

.

risponde Dante all'Uberti (Inf, X, v. 49); ed infatti tornarono la prima volta nel 1251, la seconda nel 1266. Essendo per altro nato Dante in Firenze, come si è detto, nel 1265, è da credersi che il padre di lui fosse richiamato alla patria prima degli altri Guelfi.

Aveva Dante poco più di dieci anni quand'egli perse il gcnitore: nientedimeno, per cura della madre sua e de' parenti, fu fatto istruire in ogni liberal disciplina; e il celebre Brunetto Latini fu uno de' suoi maestri. Nè solo le lettere e le scienze studiò egli, ma pur la musica e il disegno: alla teologia poi non applicò, se non quand' ebbe varcato i cinque lustri.

Non aveva che diciott'anni allorquando scrisse il primo suo sonetto, che incomincia:

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A ciascun' alma presa e gentil core; •

e l'occasione di esso, come di tutte le altre sue poesie giovanili, fu la seguente. Il primo di Maggio del 1274 Dante, non compiuti interamente nove anni, fu condotto dal padre in casa di Folco Portinari (cittadino de' più ragguardevoli e provvisto di molte facoltà) ad una di quelle feste, che nella stagione di primavera solevano allora i signori fiorentini dare ai parenti e agli amici. Or quivi trovandosi, s'imbattè in una piccola figlia di Folco, che contava poco più d' otto anni, e che chiamavasi Beatrice: l'immagine della quale ei s'accolse con tanto affetto nel cuore, che fin da quel giorno dee dirsi che incominciasse ad esser signoreggiato dalla passione d'amore. Passati altri nove anni, la rivide in mezzo a due gentili donne, e, salutandola, fu da essa cortesemente risalutato. Di che prese tanta dolcezza, che ritrattosi nella sua camera a pensare di quella cortesia, fu sopraggiunto da un dolcissimo sonno, e in quello ebbe una visione. Svegliatosi, si propose di comporre un sonetto, nel quale significasse ciò che gli era parso vedere, e d'indirizzarlo ai fedeli d'amore, perchè gli dessero risposta in proposito.

L'amore di Beatrice, che si contenne sempre dentro i limiti della più pura benevolenza, fu adunque quello che accese in Dante le prime scintille poetiche, e (come dice egli stesso) gli fu stimolo a vie più istruirsi e a ben fare. Infatti nel gran voema ch'egli scrisse nella sua virilità, cioè quando Beatrice

era morta da più anni, disse di lei quello che mai non fu detto d'alcuna, siccome erasi dapprima proposto. (Vita Nuova, § ult.)

Ma s'egli era dato tutto agli studi, non lasciava però le eure civili, nè trascurava i doveri, che come a cittadino di libero reggimento gl' incombevano. I fuorusciti fiorentini, insiem con altri Ghibellini di Toscana e di Romagna, avean fatto massa ad Arezzo, e si apprestavano ad invadere il territorio della Repubblica: il perchè fu d'uopo a Firenze di provvedere alla sua difesa. S'armarono dunque i Fiorentini, e fra questi Dante; il quale, siccome di famiglia nobile, fece parte delle genti d'arine a cavallo. A Campaldino, luogo presso a Poppi, ove nell' 11 Giugno 1289 seguì la battaglia, si trovò Dante a combattere nella prima schiera, la quale da principio ributtata, potè poi, per l'aiuto de' pedoni, riprendere l'offensiva, tantochè i Fiorentini ottennero piena vittoria. Due mesi appresso andò all'assedio del castello di Caprona, e colà stette finchè i Pisani, che da qualche tempo se n'erano impadroniti, non ne fecero la restituzione ai Lucchesi, allora in lega coi Fiorentini.

Il 9 Giugno 1290 morì Beatrice, già maritata a Simone de' Bardi. Quant' ei ne rimanesse dolente non è a dirsi; ond'è che, non dando egli sosta alle lacrime, i parenti e gli amici gli furono attorno, e tanto fecero, che lo indussero a tôr moglie. Adunque circa il 1291 s'unì con Gemma di Manetto Donati, e da essa ebbe più figli, siccome sarà detto in seguito. E poichè per conseguire i pubblici offici della Repubblica bisognava essere ascritto ad una delle Arti, egli si ascrisse nel 1295 a quella de' medici e speziali, ch'era la sesta fra le sette Arti maggiori. La molta sua virtù gli aprì la via degli onori, intantochè, se prestiamo fede al Boccaccio, niuna importante deliberazione si prendeva s'egli non dava la sua sentenza. Fu più volte ambasciatore della Repubblica, ed una fra le altre al Comune di san Gemignano nel 1299, col quale stabilì un accordo concernente la Taglia guelfa, Più volte fece parte del Consiglio di Stato, detto il Consiglio Speciale, e finalmente nel 1300, il 15 Giugno, ottenne l'ufficio del priorato, ch'era la suprema magistratura della Repubblica.

Ma, com' egli racconta in una sua lettera, veduta da Leonardo Bruni, tutti li mali e tutti gl' inconvenienti miei dagl' infausti comizi del mio priorato ebbero cagione e principio: del quale priorato, benchè per prudenza io non fossi degno, nientedimeno per fede e per età non ne era indegno; perciocchè dieci anni erano già passati dopo la hattaglia di Campaldino .... dove mi trovai non fanciullo nelle armi, e dove

nel principio ebbi temenza molta, e nella fine grandissima allegrezza per li vari casi di quella battaglia. Dice dunque che tutti i suoi mali ebbero cagione dal suo priorato, perocchè le fazioni de' Bianchi e de' Neri, trapiantatesi da Pistoia (ov'ebbero l'origine) in Firenze, e quivi unitisi i primi coi Cerchi e i secondi coi Donati, fecero pubbliche le private loro discordie. Nè andò guari che le due parti vennero alle mani ed al sangue: onde i priori, fra i quali Dante, per sedar quei tumulti, che mettevano a pericolo lo Stato, confinarono Corso e Sinibaldo Donati, Gentile e Torrigiano e Carbone de' Cerchi, con altri principali delle due fazioni. Di qui i risentimenti, gli odi e le vendette.

Poco stettero costoro a' confini, e i Neri tornati a Firenze ad altro non pensavano, che a trovar modo da opprimere i propri avversari, e ben presto se ne presentò loro l'occasione. Carlo di Valois, fratello del re di Francia, transitando in quei dì per la Toscana, andava alla volta di Roma, donde poi intendeva muovere al conquisto della Sicilia; e di esso pensarono i Neri valersi per conseguire il loro intento. Il perchè a lui e a papa Bonifazio rappresentarono, come i Bianchi non altro fossero che Ghibellini, nemici della Chiesa e della casa di Fran- cia: chiedeano pertanto che il principe, prima di far l'impresa della Sicilia, venisse in Firenze col titolo di paciaro, e riformasse lo Stato in modo, che niun pericolo più corresse la parte guelfa. I più savi del reggimento, vedendo bene a che volevano riuscire i Neri, mandarono a Roma ambasciatore al pontefice Dante Alighieri insieme con altri tre, affinchè, persuadendo a Bonifazio che la venuta di Carlo a Firenze sarebbe stata la distruzione della città, tentasse svolgerlo dall' infausto proposito. Ma il pontefice, ch'era già guadagnato alla causa di Corso Donati e consorti, tergiversando, tanto tenne a bada il fiorentino ambasciatore, che il Valois, già pervenuto in Firenze, diede agio ai turbolenti di manomettere la città in un modo, che (come raccontano tutti gli storici) non è paragonabile nemmeno a quello, a cui va sottoposta una città presa d'assalto.

Udita Dante tanta rovina, e maledicendo in cuor suo la doppiezza e la perfidia della curia papale, si partì da Roma correndo verso Toscana. Ma giunto a Siena intese come i suoi nemici, accusatolo d'esser Ghibellino, e d'essersi opposto alli venuta del principe francese, gli aveano assalite e guastate le case e le altre possessioni: e come Cante de' Gabbrielli, allora podestà di Firenze, col falso pretesto d'aver egli cominesso baratterie, cioè estorsioni di denaro e vendite di offici pubblici,

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