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40. Fecesi voce quivi; e quindi uscissi

11.

Per lo suo becco in forma di parole,
Quali aspettava 'l cuore ov'io le scrissi.
La parte in me che vede e pate il sole
Nell' aguglie mortali (incominciommi),
Or fisamente riguardar si vuole.
12. Perchè de'fuochi ond' io figura fommi,
Quelli onde l'occhio in testa mi scintilla,
Di tutti i loro gradi son li sommi.
43. Colui che luce in mezzo per pupilla,
Fu il cantor dello Spirito Santo,
Che l'arca traslatò di villa in villa.
14. Ora conosce 'I merto del suo canto,

In quanto affetto fu del suo consiglio,
Per lo remunerar ch'è altrettanto.

15. De' cinque che mi fan cerchio per ciglio,
Colui che più al becco mi s'accosta,
La vedovella consolò del figlio.

16. Ora conosce quanto caro costa

Non seguir Cristo, per l'esperienza

Di questa dolce vita e dell'opposta. 17. E quel che segue in la circonferenza, Di che ragiono, per l'arco superno, Morte indugio per vera penitenza.

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(SL) OCCHIO. La vede in profilo, con un solo occhio dunque. In profilo era l'aquila delle insegne imperiali. Vedi lo stemma degli Scaligeri nella Serie d'aneddoti, n. II, c. 5.

13. (L) COLUI che luce....: più nobile, Davide. VILLA: città.

VI, 2.

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(SL) PUPILLA. Purg., X, t. 23 — ARCA. Reg., II, VILLA. Inf., I, 37.

(F) SPIRITO. Reg., I, XVI, 15: Directus est spiritus Domini a die illa in David.

14. (L) ORA Conosce il merito del suo canto; e quanto lo spirito che lo consigliava l' amasse, lo conosce dal premio che corrisponde al merito.

(SL) Fu. Lat. In amore esse. Vit. Nov. Lo cui nome fu sempre in grandissima riverenza di questa Beatrice. REMUNERAR: Som.: Remunerationes æternæ. 15. (L) PER CIGLIO: a mo' di ciglio. COLUI: Traiano che fece giustizia alla vedova orbata.

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(SL) COLUI. Traiano. Purg., X. Pietro: De inferno ubi erat, non definitive, ad corpus redivit; et, pœnitentia acta, sanatus est.

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Ripenserò a' te tutti i miei anni nell'amarezza dell'anima mia. Tu campasti l'anima mia, affinchè non perisse;‹ gettasti dietro le spalle le colpe mie tutte. L'amarezza del ripensare al male commesso e a' pericoli di quello accennasi nella Selva. Inf., I, t. 5: Tanto è amara, che poco è più morte.

18. (L) DEGNO: grato a Dio. - FA CRASTINO LAGGIÙ DELL' ODIERNO: fa seguire domani quel che sarebbe oggi. (F) DEGNO. L'immutabilità dei divini decreti non è tolta dalla preghiera che ottiene dilazione od affrettamento di cosa: poichè già la preghiera era antiveduta, e l'effetto di quella prestabilito: Aug., de Civ. Dei, XXII, 24: Dio può ad operazione nuova indirizzare consiglio non nuovo ma sempiterno. Pur., VI, t. 13: Chè cima di giudicio non s'avvalla, Perchè foco d'amor compia in un punto....

19. (L) L'ALTRO: Costantino. MECO: con me aquila. -Per cedere al Pastor si fece gRECO: per cedere Roma a papa Silvestro, andò a Costantinopoli.

(SL) BUONA. Inf., XIX, t. 39. - De Mon.: O felice quel popolo, se l'intenzion sua mai non l'avesse ingannato. Purg., XXXII, t. 46: Della donazione: Piuma offerta (Forse con intenzion casta e benigna).

20 (L) NON GLI È NOCIVO: non gli è imputato a colpa. - INDI: però, per il regno del Papa.

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(SL) Distrutto. Purg., XXXII, t. 49: Simile mostro in vista mai non fue. 21. (L) NELL' ARCO DECLIVO: piega del ciglio. · GuGLIELMO II.

(SL) DECLIVO. Ha l'origine d'inclinare, però non è improprio. GUGLIELMO. Re di Sicilia, detto il buon re; suocero d'Enrico di Svevia; padre di Costanza, la qual generò di Arrigo Federigo II. Anon.: Fu... giusto e ragionevole, amava li sudditi, e teneali in tanta pace che si poteva stimare il vivere siciliano d'allora esserc un vivere del paradiso terrestre. Era liberalissimo a tutti, e proporzionatore de' benefizii a virtù: e tenea questa regola, che se un uomo di corte cattivo o mal parlante in sua corte venía, era immantinente conosciuto per li maestri del re, e provveduto di doni e di robe, perchè avesse cagione di partirsi. Se era conoscente, si si partia; se non, cortesemente gli era dato comiato. Se era virtuoso, sì gli era similmente donato, ma continuo il teneano a speranza di maggiore dono. In sua corte si trovava d'ogni gente perfezione; buoni dicitori in rima, ed eccellentissimi cantatori, e persone d'ogni sollazzo virtuoso ed onesto. Nel 1155 scomunicato, nel 1577 si riconciliò con la Chiesa. - PLORA. Con desiderio piange di dolore sdegnoso. Par., XI, t. 46 : Piange per greve giogo. CARLO. Il Zoppo (Par., XIX, t. 45), il qual guerreggiava la Sicilia per averla; e Federigo d'Aragona, re di Sicilia, brutto ed avaro.

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22. Ora conosce come s'innamora

Lo ciel di giusto rege; ed al sembiante Del suo fulgore il fa vedere ancora. 23. Chi crederebbe giù nel mondo errante Che Rifeo troiano in questo tondo Fosse la quinta delle luci sante? 24. Ora conosce assai di quel che 'l mondo Veder non può della divina grazia, Benché sua vista non discerna il fondo. 25. Qual lodoletta che 'n aere si spazia,

Prima cantando, e poi tace, contenta Dell' ultima dolcezza che la sazia; 26. Tal mi sembiò l'immago della 'mprenta Dell'eterno piacere, al cui disio

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(SL) RIFÉO. Æn., II: Justissimus unus Qui fuit in Teucris, el servantissimus æqui. Mori per la patria. Pose in cielo Rifeo, non Enea, perchè d'Enea non poteva dire ch'e' non sofferisse il puzzo pagano.

24. (L) VEDER NON PUÒ quantunque beato. 25. (L) DOLCEZZA delle note.

(SL) SPAZIA. Georg., I: Cornix... in sicca... spatiatur arena. — DOLCEZZA. Georg., I, d' uccelli: Nescio qua præter solitum dulcedine læti.

26. (L) SembiÒ L'IMMAGO...: parve l'imagine dell'aquila, ch'è sigillo del volere di Dio, il quale fa ciò ch'e' vuole.

(SL) Disío. Di Dio non so se sia proprio. (F) È. Psal. XXXII, 9: Dixit et facta sunt. 27. (L) E AVVegna ch'io fossi al dubbiar...: sebbene mi leggesser nell'animo, pure il mio dubbio non sofferse indugio.

(SL) VETRO. Petr. Canz., VIII, 4 (in vita): Cristallo o vetro Non mostrò mai di fore Nascosto altro colore Che l'alma sconsolata assai non mostri Più chiari i pensier nostri. — VESTE. Petr. Canz., XXVI, 2 (in vita): Vestisse d'un color conforme. Ma forma e colore non si convengono.

28. (L) DELLA BOCCA... MI PINSE...: mi sospinse fuor della bocca il dubbio col suo peso quelle parole. - Di CORRUSCAR VIDI GRAN FESTE: Si preparavano a rispondermi.

30. (L) Ascose non intese.

(SL) Cose. Più sotto (terz. 31): la cosa... apprende. Le voci più semplici ripete più volontieri.

(F) CREDUTE. Greg. Hom., XXVI: Le cose che non si veggono, s'hanno per fede, non per cognizione. Som.: I fedeli hanno notizia delle cose credute non dimostrativamente, ma in quanto per il lume della fede veggono doversi quelle credere.

31. Fai come quei che la cosa per nome
Apprende ben; ma la sua quidditate
Veder non puote s'altri non la prome.
32. Regnum cœlorum violenzia pate

Da caldo amore e da viva speranza,
Che vince la divina volontate;

33. Non a guisa che l'uomo all'uom sobranza ;
Ma vince lei, perchè vuole esser vinta;
E, vinta, vince con sua beninanza.
34. La prima vita del ciglio e la quinta
Ti fa maravigliar perchè ne vedi
La region degli angeli, dipinta.
35. De' corpi suoi non uscir, come credi,
Gentili, ma cristiani, in ferma fede
Quel de' passuri, e quel de' passi piedi.
36. Chè l'una dallo 'nferno, u' non si riede
Giammai a buon voler, tornò all'ossa:

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E ciò di viva speme fu mercede;

31. (L) QUIDDITATE: quel ch'ell' è. - PROME: spiega. (SL) PROME. Lor. de Med. En., II: Expromere voces. Hor. Ep., II, 4: Promere jura.

(F) Quidditate. Som.: Essentiam seu quidquid est, seu quidditatem speciei (Quiddità, ossia natura). Arist. Met., VII. La definizione indica la quiddità e l'essenza della cosa. Som.: L'intelletto conosce la quiddità della cosa, come proprio oggetto; oggetto del senso sono gli accidenti esteriori. Perfettamente intendiamo quando allingiamo l'essenza della cosa intesa, e la stessa verità del pronunziato, in quanto è in sè; e in questo modo non possiamo intendere le cose che direttamente cadono sotto la fede. In altro modo intendesi imperfettamente, quando cioè la essenza della cosa colla verità della proposizione non si conosce quel che sia (quid sit) o come sia; ma conosciamo quelle cose che di fuori appariscono e alla verità non contrastano.

32. (L) ViolenZIA PATE: soffre essere guadagnato per forza di volontà.

(F) REGNUM. Matth., XI, 12: Vim patitur, et violenti rapiunt illud: cioè i virtuosi imprendendo ardue cose e sopportando le avverse.

33. (L) SOBRANZA: sorpassa. VINCE.... la virtù vince il volere divino, perchè questo vuole esser vinto, e, vinto, vince con la grazia sua..

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(F) FEDE. Joan., V, 5: Chi è che ha vinto il mondo, se non chi crede che Cristo è figliuolo di Dio? PASSI. Som.: Le cerimonie dell'antica legge significavano Cristo come nascituro e passuro: e i nostri sacramenti lo significano nato e passo. Così in Aug. cont. Faust., XIX, 16. — PIEDI. Psal. XXI, 47: Mi trapassarono le mani e i piedi. Il piede nella Bibbia, destando l'imagine della via, denota anche il sentiero della verità e della vita. Bello la fede nel dolore come pegno a speranza.

36. (L) UNA: Traiano. NON SI RIEDE. ... A BUON

37. Di viva speme che mise sua possa Ne' prieghi fatti a Dio per suscitarla, Si che potesse sua voglia esser mossa. 38. L'anima gloriosa onde si parla.

Tornata nella carne, in che fu poco, Credette in Lui che poteva aiutarla: 39. E credendo, s' accese in tanto fuoco Di vero amor, ch'alla morte seconda Fu degno di venire a questo giuoco. 40. L'altra (per grazia che da si profonda Fontana stilla, che mai creatura Non pinse l'occhio insino alla prim'onda), 41. Tutto su' amor laggiù pose a drittura:

Per che, di grazia in grazia, Iddio gli aperse L'occhio alla nostra redenzion futura. 42. Onde credette in quella; e non sofferse Da indi il puzzo più del paganesmo; E riprendeane le genti perverse. 43. Quelle tre Donne gli fur per battesmo Che tu vedesti dalla destra ruota, Dinanzi al battezzar più d'un millesmo.

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41. (L) A DRITTURA: a giustizia. - PER CHE: onde. (SL) DRITTURA. L'usa in una Canzone. Un inedito della Magliabechiana: Giustissimo, cioè operatore di virtù del quale dice Virgilio che solo era fra' Troiani che osservava tulla dirittura, Guittone: Corte di drittura.

42, (L) DA INDI: da quel punto.

(SL) PERVERSE. Non tanto triste, quanto pervertite dalla credenza falsa.

43. (L) TRE: Fede, Speranza, Carità. · RUOTA del

44. Oh predestinazion, quanto rimota È la radice tua da quegli aspetti Che la prima cagion non veggion tota! 45. E voi, mortali, tenetevi stretti

A giudicar; chè noi che Dio vedemo, Non conosciamo ancor tutti gli eletti. 46. Ed ènne dolce così fatto scemo:

Perchè ben nostro in questo ben s'affina; Che quel che vuole Iddio, e noi volemo. 47. Cosi da quella immagine divina, Per farmi chiara la mia corta vista, Data mi fu soave medicina.

48. E come a buon cantor buon citarista Fa seguitar lo guizzo della corda,

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ranza nostra, e quindi la tolleranza, in ampiezza degna della misericordia infinita. Dante leggendo in Virgilio di Rifeo guerriero, morto nel combattere per la patria, justissimus unus Qui fuit in Teucris et servantissimus æqui, e raffrontando le due voci giusto e servare, che nei libri della vecchia e della nuova Legge ritornano si frequenti e potenti, e ripensando forse alle tante locuzioni ed accenni che in Virgilio rincontransi consonanti allo spirito cristiano accettate dagli scrittori e dai popoli cristiani per infino a' nostri dì, non di bocca di Virgilio accettate, ma colte di là dov' egli le colse, dalla tradizione de' linguaggi antichissimi sacra, che è profezia continua non meno che storia; credette potere di questo Rifeo fare un simbolo delle anime che non conobbero la rivelazione direttamente, nè però esplicitamente credettero in essa, e pur sono destinate a salute. E gli piacque che fosse un cittadino di Troia, della città da cui vennero alla sacra Roma ed al Lazio i sacrifizii e gli dei (1): e gli piacque che Rifeo fosse nel ciglio dell'aquila accanto a're, unico cittadino, per denotare l'uguaglianza che i meriti veri fanno in cielo, e così dovrebbero sulla terra; per denotare che tra uomini privati può essere, siccome dignità sacerdotale, così più che regia, e che nelle città bene costituite, qualunque sia l'apparenza od il nome del reggimento, ciascun cittadino giusto partecipa della vera intima sovranità. Alla morte di Rifeo uomo giusto (2) soggiunge Virgilio: Dis aliter visum, che pare sentenza di rassegnazione all'imperscrutabile volere supremo: e avrà tanto più invogliato Dante a cogliere di qui il destro di toccare in tre Canti, l'un dopo l'altro, della salute de' buoni in vario modo credenti, della predestinazione (che è questione indissolubilmente legata con l'altra), e della imperscrutabilità dei divini voleri. Da quest'ultimo punto incominciasi nel diciannovesimo Canto; poi, preparate le menti, nel ventesimo viensi a Rifeo ed a Traiano; nel ventunesimo toccasi della predestinazione, che è quasi sigillo agli altri misteri, ed era contenuta nella questione della prescienza e della libertà, accennate o trattate nel diciassettesimo o in altri.

Il Poeta fra se domandava: un uomo nasce nell' Indie, dove non è chi parli nè sappia di Cristo; e i voleri e gli atti di codest' uomo son buoni quanto può vederlo l'umana ragione in quella condizione di luoghi e di tempi dov'egli vive senza

(4) En., XII: Sacra Deosque dabo: socer, arma LaLinus habeto. - VIII: Trojanam ex hostibus urbem Qui revehis nobis, æternaque Pergama servas. Onde forse il Manzoni : Del sangue incorruttibile Conservatrice eterna. (2) Simile modo nel VII dell' Eneide: Seniorque Galesus, Dum paci medium se offert, justissimus unus Qui fuit, Ausoniisque olim ditissimus arvis.

peccato in vita od in sermoni (1). Perchè sarà egli dannato? La fede indirizza l'intenzione rispetto al fine ullimo, cioè sopranaturale; ma anco il lume della ragione naturale può indirizzare l'intenzione rispetto ad alcun bene connaturale (2). — I Gentili ebbero virtù politiche, le quali però nell'altra vita non sono attuabili (3). Gl' infedeli non possono operare quelle opere buone che sono dalla grazia, cioè meritorie: ma le opere buone alle quali è sufficiente la bontà naturale possono in qualche modo operarle (4). Per l'infedeltà non

si corrompe totalmente la ragion naturale che non rimanga in essa una qualche cognizione del vero, per la qual possano fare alcuna opera buona (5). Poteva la mente de' fedeli al tempo della legge congiungersi per fede a Cristo incarnato e offerto per l'uomo (6). D'ogni tempo furono uomini appartenenti al nuovo Testamento (7). Molti verranno d'Oriente (8) e d'Occidente a sedere con Abramo, Isacco e Giacobbe; molti, sebbene sia angusta la porta che mette alla vita (9).

Della tradizione di Traiano, richiamato in vita acciocchè meritasse salvarsi, fu detto già, e nel Supplemento della Somma in genere è detto: Di tutti questi tali è da dire che non erano con finale sentenza dannati (10). Il Medio evo, che a noi pare si truce, con ignoranza piena di misericordia concedeva la salute eterna ad Alessandro Magno (14), così per modo di dire, e faceva dir messe per l'anima d'Ettore nella chiesa cattedrale di Troia.

Ma per venire al modo come tenevasi che la salvazione fosse operata in coloro i quali non avevano del Redentore idea diretta ed espressa, Agostino vi dira: Non è incongruo credere essere stati anche fra le altre genti uomini a cui venne rivelato tale mistero (12). E Dionigi: Mulli gentiles per angelos reducti sunt ad Deum (13). E Tommaso : A molti de' gentili fu fatta rivelazione di Cristo (14). Il dire come i teologi sogliono che ad uomo ignaro della redenzione, il quale adempiesse i precetti della naturale probità, Dio farebbe per mezzo di un angelo conoscere il vero, non esclude già gli altri mezzi più o meno ammirabili, ma ammirabili tutti, dove la grazia fa servire la natura stessa a'suoi fini; ma afferma che ad uomo tale la misericordia giusta sarebbe liberale anco de' più straordinarii suoi doui. Se non che potevano e possono

(4) Par.. XIX, t. 25. Modo del Vangelo e d'Aristotele. Eth., IV: Verum dicit et in sermone et in vita, Som., 2, 2, 111. Buono in vita e in sermone. — - (2) Som., 2, 2, 40. — (3) Som. Sup., 98. - (4) Som., 2, 2, 10. (5) Som., 1. cit. (6) Som., 2, 1, 405 (7) Som., 2, 1, 106. (8) Par., XIX, t. 57: E tai Cristian' dannerà l'Eľïópe, Psal. LXXI, 9, 10: Coram illo procident Etiopes... Reyes Tharsis et insulæ munera offerent, reges Arabum et Saba dona adducent. - (9) Aug. Conf., II. — (40) Som. Sup., - (11) Ozanam, p. 540. (12) Aug., de Civ. Dei, 18, 47, — (15) Dion. De Hier., IX. —(14) Som., 2, 2, 2.

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que' che non nacquero tra gente fedele conoscere tanto di verità quanto basti a desiderare rivelazione di conoscenza maggiore, e quindi, a salvarsi, possono conoscerlo anco dalle tradizioni uomini che non ebbero la fede vera. E ciò simboleggia Dante laddove fa dire a Stazio che pe' versi di Virgilio egli fu cristiano, ma che si tenne celato per tepidezza e paura.

Aggiunge Tommaso: Se alcuni furono salvati ai quali non fu fatta rivelazione, non furon salvati senza la fede del Mediatore, perchè se non avevano la fede esplicita, avevano però l'implicita (1). Cosi Dante fa che Rifeo per grazia superna s'innamori della giustizia, alla quale parola è qui dato il senso evangelico più ampio del virgiliano, e che egli a questo dono corrispondendo, di nuova grazia in nuova grazia sia stato fatto degno di conoscere non so che della redenzione futura. E qui vedete segnati con verità d'osservazione umana insieme e di scienza divina i gradi della ascensione dell' anima: che il primo impulso è gratuito, ma per meritare il secondo, gratuito anch' esso, richiedesi il libero consentire dell' uomo, e il meritorio cooperare. E siccome, a detta di Dante, il risuscitare (2) di Traiano perchè avesse la fede a salute fu merito della speranza viva, con cui Gregorio pregò per trarlo dalle morte genti che scendendo lasciano ogni speranza (3), e alla speranza

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di Gregorio diede ale la carità esercitata da Traiano in sua vita; cosi furono in vece di battesimo a Rifeo l'amore alla giustizia e la fede in quella che non poteva essere scompagnata da speranza di vederla nel mondo attuata, le quali tre virtù meramente umane furono da nuova grazia sublimate a più che umano valore. Ma siccome a Traiano è radice di salute la sua carità, così a Rifeo l'amore (1) della rettitudine, che a carità si riduce; perchè tutti i peccati copre la carità (2), ed essa delle tre è la maggiore (3).

Conchiudendo il Poeta, dall' imperscrutabile segreto della predestinazione (4) deduce consiglio a non giudicare leggermente il destino futuro delle anime umane; col quale consiglio abbiam visto conchiudersi anco il tredicesimo canto. Li dice: Non sien le genti ancor troppo sicure A giudicar, si come quei che stima Le biade in campo pria che sien mature (5). Qui dice che la radice della predestinazione non è visibile a chi non vede la causa prima: E voi, mortali, tenetevi stretti A giudicar ; che noi, che Dio vedėmo, Non conosciamo ancor tutti gli eletti (6). Lì finisce con donna Berta, e succede la comparazione dell'acqua in un vaso rotondo; qui, della beatitudine che è cresciuta in cielo dallo stesso non poter comprendere la divina immensità, e succede l'imagine della cetra che segue il canto, e degli occhi che, battendo d'ac cordo, significano di pari l'unico affetto dell'anima.

(4) Tullo su' amor laygiù pose a drittura (t. 41). (2) Prov. X, 12. · (5) Ad Corinth. (4) Som., 3, 2. (5) Terz. 44. — (6) Terz. 45.

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