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CANTO XXI.

Argomento.

Guarda in Beatrice, e sale in Saturno. Ella non sorride quivi, perchè l'uomo non potrebbe sostenere la forza dell'alto sorriso; e gli spirili per la ragione stessa non cantano. Ved' egli una scala simile a quella di Giacobbe, simboleggiante l'altezza del contemplare, e per essa l'anime de'santi eremiti. S. Pier Damiano gli parla, e risponde circa la predestinazione; domanda alquanto forzata in questo luogo, ma tiratavi dal Poeta per poter toccare di quest'alto dogma, si che nessuna sublimità della fede foss' esclusa dal suo Paradiso. Dalla semplicità degli antichi monaci gli s'apre via a maledire le pompe de' nuovi prelati.

Piena di vita lirica la fine del Canto, e di mistica altezza il principio.

Nota le terzine 2, 4, 5, 8, 10, 11, 13, 14, 16, 21, 24; la 33 alla 36; 39, 40; la 42 sino alla fine.

1.

Gia

eran gli occhi miei rifissi al volto
Della mia donna, e l'animo con essi;
E da ogni altro intento s'era tolto.

2. Ed ella non ridea; ma: S'io ridessi,
Mi cominciò, tu ti faresti quale
Fu Semelè quando di cener fêssi.

3. Chè la bellezza mia (che per le scale

Dell'eterno palazzo più s'accende, Com' hai veduto, quanto più si sale), 4. Se non si temperasse, tanto splende,

Che' tuo mortal podere al suo fulgore
Sarebbe fronda che tuono scoscende.
5. Noi sem levati al settimo splendore,

Che sotto 'petto del Lione ardente
Raggia mo, misto giù del suo valore.

1. (SL) ANIMO. Inf., XXIV, t. 44: Drizzò verso me l'animo e 'l volto.

2. (L) FESSI: si fece, pel fulmine di Giove, amante suo. (SL) SEMELE. Ov. Met., III. CENER. Stat., X: Cinere semeleaque busta. Simbolo, come Fetonte, di punita ambizione.

3. (SL) PALAZZO. Cic., Somn. Scip.: Æternam domum. 4. (L) FRONDA CHE TUONO SCOSCENDE: ramoscello fulminato.

(SL) FRONDA. Bocc., Ninf., XXXIX: Colse due frondi, E d' esse una ghirlanda si faceva.

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5. (L) AL SETTIMO SPLENDORE: a Saturno. - Mo: ora. Suo: del Leone.

(SL) MISTO. Par., II, t. 48: Virtù mista degli astri. (F) SETTIMO. Saturno, pianeta freddo, che, al dire di Tolomeo, fa l'uomo malinconico, non curante del vestire, nè d' altro ornamento; però vi colloca gli eremiti. Da questo pianeta, secondo Macrobio (Somn. Sc., I, 12), la virtù contemplativa discende. LIONE. Saturno era allora nel grado ottavo, minuti quarantasei dal Leone, il Sole in Ariete in principio. - ARDENTE. Ott. : Leo è di natura calda e secca; ed era nell'ottavo grado. VALORE. Conv., IV, 2: Valore quasi potenzia di natura, ovvero bontà da quella data.

6. Ficca dirietro agli occhi tuoi la mente, E fa di quelli specchio alla figura Che 'n questo specchio ti sarà parvente. 7. Qual sapesse qual' era la pastura Del viso mio nell'aspetto beato, Quand' io mi trasmutai ad altra cura, 8. Conoscerebbe quanto m'era a grato Ubbidire alla mia celeste scorta, Contrappesando l' un con l'altro lato. 9. Dentro al cristallo che 'l vocabol porta, Cerchiando il mondo, del suo caro duce Sotto cui giacque ogni malizia morta, 10. Di color d'cro in che raggio traluce, Vid' io uno scaléo eretto in suso Tanto che nol seguiva la mia luce.

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6. (L) Fa di quelli specchio...: guarda la scala che t'apparrà in questo pianeta.

(SL) FA. Purg., XXXI, t. 41: Come in lo specchio il sol, il Grifone raggia negli occhi di Beatrice. Ma i due specchi paiono giuoco. SPECCHIO. Petr.: Di viva neve in ch' io mi specchio e tergo. Specchio dice il sole (Purg., IV, t. 21. Arist., Meteorolog., III, 2). 7. (L) QUAL SAPESSE...: chi sapesse quant' io gioiva guardando Beatrice, quando mi volsi altrove.

(SL) PASTURA. Æn., I: Animum pictura pascit. In questo senso pastura ora parrebbe pesante. 8. (L) GRATO: grado. L'UN CON L'ALTRO LATO: il piacere di vederla e quel d' ubbidirle.

9. (L) AL CRISTALLO CHE 'L VOCABOL PORTA: al pianeta Saturno. Suo del mondo. SOTTO CUI: l'età dell'oro.

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11. Vidi anche per li gradi scender giuso Tanti splendor' ch'i' pensai ch'ogni lume Che par nel ciel, quindi fosse diffuso. 12. E come per lo natural costume

Le pole insieme al cominciar del giorno, Si muovono a scaldar le fredde piume, 13. Poi altre vanno via senza ritorno,

Altre rivolgon sè onde son mosse, E altre roteando fan soggiorno; 14. Tal modo parve a me che quivi fosse In quello sfavillar che 'nsieme venne, Si come in certo grado si percosse. 15. E quel che presso più ci si ritenne,

Si fe' si chiaro ch'io dicea pensando: Io veggio ben l'amor che tu m'accenne.» 16. Ma Quella ond' io aspetto il come e 'l quando Del dire, e del tacer, si sta ond' io, Contradisio, fo ben s'l' non dimando. 17. Per ch'ella che vedeva il tacer mio Nel veder di Colui che tutto vede, Mi disse: Solvi il tuo caldo disio. 18. Ed io incominciai:

-

La mia mercede

Non mi fa degno della tua risposta:
Ma, per colei che 'l chieder mi concede,

19. Vita beata che ti stai nascosta

Dentro alla tua letizia, fammi nota
La cagion che si presso mi t'accosta.

Petr., son. XVI (in Vita): Orbo senza luce. Inf., X, t. 34: Quel ch'ha mala luce.

(F) ORO. Par., XVII, t. 44: Corrusca, Quale a raggio di sole specchio d'oro. Tanto preziosa è la vita contemplativa. SCALEO. Gradi del contemplare, In Marte pone la croce, segno di martirio; in Giove l'aquila, segno d'impero. Bolland., I, 528: Vidit a lecto porrectam scalam cœlosque summitate tangentem in qua angeli ascensus suos atque descensus amicis vicibus alternabant. Quo profecto debentur intelligi non defuturos in hoc loco quamplures qui vel ad proximum sublevandum cum Martha pia compassione descenderunt, et ascenderunt cum Maria celsitudinem Domini contemplando. Il simile a pag. 50.

11. (L) LUME d'astri e di spiriti.

(SL) OGNI. Può intendere e della luce diffusa, e delle anime. Io intendo le due insieme.

12. (L) POLE: Cornacchie.

(SL) FREDDE. Similitudine conveniente a Saturno, non ai beati che ardono in Dio.

14. (L) IN CERTO GRADO SI PERCOSSE: giunse a certo grado della scala.

(SL) PERCOSSE. Cellini: Percossomi in un frate. 16. (L) QUELLA: Beatrice. - STA: tace. 17. (L) SOLVI: sazia.

(F) VEDE. Pare giuoco; ma vedere in questa visione, a similitudine delle profetiche, è parola sacra. Nella Genesi (XXII,44) il luogo santo è chiamato Dio vede. 18. (L) MERCEDE: merito. PER COLEI: per Beatrice. (F) MERCEDE. Inf., IV, t. 12: S'egli hanno mercedi. Spesso contrappone l'idea del merito all'idea della grazia.

19. (L) Tua LETIZIA: luce che viene da gioia.

(SL) NASCOSTA. Par., V, t. 46: Per più letizia si mi si nascose Dentro al suo raggio la figura santa. NOTA. Modo anche biblico. ACCOSTA. Fa accostare, come Virgilio (Æn., I): Quæ vis applicat oris.

--

20. E di' perchè si tace in questa ruota La dolce sinfonia di paradiso,

Che giù per l'altre suona si devota. 24. Tu hai l'udir mortal si come 'l viso (Rispose a me): però qui non si canta Per quel che Beatrice non ha riso. 22. Giù per li gradi della scala santa Discesi tanto, sol per farti festa Col dire e con la luce che mi ammanta. 23. Nè più amor mi fece esser più presta; Chè più e tanto amor quinci su ferve, Si come 'I flammeggiar ti manifesta.

24. Ma l'alta carità che ci fa serve

Pronte al Consiglio che 'l mondo governa, Sorteggia qui, si come tu osserve. 25. Io veggio ben (diss' io) sacra lucerna, Come libero amore in questa corte Basta a seguir la provvidenza eterna. 26. Ma quest' è quel ch' a cerner mi par forte: Perchè predestinata fosti sola

A questo ufficio tra le tue consorte. 27. Non venni prima all' ultima parola,

-

Che del suo mezzo fece il lume centro,
Girando se come veloce mola.

28. Poi rispose l'amor che v'era dentro:
Luce divina sovra me s'appunta,
Penetrando per questa ond' io m'inventro.
29. La cui virtù, con mio veder congiunta,
Mi leva sovra me tanto ch' io veggio
La somma Essenzia della quale è munta

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(SL) CONSIGLIO. Purg., XXIII, t. 24: Dell'eterno consiglio Cade virtù. SORTEGGIA. Sorte nel senso virgiliano non casuale. Æn. VI: Nec vero hæ sine sorte datæ, sine judice sedes. OSSERVE. Pare senso d' uso moderno; ma Virgilio (Georg., I): Sidera serva. 25. (L) LiberO AMORE... BASTA: ubbidite spontanee. (SL) LUCERNA. Joan., V, 35: Erat lucerna ardens et lucens. Som.: Sul candelabro della vecchia legge accendevansi lucerne d'olio. AMORE. Par., III, t. 23. 26. (L) CERNER: vedere.

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(SL) CONSORTE. Per consorti, come pingue per pingui (Par., XXIII, t. 19). Psal., XLIV, 8: Unwil le... oleo lætitiæ præ consortibus tuis.

27. (SL) CENTRO. Purg., XIII, t. 5: Fece del destro lato al muover centro. - MOLA. Par., XII, t. 4. 28. (L) S' APPUNTA : s' appoggia. QUESTA OND' 10 M'INVENTRO: questa luce nel cui ventre io son chiuso.

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30. Quinci vien l'allegrezza ond' io fiammeggio; Perch'alla vista mia, quant' ella è chiara, La chiarità della fiamma pareggio. 31. Ma quell' alma nel ciel che più si schiara, Quel Serafin che 'n Dio più l'occhio ha fisso, Alla dimanda tua non soddisfára:

32. Perocchè si s'innoltra nell'abisso

Dell' eterno statuto quel che chiedi,
Che da ogni creata vista è scisso.

33. E al mondo mortal, quando tu riedi,
Questo rapporta, si che non presumma
A tanto segno più muover li piedi.
34. La mente che qui luce, in terra fumma.
Onde riguarda, come può laggiue
Quel che non puote perché 'I ciel l'assumma.-
35. Si mi prescrisser le parole sue,

36.

Ch'io lasciai la quistione, e mi ritrassi
A dimandarla umilmente chi fue.
Tra' due liti d'Italia surgon sassi
(E non molto distanti alla tua patria),
Tanto che i tuoni assai suonan più bassi;

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30. (L) QUINCI: da Dio. PERCH' ALLA VISTA....: quanto veggo Dio, tanto splendo.

(SL) CHIARITA. Guido Giud.: Chiarità di fuoco. (F) CHIARITÀ. In Paolo, Greg. Video claritatem divini luminis. Som.: Vede più chiaramente Dio. 31. (L) SCHIARA di lume divino. DIMANDA TUA della predestinazione. SODDISFARA: soddisfarebbe. (SL) SERAFIN. Par., IV, t. 10: De' serafin colui che più s'india. Occhio. Ugo S. Vit.: Aver aperto l'occhio della contemplazione. SODDISFARA. Come podesta. Inf., VI, t. 32.

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(SL) FUMMA. Hor. Poet. Non fumum ex fulgore, sed ex fumo dare lucem. Purg., XV, t. 22: Però che tu rificchi La mente pure alle cose terrene, Di vera luce tenebre dispicchi. PERCHÈ. Inf., XXXII, t. 54: Perchè tu mi dischiomi, Nè ti dirò.. ASSUMMA. Frequente nella Bibbia a denotare l'elevazione fatta per la grazia.

35. (L) Si MI PRESCRISSER: così restrinsero il mio volere.

(SL) PRESCRISSER. Petr., son. XX (in Vita): L'onorata fronda che prescrive L'ira del ciel. - UMILMENTE. Purg., III, t. 37: Mi fui umilmente disdetto. 36. (L) TRA DUE LITI: tra il Tirreno e l' Adriatico. SASSI: gli Apennini. - TANTO sorgono.

(SL) SASSI. En., VIII: Samo incolitur fundata

37. E fanno un gibbo che si chiama Catria, Di sotto al quale è consecrato un ermo Che suol esser disposto a sola latria. 38. Così ricominciommi il terzo sermo; E poi continuando disse: · Quivi Al servigio di Dio mi fei si fermo, 39. Che pur con cibi di liquor d' ulivi Lievemente passava e caldi e gieli, Contento ne' pensier' contemplativi. 40. Render solea quel chiostro a questi cieli Fertilemente: ed ora è fatto vano; Si che tosto convien che si riveli. 41. In quel loco fu' io Pier Damiano: (E Pietro Peccator fui nella casa Di nostra donna in sul lito Adriano.)

vetusto Urbis.... sedes. PATRIA. Quanta poesia in questo verso si semplice! TUONI. Stat. II: Summos nec præpetis alæ Plausus adit colles nec rauca tonitrua pulsant.

(F) TUONI. Che si formano nella seconda regione dell'aria. Arist. Meteor.

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37. (L) GIBBO: rialto. ERMO: S. Croce dell' Avellana. -LATRIA: culto a Dio

(SL) GIBBO Comâne il traslato di dosso e spalle di monte. - CATRIA. Gigante degli Apennini. Nel ducato d'Urbino tra Gubbio (ove dimorò Dante) e la Pergola.

(F) LATRIA. Aug., de Civ. Dei, X: Latria che appartiene al culto di Dio è altro dalla Dulia che è il servigio dell' uomo. Som.: Ertria debetur soli Deo. Vedi Som., 2, 2, 84; 5, 1, 25.

38. (L) TERZO SERMO: parlò già due volte.

(SL) RICOMINCIOMMI. En., VI: Incœpto sermone. TERZO. Terzine 24, 28. SERMO. Inf., XIII, t. 46. — Pot. Par., V, t. 6: Si cominciò Beatrice questo canto... Continuò cosi'l processo santo. Più schietto qui. 39. (L) PUR: sol.

(SL) ULIVI. Plurale. Som.: Oleo olivarum. 40. (L) RendeR SOLEA anime. VANO: Vuolo di bene. RIVELI il suo male.

-

(SL) VANO. Par., X, t. 32: U' ben s'impingua se non si vaneggia. TOSTO. Al solito degli uomini di parte, specialmente se sventurati, annunzia prossima la fine.

41. (L) ADRIANO: Adriatico.

(SL) PECCATOR. Petr., de Vit. Solit., I. II, s. 5, c. 17: Quel Pietro che si cognomina Damiano, sebbene e del suo nome e della sua vita e de' fatti sieno discordi coloro che ne scrissero... Ma io ricercandone più esattamente, mandato che ebbi al monastero dov' egli fiori, dalla testimonianza di que' religiosi raccolsi lui essere stato dapprima in vita solitaria, poi con alle cariche della Chiesa, da ultimo spontaneamente ritornato alla sua solitudine. [Tiraboschi, Stor. della letter., I. IV, c. 11. ADRIANO. Bolland., I, 983...: Gulfo Adriano. Hor. Carm., I, 16: Mari... Adriano; e nel Convivio. Pietro degli Onesti, detto il Peccatore, mori d'anni ottanta nel 1119, e fondò il monastero di S. Maria del Porto presso Ravenna. Pier Damiano morì nel 1080: e giovane, era entrato al monastero di Fonte Avellana, dove l'esule Poeta soggiornò qualche tempo: di che rimane a memoria un' effigie di lui. Pare che alcuni confondessero al tempo di Dante Pier Damiano con Pietro Peccatore, s' egli qui discende a siffatta avvertenza. E la dimocura che il Petrarca si prende d'informarsene, stra che l'uomo n'era degno.

42. Poca vita mortal m'era rimasa,

Quando fui chiesto e tratto a quel cappello Che pur di male in peggio si travasa. 43. Venne Cephas, e venne il gran vasello Dello Spirito Santo, magri e scalzi, Prendendo il cibo di qualunque ostello.

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42. (L) TRATTO: come a forza. CAPPELLO di cardinale. — DI MALE IN PEGGIO SI TRAVASA: passa di indegno in più indegno.

(SL) TRATTO. Egli è tratto al cappello, non trae sè al cappello; nè il cappello a sè, nè il cappello gli è tratto addosso, nè egli lo trae nella polvere. — CAPPELLO. Ott. Per dignitade di cappello non mutò abito d'animo, nè pelo di vestimenta, e di lui si leggono laudabili opere. TRAVASA. Purg., VII, t. 59: Bene andava

il valor di vaso in vaso.

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IL GRAN VASELLO: Paolo.

(SL) CEPHAS. Joan., I, 42: Tu vocaberis Cephas: quod interpretatur Petrus. L'Apostolo (Ad Corinth., I; Ad Gal., II) lo chiama cosi. VASELLO. Act., IX, 15: Vas electionis. SCALZI. Par., XI, t. 28: Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro. — PRENDENDO. Non pigliando o togliendo. Qui per ricevere. — QUALUNQUE. Senza il verbo poi, pare d'uso moderno; ma il verbo era bello sottintendere. OSTELLO. LO chiedevano a titolo d'ospitalità, non già per piantarvisi. Ad Hebr., XIII, 44: Non... habemus hic manentem civitatem.

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Il mistero.

Tuttochè quel che dicesi a soluzione del dubbio proposto paia ridursi ad un argomento solo, l'ignoranza umana; ben riguardando, in quest' uno argomento altri parecchi riconosconsi inchiusi. Il primo è tolto dall' idea di creazione, la quale idea, dimostrando da sè il creatore maggiore della creatura, dimostra dover essere di necessità incomprensibili a questa i disegni di quello. E lo dice in imagine degna dell' ispirato oriente: Colui che volse il sesto Allo stremo del mondo (1). Anco il Milton (2) ha l'imagine della sesta; ma troppo a lungo ci si ferma, e con ciò, non foss' altro, la renderebbe materiale troppo, e cosa da matematico e da ingegnere. Ma Salomone: gyravil cœlum in circuitu gloriæ suæ (3); dove la gloria, cioè l'insieme della potenza e della sapienza e dell' amore, e la luce una e trina che n' esce, circonda, quasi mare isola, l'universo. Gyro vallabat abyssos (4); dove alla creazione ed insieme alla mente dell' uomo è circondato un giro, quasi vallo e difesa di luce, che. agli occhi deboli

(1) Par., XIX, t. 14. - (2) VII, 224. (3) Eccli., XLIII, 13. — (4) Prov., VIII, 27.

nostri si fa tenebra per soverchio bagliore. E Davide: Tu fecisti omnes terminos terræ (1), per denotare che il creatore de' limiti è quello insieme che li riempie e aiuta a trascenderli ed è necessariamente più grande de' limiti. E Salomone di nuovo tutto dispose in peso e in numero ed in misura, dove all' idea del circuito aggiungonsi altre più intime e non meno ampie, dalle quali apparisce che in ogni atomo della creazione è quella medesima precisione che nel gran tutto, cioè non meno ammirabile mostra di potenza e sapienza ed amore. Al paragone di tali imagini pare angusta quella di Prudenzio, che pure è si grande in sè stessa: Deus ingens atque superfusus trans omnia nil habet in se Extremum ut claudi valeat (2).

La vista dell'uomo, dice il Poeta, non può essere che uno de' raggi della mente di cui sono ripiene tutte le cose; non potendo dunque essa riempiere di sè tutte le cose, può molto meno comprenderle, e ancor meno comprendere la mente suprema.

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Virgilio disse piene di Giove le cose tutte (1); e le Scritture, con imagine più ampia e più spirituale, pieni della gloria divina la terra e i cieli. E Virgilio più volte nomina la mente divina, e non mi rammenta ch' altro poeta pagano lo faccia a quel modo (2). Platone nomina mente quella che opera dal principio con intelligenza (3). Anassagora dice che, essendo da prima le cose tutte insieme, e da infinito tempo nella quiete, la mente col moto le eccitò e le distinse (4). Nella Monarchia: la mente del primo motore, e parlando della creazione morale (dacchè ogni movimento dell' anima in quant'è da Dio, cioè buono, è creazione, e l'uomo se lo torce a male tende al disfacimento proprio e delle cose) le lingue e greca e latina e italiana adoprano voci significanti idea di moto; e anche nel senso morale questa parola è amata da Dante (5). Ma perchè Dio è motore immoto, per ciò stesso, la natura sua, e quindi la sua volontà, non può non trascendere i moti dell'umana ragione; dacchè l'uomo è trasmutabile di natura sua (6), e il consiglio di Dio è quel volume U' non si muta mai bianco nẻ bruno (7). Ogni natura minore È corto ricettacolo a quel Bene Ch'è senza fine, e sè in sè misura (8). Dio massimamente conoscendo sè stesso ritorna sopra l'essenza sua (9) — Dio non è misura proporzionata alle creature misurate (10). — L'intelletto di Dio è misura d'ogni essere e d'ogni intelletto (14). Dio non può essere compreso da alcuno intelletto creato (12). All' anima che vede

il creatore ogni creatura è angusta, che per quanto poco ella vegga della luce del creatore, ogni cosa creata le si fa piccola (13). Pervenire alcun po' colla mente a Dio, egli è beatitudine grande; comprenderlo, impossibile affatto (14).

Se quel che s'intende è limitato dalla comprensione dell'intelligente (15), chiaro è che Dio non può essere inteso dall' uomo, nè interamente compreso il menomo de' disegni di lui, dacchè quel che noi impropriamente diremmo il menomo de' suoi disegni, è tutt' uno coll'idea dell'intero, cioè con Dio stesso. Ed Agostino, sentendo il buio dell'essere proprio con chiarezza tale qual mai non fu sentita da mente pagana, soggiunge sublimemente: L'anima mia non è capace a concepire una

(1) Buc., III. (2) Georg., IV: Divinæ mentis. En., VI Mens agitat molem; IV: Haud sine mente Divum. (3) Arist. Phys. (4) Arist. Phys., VIII: Distinse tanto occulto e manifesto. (5) Qui stesso, del ricrearsi dell' anima di Rifeo nella fede (Par., XX,t. 37): Polesse sua voglia esser mossa; - XVIII, t. 33: Il ben che a se le muove; - Inf., II, t. 24: Amor mi mosse. (6) Par., V. (7) Par., XV, t.17.- (8) Par., XIX, t. 17. Som. La perfezione della natura inferiore.—(9) Som., 1, 1, 14. - (10) Som., 1, 1, 13. — (14) Som., 1, 1, 16. (12) Som., 2, 1, 4. (13) Greg. Dial., II. (14) Aug. Sermo de verb. Dom, XXXVIII. - (15) Aug.,

XXII,

83.

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parte di sè; io stesso non capisco quello che sono. Una notabile e nuova comparazione qui del Poeta, diventa, come tutte le comparazioni vere, argomento nuovo e forte: Fai come quei che la cosa per nome Apprende ben; ma la sua quidditate Veder non puote s'altri non la prome (1): dov'è avvertitamente accennato al misterioso modo come l'animo intende il linguaggio, che i nomi delle cose sovente le sono accessibili tanto da usarli accomodatamente nel consorzio della vita, e pur nondimeno le sono oscuri i significati ultimi d'essi nomi. La parola dunque più chiara ha le tenebre sue: or come non ne avrà la natura delle cose, come non ne avrà quella che Dante nomina meditatamente la radice della predestinazione delle anime, che, appunto per essere radice e per vivere, dee rimanere non tocca neppure dagli occhi dell' uomo?

Lume non è, se non vien dal sereno Che non si turba mai; anzi è tenebra. Ogni creatura è tenebre comparata all' immensità del lume divino (2). E con altra imagine più profonda insieme e più chiara denotasi la medesima cosa nella terzina 32: Perocchè si s' innoltra nell' abisso Dell' eterno statuto quel che chiedi, Che da ogni creata vista è scisso (3). Ora conosce assai di quel che 'l mondo Veder non può della divina grazia, Benchè sua vista non discerna il fondo (4). Dove a' Beati stessi: Quell'alma nel ciel che più si schiara, Quel Serafin che 'n Dio più l'occhio ha fisso (5) riconosce il Poeta non conceduta la piena visione delle. superne profondità. Onde altrove: Per grazia che da si profonda Fontana stilla, che mai creatura Non pinse l'occhio insino alla prim' onda (6): dove l'imagine della fontana (7) che parrebbe piccola all' ampiezza dell'idea da indicare, è ampliata e sublimata da quell'occhio che sale e non può salire tant' alto, e da quella prima onda che rimane inaccessibile negli abissi sovrani. Ma ritornando all' imagine del pelago immensurabile: Nella giustizia sempiterna La vista che riceve il vostro mondo, Com'occhio per lo mare, entro si interna: Chè, benchè dalla proda veggia il fondo, In pelago nol vede: e nondimeno Egli è, ma cela lui l'esser profondo (8). E qui il Damasceno: Tutto comprendendo in sè, ha lo stesso essere come un pelago di sostanza infinito.

(1) Par., XX, t. 31. - (2) Par., XIX, t 22. Som., 2, 2,5 e 1, 64. - (5) Purg., VI, t. 41: O è preparazion che nell'abisso Del tuo consiglio fai, per alcun bene In tutto dall' accorger nostro scisso? (La medesima giacitura di voci e numero rotto, per dinotare col suono stesso la divisione necessaria.) Par., VII, t. 32: Ficca mo l'occhio per entro l'abisso Dell' eterno consiglio, quanto puoi Al mio parlar distrettamente fisso.— (4) Par., XX, t. 24. (5) Terz. 31. (6) Par., XX, t. 40. Purg., VIII, t. 25: Si nasconde Lo suo primo perchè, che non gli è guado. (7) Som. Sommo fonte de beni. (8) Par., XIX, t. 21,

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