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ma per quello che ci dice il Poeta al verso 43 del seguente Canto VII, e poi al verso 85 del medesimo, è da credere che fossero passate le tre pomeridiane, tramontando ivi il sole in questo giorno circa le ore cinque e mezzo.

CANTO VII.

Ma vedi già come dichina il giorno.

Si è detto al Canto precedente che questo verso indica circa l'ora terza pomeridiana, quando Virgilio additò a Dante l'anima di Sordello; perciocchè, non restando il sole su quell'orizzonte in quel di che cinque ore e mezzo dopo il suo passaggio pel meridiano, s'intende che il sole declina in modo speciale, allorchè è trascorsa la metà del tempo che egli spende dal meriggio all'occaso.

• Prima che 'l poco sole omai s'annidi. »

Dalla terza ora dopo il mezzodi, e quando i Poeti furono presso a Sordello, fino a questo punto, ebbero luogo le accoglienze oneste e liete tra i due Mantovani: poi il ritorno riverente di Sordello a Virgilio; in fine il cammino verso la ridente valletta: perciò si può stimare che oramai non restasse al sole neppure un'ora per annidarsi in grembo al mare, secondo il linguaggio de' Poeti.

CANTO VIII.

«Era già l'ora che volge il disio. »

Se, prima del contemplare le grandi ombre, ormai rimaneva al di poco sole; appare che qui si voglia descrivere l'ora delle ventiquattro, circa mezz' ora dopo il tramonto; e che però la squilla di cui parla, sia quella che annunzia I Ave Maria della sera. Ciò viene confermato dal verso 49 Tempo era già che l'aer s'annerava. » Nè fa ostacolo a questa interpretazione l'essersi mosso il Poeta coi compagni suoi dopo celato il sole: perchè si trattava di scendere; e questo, come è detto al verso 58 del canto precedente, potevasi anco di notte.

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era stato colpito dalla chiarezza delle quattro stelle della mattina di quel di, nell' ora vespertina presente se ne vedevano tre di minor lucidezza e più distanti tra loro che non fossero le prime, attesochè il polo tutto quanto ne ardeva: e queste indicazioni ci mostrano che le stelle erano ed della Nave con z dell' Eridano, note al Poeta per l' Almagesto. V. il mio discorso Sulle dottrine astronomiche della Divina Commedia, p. 25.

« Le quattro chiare stelle son di là basse. »

Con questa indicazione scientifica non vuol già dire che le quattro stelle, viste dal Poeta nella mattina, fossero attualmente sotto quell' orizzonte; e perciò di là nell' altro emisfero, che sarebbe il nostro; perchè ciò sarebbe stato impossibile; ma che erano dall'altra parte del meridiano, cioè dalla parte del levante, tra il meridiano e l'orizzonte. Con questo ci vuol forse anche far sapere il Poeta che il sito della valle era tale, da non permettergli di rivedere le quattro fiammelle dal fondo in cui si trovava.

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Stando al 1300 per l'anno della Visione dantesca, si è detto a suo luogo che il sole, durante questo viaggio poetico, era nella costellazione dell' Ariete o Montone. Quest'animale è da remotissimi tempi nelle carte astronomiche effigiato in attitudine di coricamento, si che con la parte inferiore del ventre posa sull'ecclittica, letto del sole nella mansione di Ariete, e con le ripiegate zampe inforca

cuopre questo tratto dell' ecclittica stessa. Di qui la ragione della pittura, per dire che il sole non sarebbe sette volte ritornato a fare dimora in quell'arco di ecclittica, cioè non sarebbero passati sette anni dal giorno di questo colloquio, che esso Dante avrebbe sperimentata la generosità dei Signori di Malaspina.

CANTO IX.

‹ La concubina di Titone antico. »

Descrive l'albeggiare dell' aurora che precede il sorgere della luna, il quale avveniva in quella sera al Purgatorio (sempre nell'ipotesi del 1300 e del Plenilunio pasquale ecclesiastico) un po' prima delle ore nove pomeridiane. Che parli qui dell' aurora lunare, e non di quella del sole, si argomenta principalmente, 1.o dall'appellativo di concubina, e non di moglie, di amico e non di marito; 2.0 dal contesto della narrazione poetica il quale non permette di supporre l'aurora solare ivi in quel punto, nè a Gerusalemme nè in Italia; 3.0 dall' impossibilità matematica e fisica che la fronte dell' aurora solare potesse essere

lucente delle stelle della costellazione dei Pesci, come converrebbe supporre per la seconda terzina di questo canto; 4.0 per lo spuntare della luna in tal sera al Purgatorio quasi a tre ore di notte, preceduta all' orizzonte dalle brillanti stelle dello Scorpione. - Vedasi l'opuscolo « Sulle dottrine astronomiche della Divina Commedia.

«Di gemme la sua fronte era lucente. »

La luna che (giusta l'ipotesi mentovata) trovavasi ancora in bella fase, perchè non bene erano scorsi quattro giorni dopo il plenilunio, illanguidiva col suo splendore la parvenza delle minori stelle dello Scorpione; e spiccavano così le più brillanti di quella costellazione, disposte in guisa da formare una linea serpeggiante, e perciò da rendere l'imagine di una serpe, che è il freddo animale che se morde co' denti, con la coda percuote la gente. Queste stelle, comprese nel primo, secondo e terz' ordine di grandezza apparente, rimanevano poi in tal posizione rispetto alla luna, che sull' orizzonte del Poeta dovevano appunto coronarne la fronte.

E la Notte, de' passi con che sale. »

Affinchè non si sbagliasse intorno alla natura del fenomeno celeste, ci determina il tempo. Introduce la notte personificata che passeggia, e distingue i passi con che sale, e quelli co' quali discende; cioè le prime ore con cui va fino al colmo, e le rimanenti, con le quali si ritira ad occidente, per dar luogo all'alba del di in oriente. Intendendo qui con la comune degli espositori che i passi della notte siano le ore di sessanta minuti, torna bene la indicazione del tempo col fenomeno dell' aurora lunare; perchè la notte, nel luogo ov'era il Poeta, incominciava alle sei e la luna vi sorgeva un po' prima delle nove ore: dunque all'imbiancarsi di quell' aurora la notte aveva fatto due de' passi con che sale, e il terzo chinava giù l'ali, cioè la terza ora non era trascorsa.

Nell' ora che comincia i tristi lai. »

Poco innanzi lo spuntare del sole, quando l' aurora ha già preso il colore che le dà il nome; perciocchè non è facile udire il canto delle rondini prima che sia giorno chiaro.

E me rapisse suso infino al fuoco. »

Alludesi alla sfera del fuoco, al di sopra dell' atmosfera, di che abbiamo parlato sul principio di questa Cantica.

Mi si conceda qui un' osservazione psicologica, perchè mi sembra onorevolissima pel nostro Filosofo. Dice che, giunto a quel soggiorno del calorico, parevagli di ardere insieme coll'aquila; e che quell' incendio, sebbene imaginario, lo cosse talmente, che gli ruppe il sonno. Poi dice che Lucia si mosse quando il di fu chiaro, cioè a sole na

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scente, e che fu lasciato esso Poeta da lei nella posizione di chi riguarda il levante. In quel trasferimento era dunque il Poeta nostro percosso dai raggi solari, e specialmente nella faccia; almeno quando la potenza calorifera di quelli era maggiore: per conseguenza eravi un fatto esterno reale, da cui nel dormente eccitavasi un senso di gran calore. Pare dunque che il nostro esimio Cantore si fosse accorto del fatto, che le impressioni esteriori, da cui siamo affetti mentre si dorme, intervengano a comporre le imaginazioni del sogno, rendendoci cosi ragione della stravaganza dei sogni stessi, e della loro discontinuità.

E il sole er' alto già più che due ore. »

La sorpresa dello svegliarsi a ora cosi tarda, conferma la bontà dell' interpetazione quanto all'ora in cui si addormentava il Poeta: perchè, se ciò fosse avvenuto sull'aurora solare, la maraviglia aveva meno ragione. Così, oltre allo stupire del luogo mutato, stupisce del tempo trascorso. In quanto poi ammira di trovarsi in prospetto della marina, cioè diretto verso il levante, perchè con un girar | d'occhio aveva visto il sole alto più di due ore, ci dice che la valle fiorita, ove fu vinto dal sonno, era volta diversamente, e crederei tra mezzogiorno e ponente. Infatti, quando da essa il Poeta guardava su in cielo, ove le stelle son più tarde, aveva il polo scoperto, e le tre facelle era no tra il meridiano e l'occidente: per conseguente il fianco o la ripa che avevano girato, e sopra un balzo della quale avevano veduto le anime assise sull' erbe e sui fiori, im pediva loro la vista dell'oriente e della porzione di cielo ov'erano allora le quattro stelle contemplate nella mattina; tanto più che appena tre passi bisognarono a scendere, e quindi erano molto vicini alla detta ripa. Così verremmo a vedere, che Sordello fu scorto a sinistra de' Poeti che salivano e siccome è naturale che egli volgesse le spalle alla montagna, e tenesse perciò la faccia rivolta allo spazioso orizzonte che da quell'altura si dominava; quand'egli dice che la valletta del riposo è a destra, i nostri viaggiatori dovettero continuare il cammino a sinistra per ricovrarvisi. Tale orientamento soddisfa a tutte queste circostanze.

«Dianzi, nell' alba che precede al giorno. »

Distingue più di un'alba, poichè determina di quale adesso intende parlare; di quella dunque di quando s'addormentò era un'alba diversa, cioè non la solare: dunque era quella della luna, non essendovene altre dopo queste.

CANTO X.

« Tanto, che pria lo scemo della luna. »

Alcune edizioni leggono stremo invece di scemo. Forse questa è migliore lezione. in quanto ci richiama al fatto

astronomico noto, che, quando la luna è calante, cioè dopo il plenilunio, tocca l'orizzonte al tramonto con la parte scema di luce: ma, comunque si voglia dire, l'essenziale è che il Poeta, col tramontare di quell'astro, ci vuole indicare l'ora corrente. Per trovarla osserveremo che in quel di, corrispondente alla notte, qua avanzata, del dì 11 aprile, contando dal plenilunio pasquale ecclesiastico del 1300, la luna si tratteneva sopra un orizzonte come quello supposto dall' Allighieri, quasi 14 ore e mezzo: per conseguente, se nella sera del giorno precedente vi era sorta

un po' prima delle nove, nel momento di giungere all' occaso doveva correre circa l'ora undecima della mattina, cioè mancare un'ora a mezzodi, e così dovevano essere circa quattr' ore e mezzo di sole. Questa determinazione si manifesta assai esatta; perchè, se, quando il Poeta si sveglio, il sole era già alto più di due ore, è naturale che, per calmarsi dal turbamento sofferto, per salire su per lo balzo alla porta del Purgatorio, parlare coll' Angelo, e su perare quasi tutto quel disagevole sentiero, che incontrarono appena entrati, occorressero due buone ore di tempo.

DIMENSIONI DELLA MONTAGNA DEL PURGATORIO,

SECONDO GLI ACCENNI DELLA DIVINA COMMEDIA.

CONSIDERAZIONI DEL P. G. ANTONELLI.

I.

Sebbene da oltre cinque secoli si vada studiando questa opera immortale, e uomini insigni anche per dottrine matematiche ed astronomiche si sian posti a illustrarla di buon proposito; nessuno ha sospettato che l'Allighieri abbia dato della montagna del Purgatorio un'idea determinata quanto alle sue dimensioni per ogni lato. S' è fatta in varii tempi qualche congettura, ma vaga: e in un recente scritto, sulle misure dell' Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, del signor Gregoretti, stampato in Venezia, si leggono queste parole: Rispetto al Purgatorio e al « Paradiso, il Poeta ne indica il sito e la forma, ma tace <«< interamente quanto alla grandezza. Dice unicamente del Purgatorio nel canto X, v. 24, che la larghezza del primo girone sarebbe misurata in tre volte da un corpo « umano. » Cosi pareva anco a me quando incominciai lo studio per le illustrazioni astronomiche, sebbene io abbia ignorato per quasi un anno il lavoro citato: ma, considerando la potenza dell' intelletto di Dante, l'arte e l'amore con che aveva condotto l'ammirabile sua visione, i dati offerti per le dimensioni supposte all' Inferno, e l'aver lui rimesso quelle del Paradiso in parte all' Astronomia, in parte all' immensità, dubitavo; e, mosso anche dalle interrogazioni del signor Tommaséo, procedevo con più viva attenzione, procurando che non mi sfuggisse nulla di ciò che a qualche scoperta potesse guidarmi.

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Non ero giunto alla fine delle mie osservazioni sulla seconda Cantica, che con mio stupore e contento vidi un filo per venire a capo della ricerca sulle dimensioni della santa Montagna: ne tenni conto; e in fine mi parve di aver trovato più di quello che avessi osato sperare.

Nelle note, segnatamente ai Canti XXV, XXVI, e XXVII, ho accennato qualche cosa, indicando i fondamenti del ragionamento che ora verrò facendo per modo che tutti gl' intelligenti lettori si formino una chiara

idea della cosa; le persone iniziate negli elementi delle scienze matematiche ed astronomiche possano verificare i calcoli; e tutti rendano gloria a quel Dio e a quella fede che hanno ispirati concetti di bellezza così sapiente.

II.

Annunziando misure del Purgatorio dantesco, non intendo già dire che il Poeta le abbia date con precisione matematica; ma far vedere che ce le ha somministrate per modo indiretto e dentro a' limiti d'approssimazione, non essendo neppure conveniente che fosse venuto a numeri precisi in cosa di sua fantasia. Nel monte d'espiazione veggo la forma, intesa da tutti, di un cono retto troncato a basi parallele, risultando questa forma dalle descrizioni del Poeta con molta evidenza. Dunque è da cercare se questi abbia posti i dati quantitativi della massa e delle fondamentali dimensioni di questa mole.

III.

Per ciò che spetta alla quantità, la mi pare bastantemente indicata nell'ultimo dell' Inferno, quando Virgilio fa supporre che la terra attraversata da Lucifero nella sua caduta dalla superficie al centro, per fuggire questo mostro e ogni contatto di lui, lasciasse vuoto quel lungo tratto per cui tornarono i Poeti a rivedere le stelle, e sotto quello emisfero e fuor d'acqua apparisse, e su ricor resse per formare la prominenza della quale adesso parliamo. Rammentando la colossale dimensione attribuita al re dell'abisso, nel supposto che una statura gigantesca fosse media proporzionale tra quella nel nostro Allighieri e un braccio della creatura che ebbe il bel sembiante, rammentando lui convenire più con un gigante, che un

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