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CANTO III.

Argomento.

Entrano per la porta infernale: trovano miste agli Angeli, che furono ne ribelli a Dio con Lucifero ne fedeli, l'anime di coloro che vissero senza fama e senza infamia, i dappoco: tra' quali e' conosce un papa. Giungono ad Acheronte dove l'anime passano, da Caronte tragittate, a' supplizii. Trema la terra, balena una luce, il Poeta cade.

Canto originale fra le tante imitazioni del Poeta latino. Quel che Virgilio stende in un raggio di splendida poesia, Dante lo raccoglie in un lampo. I mediocri imitatori annacquano, appannano. Notabili specialmente le terzine 1, 7, 9, 10, 16, 17, 19, 22, 23, 28, 33, 34, 35, 37, 38, 39, 40, 42, 45.

1.

PER MB SI VA NELLA CITTÀ DOLENTE,

PER ME SI VA NELL'ETERNO DOLORE, PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE. 2. GIUSTIZIA MOSSE 'L MIO ALTO FATTORE, FECEMI LA DIVINA POTESTATE,

LA SOMMA SAPIENZA E IL PRIMO AMORE. 3. DINANZI A ME NON FUR COSE CREATE, SE NON ETERNE: ED 10 ETERNO DURO. LASCIATE OGNI SPERANZA, VOI CHE 'NTRATE. 4. Queste parole di colore oscuro

Vid' io scritte al sommo d'una porta; Perch'io: Maestro, il senso lor m'è duro.5. Ed egli a me, come persona accorta:

· Qui si convien lasciare ogni sospetto; Ogni viltà convien che qui sia morta.

1. (L) ME: parla la porta.

2. (F) FECEMI. Sant'Agostino: Le tre Persone sono insieme il principio della creazione, perchè tutte e tre hanno la stessa virtù individua di creare. Som.: Quel che conviene alla natura divina in sè, conviene a tutte e tre le Persone, come la bontà, la sapienza e simili. — AmoRE. La pena è amore, se giusta. Som.: Lo Spirito procede dal Figlio e dalla Sapienza l'Amore.

3. (SL) ETERNO. Avverbio. Armannino: Eterno qui rimangono. Æn., VI: Æternum.... terreat. - LASCIATE. Stat.: Tartarea limen petit irremeabile portœ. Æn., VI: Patet atri janna Ditis; Sed revocare gradum, superasque evadere ad auras, Нос opus.

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(F) ETERNE. Gli angeli, spiega il Boccaccio, quali fu fatto prima l'inferno: eterni, non mortali come l'uomo. ETERNO. Dimostrasi nella Somma l' idea dell'eternità, come intera e una, escludere quella del tempo. Matth., XXV, 41: Ignem æternum.

4. (L) IL SENSO LOR M'È DURO: come uscirò io ? (SL) SOMмo. Geor., IV: Alla ostia Ditis.

5. (L) SOSPETTO: paura.

(SL) MORTA: In Virgilio (En., VI) la Sibilla: Nunc animis opus, Ænea, nunc pectore firmo.

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6. (L) 'L BEN DELLO INTELLETTO: Dio, verità. (SL) DOLOROSE. Vite ss. Pad.: Non muoia cosi doloroso.

(F) Ben dello INTELLETTO. Aristot., de An., III: // bene dell' intelletto è l'ultima beatitudine. Conv.: Il vero è il bene dell' intelletto. Som.: Il falso è il male dell' intelletto, siccome il vero è il bene di quello, secondo che è detto nel vi dell' Etica. Som.: Il proprio oggetto dell'intelletto sia il vero. -L' Ente è il proprio oggetto dell'intelletto.

7. (SL) COSE. Æn., VI: Res alta terra et caligine

mersas.

8. (L) Perch': onde.

--

(SL) QUIVI. Æn., VI: Hinc exaudiri gemitus, et sæva sonare Verbera. RISONAVAN. En., IV: Lamentis gemituque et fœmineo ululatu Tecta fremunt; resonat magnis plangoribus æther. STELLE. Æn., III, VI: Sine sidere noctes. Sine sole domos. VI: Vestibulum ante ipsum primisque in faucibus Orci, Luctus et ultrices posuere cubilia curæ. Paragonisi la potenza di questi con la facilità di que' dell' Ariosto: Levossi un pianto, un grido, un'alta voce, Con un batter di man che andò alle stelle.

9. (SL) FAVELLE. Pronunzie che la disperazione rendeva più aspre. ACCENTI. L'uomo irato suol accentuare più forte. Distingue la lingua, il discorso, cento, la voce.

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(SL) TUMULTO. Nell' Inferno di Stazio, II: Stridor ibi et gemitus pœnarum atroque tumultu Fervet ager.— TINTA. Inf., VI: Acqua tinta. SPIRA. En., 1: Terras turbine perflant. Georg. I: Fretis spirantibus. Lucan. : Umbriferam contorto pulvere nubem. In flexum violentus agit. Orazio, dell' avaro (Sat., 1, 4): Per mala præceps Fertur uti pulvis collectus turbine.

(F) TUMULTO. Cypr.: Con grande rumore e strepito di piangenti per l'orrenda caligine. — TEMPO. AMbr.: Nec tempus illis accedet, quia totos æternitas possidebit.

11. (SL) CHE È. En., VI: Quæ scelerum facies, o virgo, effare, quibusve Urgentur pænis? Quis tantus plangor ad auras? VINTA. Æn., IV: Evicta dolore. 12. (L) LODO: lode di bene.

(SL) LODO. L'ha Albertano. Virgilio (Georg., III) chiama illaudato Busiride.

(F) SENZA. L' Ott.: Dice s. Agostino: non basta astenersi dal male, se non si fa bene.

13. (L) CATTIVO: vile.

(SL) MISCHIATE. Buc., IV: Divis... permixtos heroas. [Apoc. III, 16. V. Chateaubriand. Essai sur la littérature anglaise, Tom. I, pag. 21, ediz. di Bruxelles.]

(F) ANGELI. Questa degli Angeli ondeggianti tra Lucifero e Dio è sentenza non canonica di Clemente Alessandrino. Str., VII: Aliquos ex Angelis propter socordiam humi esse lapsos, quod nondum perfecte ex illa in utramque partem proclivitate, in simplicem illum atque unum expediissent se habitum. Nella leggenda di 3. Brendano sono Angeli cacciati di cielo per mala voglia, senza ch' abbiano cospirato.

14. (L) CACCIARLI: li cacciarono per non essere deturpati da' vili. I REI Si glorierebbero e del vedere in pari pena spiriti men rei, e dell'essere stati men vili. (SL) PROFONDO. Georg., 1: Manesque profundi, RICEVE. En., VII: Regia coli accipit. - XI: Non illum teclis ullæ, non manibus urbes Accepere.

(F) ALCUNA. Alcuno qui non vale niuno. Volere che gli Angeli tiepidi non fossero messi in inferno per rispettare l'orgoglio degli Angeli ribelli, è un credere Dio troppo cerimonioso con Lucifero e i suoi compagni. Se questo fosse, e' poteva non li cacciare all' inferno. 15. (L) DICEROLTI: tel dirò.

auras?

(SL) CHE È. Æn., VI: Quis tantus plangor ad LAMENTAR. Esopo: Il forte lamentare. Ca

-

16. Questi non hanno speranza di morte; E la lor cieca vita è tanto bassa, Che invidiosi son d'ogni altra sorte. 17. Fama di loro il mondo esser non lassa; Misericordia e Giustizia gli sdegna. Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.— 18. Ed io che riguardai, vidi una insegna Che girando correva tanto ratta Che d'ogni posa mi pareva indegna; 19. E dietro le venia si lunga tratta

Di gente, ch'i' non avrei mai creduto Che Morte tanta n'avesse disfatta. 20. Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, Guardai, e vidi l'ombra di colui 1 Che fece per viltate il gran rifiuto. 21. Incontanente intesi e certo fui

Che quest' era la setta de' cattivi A Dio spiacenti ed a'nemici sui. 22. Questi sciaurati che mai non fur vivi Erano ignudi, e stimolati molto Da mosconi e da vespe ch' eran ivi. 23. Elle rigavan lor di sangue il volto, Che, mischiato di lagrime, a' lor piedi Da fastidiosi vermi era ricolto.

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19. (L) TRATTA: schiera.

(SL) TRATTA. Æn., 1: Longum... agmen. DISFATTA. Inf., VI: Tu fosti prima ch'io disfatto, fallo: nato prima ch' io morto.

20. (L) RIFIUTO del papato.

21. (SL) CATTIVI. I vili dispiaciono a tutte le parti. Armannino, nel suo Inferno: L'anime di quegli perduti, che, nè bene, ne male fecero nel mondo, ma come cattivi menano la vita senza frutto. Crescenzio: Piante informe e cattive. La servitù (captivitas) tali rende i più degli uomini. Bocc.: Il fante di Rinaldo, veggendolo assalire, come cattivo, niuna cosa al suo aiuto adoperò. Conv.: Gli abominevoli cattivi d'Italia ch' hanno a vile questo prezioso volgare.

22. (F) VIVI. Sap., V, 13: Appena nati, cessammo d'essere, e di virtù niun segno volemmo mostrare. Nel Convivio, parlando del nobile indegno: Dico, questo vilissimo essere morto, parendo vivo. Perchè vivere nell'uomo è ragione usare. Cic., de Nat. Deor., II: Mihi qui nihil agit, esse omnino non videtur. Sallust.: Horum vita morsque par est. MOSCONI. Sap., XVI, 9: Gli uccisero i morsi di locuste e di mosche... perchè eran degni d'essere sterminati da tali. Eccl., XLIV, 9: Di loro non è memoria: perirono quasi non fossero stati; e nacquero quasi non fossero nati. 23. (L) RICOLTO: succiato.

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(SL) RIGAVAN. Æn., XII: Rigat arma cruore. (F) VERMI. Aug., Vit. Erem., LXIX: Injiciunt ignibus exurendos, tradunt vermibus lacerandos. Is., LXVI,

Perch'io dissi :

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24. E poi che a riguardar oltre mi diedi, Vidi genti alla riva d'un gran fiume; Maestro, or mi concedi 25. Ch'io sappia quali sono, e qual costume Le fa parer di trapassar si pronte, Com' io discerno per lo fioco lume. 26. Ed egli a me: Le cose ti flen conte Quando noi fermeremo i nostri passi Su la trista riviera d'Acheronte. 27. 'Allor, con gli occhi vergognosi e bassi, Temendo no'l mio dir gli fusse grave, Infino al fiume di parlar mi trassi. 28. Ed ecco verso noi venir per nave

Un vecchio, bianco per antico pelo, Gridando: Guai a voi, anime prave! 29. Non isperate mai veder lo cielo.

I'vegno per menarvi all'altra riva, Nelle tenebre eterne, in caldo e 'n gielo. 30. E tu che se' costi, anima viva,

Partiti da cotesti che son morti. Ma poi ch'e' vide ch'i' non mi partiva, 31. Disse: Per altre vie, per altri porti Verrai a piaggia, non qui, per passare: Più lieve legno convien che ti porti.

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(SL) TRISTA. Georg., IV: Palus inamabilis. Acheronte, in greco, vale il contrario di salute, di gioia. RIVIERA. En., VI: Pedem... advertere ripœ.

TRASSI: astenni.

27. (L) No'L: che non il. 28. (SL) VECCHIO. Æn., VI: Portitor has horrendus aquas el flumina servat Terribili squalore Charon, cui plurima mento Canities incalta jacet... Jam senior; sed eruda Deo viridisque senectus.

29. (F) IN CALDO e 'n Gielo. I due supplizii dominanti dell' Inferno di Dante. Sem., Supp. 97: Le pene de' dannati: foco, tenebre, pianto.

30. (SL) VIVA. Æn., VI: Navita quos jam inde ut Stygia prospexit ab unda Per tacitum nemus ire, pedemque advertere ripa: Sic prior aggreditur dictis, atque increpat ultro... Umbrarum hic locus est, somni noctisque sopora: Corpora viva nefas Stygia vectare carina. 31. (L) PORTI: tragitti.

(SL) PORTI. Cosi nel Veneto il navicello da passare i fiumi. —Qui. Georg., IV: Nec portitor Orci... objectam passus transire paludem. — LIEVE. Le anime buone vanno su un vasello snelletto e leggero alla piaggia del monte del Purgatorio. (Purg., II.)

32. E' duca a lui:

Caron, non ti crucciare: Vuolsi così colà dove si puote

Ciò che si vuole. E più non dimandare.

33. Quinci fur quete le lanose gote

Al nocchier della livida palude,

Che intorno agli occhi avea di fiamme ruote. 34. Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude, Cangiar colore, e dibattero i denti, Ratto che 'nteser le parole crude. 35. Bestemmiavano Iddio e' lor parenti, L'umana specie, il luogo, il tempo, e il seme Di lor semenza, e di lor nascimenti. 36. Poi si ritrasser tutte quante insieme, Forte piangendo, alla riva malvagia Ch'attende ciascun uom che Dio non teme. 37. Caron dimonio, con occhi di bragia, Loro accennando, tutte le raccoglie; Batte col remo qualunque s'adagia.

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(SL) QUETE. En., VI: Rabida ora quiérunt. Tumida ex ira tum corda residunt. Proprio de' vecchi quando sono inquieti, è agitare le gote. Cosi Madama Perticari,LANOSE. Apoc., I, 14: Capelli candidi come lana bianca. Stat., II: Vellera nota Thiresiæ. -- NocCHIER. En., VI: Navila... tristis. — LIVIDA. En., VI: Vada livida. Catull., XVII, 40: Putidæque paludis Lividissima maximeque est profunda vorago.]—PALUDE. Georg., IV: Tardaque palus inamabilis unda. — RUOTE. En., VI: Stant lumina flamma. XII: Ardentes oculorum acies.

34. (L) RATTO: tosto.

(SL) NUDE. Nel 1304 allo spettacolo del ponte alla Carraja rappresentante l'Inferno altri aveano figure d'anime ignude, » (Vill. VIII, 69.) — Denti. Aug., Vit. Erem.: Stant miseri stridentes dentibus, nudo latere palpitantes, aspectu horribiles, dejectique pudore. 35. (L) PARENTI: genitori. -SEME: la prossima, la lontana generazione, l'umana natura; il luogo e tempo del nascere.

(SL) PARENTI. Vit. ss. Pad.: Bestemmiare la madre. SEME. Reg., I, XXIV, 22: Ne delcas semen meum. Isai., XIV, 22: Perdam Babylonis nomen et reliquias et germen et progeniem.

(F) IDDIO. S. Tommaso, nella Somma, tocca della bestemmia de' dannati. (2, 2, 43.)

36. (SL) RITRASSER. Eran venute sparte, nota il Boccaccio. ATTENDE. Hor. Carm., III, 11: Seraque fata, Quæ manent culpas etiam sub Orco. TEME. COmune, nella Bibbia e ne' Padri, timore di Dio. 37. (L) BRAGIA: fiamma. ADAGIA indugia.

(SL) BRAGIA. En., XII: Oculis micat acribus ignis. RACCOGLIE. En., VI: Navita sed tristis nunc hos nunc accipit illos; Ast alios longe summotos arcet areREMO. Æn., VI: Ratem conto subigit. ADAGIA. En., VI: Alias animas, quæ per juga longa sedebant, Deturbat.

na.

(F) DIMONIO. Virgilio (Æn.,VI) lo chiama Dio: per Dante, questo, come tutti gli altri enti mitologici,

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(SL) VEDE. Georg.. II: Miraturque novas frondes et non sua pom. En., VI: Quam multa in silvis autumni frigore primo Lapsa cadunt folia.

39. (L) MAL SEME: i rei uomini.

(SL) SEME. Isai., I, 4: Væ... populo gravi ini quitate, semini nequam ! — GITTANSI. Æn., VI: Pars... aversi tenuere. (lo accordo seme con gittansi. ) — AUGEL, An., VI Ad terram gurgite ab alto Quam multæ glomerantur aves, ubi frigidus annus. Trans pontum fugat, et terris immittit apricis.

40. (SL) BRUNA. Æn., V: Fluctus... atros Hor. Carm., II, 14: Ater flumine languido Cocytus errans. En., VI: Turbidus hic cœno vastaque voragine gurges. Stat., VII: Atraque Ditis flumina.

41. (SL) CONVENCON. En., II: Undique convenere. Ov. Met., IV: Umbræque recentes Descendunt illac simulacraque functa sepulcris... Utque fretum de tota

42. E pronti sono al trapassar del río, Chè la divina Giustizia gli sprona

Si che la tema si volge in disio. 43. Quinci non passa mai anima buona: E però se Caron di te si lagna, Ben puoi saper omai che 'l suo dir suona. 44. Finito questo, la buia campagna

Tremò si forte, che dello spavento La mente di sudore ancor mi bagna. 45. La terra lagrimosa diede vento

Che baleno una luce vermiglia, La qual mi vinse ciascun sentimento: 46. E caddi come l'uom cui sonno piglia.

flumina terra, Sic omnes animas locus accipit ille, nec ulli Exignus populo est. Si rammenti il verso..... Inferno li riceve.

42. (L) Rio: fiume non grande. LA TEMA SI VOLGE IN DISIO: par desiderio la paura.

(F) TEMA. Vasari, del dipinto di Michelangiolo: Nei peccatori si conosce il peccato e la pena insieme del danno eterno.

43. (L) TE vivo. SUONA significa.

(SL) BUONA. Æn., VI: Nulli fas casto sceleratum insistere limen. -— SvoxA. Som. : Quod nomen sonat. 44. (L) MENTE: memoria dello spavento avuto.

(SL) TREMÒ. Æn., VI: Sub pedibus mugire solum. Geor., IV: Terque fragor stagnis auditus Averni. 45. (SL) LagrIMOSA. Æn., VI (dell' Inferno): Lugentes campi. Hor. Carm., I, 21: Bellum lacrymosum.

(F) TERRA. Cic., de Div., H, 19: Piace agli stoicí che gli aneliti della terra freddi, come si cominciano a muovere, siano i venti. BALENO. Forse qui accenna al fulmine ch' esce di terra già noto agli Etruschi, al dire di Seneca.

Celestino V, Bonifazio VIII e altri papi.

Dante fra i dappoco riconosce alla prima alcuno de' già noti a lui, e così marchia gli uomini del suo tempo. Poi guarda e vede Celestino, e nel vederlo, incontanente intende ed è certo che codeste sono le anime de' dappoco: nell' inconlanente e nel certo quanto veleno!

Celestino nel 1294 rinunzió, dopo cinque mesi cotto giorni, al papato e gli successe Bonifazio, l'amico de'Guelfi (1), da cui tutti i mali di Dante. Questo è il gran rifiuto, il rifiuto di quello che il Poeta chiama (2) gran manto; del quale rifiuto l'Ottimo disse: donde la Chiesa di Dio e 'l mondo incorrea in grandi pericoli. Così spiegano Benvenuto e altri antichi. Il Caro, in una lettera, no

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mina, fra i degni amici della solitudine, Celestino. Egli accettò con terrore il papato; era dunque umiltà la sua, non viltà. Bonifazio lo perseguito accanitamente. Gittato dalla tempesta a piè del Gargano, mentre stava per passare l'Adriatico, fu tratto a morire in un castello della Campania nel 1296. Bonifazio, al dir del Boccaccio, il fece in una piccola chiesicciuola, senza alcuno onore funebre, seppellire in una fossa profondissima: acciocchè alcuno non curasse di trarnelo giammai. Fu nel 1313 canonizzato da Clemente : ma Dante allora aveva già scritto l'Inferno.

Forse il rifiuto fatto non per moto spontaneo, ma dopo i terrori ispiratigli da Bonifazio, parve a Dante meno umiltà generosa che superstiziosa paura e certamente quel rifiuto al Poeta dolse non tanto in sè, quanto per aver dato il seggio

al potente ed astuto avversario di sua parte. E forse alla misera fine di Celestino saranno stati pretesto i sospetti del successore, il quale poteva, in quel tempo tuttavia d'antipapi, temere ch' altri, vivente il monaco, gridasse lui antipapa : forse tra gli uomini di parte si sarà sparso rumore chè Celestino, pentito del rifiuto, rivolesse il seggio, non tanto per ambizione, quanto per coscienza, e per toglierlo ad uomo troppo mondanamente principe: forse in questo rumore era più di vero che non nelle violenze da Bonifacio fatte all'emulo suo spodestato. Nel confessare che Dante uso troppa o irriverenza o severità contro lui, giova d'altra parte soggiugnere ch' e' poteva averne una qualche ragione storica non nota a noi, od almeno, nella falsa fama del tempo, una scusa. Cosi quello che nel vensettesimo dell'Inferno è detto di Guido, tuttochè paia inverisimile, non si può rigettare siccome falso. Non aveva Bonifazio di bisogno di ricevere da nessun frate il consiglio del molto promettere e poco attenere ; ne per la carità di tale consiglio accadeva ch'egli promettesse indulgenza al peccato futuro; ma, spogliata la narrazione di quella ironia passionata che le dà aspetto di favola, riman possibile che Bonifazio chiedesse al frate guerriero e politico del come vincere i suoi nemici, e che questi gli consigliasse non forza ma frode. Del resto, la prigionia di Celestino sarà ritornata terribile più che spettro negli occhi di Bonifazio insultato da'suoi indarno insidiati e combattuti nemici. La qual trista fine dimostra quanto eccedano il giusto le lodi da taluno date alla sapienza politica del disprezzato e compianto da Dante.

I papi dunque nella Commedia biasimati, oltre a Celestino nel Limbo per dappocaggine, a Martino nel Purgatorio per ghiottoneria, e ad Adriano ivi stesso per avarizia, sono nell' Inferno Anastagio, che egli per isbaglio storico scambia con un imperatore il qual cascò in eresia; poi de' più prossimi al tempo suo, Nicolò III fra' simoniaci, e Bonifazio VIII e Clemente V, a' quali ancor vivi e' forava la buca infuocata, come intesse su in Paradiso ad Arrigo VII la corona di luce. Ultimo viene Giovanni XXII, francese anch'egli come Clemente, e fulminato con lui da s. Pietro nel verso: Del sangue nostro Caorsini e Guaschi S'apparecchian di bere (1).

Ma egli non rinnega la reverenza delle somme chiavi, e del gran manto che non può non pe

(1) Inf., XI, XIX; Purg., XIX XXIV; Par., XXVII, XXX.

sare a chi lo guarda dal fango, e del luogo santo ove siede il successor del maggior Piero (1); acciocchè sia smentito il sogno del Foscolo che voleva fare di Dante un Maometto, senza che egli, anima franca, mai pronunziasse parola accennante a cotesto; cioè farne un pazzo e un vile e un ipocrita; dappoichè nel Poema sono puniti di pene eterne gli eretici e i seminatori di religiose discordie (2). Ma più sono in numero i papi da lui rammentati con lode, per verità antichi tutti: Pietro, Lino, Clemente, Sisto, Pio, Callisto, Urbano, Silvestro (non ostante la donazione alla qual Dante credeva), Gregorio il grande (notabile ch'e' non rammenti Leone); e del secolo precedente al suo, Innocenzo ed Onorio, senza che sia cenno di quel Benedetto XI, il qual doveva pur essergli memoria onorata (3). Ma de' papi-e de' prelati e de' chierici in genere tocca nella prima Cantica a proposito d'avarizia e di simonia (4): nella seconda, ove è detto della persecuzione da Clemente fatta contro il cadavere di Manfredi, e delle maledizioni date in terra, ma talvolta disdette dalla misericordia infinita; e là dove son ripresi coloro che non lasciano sedere Cesare sulla sella, onde l'Italia fiera è fatta più fella; e là dove è detto del non si potere il regno temporale, secondo lui, conciliare con quello dello spirito; e nella visione della donna contaminata dall'osceno gigante, e del carro fatto cosa mostruosa (5): nella terza Cantica finalmente laddove riprendesi chi s'oppone al segno dell'aquila non meno di chi lo combatte appropriandoselo; e là dove è gridato che i florini di Firenze fanno lupo del pastore, è vaticinata al Vaticano libertà da quell'adulterio; e là dove è commendata la povertà sposa a Francesco d'Assisi, fino a lui dispregiata, e a proposito di lui e di Domenico gettate contr' altri parole di sentenza severa; e là dove recansi alle sorti di Roma i dolori e di Firenze e di Dante; e di nuovo rinfacciasi l'amore del fiorino che fa sconoscere l'Apostolo pescatore in grazia del Battista inciso sulle monete; e altre querele iraconde e contro il lusso sfoggiato e contro la degenerazione degli antichi costumi, e la vendita delle cose sacre, e gli odii dalla religione attizzati (6).

-

(1) Inf, II, XIX; Purg., XIX. E nel IX del Purgatorio e nel V del Paradiso ritorna sulla potestà delle chiavi. (2) Inf., X, XI, XXVIII. — (5) Inf., XIX, XXVII; Purg., I; Par., XI, XXVII. (4) Inf.. VII, XIX. (5) Purg., III, VI, XVI, XXXII, XXXIII. (6) Par., VI, IX, XI, XII, XVI, XVIII, XXI, XXIV, XXVII.

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