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39. E se re dopo lui fosse rimaso

Lo giovanetto che retro a lui siede, Bene andava il valor di vaso in vaso. 40. Che non si puote dir dell' altre rede: Jacopo e Federigo hanno i reami; Del retaggio miglior nessun possiede. 41. Rade volte risurge per li rami

L'umana probitate: e questo vuole
Quei che la dà, perchè da lui si chiami.

42. Anco al nasuto vanno mie parole,

Non men ch' all' altro Pier che con lui canta; Onde Puglia e Provenza già si duole. 43. Tanto è, del seme suo, minor la pianta, Quanto, più che Beatrice e Margherita, Gostanza di marito ancor si vanta.

44. Vedete il re dalla semplice vita Seder là solo, Arrigo d' Inghilterra: Questi ha ne' rami suoi migliore uscita.

39. (SL) RETRO. Alfonso d'Aragona suo primogenito, simile al padre in bontà. Regnò in Aragona, ma poco; gli successe Giacopo secondogenito, e Federigo l'altro fratello ebbe la Sicilia. Onde dice rimaso, cioè più lungamente vissuto (Vill., VII, 101). L'Ottimo dice d'Alfonso: Mori giovinetto, pieno di buona testificanza, onoratore di valenti uomini, liberale e virtuoso amatore di giustizia, e magnanimo in volere acquistare. Guerreggiò contro Carlo d'Angiò per difesa della Sicilia.

(F) VASO. Jer., XLVIII, 11: Fertilis fuit Moab ab adolescentia sua, et requievit in fœcibus suis: nec transfusus est de vase in vas. La Chiesa adopera sovente l'imagine del vaso a denotare il trasmettersi delle disposizioni da' padri ne' figli. 40. (L) CHE: il che. del valore.

REDE: eredi.

MIGLIOR:

(SL) REDE. Tobia: Ti farò mia reda. - JACOPO. Vill., VIII, 81; X, 44; XI, 73. L'Ottimo: Donno Jacopo, il quale dopo la morte del padre nel 1285, fatto donno Alfonso re d'Aragona, fu fatto re di Sicilia, il quale fece grande guerra contro a'successori del re Carlo; finalmente si pacificò con la Chiesa e co' detti successori, e'l suo fratello ritenne la Sicilia contr'alla Chiesa ed a quelli della Casa di Puglia, non ostante la detta pace e parentado contratto per lo fratello contro la detta casa; la qual guerra a interpolati tempi ha dato molto dispendio alla casa di Puglia, e li Siciliani hanno sostenute doglie e danni. Nel 1299 Alfonso, per istigazione di Bonifazio, s'armava contro il fratello suo Federigo re di Sicilia; nel 1300 lo vinceva, ma indarno, in navale battaglia.

(F) RETAGGIO. Cic., de Off.: Ottimo retaggio da' padri tramandasi a' figli, e più prestante d'ogni patrimonio, la gloria della virtù e de' nobili fatti: al quale retaggio portar disonore è da giudicare empietà. 41. (L) RAMI: ne' figli. chieda.

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QUEI: Dio.

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CHIAMI:

(SL) RISURGE. Delle piante, Virgilio: Fortia surgunt (Georg., II). RAMI. Traslato che rammenta l'imagine dell'albero genealogico. CHIAMI. Chiamare per chiedere dicono in Piemonte. E chiamatore in un antico è chi chiede un pubblico uffizio, lat. petitor. Ma qui chiamare suona attrarre a sè con la preghiera e col desiderio. Virg. Georg., IV: Hinc pecudes, armenta,

viros, genus omne, ferarum, Quemque sibi tenues nascen

tem arcessere vitas.

(F) RADE: Som.: Dalla debolezza della virtù attiva del seme segue che il figlio nasce dissimile al padre negli accidenti che appartengono al modo d'essere. Conv.: Cosi fosse piaciuto a Dio che quello che domandò il Provenzale, fosse stato; che chi non è reda della bontà, perdesse il retaggio dell' avere! Bocc.: Risorgendo ne' figliuoli lo spirito de' passati. Machiav.: Rade volte accade che la virtù sia rinfrescata con successione. RAMI. [C.] Eccli., XL, 15: Nepotes impiorum non multiplicabunt ramos. DA. Jacob. Epist., I, 17: Omne datum optimum..... a Patre luminum. Se i figli di buon padre fossero buoni, diremmo la bontà venire dal sangue, a Dio non la chiederemmo. Eccli., XXIII, 35: Non metteranno i suoi figliuoli radice, e non daranno i suoi rami frutto.

42. (L) NASUTO: D'Angiò. PIER III.

(SL) DUOLE. Ott.: Sono tali discendenti (di Carlo I) che se ne duole ogni terra oltremontana a loro suddita. (F) PAROLE. Sap., VI, 10: Ad vos... reges sunt hi sermones mei, ut discatis sapientiam. 43. (L) MINOR: i figli de' padri.

(SL) GOSTANZA. Ott.: Costanza... si vanta ancora d'avere marito, con tutto ch'elli sia morto, per li figliuoli che di lui ebbe, rispetto di quelli che del re Carlo e di sua donna rimasero. Figliuola di Manfredi (Purg., III), moglie a Pietro III d'Aragona, vivente ancora nel 1300; Margherita e Beatrice, figliuole di Carlo il Zoppo, nepoti del vecchio Carlo, mogli di Giacopo e di Federigo. Altri intende Beatrice moglie di Carlo d'Angiò, e Margherita, di Luigi IX di Francia: perchè, dicono, le mogli di Giacopo e di Federigo si chiamarono Bianca e Eleonora, non Beatrice e Margherita (Giannettasio, St. di Napoli, lib. XXII). A questa interpretazione favorisce l'ancor: come dire: Gostanza, ancor viva; e le altre morte.

44. (L) USCITA: discendenza.

(SL) SEMPLICE. Arrigo III, figliuol di Riccardo. Fu semplice e di buona fede, e di poco valore. - VITA. Som.: Simplicitatem vitæ. - SOLO. Come principe raro: così solo per altre ragioni il Saladino (Inf., IV). L'Ottimo: Arrigo... fu coronato re nel 1278... di lui nacque il buon re Odoardo, il quale virea al tempo che l'Au

45. Quel che più basso tra costor s'atterra, Guardando in suso, è Guglielmo marchese, Per cui Alessandría, e la sua guerra,

Fa pianger Monferrato e 'l Canavese.

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Novarese e quel di Milano e quel di Piacenza. In Alessandria nel 1290 subitamente levandosi a romore i cittadini, fu preso; e, chiuso in gabbia di ferro, dopo diciassette mesi morì. Il figliuol suo fuggì in Provenza a invocare la vendetta straniera. Ma non gli succedette nella signoria.- PIANGER. Si perchè sono privati di buono signore, e sì perchè sono venuti sotto il governo di straniero erede (Ott.). Ma meglio intendasi della guerra che per lui nacque. [Omero, Odiss., II, 276; Pindaro, Nem., XI, 48; Euripide, Elett., 369.]

A chi la prima parte del Canto paresse lunga, pensi che Dante, non senza perchè, si compiace nella lieta e riverente agnizione d' uomini singolari; onde la sua commedia in questo è più dramma che i drammi troppo serii del Federici. Il Nota, di noiosa memoria, avrebbe nelle sue commedie fuggito, come troppo prosaici, modi simili a questi che crede e no, dicendo: ell'è, non è.— Il buon Sordello in terra fregò 'l dito, Dicendo: vedi! sola questa riga Non varcheresti... Quale è poi il Poeta filosofo e politico, che osasse far cantare a re e imperatori e marchesi la Salve Regina? (chiedo scusa all'imperatore Rodolfo d' Austria, che non canta). Ma, in premio dell'umile suo coraggio, Dante ha dallo Spirito in dono que' due versi di greca eleganza: Salve, Re

| gina, in su l'erba e in su' fiori, Quivi seder, cantando, anime vidi.

Non tutti i versi di questa pittura son di pari bellezza; forse perchè l'attenzione dello scrittore era tratta verso la fine del Canto, dove una greggia di principi sta sull'erba (anco Manfredi abbiamo visto essere d'una mandria); e l'esule figlio d' una repubblica li riguarda dall'alto, e preoccupa il giudizio della Storia e di Dio. Un marchese è seduto più basso, ma guarda in alto; il che non è detto dell'imperatore e de' re. Gli è il marchese di Monferrato: e pare che Dante presentisse l'importanza storica di quel paese, il quale speriamo che non farà, come Guglielmo, piangere gl' Italiani, nè gli stranieri ridere.

LA VALLE FIORITA.

Il monte del Purgatorio fa seno di sè stesso, e apre nella costa una valle, entro cui stanno i principi negligenti in servire a Dio e a' popoli loro. E il Poeta li colloca nel basso d'una valle come per gastigarli del non aver già voluto reggersi nella debita altezza dell' anima: ma la valle è fiorita, a simboleggiare il verde della speranza; così come verdi sono le vesti degli angeli che scenderanno e verdi le penne. Nell' Eliso virgiliano: At pater Anchises penitus convalle virenti Inclusas animas, superumque ad lumen ituras, Lustrabat studio recolens; omnemque suorum Forte recensebat numerum, carosque nepotes, Fataque, fortunasque virúm, moresque manusque (1). La pittura de' fiori, se togli una rima in acca che stuona, è gentile e più abbondante che nel Nostro non soglia. Rammenta oro e argento, come in Virgilio il fiore Amello: Aureus ipse; sed in foliis quæ plurima circum Funduntur, violæ sublucet purpura nigra (2); senonchè in Dante la preziosità dei metalli e delle gemme è vinta in bellezza dal colore dell' erbe e de' fiori Come dal suo maggiore è vinto il meno, verso mezzo scientifico, che soprabbonda. Rammenta il cocco che era anco nella legge antica simbolico, che col suo vivo colore ritraera l'elemento del fuoco (3). Rammenta l'indico legno, di cui Virgilio: Sola India nigrum fert ebenum (4). La biacca richiama quello che in altro senso il Vasari: Fece Lionardo di chiaro e scuro lumeggiato di biacca un prato d'erbe infinite. Il verso: Non avea pur Natura ivi dipinto comenta il latino che è più leggiadro e dove natura non è nominata: Tibi lilia plenis Ecce ferunt Nymphæ calathis; tibi candida Naïs Pallentes violas et summa papavera carpens, Narcissum et florem jungit beneolentis anethi; Tum casia atque aliis intexens suavibus herbis, Mollia luteola pingit vaccinia caltha (5); ed è comentato fioritamente da quel del Caro: Il verde di varie verdure distinto; e, dove era fiorito, di vermiglio e di candido, di giallo e d'altri colori dipinto. I versi: Ma di soavità di mille odori

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Vi facea un incognito indistinto, ricordano l'odoratum lauri nemus dell' Eliso (1), e suaves miscetis (2) odores (3). In altre visioni il Purgatorio è una valle fiorita (4); e in Gregorio: Varcato il ponte, erano pratelli belli e verdeggianti, adorni d'odoriferi fiori, dove parevano essere adunanze di uomini vestiti di bianco. Tanto in quel luogo era un odore di soavità che i quivi caminanti e abitanti della stessa fragranza della soavità si nutrivano (5).

Nell' eliso di Virgilio: Pars in gramineis exercent membra palæstris; e altrove: Conspicit ecce alios dextra lævaquæ per herbam Vescentes, lætumque choro Paana canentes (6), come qui Salve, Regina, che non senza perchè dal Poeta era chiamata regina, e opportunamente invocata, siccome quella dal cui grembo tra poco verrebbero gli angeli a fugare la serpe insidiante alla valle. E bene alle anime purganti si convenivano le parole della orazione affettuosa che dice: madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra: a te chiamiamo esuli figliuoli d'Eva, a te sospiriamo gementi e piangenti in questa valle di lagrime... Oh clemente, oh pia, oh dolce vergine... dà a noi virtù contro de' tuoi nemici (7).

Il sentimento cristiano e l'imaginazione pagana s' uniscono come spirito a corpo e formano tutt' una vita. E siccome in Virgilio Museo dice ad Enea e alla Sibilla :

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(1) Æn., VI. (2) Aristotele: Ex mixtione elementorum quam sequitur odor. (3) Buc., II. Mille per numero indeterminato in Virgilio più d'una volta. Per mille coloribus arcum (En., V); Tibi nomina mille (En., VII). Petr.: L'erbetta verde e i fior di color mille Sparsi sotto quell' elce antiqua e negra Pregan pur che il bel piè li prema o tocchi. Meglio però mille odori che color mille, sotto un'elce sola. E il suono petrarchesco è qui più dantesco che nel verso di Dante e anche qui le rime egra e occhi, come in Dante acca, hanno dissonanza dalla leggiadra imagine; lasciando stare il pregare de' fiori ch' altri li prema. (4) Ozanam, pag. 364. (5) [C.] Simile in una visione recata da Beda. - (6) Æn., VI. Altrove nell'eliso stesso; Pars pedibus plaudunt choreas, et carmina dicunt. Sempre più materiale l'eliso del pagano, anco del Purgatorio del cristiano. Onde Dante (Par., XIII): Li si cantò non Bacco, non Peana, Ma tre Persone... (7) I Bollandisti (I, 903): Le suore cominciarono in coro a cantare le litanie della B. Vergine, e l'antifona Salve, Regina, perchè gli era sabato. Disse dunque la divina madre questo concento delle mie litanie e dell' antifona Salve, Regina, mi è molto accettissimo.

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Nulli certa domus lucis habitamus opacis, Riparumque toros et prata recentia rivis Incolimus: sed vos, si fert ita corde voluntas, Hoc superate jugum, et facili jam tramite sistam (1); cosi Sordello, poeta come Museo, e un po'de' tempi eroici, appunto come Museo da Virgilio è detto heros, dice: Luogo certo non c'è posto... Per quanto ir posso, a guida mi l'accosto, e Sordello è chiamato qui il Mantovano, si per ricordare il Mantova del precedente Canto interrotto dal prorompere dello sdegnoso dolore, e sì per dichiararci il valore di quel verso che pare ozioso: Eli parenti miei furon lombardi, E mantovani per patria amendui (2), come dire: la mia origine e materna e paterna è nobile e perchè da quella città ch'ebbe colle etrusche comune l'origine e gli statuti (3).

Museo accompagna Enea fino all' alto del colle, poi lo lascia scendere nella valle a' colloquii del padre; il padre dopo le prime accoglienze, e dichiaratogli il destino delle anime nella valle rinchiuse, Natumque, unaque Sibyllam, Conventus trahit in medios turbamque sonantem; Et tumulum capit, unde omnes longo ordine possit Adversos legere, et venientum discere vultus (4). Sordello, fatti avvertiti i Poeti che durante la notte non potrebbero salire al monte, al quale può scorgere sola la luce del vero sole che è Dio, l'invita alla valle li accanto; e Da questo balzo meglio gli atti e i volti Conoscerete voi di tutti quanti, Che nella lama giù, tra essi accolti. Il quale ultimo verso pare languido e inutile, ma ferma il pensiero sull'idea, che dall'alto, e nel proprio e nel traslato, comprendonsi meglio con l'occhio le cose, segnatamente se trattasi di passato remoto o di remoto avvenire.

Enea non vede che le anime de' suoi padri e nepoti; Dante qui anime di re, di principi e signori di molte parti d'Italia e d'Europa. E di qui comincia il suo canto a farsi più europeo; che ne' primi dell' Inferno è quasi semplicemente fiorentino, e de'papi tocca in quanto possono sopra

Firenze; ma poi stende le ali a Italia tutta. Di stranieri all'Italia non c'è nominato che Bertrando del Bormio fatto quasi cittadino al Poeta, in quanto poeta: ma d'ora in poi troveremo accenni più ampii.

In questa mostra di principi accolgonsi in pochi versi non pochi cenni all' Eneide, che imitazioni non si possono propriamente dire. Nell' Eneide hanno anco di là armi e cocchi e cavalli, e la cura che avevano di cose tali nel mondo, sequitur tellure repostos (1): qui si dolgono e si vergognano de' proprii falli, e de' falli de' successori loro; e questa è la cura che li affanna ed affina: perchè la rinnovatrice virtù del pentimento a' pagani era ignota, ed è cristiana beneficentissima rivelazione. L' uno de' principi si duole (2) in sembiante dell' avere negletto quel che doveva, e non muove bocca a' canti altrui, come imperatore e straniero ch' egli è; l'altro in vista lo conforta; due altri s'accordano insieme cantando; due sono stretti fra loro a consiglio (3), e l'uno si batte il petto, l' altro posa sospirando la guancia sulla palma (4). Quegli ha benigno aspetto, questi è membruto (5); l'uno dal maschio naso, l'altro nasetto (6); quegli siede alto, quel giovanetto dietrogli (7), questi solo; l'altro più basso di tutti (8) guardando in su.

Dalle lodi de'padri passa il Poeta ai biasimi de' figliuoli direttamente, non già come Virgilio, collocando nell'Eliso tra morti le anime de' rinascituri: Quis, pater ille virum qui sic comitatur euntem? Filius? anne aliquis magna de stirpe nepotum? (9) Si ferma il Poeta sopra Ottocaro re di Boemia, quasi presago del molto che doveva co❜secoli e quella e altre nazioni slave potere sull'Europa e sul mondo. E sin d'allora il destino di Boemia pareva voler essere collegato a quel d' Ungheria e a quel di Polonia, e le due corone offrivansi congiunte al principe stesso..

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CANTO VIII.

Argomento.

Le anime pregano: scendono due Angeli e col cenno le difendono dal serpente d'Inferno. Dante, sceso nella valle, conosce Nino giudice, amico suo, e Corrado Malaspina, antenato de' suoi buoni ospiti.

Le memorie dell'esilio si alternano alle speranze e alle visioni del cielo. E già i primi versi del Canto spirano in modo ineffabile la malinconia dell' esilio. Nell' Inferno le ire vicine lo intorbidano; negli ultimi del Purgatorio il quadro s'annera; nel Paradiso già si sente l'abbattimento d'anima dis perata d'ogni gioia terrena: la mente, più che il cuore ivi parla.

Nota le terzine 1 alla 13; 15 alla 32; 34 alla 41; 44 e 45.

1. Era già l'ora che volge il disio

A' naviganti, e intenerisce 'l cuore,

Lo di che han detto a' dolci amici, addio;

2. E che lo nuovo peregrin d'amore

Punge, se ode squilla di lontano

Che paia il giorno pianger che si muore; 3. Quand'io incominciai a render vano L'udire, e a mirare una dell' alme, Surta, che l'ascoltar chiedea con mano.

1. (L) Lo Di: nel dì.

(SL) ORA. Intendasi che l'ora volga il desio e intenerisca il cuore a'naviganti nel dì stesso della dipartenza; che l'ora punga d'amore il peregrino novello. Intendere che il di volga il desio e intenerisca e punga nell' ora, mi pare e meno poetico e meno appropriato a denotare l'impressione che viene all'animo dalle te- | nebre che nascondono le cose all' occhio, come già le nascose al desiderio la lontananza.

2. (L) PEREGRIN: che ha il desiderio delle cose amate recente.

(SL) PIANGER. Vita Nuova: Le stelle si mostravano d'un colore che mi facea giudicare che piangessero. Petr.: Quando il dì si dole Di lui (del sole nel verno) che passo passo addietro torni.

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4. Ella giunse e levò ambe le palme, Ficcando gli occhi verso l'oriente,

Come dicesse a Dio: «D'altro non calme.»><

5. Te lucis ante, si devotamente

Le uscì di bocca e con si dolci note,
Che fece me a me uscir di mente.

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(SL) VANO. Purg., V, t. 35: Là 've 'l vocabol suo diventa vano (cessa). Qui col rendere, è ancora più inusitato, e pare men che proprio. SURTA. V. Purg., VII, t. 28. MANO. OV. Met., I: Voce manuque Murmura compressit. Æn., XII: Significatque manu, et magno simul incipit ore. Lucan., I: Dextraque silentia jussit. Chiedere l'ascoltare è più ardito modo che ne' Parlamenti domandar la parola.

4. (L) CALME: m'importa.

(SL) AMBE. Æn., X: Ambas Ad cælum tendit palmas.

(F) ORIENTE. Luc., I, 78: Oriens ex alto. Lattant.: L'oriente tiensi come una similitudine di Dio, perch' egli è fonte della luce e illustratore delle cose. 5. (L) USCIR: fecemi uscir fuori di me dal piacere. (SL) Uscì. Æn., VI: Vox excidit ore. [MENTE. Horat. Carm., IV, 13: Me surpuerat mihi.] . ME. Æn., IV: Dum memor ipse mei. Ma l'uscire ripetuto par giuoco di parole sebbene non sia.

(F) TE LUCIS... Inno della Compieta, a difendere l'anima dalle tentazioni notturne. Pregano perchè prega

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