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L'uscire fuor della nebbia alla luce viva, è forse la più poetica parte del canto: e meno poesia sento io nella esclamazione: Oh imaginativa che ne rube (la quale sotto forma lirica mi suona un comento bell'e buono), che nelle semplici parole: Ricorditi, lettor, se mai nell'alpe. Qui le visioni più languide. L'apparizione dell'angelo, notabile in tanto, che la luce di lui sperde la visione. Ma questo stesso non cercare e non pretendere di poter tutti con pari vivezza dipingere gli spiriti ch'egl'incontra salendo, è istinto o arte o virtù di poeta, o tutt'e tre insieme le cose.

Quasi inutile, e forse non propria, la similitudine della nave; troppo lavorata quella del sonno, che pure ne'suoi guizzi dipinge il risentirsi; più bella l'altra della bolla, e più bella ancora apparrebbe se la locuzione cosi felice, come il suo maestro Virgilio gli insegnava, e come egli sa, meglio assai che discepolo, tante volte. Ma i versi negletti più in questo Canto frequenti che in altri: La possa delle gambe posta in tregue - Ch'el sia, di

sua grandezza, in basso messo. Bello per altro a me: Si fa con noi come l'uom si fa sègo; perchè applica in modo nuovo l'evangelico: fa ad altri quel che vuoi fatto a te stesso; perchè ritrae la prontezza con cui le anime. generosamente buone comunicano altrui prima quasi sè stesse che i beni proprii. E questo verso glielo avrà dettato per la via de' contrarii l'esperienza delle dure ripulse, e delle fredde accoglienze, più dure ancora, provate da lui povero esule; ma gliel' avrà direttamente dettato la lieta riconoscente memoria di qualche atto gentile, di qualche parola umana, di qualche sguardo pio, venuto di quando in quando a temperare gli umiliati suoi frementi dolori. Altro verso che non parrà forse necessario là dove è posto, ma che ritrae la natura della mente umana, segnatamente dell'ingegno di Dante, è: Che mai non posa se non si raffronta. Verso finamente psicologico insieme e morale è: Ciascun confusamente un bene apprende; verso la cui verità solo il principio Rosminiano dichiara.

L'AMORE E L'ORDINE.

Quello che nell' Inferno è il Canto undecimo, nel Purgatorio è il diciassettesimo, porge cioè la dottrina della Cantica intera, e la morale struttura dell' edifizio poetico. Nell'entrare al giro che purga l' accidia, Virgilio la definisce: amore men vivo di quel che è debito al bene vero. Di qui si fa luogo a ragionar dell' amore. Dio, le sue creature e ragionevoli e no, hanno amore; chè ne' corpi è impulso di moto, ne' bruti istinto, negli uomini e negli spiriti superiori movimento di libera volontà. Dire amore anche l'attrazione de' corpi, non è semplice traslato aristotelico, ma si reca a quella dottrina e filosofica e teologica, a quella tradizione di tutti i popoli, a quel senso di tutti gli uomini che manifestasi fin nell'età infante, e che considera i corpi come velo o linguaggio od organo d'enti liberi nascosti oltre a quelli. L' amor naturale, inteso da Dante, comprende tutte le nature degli enti; anco al bruto e alla pietra. In quanto gli enti inferiori tendono ai superiori, e in quanto l' ente sommo, amando sè, a sè fa tendere tutti gli altri; non può l'amore non essere buono, appunto perchè da natura. Ma negli uomini diviene colpa se si volge ad oggetto men che buono, o cerca il bene con soverchio impeto o con poco vigore. L'amore diretto ai beni supremi, cioè a Dio e alle creature di Dio nell'ordine loro, e verso queste misurato con le proporzioni debite, non è mai colpa; è colpa quando si torce al male, o cerca il bene con più o meno cura di quello che deve. Amore è dunque sementa d'ogni virtù e d'ogni vizio. E perchè l'ente non può non volere l'essere proprio, però gli è impossibile odiare sè stesso. E perchè ogni ente dipende necessariamente da Dio causa prima, è impossibile odiare Dio in quanto causa dell'essere. Non si può dunque voler male ad altri che al prossimo; e questo o per superbia abbassando altrui a fine d' innalzare sè; o per invidia, attristandosi dell'altrui potere e onore, per tema di perdere quant'altri ne acquista, o per ira di male patito o temuto. Questi tre abusi dell' amore purgansi ne' giri di sotto, perchè più gravi. Ora resta dell'amore inordinato o per ticpidezza, e dicesi accidia; o per troppo ardore, e può spingersi a volere oro, cibo, piaceri. Avarizia, come più rea, sta solto a gola; gola sotto a lussuria, che è men lontano alla cima.

Raffrontiamo questa dottrina alle autorità dei Padri, e in ispecie della Somma.

Un certo moto d'amore compete ad ogni creatura anco irrazionale e inanimata (1).. Il primo moto del volere e d'ogni virtù appetitiva è l'amore (2). Amore richiede e suppone connaturalità dell' amante all'oggetto amato (3). Amore precede tutte le affezioni dell' anima, ed è causa di quelle (4). Tutte le passioni s' originano dall' amore: l'amore che tende al bene è desiderio; quel che lo possiede e ne fruisce è gioia (5). Principium merendi est charitas (6). L'odio non è se non di cosa contraria alla cosa amata (7).

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L'amore riguarda il bene in comune, sia o no posseduto; onde l'amore è naturalmente il primo atto della volontà e dell' appetito; e però tutti gli altri moti presuppongono l'amore come prima radice (8). L'anima naturalmente appetisce il bene, e niente può appetire se non sotto l'aspetto del bene (9). Le passioni che riguardano il bene sono precedenti a quelle che il male (10). Nessuno ope rando tende al male. A tutti è amabile la bontà e bellezza prima (11). I primi vizii s'insinuano nella mente ingannata sotto sembianza di ragione, ma i seguenti traendo la mente a insania la confondono quasi con grida (12) bestiali (13).

La volontà mira al bene in universale, onde null' altro può essere causa della volontà, che Dio stesso, il quale è bene universale (14). L'ente e il vero in universale, non si possono odiare; ma si un qualche ente è vero in particolare in quanto par ch' abbia dissonanza coll' essere nostro (15). Non si può odiare Dio (16) nell' essenza sua nè in certi suoi effetti, come l'essere proprio e il bene in ge

(2) Som., 1,

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(1) Som., 2, 1, 109: Amore o naturale o d'animo. 1, 20. (3) Som., 2, 1, 27. Esser (4) Aug., de Civ. Dei, XIV. conviene Amor sementa in voi d'ogni virtute (terz. 35). (5) Aug., 1. c. (6) Som., 2, 2, 2. (7) Som., 1, 1, 20. (8) Som., 1. c.(9) Som., 2, 1, 29; 1, 1, 5. Aug., de Trin., VIII. — (40) Som., 2, 1, 25. IV. (11) Dyon., Div. nom., (12) Greg. Mor., XXXI. (13) Inf., XI: Matta bestialitade.- (14) Som., 1, 2, 9. (15) Som., 2, 1, 29. (16) Da quello odiare ogni affetto è deciso (terz. 37).

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nere, ma in quelli effetti che ripugnano alla volontà inordinata (1). La volontà può amare cose opposte ne' fini secondarii, ma nell' ultimo fine è ordinata di naturale necessità, ducchè l'uomo non può non volere esser beato (2). L'ordine degli amori è segnato in queste poche parole d'Agostino: Dio sopra noi; noi, cioè l'anima nostra, gli uomini intorno a noi; il corpo nostro sotto di noi (3). Cosi sapientemente è distinto l' amor proprio pericoloso e reo, dall'amore di sè innocente e naturale e invincibile; i quali due amori Agostino stesso, nel linguaggio ma non nel concetto, confonde nel noto passo: Amor Dei facit civitatem Dei, amor sui facit civitatem Babylonis. L'uomo deve amare, e non può non amare, la dignità dell' anima propria più che dell' anima altrui; ma il corpo proprio, cioè la vita, e tutti i beni di quello deve posporre al bene delle anime de' fratelli. Questo insegna nelle lettere, e dichiarò con la vita, anco Caterina da Siena.

Devesi amare nel prossimo quel che è da Dio, i doni di natura e di Grazia, non il male ch'egli opera o lascia operare (4). E Tommaso soggiunge che nel nemico stesso, nell'atto dell'amare il fratello e quant'è in lui da Dio, devesi odiare l'odio ch'egli ci porta, non però in quanto ne viene a noi nocumento o noia, o pericolo di nocumento o di noia, ma in quanto il nemico coll'odio turba in sè e in altrui l'ordine che Dio ha stabilito. Cotesta distinzione sottile ma profonda, dell'odio dall'odiatore, solo il Cristianesimo la fa, solo esso ci aiuta, che è il più difficile, ad osservarla co' fatti.

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L'amore di sè non procede da impulso animale, ma si da naturale intenzione; imperocchè la Provvidenza diede alle cose da lei create questa principal causa di conservarsi, che di conservarsi desiderano al possibile (5). Ogni animale siccome ello è nato, si razionale come bruto, sè medesimo ama, e teme e fugge quelle cose che a lui sono contrarie, e quelle odia (6). Siamo tenuti d'amare più l' anima nostra che l'altrui; più dobbiamo amare l'anima d'altrui che il nostro corpo, più il corpo d'altrui che le cose nostre (7). Amicabilia quæ sunt ad alterum veniunt ex amicabilibus quæ sunt ad seipsum (8). Di natura conviene a ciascuno amare sè stesso (9). L'amore non tende in altri di necessità, ma può rimanere nell'amante e riflettersi sopra sè stesso come la cognizione si riflette nel conoscente perchè conosca sè stesso (10). — L'angelo ama sè stesso di affezione naturale e elettiva (11). Amare veramente sè stessi secondo la natura ragionevole è volere a sè que' beni che appartengono al perfezionamento della ragione (12). L'uomo non può non volere il suo ultimo fine che è la fe

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1, 60.

2, 1, 8.- (3) Aug., Doct. Chr., I, 23.- (4) Som., 2, 2, 34.- (5) Boezio. (6) Conv. (7) Cavalca, Specchio di Croce, VII. (8) Arist. Eth., IX. (9) Som., 2, 2, 25; - 1, 1, 20.— (10) Somma.— (11) Som., (12) Som., 2, 2, 25.

licità (1). Impossibile è che uomo odii sè stesso (2); per modo accidentale può odiarsi volendo il male proprio, ma il male stesso e' lo vuol come bene, e anco il suicida cerca la morte imaginandola fine a' dolori (3). - I cattivi, in quanto stimano sè buoni, amano sinceramente sè stessi; ma cotesto non è vero amore di sè, solamente apparente; e questo pure è impossibile a coloro che sono profondamente tristi (4).

Il bene consiste in modo, specie e ordine (5). Il modo, la specie, l'ordine, diconsi mali o perchè hanno minor bene di quel che dovrebbero, o perchè il bene loro non è accomodato all'oggetto (6). Il bene consiste nell'ordine (7). Al fine intelligibile è ordinato l'uomo, parte per via dell' intelletto, parte per via della volontà (8); per l' intelletto, in quantochè nell' intelletto preesiste qualche cognizione del fine; per la volontà, primieramente per l'amore che è il primo moto della volontà verso l'oggetto, poi per la reale attitudine dell'amante all'amato (9). S'altri si discosta dalla regola di ragione in più o in meno, tale appetito sarà vizioso (10). Peccato è rivolgimento da bene maggiore a minore (11). Colpa è o trasgressione della legge, o omissione, o eccesso oltre a quella. Il peccato non è mera privazione, ma atto, privato dell'ordine debito (12). Tolto l'ordine della volontà umana a Dio, consegue che tutta la natura dell' uomo che pecca rimanga disordinata (13). La ragione deve ordinarsi all'atto non solo quanto all'oggetto, ma anche in tutte le circostanze di quello. E però può l'uomo dilungarsi dalla regola della ragione anco nella corruzione (14) di qualsisia circostanza; come se taluno opera come non dee e quando non dee (15). I vizii e le colpe diversificansi di specie secondo la materia e l'oggetto, non secondo altra differenza, come del cuore, del labbro dell'opera; o secondo debolezza, ignoranza e malizia (16). I peccati non differiscono secondo le cagioni che li muovono, ma secondo l'atto finale che è il loro oggetto (17). Tutti i peccati sono in certo modo comparabili tra sè quanto alla gravità loro in ciò che allontanano più o meno dall' ultimo fine (18). Il peccato è tanto più grave quanto il disordine tocca un principio che è più importante in ordine di ragione (19). Le colpe non sono connesse come sono tra sè le virtù (20). E in quest' ultima sentenza, non meno profonda che consolante, il pensiero si posa.

(1) Som., 1, 1, 18.- (2) Dall' odio proprio son le cose tute (t. 36). Se è da lodare la precisione, non sempre però è da ugualmente lodare la scelta de' vocaboli e l'evidenza. Questo dicasi segnatamente della terzina citata e di quella che segue. (3) Som., 2, 1, 29. (4) Som., 2, 2, 25. (5) Aug., Nat. bon. III. (6) Som., 1, 1, 5. (7) Aug., Nat. bon., LXIII, e Som., 2, 2, 9: Ordinata affezione verso le creature. (8) Se lento amore in lui veder vi tira, O a lui acquistar (terz. 44).— (9) Som., 2, 1, 4, e 2, 2, 7: L'intelletto umano disordinatamente s'attacca alle cose inferiori a sẻ. (10) Som., 2,

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2, 162, e altrove: Il disordine del desiderio è la concupiscenza. (11) Aug., Ep. II e Simpl. (12) Som., 2, 2, 72. (13) Som., 2, 1, 109. (14) Ordine corrotto (terz. 42). (15) Som., 2, 1, 73. (16) Som., 2, 2, Prol. (17) Som., 2, 2, 72. (20) Som., 1. c.

- (19) Som., 1. c.

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CANTO XVIII.

Argomento.

Spiega come ogni atto dell' anima è amore; come la colpa è amore abusato; come, sebbene il motivo d' amare venga di fuori, pur l'anima abbia merito e demerito per il libero arbitrio. Vedono passare correndo gli accidiosi, che cantano, prima esempi di zelo sollecito, poi d'accidia rea. Maria e Cesare, gli Ebrei nel deserto e i Troiani in Sicilia. Un fatto profano, uno sacro. Česare accanto a Maria, perchè padre, al dire di Dante della civile unità.

Nota le terzine 1, 2, 4, 7, 9, 10, 13, 16, 18, 27, 29, 31, 34, 35, 39, 41, 43, 45, 48.

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1.

Posto avea fine al suo ragionamento

L'alto dottore; e attento guardava Nella mia vista, s'io parea contento. 2. Ed io, cui nuova sete ancor frugava,

Di fuor taceva, e dentro dicea: «< Forse » Lo troppo dimandar ch' io fo, gli grava. » 3. Ma quel padre verace, che s'accorse Del timido voler che non s' apriva, Parlando, di parlare ardir mi porse. 4. Ond' io: Maestro, il mio veder s'avviva Sì nel tuo lume, ch' i' discerno chiaro Quanto la tua ragion porti o descriva.

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(F) CIECHI. Purg., XVI. Matth., XV, 14: Cæci sunt, et duces cæcorum. Conv. I, 11: Qualunque ora lo guidatore è cieco, conviene che esso, e quello anche cieco che a lui s'appoggia, vengano a mal fine. Però è scritto che il cieco al cieco farà guida, e così cadranno amendue nella fossa... Appresso di questa (guida) li ciechi soprannotati, che sono quasi infiniti, colla mano in sulla spalla a questi mentitori, sono caduti nella fossa della falsa opinione, della quale uscire non sanno. Som.: Cecità dell' ignoranza.

7. (L) PRESTO: pronto.- MOBILE: facile a muoversi verso ogni cosa che piace. -ATTO. Il piacere in atto attua la potenza d'amore.

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(F) PIEGA. Som.: Inclinatio consequens apprehensionem. Æn., IV: Inflexit sensus. AMOR. Conv., III, 2: Perocchè il suo essere (dell'anima) dipende da Dio... naturalmente disía e vuole a Dio essere unita... E perocchè nelle bontadi della natura e della ragione si mostra la divina vena, naturalmente l'anima umana con quelle per via spirituale si unisce tanto più tosto e più forte, quanto quelle più appaiono perfette: lo quale apparimento è fatto secondo che la conoscenza dell'anima è chiara o impedita. E questo unire è quello che noi dicemo Amore. NATURA. Som.: Quegli liberamente opera che opera di per sè. Or quel che l'uomo opera per abito conveniente alla natura propria, l'opera di per sè, perchè l'abito inclina al modo della natura.- PIACER. Som.: Dilettazione è talvolta causa d'amore. LEGA. Som.: Il piacere lega la ragione.

10. (L) FORMA: natura essenziale. LA: sotto la luna alla spera del foco.

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(F) ALTURA. Vulg. Eloq.: Amoris ascensio. FORMA. Forma chiamavano gli antichi quella che dà l'essere a ciascuna cosa: onde la forma del fuoco è ciò che lo fa essere fuoco. Som.: Ignis sua forma inclinatur in superiorem locum. SALIRE. Non sapevano gli antichi la gravità dell' aria maggiore che quella della fiamma, e però tenevano il fuoco nato sempre a salire (Par., I). LA. Conv., III, 3: Il fuoco (ascende) alla circonferenza di sopra, lungo 'l cielo della luna; e però sempre sale a quello. [Ant.] Esponesi dal Poeta la teoria degli antichi e de' suoi tempi sul fuoco; del quale credavano che fosse naturale forma o legge quella di

(SL) PRESO. Lat.: Captus amore.

12. (L) AVVERA: afferma per vero, assevera essere. (SL) LAUDABIL. Voce altresì delle scuole. Som.: Laudabilior affectus.

13. (L) MATÉRA: materia. L'oggetto reale in quant'è parte di bene: ma l'uomo ne abusa.

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(SL) MATÉRA. Semint. CERA. In Stat. Achill., I. Achille atteggiato dalla educazione materna come cera. Hor.: Cereus in vitium flecti.

(F) BUONA. Il bene è materia dell' amore: sempre dunque la materia è buona, perchè anco nel male che s'ami è sempre alcun bene reale, cagion dell'amore: ma il troppo amore che a minor bene si porta, o il poco che al maggior, sono quasi un brutto suggello impresso in buona cera. Gli Aristotelici chiamano materia il genere delle cose, determinabile da varie differenze, come la materia prima è determinabile da più forme. La cera appunto è la materia determinabile; il segno o la figura ch'ella prende è la forma determinante. E siccome la cera o buona o non cattiva, può essere impressa di mal segno, così il naturale amore non tristo in se può piegare a mal segno. Som.: L'amore è reo in quanto tende a cosa che non è bene vero assolutamente. SEGNO. Conv., I, 8: L'utilità sigilla la memoria dell'imagine del dono.

14. (SL) SEGUACE. Simile modo in Virg.

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