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verso levante, come per rincontrare la schiera celeste che di là deve giungere. Altra imagine sensibile e gentile è quella dell'acqua, che, non riflette il sinistro lato. di Dante lunghesso la riva, ma glielo rende. Le primizie dell' eterno piacere è d'altro genere, ma non men bello che in Virgilio: Primitia juvenis misera. L'aria che si fa come fuoco sotto i verdi rami, presenta al vivo il contrapposto de' due colori, e dell'ardore sereno con la fresca verdura; e la melodia dolce che corre per l'aere luminoso, fa ripensare il principio: Cantando come donna innamorata. Al qual verso non pare ponesse mente chi vede in Matelda una donna tedesca nelle cui visioni è

qualcosa di simile alla visione di Dante. Ma di somiglianze tali i libri ascetici e tutto il medio evo è pieno. Morale bellezza è che Matelda chiami Dante fratello; e che alla spada di Paolo, la quale a lui fa paura, succedano quattro in umile aspetto, e ultimo un vecchio assorto in visione, con la faccia non stupida ma sì arguta. La paura di Dante non è della spada che lo ferisca di dolore, ma si di rimprovero del non sapere approfittare per sè di quella potente parola, del non saper degnamente imitare l'apostolo nella caritatevole severità e nello zelo sereno.

IL CARRO E I SENIORI.

Lungo sarebbe pur toccare le cose tutte alle quali pare che possano far cenno le imagini di questi e de' Canti seguenti: ma il principale intendimento n'è il figurare la Chiesa nel suo più ampio concetto, comprendente cioè la congregazione morale e civile degli uomini e delle nazioni, e la storia passata e le condizioni presenti, e le sorti avvenire. Qui toccansi dunque i vincoli dell' anima solitaria con lo spirito sociale, della moralità con la civiltà, della scienza con l'opera, della religione con lo stato, della terra col cielo. Beatrice, la donna bella e innocente amata da Dante con amore che gli era avviamento a me ditazione e a virtù, diventa la scienza della verità rivelata in quanto la scienza si fa maestra a bontà e a dignità. Al canto soave di Matelda, alla luce che corre mista con dolce melodia, il Poeta infra la gioia si sente percosso da desiderio amaro de' beni dall' umanità perduti per la colpa prima. Medio de fonte leporum Surgit amari aliquid, quod in ipsis floribus angat (1). Mentre che vanno egli e Matilde per la lieta riva del fiume, una luce subita come di baleno trascorre per la grande foresta; ma non fuggevole come baleno; ch' anzi durava e veniva crescendo; e una

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(1) Lucret., IV. Buon zelo Mi fe' riprender l'ardimento d'Eva (Terz. 8). Adam non est seductus, mulier autem seducta in prævaricationem fuit (Ad Tim., I, II, 14). Eva in majorem elationem erecta (Som., 2, 2, 163). Ond' ebbe maggior pena che l'uomo (Som., l. c.). Che, la dove ubbidia la terra e 'l cielo (Terz. 9). Inobbedienza, nell' Apostolo, il peccato de' primi padri. Femmina sola, e pur testè formata (Terz. 9). Il peccato de' primi parenti ebbe massima gravità, per la perfezione dello stato loro (Som., 2, 2, 163). - Non sofferse di star sott'alcun velo (Terz. 9). Nello stato d'innocenza non era oscurità di colpa o di pena. Ma era nell'intelletto dell'uomo certa oscurità naturale in quanto ogni creatura è tenebre, comparata all'immensità del lume divino (Som., 2, 2, 5). Sotto 'l qual se divota fosse stata (Terz. 10). Grande fu nel peccare la reità dove tanta era del non peccare l'agevolezza (Aug., de Civ. Dei, XIV). Avrei quelle ineffabili delizie Sentite prima e poi lunga fiata (Terz. 10)- Gen., II, 15: In paradiso voluptatis. Per l'amenità del luogo dimostrasi la benignità di Dio all'uomo, e quanto l'uomo abbia, peccando, perduto (Som., 1, 102). Il luogo benchè non serva all'uomo in uso, serve in documento a conoscere che per il peccato egli ne va privato (Som., 2, 2, 164). Insomma, il severo uomo anco nella gioia del paradiso terrestre trova flato da riprendere quella povera donna, egli che tra poco riceverà dalla donna sua una tanto solenne lavata di capo.

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dolce melodia correva insieme per l'aria luminosa, la quale si fa come fuoco acceso sotto il verde de'rami: e appariscono in lontananza sette come alberi d'oro, i quali, appressatisi appajono candelabri (1). Sotto le fiammelle lunghissime, lasciate quasi traccia nell' aria da

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(4) In più luoghi del poema il verso misura la distanza e ritrae con dotta evidenza le apparenze dei corpi portate da quella nell'impressione de' sensi. Il passo che qui accenna a questo, richiede interpretazione diffusa: Ma quando i' fui si presso di lor fatto, Che l'obbietto comun che'l senso inganna, Non perdea, per distanza, alcun suo atto; La virtù che a ragion discorso ammanna, Si com'egli eran candelabri, apprese, E, nelle voci del cantare Osanna (Terz. 16 e 17). L'obbietto. Ciascun senso giudica del proprio oggetto (Som., 1, 78). L'uomo, la bestia, la pianta, convengono nella ragione del colore che è l'oggetto della vista (Som., 1, 1). L'obbietto comun. - Ne' sensibili altro è proprio a ciaschedun senso, altro comune a tutti. Sul proprio non può farsi sbaglio: comuni sono il moto, il riposo, il numero, la figura, la grandezza (Arist., de An., II; Som., I, 78). Le comuni qualità de' corpi l'occhio sente per via de'colori (Arist., de Sens., I, 2). Non riceverebbero speciali cognizioni delle cose, ma una certa comunità e confusione (Som., 1, 1, 89). De' sensibili comuni per accidente può essere un giudizio falso anche nel senso rettamente disposto, perché il senso non direttamente si riferisce a quegli oggetti, ma per accidente. La falsità non è propria del senso, perchè il senso non s'inganna circa l'oggetto proprio (Som., 1, 1, 17). L'obbietto comun, che 'l senso inganna. La verità non è nel senso in modo che il senso di per sè conosca la verità (Som., 1, 17). Quando dalle cose inferiori vogliamo ascendere alle più alte, prima ci si fa innanzi il senso, poi l'imaginazione, poi la ragione, poi l'intelletto (Arist., de Spir. An.). Conoscere la natura delle qualità sensibili non è del senso, ma del l'intelletto (Som., 1, 78). Non perdea per distanza alcun suo atto. Actus habent species ex objecto (Som., 2, 2, 7). Il viso (la vista) or vede in atto ora no... Secondo l'oggetto è specificato l'atto del vedere (Som., 1, 29). Gli abiti conosconsi per gli atti, e gli atti per gli oggetti (Som., 2, 2, 4). La virtù, che a ragion discorso ammanna. Non ogni cosa intendere in un atto, ma d'una in altra passare, è la scienza discorsiva propria dell'uomo. Per essa si va dalla causa all'effetto, e dall'effetto alla causa. Onde il discorso è successione, e va dal noto all'ignoto (Som., 1, 1, 14). Se gli uomini subito nella cognizione stessa d'un principio noto vedessero, come note, tutte le conclusioni che ne conseguono, non avrebbe luogo in essi discorso (Som., 1, 58). In Dio è giudizio certo della verità senza verun discorso, per semplice intuito; e però la scienza divina non é discorsiva o di raziocinio, ma assoluta e semplice (Som., 2, 2, 9). Il discorso dell' intelletto è in ciò che una cosa conoscesi per via dell'altra (Som., 1, 58; 2, 2, 8). La cognizione sperimentale è discorsiva, perchè di molte rimembranze si fa un'esperienza (Som., 1, 58; Arist. Met., Post. fin.). Quindi dal discorso l'invenzione (Som., 1, 79). La voce rimase nella lingua assai tempo; ed è danno che sia ita in disuso. Il naturale discorso (Bartoli). Dotato di per

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que' candelabri, procedono ventiquattro seniori, poi quattro animali. All'avvenimento di Beatrice precede un carro mistico, a cui vanno innanzi gli scrittori i quali al mondo annunziarono la verità che lo ha sublimato e lo sublimerà sempre più. Qui s'accenna, tra le altre, alle visioni di Ezechiele e Giovanni; nè è da dimenticare che quella d' Ezechiele incomincia: Cum essem in medio captivorum juxta fluvium Chobar, aperti sunt cæli, et vidi visiones Dei (1). A questa memoria della cattività è quasi certo che ripensasse il Poeta; il quale all'ultimo Canto dà principio dal Salmo LXXVIII: Deus, venerunt gentes in hereditatem tuam; che è memoria anch' esso di sventura insieme civile e religiosa. Che il carro rappresenti la Chiesa, ce'l dice anco quello del Paradiso, ove Francesco e Domenico son le due ruote della biga, In che la santa Chiesa si difese, E vinse in campo la sua civil briga (2); dove rincontri al solito un' imagine di guerra, che è indivisa dalla natura de' tempi. Le due ruote del cocchio (dice Gregorio) sono le due Leggi (3). Ne' quattro animali di Daniele (4) furono veduti i quattro imperi, il caldaico, il persiano, il greco e il romano. Le ali de' quattro animali son sei, fors' anco per ciò che quel numero, come doppio del tre, è più perfetto (5). Il Grifone mistico ha le membra d'oro là dove è uccello; e dove leone, candide e vermiglie, anche per ciò che Cristo era pieno di sapienza e di carità, che è significato per l'oro (6); e che il rermiglio è colore di vita (7). I ventiquattro seniori rammentano, nell' Eliso di Virgilio, pii vates, et Phœbo digna loquuti (8); e gli altri ch' hanno le tempi cinte di candida benda, come i seniori corona di gigli. Ultimo viene Bernardo, secondo la preziosa interpretazione di Pietro cui solo ci giova seguire. E anche in una visione de' Fioretti, dietro a Francesco e ad Antonio, dopo altri frati, viene uno trapassato di corto.

Le sette che qui vediamo essere donne, figuranti le tre virtù teologiche e le quattro cardinali, sono Ninfe sul monte, e stelle insieme nel cielo; e la danza loro rammental le Ninfe amiche ad Euridice, cum quibus illa choros lucis agitabat in altis (9): ed Euridice amata da Orfeo, poeta visitante per essa il paese oltremondano, pare sorella in poesia a Beatrice. Il verso: Noi sem qui

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fetto discorso (Pallavicino). - La nature le soutenant au défaut du discours (Pascal, Pensées, II). A ragion discorso ammanna. I razionali procedono per discorso (Dion., Div. nom., VII). L'uomo non conosce semplicemente la verità, che è propria dell' intelletto; ma per via discorsiva, che è proprio della ragione (Dion., 1. c.). Intendere è semplicemente apprendere la verità; ragionare è procedere d'una cosa intesa in altra per conoscere la verità (Som., 1, 79). Conoscere negli effetti le cagioni (Som., 1, 58). Sillogizzare dalle cause agli effetti e dagli effetti alle cause (Som., 1. c.). Ragionare è ad intendere, come muoversi a posare, e cercare a possedere (Som., 1, 79). Intelletto dell'Angelo; ragione dell' uomo (Som., 1, 58). La stessa potenza intende e ragiona (Som., 1, 79).

(1) Ezech., 1, 1. (2) Par., XII. (3) Greg., Hom. in Exod., VI. (4) Dan., VII. Ibid., v. 13: Vidi venire tra le nubi il Figliuol

dell' uomo.

1. c.

(5) Som., 1, 4, 44. (6) Som., 1, 2, 102.

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ninfe, e nel ciel semo stelle (1), richiama le trasformazioni tante di persone mortali in costellazioni, il qual mito denota quel che da altri fu detto, che la storia della terra i primi uomini scrivevano ne' cieli, o piuttosto quel che la tradizione pagana adombrò, e che la scienza antica intravvide, e che la tradizione e scienza cristiana illustrarono, cioè che gli spiriti defunti della prova terrena influiscono tuttavia sulle terrene cose, non solo con la luce e il calore delle memorie e degli esempi, ma con altre più intime e meno avvertite e più possenti influenze. In Virgilio rincontriamo la trasformazione di navi in Ninfe: Quas alma Cybebe Numen habere maris, Nymphasque e navibus esse Jusserat (2); quasi a significare che, siccome in ogni vita (e ciascun corpo, per morto che paia e informe, o ha una vita o è ricetto di vite), siccome in ogni vita s'asconde un principio distinto dal corpo e maggiore di quel lo, onde le Driadi e le Naiadi favoleggiate; così dal risolversi e trasformarsi di ciaschedun corpo hanno origine vite novelle, in più ampio giro con forza più sottile operanti.

Le quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, temperanza, fortezza, erano cosi anco da' Pagani ordinate (3): ma quell' ordine è sapientemente unificato e distinto da Agostino laddove dice che tutte e quattro rampollano dall'amore (4). Sopra quattro virtù si edifica la struttura del bene operare (5). Per principi naturali l'uomo è ordinato, secondo i quali l'uomo procede a bene operare giusta la proporzione umana; che l' ordinano alla beatitudine naturale, non però senza aiuto divino (6). La prudenza in Dante è guida alle altre; e dicevasi auriga virtutum (7); onde Tommaso: Chi opera contro qualsiasi virtù, operu contro la prudenza, senza cui non può essere virtù veruna (8). Temperanza è quella che serba modo e ordine nelle cose e da fare e da dire (9). Giustizia, al dir di Tommaso, riguarda le azioni debite tra uguali (10); e questo c'insegna che, dovendo noi qualcosa agli uomini tutti, di tutti siamo uguali, e tutti a noi; e che misura ed effetto della giustizia è non la materiale ma la razionale e proporzionale uguaglianza. - Ogni virtù che fa il bene in riguardo alla retta ragione dicesi prudenza; e ogni virtù che fa il bene del retto e del dovere nelle operazioni, giustizia; e ogni virtù che rattiene e doma le passioni, temperanza; e ogni virtù che fa l'animo fermo contro qualsiasi passione, fortezza. E così molt' altre virtù in esse vengono contenute (11). Oggetto della prudenza è la ragione segnatamente (e anche per questo la prudenza è più nobile); della giustizia l'operazione; della temperanza e della fortezza la passione del desiderio, del timore, da fre

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nare o da vincere. Della prudenza è soggetto altresì la ragione; della giustizia la volontà; della temperanza il concupiscibile; della fortezza l'irascibile. Chi può frenare il desiderio del piacere, da questa difficile vittoria è reso abile a raffrenare e il timore e l'audacia ne' pericoli di morte; che è cosa più facile. E così l'uomo forte a' pericoli è più atto a ottenere la fermezza dell' animo contro l'impeto de' piaceri (1). Non è vera prudenza quella che non è giusta e forte e temperante; nè è temperanza perfetta quella che non è forte e giusta e prudente; nè fortezza intera quella che non è prudente, temperante e giusta; nè vera giustizia quella che non è forte, prudente, temperante (2): nelle quali parole è più che un trattato.

Le tre teologiche sono a destra; ed ecco perchè. Tre sono le virtù teologiche, delle quali è da trattare prima; quattro le cardinali, delle quali poi (3). Le virtù per le quali l'uomo si dona a Dio, cioè le teologiche, sono più alte delle virtù morali per le quali abbandona alcuna cosa terrestre a fine di darsi a Dio (4). Le virtù teologiche, che hanno per oggetto l'ultimo fine, sono le principali (5). Hanno Dio per oggetto, solo Dio ce le infonde, la rivelazione le insegna (6).

La fede è come neve, la speranza come smeraldo, la carità come fuoco; ora la fede ora la carità è alle altre guida; la speranza è guidata sempre: ma il canto della carità è sempre quello che dà la misura all'andare. Ed ecco perchè. L'atto della fede precede gli atti di ogni altra virtù (7). La La fede è la prima delle virtù (8). fede genera la speranza (9). La fede opera per via del l'amore (10). Carità è maggiore di fede e speranza (11). Tutte le virtù in qualche modo dipendono da carità (12).

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Innanzi che la visione proceda, il Poeta invoca le vergini sacrosante, come già nel mezzo del Canto le invoca Virgilio: Pandite nunc Helicona, Dea (1); ed anche altrove, dove le chiama, e a loro dà la potenza della memoria, debole negli uomini miseri: Et meministis enim, Diræ, et memorare potestis (2). Meglio in Dante rammentate le fonti ispiratrici e il coro delle ispiratrici deità, che in Orazio, laddove dopo detto vestris amicum fontibus et choris, esce con la rimembranza della sua fuga a Filippi (3). A Lucrezio la speranza della lode è ispirazione, et inducit noctes vigilare serenas: Dante soffre vigilie e freddi e fami (4) non solamente per istinto di gloria, ma e per amore della verità e della rettitudine e della patria, i quali amori e' raccoglie nel nome d'una donna beata. E se le vigilie e i freddi non istanno li per la rima, non ci stanno, viva Dio, neanco le fami. Per la dolcezza della gloria, dice Dante nella Volgare Eloquenza che dimenticava ogni disagio e l'esilio. Non curando nè caldo nè freddo, nè vigilie nè digiuni, nè niuno altro disagio, con assiduo studio venne a conoscere della divina essenzia quello che per umano ingegno se ne può comprendere.... Nel cibo e nel poto fu modestissimo... Niuno altro fu più vigilante di lui e negli studii e in qualunque altra sollecitudine il pungesse (5).

Veduta procedere la lunga schiera, si sente un tuono; e tutti si fermano. All'entrar nell' Inferno trema la terra, e balena una luce vermiglia: nel Paradiso, alla memorial di quel che la Chiesa italiana ne' suoi ministri doveva essere e che non era, i Beati fanno un grido si alto che rende il Poeta attonito più che se tuono fosse (6).

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13.

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(1) Æn., VII. (2) En., IX. - (3) Hor. Carm., III, 4. — (4) Terz. (5) Bocc., Vita di Dante. (6) Anco le locuzioni si rispondono, Inf., III, t. 44: La buia campagna tremò... Una luce... La qual mi vinse ciascun sentimento. Par., XXI, t. 47: E fêro un grido.... Nè io lo intesi: si mi vinse il tuono.

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(1) Som., 2, 4, 62. Cic., de Off., I. (3) Som., 2, 2, Pr. (4) Som., 2, 2, 104. (6) Som., 2, 1, 62. (7) Som., 2, 2, 10. (10) Som., 2, 2, 108.

(9) Som., 1, 2, 7.

(12) Som., 2, 1, 62.

CANTO Xxx.

Argomento.

Tutti si fermano; Salomone invita Beatrice, la sapienza, a venire. Ella viene tra gli Angeli in lieto trionfo. Virgilio dispare: l'umana scienza dà luogo a quella del cielo. Rimproveri di Beatrice agli errori di Dante. I canti angelici lo consolano: e' piange. Qui, piucchè mai, si conosce la parte simbolica e la storica della visione, la morale e la politica, la divina e l'umana. Vedremo dalle note come i germi della visione già fossero nella Vita Nuova, e nelle pocsie giovanili.

Questa è forse la parte del poema ideata per prima da Dante: la tela, poi gli si venne ampliando più e più degnamente.

Nota le terzine 1, 3, 5; 8 alla 13; 15 alla 19; 25 alla 32; 36, 40, 41, 43, 45, 47.

1. Quando

uando settentrion del primo cielo, Che nè occaso mai seppe nè ôrto,

Nè d'altra nebbia, che di colpa, velo;

2. E che faceva lì ciascuno accorto

Di suo dover, come il più basso face
Qual timon gira per venire a porto,

1. (L) SETTENTRION: i candelabri. CIELO: Empireo, parte della sfera, ove quelle stelle appariscono. Riassuonde scesero. SEPPE: conobbe.

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(F) SETTENTRION. [Ant.] È presa dall' Apocalisse (I) l'idea de' sette candelabri d'oro, e n'è fatta una sintesi magnifica con l'altra delle sette lampade ardenti, che sono i sette spiriti di Dio (IV): perciocchè i sette candelabri qui splendono in alto più che luna nel suo più bello splendore; e sono come animati, movendosi di moto proprio, senza che alcuno li porti. E per il numero e per la luce e per il luogo di loro dimora, che è dinnanzi al trono del Signore, e forse anche per l'alto ufficio d'illuminare e indirizzare al bene la mente degli Eletti, come simbolo eziandio dei doni dello Spirito Santo, sono qui appellati il settentrione del primo cielo; cioè non del primo mobile, ma del cielo empireo, per analogia delle sette stelle dell' Orsa maggiore, chiamate i sette trioni, d' onde il nome di settentrione alla

mendo l'idea, ch'è la fine del Canto precedente, dice: Quando ebbero fatto sosta le prime insegne, cioè i sette candelabri, o, meglio ancora, quando si fermò quel settentrione, che non andò mai soggetto alle vicende del sorgere e del tramontare su verun orizzonte, nè fu celato agli sguardi dell'umano intelletto da altro velo che da quel della colpa, e che li faceva accorto ciascuno di suo dovere, come il settentrione del nostro cielo fa accorto chiunque gira timone per venire a 'porto (che è scopo d'ogni navigazione); i ventiquattro seniori, venuti prima tra il Grifone ed esso settentrione, si rivolsero al carro come a sua pace.

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