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Francesca.

Guido, il nipote di Francesca, ospite di Dante, non si recò ad offesa questi versi, ne' quali l'odio dell'uccisore e la pietà degli uccisi risuona si forte. A questo Guido è rivolta una Canzone che si crede di Dante, e non è, sulla morte di Enrico VII. Ospite di Guido pare che fosse il Poeta nel 1343 quando non era per anco Signore; poi dopo il 1318, quand' ebbe la signoria di Ravenna con Ostagio da Polenta.

Dice il Boccaccio che Gianciotto essendo bruttissimo della persona, fu mandato Paolo a Ravenna, fratel suo, a celebrare le sponsalizie: e Francesca ne invaghi; poi vistasi moglie allo zoppo, n'ebbe sdegno. Questo varrebbe ad attenuare la colpa degli amanti, e a scusare il Poeta che la narra con tanto affettuosa pietà. Vale a scusa anche il modo della morte, preparata forse con qualche insidia (siccome è da argomentare dal dannar che fa Dante l'uccisore al ghiaccio de' traditori); e certo consumata con crudeltà che sarebbe da riprendere, non che in fratello, in nemico. Finge il marito di partirsi e li coglie: l'uscio era chiuso di dentro, Paolo si precipita per iscendere; la falda dell'armatura lo ritiene sospeso; la donna apre; Gianciotto va per trafiggere Paolo; ma Francesca interpostasi riceve il primo colpo, l'amante il secondo. Benvenuto d'Imola dice di Paolo: Homo corpore pulcher et politus, deditus magis olio quam labori.

Nel capo sessantesimo sesto del romanzo del Lancilotto, è narrato come Galeotto, il conciliatore di quell'amore, volesse che la regina Ginevra baci Lancilotto l'amante. La reina vede che il cavaliere non ardisce, e lo prende e lo bacia avanti Galeotto assai lungamente. Questo romanzo fu da Innocenzo III proibito nel 1313 (4). Singolar cosa che Dante in età più severa e in quella parte del poema dove l'anima sua più si leva da terra, in luogo ove canta di Cacciaguida e di Beatrice, accenni a codesto romanzo, e assomigli la donna della sua beatitudine, il simbolo della scienza teologica, la assomigli non a Ginevra, ma a quella che tossi al primo fallo di lei. Sia pure quel che l'Ottimo dice, che l'autore fu molto invescato in amore, e però volentieri ne parla: sia pure che negli anni maturi Dante nel Volgare Eloquio, in massima generale, sentenziasse: Illud maxime delectabile quod per preciosissimum objectum appetitus delectat: hoc autem Venus (2). Ma non s'in

(1) Ducange, diss. VI, St. di s. Luigi. — (2) Lib. II, Cap. II.

tende come possa egli con Cacciaguida più desiderare que' tempi quando Firenze era sobria e pudica; nè so se allusione men degna di Beatrice potesse cadere in mente alla vituperata Cianghella. Il Buti pisano aveva giustamente notato come quell'imprecare a Pisa che Arno anneghi in lei ogni persona, tante donne e fanciulli e vecchi innocenti, per vendicare la morte de' figliuoli innocenti del traditore Ugolino, fosse cosa infernalmente spietata. Il verso che conchiude quell' altra narrazione Poscia, più che 'l dolor potè 'l digiuno, sebbene assai chiaro e da non lasciare a persona di senno imaginare che il padre si fosse mangiato i figliuoli, è però languido e non della bellezza di questo con che Francesca conchiude, accanto al quale paiono quasi rettorici i versi dell'Eneide : Prima et Tellus et pronuba Juno Dant signum; fulsere ignes et conscius ælher Connubii, summoque ulularunt vertice Nymphæ. Ille dies primus lethi primusque malorum Causa fuit... (1).

Una contraddizione però, non morale ma letteraria, cade forse a notare: se la bufera infernale non resta mai, se gli spiriti non hanno speranza mai di pena minore, non che di posa, come è che nel colloquio di Francesca con Dante il vento si tace? Qualche codice legge ci tace; che rammenterebbe quel dell' Egloga IX: Et nunc omne tibi stratum silet æquor, et omnes, Aspice, venlosi ceciderunt murmuris auræ. Ma, oltrecchè il ci tace non fa dolce suono, resterebbe tuttavia a sapere com'è che a' due amanti il vento tacesse. Altri può rispondere, che siccome sotto la pioggia e la grandine che fiacca i golosi Dante va e sta non percosso, così non solamente in favore di lui non dannato la legge eterna è per un istante rotta, ma e in pro de' dannati stessi. Se non che qui balza agli occhi un difetto più grave, perché morale; dico che codesta legge sarebbe rotta per la preghiera che volge ad essi il Poeta; e la preghiera è in nome di quell'amore, che è la colpa de' due infelici e la pena. La quale inconvenienza è temperata da quelle parole di mesta e profonda bellezza: Se fosse amico il re dell'universo, Noi pregheremmo lui per la tua pace; dove le parole il nostro mal perverso pajono confessione e rimorso del fallo loro, e un quasi riconoscersi immeritevoli di pietà. Se non che poco appresso la donna abbellisce de' più onesti colori la sua passione; e dicendo della bella persona che le fu tolla e del costui piacer, non lascia dubbio che l'amor suo

(1) En., IV.

al Poeta paresse cosa degna di cuor gentile, e che l'amato in tal modo non potesse risparmiare il ricambio. Non dimentichiamo però che la donna parla come tuttavia passionata, al modo che gli altri dannati fanno; e che i Teologi stessi ammettono nell'inferno il dolore e il rossore che tormentano, senza il pentimento che ammenda. Quel motto: 'l modo ancor m'offende, dopo l'altro tingemmo il mondo di sanguigno, e innanzi chi vita ci spense, è fatto vieppiù risaltare dal ripetere che il Poeta fa anime offense; e qui pure la colpa del rancore sopraggiungesi ad aggravare la pena. Similmente nel verso, Questi che mai da me non fia diviso, la passione disperata si sfoga, e segna la propria condanna, dacchè il veder patire anima amata tanto, è de' patimenti il più atroce. Ma guardando più addentro, in questi versi stessi, che Dante dee aver composti innanzi i trentacinque anni, e ardenti delle sue proprie memorie, ed im

pressi della pietà de' due miseri (i quali e' poteva aver conosciuti, dacchè, quand'essi morirono, volgeva a lui l'anno ventritrè di sua età), in questi versi stessi è un senso di tanto più potente quanto meno esplicata moralità. Alle parole della donna il Poeta si raccoglie in sè, china gli occhi, e non si riscuote se non al dire di Virgilio: che pensi? Ed allora, dopo breve silenzio, esclama riflettendo a sé insieme e ad essi: Oh lasso! Quanto desiderarono quel che li trasse a tanto dolore, e quanti dolci pensieri furono via a termine si amaro. La donna poi rispondendo, attesta che di tutti i dolori il maggiore, cioè più del turbine che senza posa li volta e percuote, è la memoria del passato piacere; onde se la bufera resta, non resta a' due sciagurati il tormento. E da ultimo la radice del nostro amor è parola che tinge di moralità quant'altre la compassione degli altrui falli e de' proprii trae dal cuore al Poeta.

CANTO VI.

Argomento.

Si riscole, e si ritrova nel terzo cerchio, de golosi. Come venutovi? Per quella forza che in Paradiso lo spinge di pianeta in pianeta. E perchè in questi due luoghi uno straordinario passaggio, e non più per tutto l'Inferno? Perchè, a passare Acheronte, altra via non v'era che la barca od un volo; e scendere dalla ruina del secondo cerchio per mezzo alla bufera, non può. Parla con Ciacco de' mali della patria, con Virgilio, della vila futura. Scende nel cerchio degli avari.

Nota le terzine 2 alla 10; 12 alla 15; 25, e 51 alla 54.

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1.

A1

tornar della mente, che si chiuse Dinanzi alla pietà de' duo cognati, Che di tristizia tutto mi confuse:

2. Nuovi tormenti e nuovi tormentati

Mi veggio intorno, come ch' i' mi muova,
E come ch'i' mi volga, e ch'i' mi guati.
3. Io sono al terzo cerchio della piova,
Eterna, maladetta, fredda e greve:
Regola e qualità mai non l'è nuova.

4. Grandine grossa, e acqua tinta, e neve
Per l'aer tenebroso si riversa:
Pute la terra che questo riceve.

5. Cerbero, fiera crudele e diversa,
Con tre gole caninamente latra

Sovra la gente che quivi è sommersa.

1. (L) CHIUSE a ogni impressione.

(SL) TORNAR. Æn., XII: Ut primum discussæ umbræ, et lux reddita menti. CHIUSE. Bocc.: Si ogni virtù sensitiva le chiusero, che così morta nelle braccia del figliuolo cadde. [ Luc.: Animam clausit dolor.] 3. (L) MAI NON L'È NUOVA: vien sempre a un modo.

(F) CERCHIO. Del vizio della gola, Som. 2. 2, 148. 4. (L) TINTA: buia.

(SL) RIVERSA. Æn., X: Effusa... grandine nimbi Præcipitant. -V: Ruit æthere toto Turbidus imber aqua densisque nigerrimus austris. Sap., XVI, 16: Aquis el grandinibus et pluviis persecutionem passi.

5. (L) DIVERSA dalle fiere note.

(SL) Cerbero. Æn., VI: Cerberus hæc ingens latratu regna trifauci Personat, adverso recubans immanis in antro, Stat., VII: Tergeminosque mali custodis hiatus. DIVERSA. Di-verto, perversa, di specie mostruosa. Inf., XXXIII: Uomini diversi D'ogni costume. Vita Nuova: Visi diversi ed orribili a vedere. NAMENTE. Petr.: Nemica naturalmente di pace.

CANI

(F) CANINAMENTE. Tre gole ha Cerbero; tre facce Lucifero (Inf., XXXIV). L'Ott. : Significa che abbia sua

6. Gli occhi ha vermigli, e la barba unta ed atra, E' ventre largo, e unghiate le mani; Graffia gli spirti, gli scuoia, ed isquatra. 7. Urlar gli fa la pioggia, come cani :

Dell' un de' lati fanno all'altro schermo ;
Volgonsi spesso i miseri profani.

giustizia sopra li peccatori delle tre parti del mondo. E cita Fulgenzio. SOMMERSA. Som.: Lo smergo, del quale è natura dimorare lungamente sott'acqua, significa il goloso che nelle acque delle delizie s'immerge 6. (L) ISQUATRA: squarta.

(SL) UNTA. Proprio de'golosi. Orazio, di Cerbero (Carm., III, 11): Spiritus teter saniesque manet Ore trilingui. Sen., Herc., Fur. v. 784 : Sordidum tabo caput.

MANI. Così chiama Plinio le zampe anteriori dell'orso (VIII, 56). Ma qui Cerbero è demonio con forma tra umana e bestiale. SCUOIA. Lucan., VI: Janitor et sedis laxe qui viscera sævo Spargis nostra cani. Somiglia un poco alla descrizione che fa Virgilio d'un apparecchio da mangiare: Tergora diripiunt costis, et viscera nudant. Pars in frusta secant (Æn., I). — IsquaTRA. Come interpetrare per interpretare. Anche Lucano fa le viscere umane lacerate e ingofate da Cerbero. Armannino, degli iracondi: La Gorgona costoro tranghiottisce e fanne grandi bocconi: poi per lo sesso li caccia fuori.

(F) ISQUATRA. Sap., XI. 17: Per quæ peccat quis, per hæc et torquetur. Norma da Dante osservata in parecchi de' suoi supplizii.

7. (L) Dell' un de lati fanno ALL'ALTRO SCHERMO: si voltano or sull' un fianco or sull' altro.

(SL) SCHERMO. Nel XVII dell' Inferno i dannati, per difendersi dalla pioggia di foco, Di qua di là soccorrén con le mani, Quando a' vapori e quando al caldo suolo. VOLGONSI. Æn., III: Fessum... mutat latus, di un gigante dannato. PROFANI. Stat., I: Dapibusque profanis Instimulat. Lucan.: Profana morte.

(F) URLAR: Joel, I, 3: Ululate... qui bibitis vinum in dulcedine. PROFANI. Aveva anche senso di

8. Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, Le bocche aperse e mostrocci le sanne; Non avea membro che tenesse fermo :

9. E il duca mio distese le sue spanne,

Prese la terra, e con piene le pugna La gittò dentro alle bramose canne. 40. Qual è quel cane ch'abbaiando agugna, E si racqueta poi che 'l pasto morde, Che solo a divorarlo intende e pugna;

41. Cotai si fecer quelle facce lorde

Dello demonio Cerbero, che 'ntrona L'anime si ch'esser vorrebber sorde. 12. Noi passavam su per l'ombre che adona La greve pioggia, e ponevám le piante Sopra lor vanità che par persona. 13. Elle giacean per terra tutte quante,

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scellerati (Machab. II, XII, 23), e ben profani chiama coloro quorum deus venter est (ad Philipp., III, 19). I mangiarli che fa Cerbero e lo star essi così distesi, somiglia al tormento di Tizio nel VI dell' Eneide.

8. (SL) GRAN. Æn., VI: Cerberus... ingens. Ov. Met., IV: Tria Cerberus extulit ora: El tres latratus simul edidit.VERMO. In antico valeva qualunque sia fiera schifosa. Così nel Pulci (IV, 15). Ariosto: Che al gran vermo infernal mette la briglia. Vermo, nei salmi penitenziali, falsamente attribuiti a Dante, è detto il demonio.APERSE. Æn., VI: Ille, fame rabida tria guttura pandens. FERMO. Virgilio, di Cerbero (Æn., VI): Horrere videns jam colla colubris. Georg., III: Tota tremor pertentet equorum Corpora. - III: Tremit artus. Stat., II: Omnes capitum subrexit hiatus (di Cerbero).

(F) VERMO. Cerbero co'suoi latrati è simbolo della rea coscienza; della quale Isaia: Vermis eorum non morictur (LXVI, 24).

9. (SL) GITTO. Æn., VI: Offam objicit. Quivi d'una ciambella soporifera.

(F) TERRA. Mostra la viltà della fiera, cioè del vizio. Qui meglio s'intende quello del canto I: Non ciberà terra. - GITTò. Virgilio è la ragione che vince

la fiera vile.

-

10. (L) AGUGNA: agogna al cibo. - PUGNA: par combatta col cibo mangiandolo avido.

(SL) CANE. I Cerbero di Dante non è propriamente un cane, ripeto, è un demonio, come Caronte e Minosse. Però la similitudine regge. -INTENDE. Som., 1, 1, 19: Leo occidens cervum intendit cibum.

11. (SL) FACCE. Æn., IV: Tria... ora. Il Cerbero dantesco non ha ceffo di cane: latra caninamente a modo di cane. Virgilio, d'Aletto (Æn., VII): Tam sævæ facies. -NTRONA. En., VI: Personat. Ov. Met., VII: Rabida qui concitus ira Implevit pariter ternis latratibus auras. L'ANIME. Æn., VI: Ingens janitor antrum Æternum latrans exangues terreat umbras.

12. (L) ADONA: doma. PERSONA: del corpo.

(SL) ADONA. L'usa il Villani (VI, 80). ·PERSONA. Æn., VI: Tenues sine corpore vitas... cava sub imagine formæ. - Domos Ditis vacuas, et inania regna. 13. (L) RATTO: tosto. C: noi davanti a sè. 14. (L) DISFATTO: morto. FATTO nato.

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(SL) DISFATTO. Bocc.: Hanno sẻ medesimi diso

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Forse ti tira fuor della mia mente Si che non par ch'i' ti vedessi mai. 16. Ma dimmi chi tu se' che in si dolente Luogo se' messa, e a si fatta pena. Che s'altra è maggio, nulla è si spiacente. 17. Ed egli a me: La tua città, ch'è piena D'invidia, si che già trabocca il sacco, Seco mi tenne in la vita serena. 18. Voi cittadini mi chiamaste Ciacco. Per la dannosa colpa della gola, Come tu vedi, alla pioggia mi flacco. 19. Ed io, anima trista, non son sola; Chè tutte queste a simil pena stanno Per simil colpa. E più non fe' parola. Ciacco, il tuo affanno

20. Io gli risposi :

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(SL) MAGGIO (Par., XXVIII, t. 26). Come peggio per peggiore. In Firenze Via Maggio. 17. (L) TUA CITTÀ: Firenze. 18. (L) CIACCo: porco.

IN LA VITA: vivo.

(SL) CIACCO. Lo nomina il Boccaccio, e loda per piacevoli motti e per gaia eloquenza. Uno da tutti chiamato Ciacco. L'Anonimo lo dice uom di corte, cioė buffone: li quali più usano questo vizio che altra gente... Ebbe in sè, secondo buffone, leggiadri costumi e belli motti: usó con li valenti uomini e dispettò li cattivi. E bene si conviene a si cattivo vizio e vile mettere si vile maniera di gente, come uomini che stanno alla mercè d'ogni uomo, e con lusinghe e bugie vogliono servire... I mali di Firenze Dante conosceva originati da'vizii di que'grandi co'quali Ciacco viveva. - FIACCO. Sotto la grandine grossa e la pioggia che adona.

(F) DANNOSA. Hor. Ep., I, 18: Damnosa Venus. Davanz. Per la dannosa gola, di bellissimo, grasso e sconcio uomo divenne. Ecel., XXXVII, 54: Per la crapula molti perirono. Grida anche il Boccaccio contro que'suo concittadini che trattavano briachi le cose pubbliche. Il Poeta pone i golosi sotto i lascivi, come vizio più vile.

20. (SL) INVITA. Con meno parsimonia il Tasso: E gli occhi a lagrimar gl' invoglia e sforza. Ma forse invitare è languido. Bene l'Alfieri: Che mi percuote e a lagrimar mi sforza.

21. (L) PARTITA: divisa,

(SL) PARTITA. Gio. Vill. Per isdegno Firenze fu guasta e partita.

22. (SL) SANGUE, Reg., I, XXV, 55: Irem ad sanguinem. - OFFENSIONE. Dà gran forza il Poeta alla voce offendere. Inf., V: Quell'anime offense. Con questa parola Dante condanna gli eccessi de' Bianchi.

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(SL) SOLI. In Nemesiano. La visione si finge nel 1500: nel 1302 Dante co' Bianchi fu soppiantato e sbandito. SORMONTI. Assoluto nel Machiavelli (Framm. storici). PIAGGIA. Carlo di Valois, per lo quale, dice l'Ottimo, papa Bonifazio avea mandato per cacciare quelli della casa d'Aragona dalla signoria di Sicilia. Vill., VIII, 69: I grandi di parte Nera, e quelli che piaggiavano con il legato.

24. (L) FRONTI de' Guelfi. N': se ne.

(SL) ALTO. Carlo altrove è detto alto leon; e nel primo canto è forse il leone dalla test' alta. Ed era veramente rabbiosa la fame di questo leone di Francia. – TENENDO. Dino: Tenuli sotto gravi pesi. Æn., I: Servitio premet.

25. (L) Sox: ci son.

(SL) Duo. Dante e Guido Cavalcanti, amico suo, richiamato d'esilio da lui quand' era priore. Dante volle con arti simili conciliare le civili discordie e non potè. Ezech., XIV, 13, 14: Terra cum peccaverit mihi... conteram virgam panis ejus....... Et si fuerint tres viri isti (justi) in medio cjus. Giusto qui vale amico a giustizia, non santo. Nell' XI del Purgatorio Dante accenna a sè e al Cavalcanti, in modo simile senza dire il suo nome: Ha tolto l'uno all'altro Guido La gloria della lingua: e forse è nato Chi l'uno e l'altro caccerà di nido. In una canzone scritta dall' esilio circa il 1304 parla di tre cittadini men perversi degli altri; nel Purgatorio parla di tre vecchi di Romagna, rimprovero dell' antica età alla moderna. [Dante, Rime: Canzone, a tre men rei di nostra terra Te n'andrai, anzi che tu vadi altrove. Li due saluta; e l'altro fa che prove Di trarlo fuor di mala setta in pria: Digli che il buon col buon non prende guerra Prima che co’malvagi vincer prove. ] FAVILLE: Inf., XV: Gente avara, invidiosa e superba. Vill., VIII, 96: Per le peccata della superbia, invidia ed avarizia erano partiti a setta. - Ivi, 68: Molti peccali commessi per la superbia, invidia ed avarizia di nostri cittadini che allora guidavano la terra. Altrove (VII, 57) accusa d'invidia i Donati. ACCESI. Æn., IV: Accendit animos.

(F) Duo. Arist. Fis., IV: Il due è il numero minimo. 26. (L) SUONO: parole.

(SL) LACRIMABIL. Æn., XI: Lacrymosis vocibus. III: Gemitus lacrymabilis. —SUONO. Georg., IV: Sonitum... sensit (di voce dolente). INSEGNI. Æn., VI: Ne quære doceri. E in questo senso assai volte. DONO: Petr. E in don le chieggo sua dolce favella. 27. (SL) FARINATA. Inf., X. TEGGHIAIO. Inf., XVI. Fa Tegghiaio di due sillabe, che cosi pronunciavano. Petr.: Ecco Cin da Pistoia, Guillon d'Arezzo. DE

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28. Dimmi ove sono, e fa ch'io gli conosca; Chè gran desio mi stringe di sapere

Se 'l ciel gli addolcia, o lo'nferno gli attosca. 29. E quegli: Ei son tra l'anime più nere. Diversa colpa giù gli aggrava al fondo. Se tanto scendi, gli potrai vedere. 30. Ma quando tu sarai nel dolce mondo, Pregoti ch'alla mente altrui mi rechi. Più non ti dico, e più non ti rispondo. 31. Gli diritti occhi torse allora in biechi; Guardommi un poco, e poi chinò la testa: Cadde con essa, a par degli altri ciechi. 32. E' duca disse a me: Più non si desta Di qua dal suon dell'angelica tromba, Quando verrà la nimica podesta.

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GNI. Li loda, non come peccatori, ma come benemeriti cittadini. - RUSTICUCCI. Inf., XVI. MOSCA. Inferno, XXVIII. POSER. Ecclesiastes, VIII. 16: Apposui cor meum ut scirem sapientiam. Dino, XII: Poniate l'animo a guisa che la nostra città debba posare. 28. (L) ADDOLCIA consola.

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(SL) ADDOLCIA. Prov., XXVII, 9: Anima dulcoratur. ATTOSCA. Nel Novellino e in Esopo. 29. (SL) AGGRAVA. Æn., VI: Urgentur pœnis. 30. (SL) DOLCE. Æn., VI: Dulcis vitæ. RECHI. I non vili Dante fa desiderosi di vivere nella memoria degli uomini (Inf., XIII, XV, XVI e altrove). Ciacco dunque era a Dante uomo non tanto dispregevole. E i discorsi ch' e' gli pone in bocca sono di pio cittadino. 31. (SL) TORSE. Georg., IV: Oculos intorsit. CADDE. Lucan., VI: Sic postquam fata peregit Stat vultu mæstus tacito, mortemque reposcit. CIECHI. Nel canto seguente, guerci della mente gli avari. Ciechi, inoltre, per la grandine tenebrosa.

betudo.

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(F) CIECHI. Som. (de' dannati): Cœcitas et he

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(F) DESTA. Dal sonno tormentoso in cui giace quasi a pena della crapula sonnolenta. PODESTA. Dan., VII, 14: La potestà di lui potestà eterna. Virgilio, a Giove (Æn., X): O hominum divumque æterna potestas.

33. (L) QUEL: la sentenza.

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(SL) TRISTA, se chiude un corpo dannato a penare; e se la pena, dopo la risurrezione, s' aggrava. Ripiglierà. Som.: Ripreso il corpo. Segneri: Se voi poteste ritornare nel mondo e ripigliare i vostri cadaveri. QUEL. Matth., XXV, 41: Itene da me, maledetti, nel fuoco eterno.

(F) RIMBOMBA. Som., 5, 59, 5; Suppl. 85 (del giudizio). 34. (L) Si: cosi. LA VITA FUTURA: la questione della vita futura.

(SL) OMBRE. Stat.: Per umbras Et caligantes umbrarum examine campos. Calca insieme le anime e il fango per mostrare la viltà di quel vizio.

(F) FUTURA. Som., 2, 1, 106 (della vita futura).

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