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Che, non senza virtù che dal ciel vegna, Cerchi di soverchiar questa parete. 34. Così 'l maestro. E quella gente degna: - Tornate, disse; intrate innanzi dunque, Co' dossi delle man' facendo insegna. 35. E un di loro incominciò: Chiunque Tu se', così andando, volgi il viso; Pon mente se di là mi vedesti unque. 36. I' mi volsi vêr lui, e guardai 'l fiso.

Biondo era, e bello, e di gentile aspetto:
Ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.

37. Quand' i' mi fui umilmente disdetto

D'averlo visto mai, mi disse: - Or vedi; E mostrommi una piaga a sommo il petto. 38. Poi disse sorridendo: I' son Manfredi, Nipote di Gostanza imperadrice.

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Ond' i' ti prego che, quando tu riedi,

32. (L) CONFESSO: affermo. FESSO dall'ombra. (SL) CONFESSo: Inf., XXIV, t. 36: Per li gran Savii si confessa. En., II: Parens, confessa Deam. 33. (L) SOVERCHIAR: montare. PARETE: monte. (SL) SENZA. Æn., V: Haud equidem sine mente, reor, sine numine Divim. SOVERCHIA. Æn., VI: Hoc superate jugum. PARETE. Nei Salmi, muro sta per ostacolo qualunque sia (Psal. XVII, 30).

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39. Vadi a mia bella figlia, genitrice Dell' onor di Cicilia e d'Aragona;

E dichi a lei il ver, s' altro si dice. 40. Poscia ch'i' ebbi rotta la persona

Di duo punte mortali, i' mi rendei, Piangendo, a Quei che volentier perdona. 41. Orribil' furon li peccati miei;

Ma la Bontà 'nfinita ha sì gran braccia Che prende ciò che si rivolge a lei. 42. Se 'l pastor di Cosenza, che alla caccia Di me fu messo per Clemente allora, Avesse in Dio ben letta questa faccia;

fidelium imperii in Thuscia et Lombardia. - GOSTANZA. Per Costanza anco il Boccaccio. Figlia di Ruggeri re di Sicilia, moglie dell' imperatore Arrigo VI, il padre di Federigo II, a cui Manfredi fu figliuolo illegittimo. E però dice un'antica postilla: E' non nomina l'illegittimo padre, ma si Costanza.

39. (SL) FIGLIA. Altra Costanza, unico germe di casa sveva, moglie di Pietro re d'Aragona e madre a Federigo re di Sicilia, e a Jacopo re d'Aragona. Pietro d'Aragona, marito di lei, liberò Sicilia da' Francesi l'anno 1282. Onde l'onor di Cicilia e d' Aragona non sono i due figli de'quali dirà male nel Canto VII, ma la conquista di Pietro marito di lei: ed ella generò quell' onore, dandone occasione al marito. S'altri intendesse genitrice in senso proprio, de' due re, converrebbe interpretarla come ironia, che non mi pare abbia luogo. Dal terzo Canto al settimo non è poi credibile che il Poeta mutasse opinione, come gli accadde altre volte. [Gio. Villani, VI, 47; VII, 9; VIII, 18. Dante, de Vulg. Eloq., I, 12.]

40. (SL) ROTTA. Æn., IX: Pectora rumpit. Lucan., VI: Ruptas letali vulnere fibras.

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Sul principio del Canto è confessata e dall'inscienza di Virgilio e dalle parole sue espresse, l' insufficenza della ragione a conoscere la verità pienamente: nella fine, è professata come ragionevole, la credenza alla necessità d'una espiazione, che, al di là della vita, ci renda degni della beatitudine prima; e tale necessità è posta accanto al concetto della bontà infinita di Dio, anzi questo concetto è argomento alla ragionevolezza di quella credenza. Virgilio, nell'eletto suo stile, non avrebbe detto stare al quia: ma questa di Dante è commedia; e pare ch'egli, usando qui un modo famigliare trai tanti nobilissimi del presente Canto, intenda all'ingegno umano insegnare umiltà, così come Virgilio qui stesso a lui insegna docilità.

Siccome in questa Cantica il senso morale è più

puro, così l'osservazione della natura esteriore è più nuova insieme è più lieta e più variata. Col salire del monte, il Canto si leva e si appura. E anco le osservazioni della natura morale, significata dagli atti esteriori della persona, qui si fanno più e più pellegrine, senza punto perdere verità; ch'anzi la semplicità aggiunge ad esse bellezza. Diresti che nell'Inferno il Poeta tiene più degli spiriti latini ed etruschi, nel Purgatorio de' Greci, degli Orientali nel Paradiso. Le ultime terzine del Canto, per quel che concerne lo stile, son di minore bellezza. Ma non è senza bellezza (forse inavvertita a lui stesso) il collocare cotesto re Tedesco, reo di peccati orribili, tra due suoi famigliari Belacqua e Casella; tutti e tre musicanti.

MANFREDI. -- IL PERDONO DI DIO.

Una sorella della buona Costanza, la figlia di re Manfredi, fu moglie a Corrado Malaspina, l'antico, ch' e' nomina nel Canto ottavo. E i Malaspina erano lontani parenti di Dante: onde questi avrebbe avuti vincoli d'affinità con la casa di Svevia. Di qui anco l'affetto pio che Dante dimostra alla memoria di lui; ma più alle credenze politiche; e credenze le chiamo, perchè tali erano le speranze del Poeta nel potere e nel volere della casa di Svevia, e d'altri tali. Non si dica, però, che il verso Biondo era e bello e di gentile aspetto sia concesso all' amore di parte e molto meno a rettorica eleganza; dacchè il guelfo Villani de' Tedeschi dice: Belli uomini e di gentile aspetto, che vale nel senso antico non leggiadro, ma nobile. E notisi come singolarità storica, dagli storici trasandata, che Elena, figlia d'un Michele despota d'Epiro (questo titolo ci viene di Grecia, come tiranno), moglie a Manfredi, altrimenti nominata nelle cronache, gli portò in dote Corfù ed altre terre, ond'egli ebbe titolo di duca di Romania, titolo comune con quello Stefano Dusciano di Serbia che tanta parte dell' impero greco aveva con le sue armi occupata. E Manfredi, imperatore accademico, che aveva un po' del tedesco e un po' del francese, condito con dell'italiano, avrà con questo matrimonio, come i conquistatori sogliono, inteso di fare un negozio: e le sue mire tendevano fino a Bisanzio. Dopo la rotta di Benevento, Elena si chiude in Nocera co' Saraceni, e per opera di frati travestiti, messi di Clemente, è data a Carlo, e rinchiusa in un castello per anni sei; muor di trenta.

Orribili, dice Dante, i peccati di re Manfredi: parola in tal bocca di grave senso, e che se non conferma tutte le accuse date al Ghibellino da' Guelfi, lascia imaginare più di quello che dice. Senonchè l'idea che succede della misericordia divina, onora in doppio modo l' anima del Poeta, ed è condanna tanto più forte quanto più mansueta alla severità de' nemici. Bene aveva Dante e letto e inteso le parole del profeta, che non senza perchè l'Autore della nuova legge ricorda: Non vo' la morte del pec

catore, ma ch' e' si converta, e ch' e' viva (1). E i Salmi: Soave il Signore a tutti, e le misericordie di lui sopra tutte le opere sue (2). E ne' Treni: Buono è il Signore a chi in lui sperano, all'anima che cerca lui (3). E Isaia: Lasci l'empio la sua via, e l'uomo ingiusto i suoi pensieri, e ritorni al Signore, e avrà misericordia; perchè Iddio nostro è grande al perdono (4). Il Grisostomo citato da Pietro: La bontà di Dio non dispregia mai il penitente. Nel Convivio nomina le braccia di Dio (5), che è voce biblica come l'ombra delle ali (6); ma non come il Foscolo dice: Le ali del perdono di Dio.

Sapeva Dante che anco de' buoni può essere la sepoltura vietata (7), e rammentava forse le parole d' Agostino (8): Corpori humano quicquid impenditur, non est præsidium salutis, sed humanitatis officium. E qui giova recare le belle parole del Supplemento alla Somma, le quali dicono cose e più vere e più alte e più liete, e però più poetiche, de' Sepolcri del Foscolo: La sepoltura fu trovata e pe' vivi e pe' morti; pe' vivi, non gli occhi loro dalla sconcezza de' cadaveri siano offesi, e i corpi dalle esalazioni ammorbati. Ciò quanto al corpo; ma spiritualmente altresi giova a' vivi, in quanto la fede nella risurrezione cosi si rafferma. A' morti poi giova in questo, che gli uomini riguardando i sepolcri, ritengono la memoria dei defunti, e orano Dio per essi: onde monumento prese nome da memoria, come dire ammonimento (9). Fu errore

(4) Ezech., XXXIII, 44.— (2) Psal CXLIV, 9. Vedasi tutto il Salmo CII, pieno dello spirito di misericordia cristiano, e tra' più be' passi della Bibbia, cioè tra più alti di tutta la poesia di tutti i popoli e i secoli. (3) Thren., III, 25. (4) Isai., LV, 7. (5) 11 Montaigne: Il n'est rien si aisé, si doux, et si favorable, que la loi divine... Elle nous tend ses bras, et nous reçoit en son giron, pour vilaines, ords et borbeux que nous soyons, et que nous ayons à l'être à l'avenir. (6) Psal., XVI, 8; XXXV, 8; LVI, 2. (7) Som., Sup., 71. (8) Decur. pro mort. ag.- (9) Aug., de Civ. Dei, et lib. de cur. pro mort. ag.

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de' Pagani che al morto la sepoltura giovi acciocchè l'anima di lui abbia pace. Ma che la sepoltura in sagrato giori al morto non diviene dall'opera in sè, sibbene dall' animo dell'operante, in quanto o il defunto o altri disponendo la sepoltura in luogo sacro, la commette al patrocinio e alla speciale preghiera di qualche santo, e all'amore e alle preghiere di quelli che servono al sacro luogo, che pe' quiri sepolti orano in più special modo e più di frequente. Quelle cose poi che usansi all' ornamento de' sepolcri, giovano ai vivi, in quanto che sono ad essi consolazione: e possono anco a' morti giovare non di per sè, ma in quanto per que' segni gli uomini sono eccitati a commemorare e compiangere, e quindi a pregare; o in quanto da quel che è dato alla sepoltura o i poveri ricevono frutto, o la chiesa ne riceve a' suoi riti decoro, e la sepoltura viene ad essere tra le elemosine annoverata. E però gli antichi Padri curarono della sepoltura de' corpi proprii a fine di dimostrare, che i corpi de' morti cadono anch' essi sotto le leggi della divina, e però dell'umana provvidenza; non già che i corpi morti abbiano sentimento, ma per raffermare la fede nella risurrezione (1). Onde volevan anco essere nella terra di promissione sepolti, ove di fede credevano che Cristo nascerebbe e morrebbe, autore della risurrezione nostra. E perchè la carne è parte dell' umana natura, naturalmente l'uomo alla propria carne ha affezione e per questo istinto il vivente ha una certa sollecitudine di quel che sarà del suo corpo anche dopo la morte, e si dorrebbe se presentisse che quelle spoglie avessero a patire cosa non degna. E però coloro che amano l'uomo, conformandosi all'affetto di lui che amano, intorno al corpo suo adoprano le cure che insegna l'umanità. Perchè, come dice Agostino (2), se la veste o l'anello del padre o altra tale memoria, è tanto più cara a' discendenti quanto maggiore è l'affetto loro verso di quello, non sono da non curare i corpi stessi, i quali tanto più famigliarmente e più congiuntamente che veste o adornamento, portiamo. Onde colui che seppellisce, col soddisfare all'affetto del defunto, ch'e' non si può soddisfare da sè, dicesi che in certa guisa gli faccia carità. E all' uomo stesso non buono la sepoltura in luogo sacro non nuoce se non in quanto egli intese fare a sè sepoltura non degna per gloria vana (3).

I riti sepolcrali sono in tutta l'antichità cosa sacra; e gran parte dell' epopea e del dramma greco, e dell' epopea virgiliana, s'aggira intorno a' sepolcri. Non dirò dell' ode oraziana ad Archita, la quale avrebbesi a tenere come un'esercitazione giovanile, se forse non è accenno a fatti ignorati da noi: il che del resto sarebbe scusa, ma non si potrebbe convertire in bellezza. L'ode però attesta anch'essa la religione de' sepolcri; e come il pio uffizio reso agli estinti credessesi ridondare in merito a' vivi, e il negletto, in grave pena (4), e al trasgressore e a' suoi figli innocenti.

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In Virgilio, Mesenzio stesso, il disprezzatore degli dei e lo sfidator della morte, con parole che vanno all' anima prega il suo vincitore gli conceda sepoltura allato al figliuolo diletto e lo salvi dall'ire superstiti de' suoi nemici: Corpus humo patiare tegi. Scio acerba meorum Circumstare odia: hunc, oro, defende furorem; Et me consortem nati concede sepulcro. Hæc loquitur, juguloque haud inscius accipit ensem.......... (1). Ma i versi a cui in questo Canto di Dante si accenna, sono: Hæc omnis, quam cernis, inops, inhumataque turba est... centum errant annos, volitantque hæc litora circum. Tum demum admissi stagna exoptata revisunt (3). E l'altro ancora: Distulit in seram commissa piacula mortem (3).

Il dare, in pena della presunzione contro la Chiesa, moltiplicato per trenta nel Purgatorio il tempo dell'indugio per salire all' espiazione desiderata, è idea conforme alla pena della presunzione giudaica; che per quaranta giorni d'indocilità stettero quarant'anni gli ebrei nel deserto (4). Severo a que' ch' egli credeva o frantendessero i precetti della Chiesa o li violassero, il Poeta dimostra verso la Chiesa stessa pietà riverente e punisce gl' inobbedienti. Qui parlasi della presunzione verso la Chiesa; ma quanto alla presunzione in genere, quest' è la dottrina della Somma, dottrina al solito sapientemente temperata di severi e di miti pensieri: Siccome per disperazione altri dispregia la divina misericordia a cui la speranza s'appoggia; così per la presunzione dispregia la divina giustizia che punisce i colpevoli: siccome la disperazione è aversione da Dio, così la presunzione è inordinata conversione ad esso. Par ch'ella importi certa smoderatezza nella speranza. Or l'oggetto della speranza è un bene arduo ma possibile. E possibile è all'uomo la cosa in due maniere: l'una per virtù sua propria, l'altra per sola virtù divina. Nell' una e nell' altra speranza, se smoderata, può essere presunzione. Chi troppo spera di sè, ha presunzione contraria alla magnanimità ; troppo spera della virtù divina e pecca di presunzione chi pretende avere perdono senza penitenza, e senza meriti avere gloria. Appoggiarsi alla virtù divina per voler ottenere da Dio quel che a Dio non conviene, gli è un detrarre alla divina virtù (5). Peccare con proposito di persistere nel peccato con la speranza del perdono è presunzione: e questo aggrava il peccato; ma peccare con isperanza di perdono ed insieme con proposito di astenersi dal peccato e pentirsene, questo scema il peccato perchè dimostra volontà meno ferma in esso. La presunzione è peccato minore della disperazione perchè è più proprio a Dio usare misericordia e perdono, che punire, per la sua infinita bontà (6). Il Canto spira freschezza e quiete come di sera estiva serena; e qui, come sovente cade la lode del Tasso: Dante agguaglia quasi Omero nell'accurata diligenza di descrivere le cose minutamente. Cade segnatamente nella compara

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zione delle pecorelle, che nessuno avrebbe forse osato dedurla con accuratezza tanto minuta, e pochi saputo con si schietta e conveniente eleganza. Qui viene il bel verso: Pudica in faccia, e nell'andare onesta (1); e nel principio è quell' altro: La fretta, Che l'onestate ad ogni atto dismaga (2). Che rammenta quegli altri: Genti v'eran con occhi tardi e gravi (3). - E nel muover gli occhi onesta e tarda! (4). Duo vecchi in abito dispari, Ma pari in atto

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d'onestate sodo (1). Tommaso: All'onestà e gravità nuoce la fretta (2). Seneca tradotto da un antico: Sia il tuo andare senza disordinamento. Il Boccaccio, di Dante: Era il suo andare grave e mansueto.

(4) Purg., XXIX. (2) Som., 1, 2. 102, Onestà, e nella Somma e in Dante e in que' del suo tempo e di poi, ha senso più pieno che ne' moderni, i quali per essa appena intendono l'astinenza dalle furfanterie. La Somma (2, 2, 83) Onesto chiama l' intelligibile bellezza che noi propriamente diciamo spirituale. Som., 1, 2, 101: Le cose che fannosi al culto di Dio debbono avere onestà, orrevolezza e decoro. Nel Convivio, onestà vale decoro virtuoso. Sacchetti: Sen za alcuna pompa, che piuttosto tenea costume e apparenze con onestà di grande cittadino, che di signore.

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