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37. E tai Cristian' dannerà l'Etiópe

Quando si partiranno i due collegi, L'uno in eterno ricco, e l'altro inópe. 38. Che potran dir li Persi ai vostri regi

Com'e' vedranno quel volume aperto; Nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? 39. Li si vedrà tra l'opere d'Alberto

Quella che tosto moverà la penna, Per che'l regno di Praga fia deserto. 40. Li si vedrà il duol che sopra Senna Induce, falseggiando la moneta, Quel che morrà di colpo di cotenna.

37. (L) TAI: certi. ETIOPE che men di loro abusò le grazie di Dio. PARTIRANNO: divideranno. DUE: buoni e rei. COLLEGI: Società. - INÓPE: povero. (SL) COLLEGI. Per città: come nel VI del Paradiso. Ognun rammenta la città di Dio e la contraria. Ricco. Spesso nella Bibbia de' beni morali.

(F) ETÏOPE. Matth., VIII, 11, 12: Molti d'Oriente... verranno e passeranno con Abramo... nel regno de' cieli, ma de' figliuoli del regno getterannosi nelle tenebre.. Luc., XI, 51: La regina dell'austro sorgerà in giudizio cogli uomini di questa generazione e li condannerà. COLLEGI. Matth., XXV, 41. - INÓPE. Prov., VI, 32: Propter cordis inopiam perdet animam suam. En., VI: Inops inhumataque turba. - IV: Inops animi. 38. (L) REGI, peggiori de' gentili. - DISPREGI che e' fanno a Dio.

(SL) CHE. Pare intenda: che non potranno ? VOLUME. Ott.: Considerate l'opere loro li Persi.con quelle del Principe che dee essere governo del mondo tutto, e vedendo quelle più sozze delle loro, potranno rimproverare e dire: 0 Principe,... il quale eri illuminato dalle divine e umane leggi, come t' inclinasti a si vituperosi peccati, che sii più basso che noi infedeli e ciechi di lume di grazia.

(F) REGI. Sap., VI, 5: Essendo ministri del regno di lui, non rettamente giudicanti... la legge di giustizia. VOLUME. Dan., VII, 10: Judicium sedit, et libri aperti sunt... Apoc., XX, 12: Libri aperti sunt... et judicati sunt mortui, Matth., X, 26; Luc., XII, 2: Nulla coperto che non sia per essere disvelato. 39. (L) PENNA sul volume di Dio.

(SL) ALBERTO. Purg., VI, 55. Usurpò la Boemia nel 1303, morto Venceslao; e la diede al duca di Chiarenza suo genero. PENNA. Rammenta la mano che scrive minacciosa sul muro il destino di re Baldassare. 40. (L) CHE. Quarto caso. - COTENNA cignale.

(SL) SENNA. Filippo il Bello fece battere moneta falsa, e con essa pagò l'esercito assoldato contro i Fiamminghi, dopo la rotta di Cambray. Da' tempi di lui, cioè dal 1504, ebbe nome il Pont-au-change a Parigi. Nel 1294, Filippo, sotto specie di punire l'usura, fa prendere gl'Italiani ch'erano in Francia, e li ruba. Cacciò di Francia gli Ebrei e come che desse primo a Parigi un parlamento stabile, primo consolidò quel dominio d'assoluta monarchia che mise in tanto pericolo i suoi successori. Mori andando a caccia, ferito da un cignale che diede nel suo cavallo. Vill., IX. INDUCE. Rammenta l'ira d'Achille che impone dolori agli Achei. COTENNA. In Romagna dicesi il porco; in Toscana la pelle di lui grossa e setolosa; pelle dicesi tuttavia, con qualche aggiunto di spregio, parlando d' uomo; e assolutamente, pellaccia; ma pelle si dice in altri usi per il corpo tutto.

41. Li si vedrà la superbia ch'asseta,

Che fa lo Scotto e l'Inghilese folle, Si che non può soffrir dentro a sua meta. 42. Vedrassi la lussuria e 'I viver molle

Di quel di Spagna, e di quel di Buemme, Che mai valor non conobbe nè volle;' 43. Vedrassi al Ciotto di Gerusalemme Segnata con un I la sua bontade, Quando 'I contrario segnerà un' emme. 44. Vedrassi l'avarizia e la viltade

Di quel che guarda l'isola del fuoco,
Dove Anchise finì la lunga etade.
45. E a dare ad intender quanto è poco,
La sua scrittura fien lettere mozze
Che noteranno molto in parvo loco.

41. (L) ASSETA d'impero. confini.

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SOFFRIR stare ne'suoi (SL) SCOTTO. Edoardo I d'Inghilterra e Roberto re di Scozia erano allora in guerra: uno voleva occupare la Scozia; l'altro negava ogni soggezione. Vill., VIII, 67. 1 INGH LESE. Cosi si pronunzia in Toscana (Conv.). FOLLE. Da follis, mantice, dice anche coll' origine la vanità matta della potestà invaditrice che gonfia e soffia. META. Purg., XIV, t. 48: Il duro camo Che dovria l'uom tener dentro a sua meta. 42. (L) BUEMME: Boemia.

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(SL) CIOTTO. Carlo re di Gerusalemme figlio di Carlo re di Puglia. Combatte i Ghibellini. Nel VII del Purgatorio lo dice peggiore del padre; nel XX, venditor della figlia. Conv., IV, 6: Beata la terra, lo cui re è nobile, e li cui principi usano il suo tempo a bisogno, e non a lussuria. Ponetevi mente.... voi che le verghe dei reggimenti d'Italia prese avete. E dico a voi Carlo e Federigo regi, e voi altri principi e tiranni: e guardate chi allato vi siede per consiglio... Meglio sarebbe voi come rondine volare basso, che come nibbio altissime rote fare sopra le cose vilissime. Fu dissoluto, corruttore di vergini, pien di vizii; ma fu liberale (Vill., VIII, 108). E questo è il numero uno che segnerà la bontà di lui fra migliaia di vizii.

44 (L) L'ISOLA DEL FUOCO: la Sicilia.

(SL) QUEL. Federigo figlio di Pier d'Aragona, e. dopo lui, re di Sicilia, dov'è l'infocato monte Etna. Piero fu largo e magnanimo, questi vile ed avaro. — GUARDA. Non regge ma guarda. Volg. Eloq.: Racha, Racha! che risuona la tromba di Federigo?..... Che degli altri magnati le trombe? Se non venite, carnefici; venite avvoltoi, venite o'dell' avarizia settatori. Fu Federigo, a dispetto di Bonifazio e degli Angioini, re di Sicilia; però Dante in sul primo l'amò, e bene sperava di lui. Diede aiuti ad Enrico VII; ma dopo la morte di questo, mutò. ANCHISE. En., III: Hinc Drepani me portus et illætabilis ora Accipit... heu! genitorem .......... Amillo Anchisen. Fini. Ovid. Met., XV: Finit ævum. 45. (L) Poco d'animo. - LETTERE MOZZE: scorci di parole. PARVO: piccolo.

(SL) Intender. Datur intelligi, forma scolastica. Cavalca, Specchio, VII: Cristo disse tre volle pasci,

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(SL) PORTOGALLO. Dionisio l'Agricola, avaro e mercante: regnò dal 1279 al 1525.- NORVEGIA. Anon. : Si come le sue isole sono all'ultimo estremo della terra, così la sua vita è in istremo di razionabilitade e di civilitade. RASCIA, Parte di Schiavonia, che falsifica i ducati veneti. Il Giambullari (I) nomina Misia, Tracia, Rascia, Servia, Romania. Rascia, il Vico. V. Caraffa, IV, 2. Bolland., 1. 985, an. 1319: Rex Rusciæ et Diocleæ, Albania, Bulgariæ, et totius maritimæ de gulfo Adriano a mari usque ad flumen Danubii magni. MALE. Inf., IX, t. 18: Mal non vengiammo in Teseo l'assalto. Otl.: Avendo uno figliuolo, e d'esso tre nipoti, per paura che non gli togliessero il regno, li mandò in Costantinopoli allo imperatore suo cognato; e scrissegli, si come si dice, ch' egli cercavano sua morte, e che gli lenesse in prigione. E cosi fece tanto, che per orribilitade del carcere il padre de' tre perdè quasi la veduta; li due il servivano, ed il terzo fu rimandato allo avolo. Finalmente il padre uccise l'uno de' due suoi figliuoli, e con l'altro si fuggì di carcere.... e prese il padre, di cui l'autore parla, e fecelo morire in prigione. Poi poco resse il regno, chè da' suoi figliuoli ricevette il cambio. (F) AGGIUSTò. Bello l'aggiustare per falsificare: e non pochi aggiustamenti si fanno per falso, e falso sono. Doppiamente proprio in quanto rammenta il peso giusto.

48. O beata Ungheria se non si lascia

Più malmenare! e beata Navarra

Se s'armasse del monte che la fascia! 49. E creder dee ciascun, che già, per arra Di questo, Nicosia e Famagosta Per la lor bestia si lamenti e garra, 50. Che dal fianco dell' altre non si scosta.

48. (L) DEL MONTE Pireneo.

(SL) MALMENARE! Anon.: Riprende la sozza... vita delli re d'Ungheria, passati, infino a Andrias; la cui vita imperò li Ungheri lodarono, e la cui morte piansero, che respettivamente alli altri era più civile e politico. E però dice: se li Ungheri si possono conservare in questa che sono, beati loro! — MONTE. Nel 1284 Giovanna figlia di Enrico I di Navarra, ed ultima di quella casa, moglie di Filippo il Bello: ma fin che visse governò la Navarra da sé egregiamente. Mori nel 1304 e le successe Luigi ultimo suo figlio, che nel 1307 si fece coronar re e, morto il padre, fu il primo a dirsi re di Francia e Navarra. - FASCIA. Purg., XXVII, t. 29: Fasciati... dalla grotta.

49. (L) ARRA DI QUESTO: segno di quel che re tali possono. BESTIA re. - GARRA garrisca, gridi. (SL) ARRA. Segno alla Navarra del mal governo francese che l'attende sia il mal governo de' Francesi là in Cipro. E come già Cipro è vicino a moversi, così si mova Navarra. Con tutti questi paesi aveva la Toscana commercio. NICOSIA. Il re di Cipro ha per insegna un leone, il quale segue le tracce degli altri re bestie. Era re allora di Cipro Arrigo II, de' Lusignani, dissoluto e crudele, avvelenatore del fratello. Ott.: Continuo sta sotto le minacce del Soldano, A'quali rimproveri chiaro si vede la monarchia da Dante voluta non essere senza freno. Non gens propter regem (dic'egli), sed rex propter gentem. E vuole il re sia ministro di tutti, non padrone. Nella Canzone di Sordello per la morte di Blacasso, i re della terra son flagellati al medesimo modo: e nominatamente i conti di Provenza e di Tolosa, l' imperatore, il re d'Inghilterra, il re di Navarra. BESTIA. Cosi chiama i re Ezechiele (XXXIV, 25, 28): Cessare faciam bestias pessimas de terra... Et non crunt ultra in rapinam in gentibus. [Xenophon, Agesilaus, XI, 6.] - GARRA. Lamentarsi di dolore, garrire d'ira.

50. (L) CHE DAL FIANCO DELL'altre non si sCOSTA: che è simile.

L'Europa di Dante.

L'imagine dell'aquila più volte ne' libri ispirati ritorna ora a significare il possente amore del reggitore superno verso la debole umanità, ora il rinvigorirsi di questa a volo sempre più alto. I combattenti per la giustizia sono in Marte volando e raggiaudo entro una forma di croce, i regnanti con giustizia sono in Giove, e dopo disegnatisi in forma di lettere descriventi un precetto divino ai re della terra, si formano in aquila; prima dicono, poi s'apprestano ad operare; prima dimostrano il senno docile e tranquillo, poi la forza veggente e veloce; prima parlano, poi spiegan le

penne; e anco movendo le penne, pur tuttavia parlano con dolcezza di canto. La similitudine del falcone che s'applaude con l'ali Voglia mostrando, e facendosi bello, non parrà sconveniente a chi pensi che questo quasi pavoneggiarsi non è per sè stesso, ma per il pregustare delle lodi di Dio che poi seguono. E le altre similitudini della lodoletta e della cicogna sono pur per ritrarre a qualche modo la novità dell'imagine, e tenerla ferma dinanzi alla mente. Della quale arte il Poeta è sovente maestro, che del possibile fa reale per forza di paragoni tolti dal mondo reale, e

circonda l' una delle possibilità imaginate con tanti altri possibili proporzionevolmente distanti e convenientisi, da fare che l'uno all'altro sia specchio e prova di quasi palpabile verità. Cosi nell'Inferno le mostruose figure de' capi spiccati dal busto o piantati sul busto a ritroso o rosicchiati dalla fame dell'ira sotto i denti di Lucifero e d' Ugolino, ci si rappresentano come cose, nel mondo dei morti, vive; e segnatamente il supplizio de' falsi indovini è messo innanzi con notabile varietà di evidenza.

Ma dal verso stranamente possente: Aronta è quei che al ventre gli si atterga (1), e dalla spelonca di Luni ond' egli vedeva le stelle, risaliamo alle stelle e veggiamo l'aquila dal cui collo sale la parola come mormorare di fiume, a quella guisa che vedremo gli spiriti fioccare in alto come neve che scende (2). Le anime sono conserte in quel segno, ed egli è contesto di laudi divine (3), come si muovono a un tratto due occhi della medesima fronte, ed esce il suono dal collo così intarsiato di luci già tanto diverse, come da sampogna o da cetra, onde le voci di tutti fanno una voce, come le stille d' una corrente fan tutte insieme un concento, e di molte brage esce un calore solo, un'aura odorata da molti fiori. Tante faville fanno un solo spirito di santi pensieri che si accolgono in un pensiero, e in un costrutto si esprimono; e le anime, secondo il detto di Gesù, fatte une tra loro ed in esso, parlando di sè dicono non noi, al modo che i principi terreni fanno, ma io; e l'aquila celeste si fa maestra di grammatica civile alle aquile della terra.

Perché questo a Dante è segno civile, è la insegna non solo dei duci del mondo ma del mondo stesso, secondo la sua dottrina più volte indicata. Nè senza perchè quest' imagine è detta tre e quattro volte qui benedetta, e di re Guglielmo Ora conosce come s'innamora Lo ciel di giusto rege; e tante volte qui ripetute le voci regno e reame, é rammentato che Regnum cœlorum violenzia pate (4); perchè per regno intendesi l'esaltazione dell'uomo alla congiunzione con Dio (5). E forse dell' aquila volante egli avrà anco pensato quell'altra esaltazione di cui Davide re: Psallam tibi in nationibus, quia magna est super cælos misericordia tua, et usque ad nubes veritas tua. Exaltare super cælos, Deus, et super omnem terram gloria tua, ut liberentur dilecti tui (6). Nė senza perchè l'aquila canta: Per esser giusto e pio, Son io qui esaltato a quella gloria Che non si lascia vincere a disio (7). Giustizia e pietà, che sono il

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(1) Inf., XX, t. 16. (2) Par., XXVII. (5) Terz. 4 e 13. De Mon.: La concordia è moto uniforme di più volontà. (4) Par., XX, t. 22 e 32, ~(5) Som., 2, 1, 4. Ego dispono vobis, sicut disposuit mihi Pater meus regnum... ut... sedeatis super thronos judicantes duodecim tribus Israel (Luc., XXII, 29, 30). (6) Psal. CVII, 3-5. - (7) Terz. 5. Psal. CII.

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debito de' governanti, corrispondono a verità e a misericordia, che sono gli attributi di Dio. E la beatitudine molte volte nelle Scritture è significata col nome di gloria (1).

L'occhio dell' aquila, quasi la gemma di quelle gemme, e la luce di quelle luci per cui tutte quelle anime veggono Dio e l'universo come un'anima sola, è formato di cinque re e d'un cittadino, tre del mondo innanzi a Cristo: Davide, Ezechia, Rifeo; tre di poi: Trajano, Costantino, Guglielmo; uno solo del mondo moderno: due ebrei, quattro d' Asia, due d'Italia, ma quattro appartenenti a qualche modo all'Italia per il potere che v'ebbero o vi prepararono; due pagani, uno di pagano fatto cristiano; i due ebrei, peccatori pentiti. Carlo Magno non c'entra, perch'è più e men che re, cioè militante. Davide è la pupilla dell'occhio, il cantore dello Spirito santo, non solo perchè, come gli altri, illuminato dallo Spirito, ma perchè più volte ad esso accenna con isperanza d'amore, e tra l'altre canta: Manda il tuo Spirito, e saranno creati, e rinnoverai la faccia della terra (2). L'umile re, umiliato dalla coscienza e de' proprii falli e della stessa grandezza, diceva: Ne projicias me a facie tua, et spiritum sanclum tuum ne auferas a me; chè temeva anch'esso un esilio più duro di quanti egli potesse mai dare, temeva perdere la grazia di chi solo sul serio è re. Qui rammentasi la traslazione dell'Arca, già rammentata altrove siccome esempio d'umiltà, e rimprovera alla superba figliuola del re per sue arroganze caduto (3). C'è Costantino, del quale è detto, forse senza malizia, ma certo non per servire alla rima, che si fece greco, per denotare che da quel tramutamento della sede imperiale venue, al parere del Poeta, la distruzione del mondo. Ma con equità degna della sua mente soggiunge che'l male dedutto Dal suo bene operar (4) per riverenza improvvida alla pontificia dignità, non gli nuoce alla gloria. Nel ciglio dell'aquila è anche Trajano per merito d' aver consolato la vedovella; e questa semplice e affettuosa parola è qui usata siccome in quel Canto dove a esempio d'umiltà recasi Trajano con Davide (5). Trajano è il secondo nominato qui dopo Davide, il terzo Ezechia, Costantino il quarto, il quinto Guglielmo,

(4) Som., 2, 14. Ad Ephes., I, 6: In laudem gloriæ gratiæ suæ. Terz. 15: Quel segno che di laude Della divina grazia era contesto. - (2) Psal. CIII, 30. Che non è di Davide, come appare allo stile diverso, e forse è molto più antico; ma tutto il Salterio attribuivasi a lui. Verbo Domini cœli firmati sunt, et spiritu oris ejus omnis virtus eorum (Psal. XXXII, 6). — (3) Purg., X. (4) Par., XX, t. 19 e 20. (5) Purg., X, t. 26, 28: E una vedovella gli era al freno... La miserella infra tutti costoro. Par., X, t. 56: Che con la poverella Offerse a Santa Chiesa il suo tesoro. XIII, t. 44: Del poverel di Dio. Purg., XXI, t. 1: La femminetta Samaritanu.

il sesto Rifeo; Trajano e Rifeo pagani nel più basso del ciglio, Ezechia e Guglielmo sopra loro nella curva di quello; Costantino è in cima, per merito forse dell' aver fatta l'imperial dignità cristiana. Il nome di Costantino gli richiamava all'animo i sacerdoti regnanti, e quindi più stretto il legame delle idee di questo Canto tra loro e con altri parecchi. E l'imagine di regno celeste, che tante volte si rappresenta, qui si fa come passag. gio alle cose seguenti. E' disse già........ molti i re e i buoni rari (intendo, s'intende, dei re del suo tempo); e nel Convivio nega la nobiltà ai tristi re. La ripetizione faconda Li si vedrà, rammenta la simile nel Purgatorio ove schieransi gli esempii della superbia flaccata (1). E il volume aperto in cui si scrivono tutti i dispregi de' re, cioè quelli ond'essi aggravano se ed altri, e altri loro, e l'indeterminato della parola, ancora più forte che non se dicesse dispregi orribili, come altrove disse (2), rammenta il judicium conscriptum del Salmo, di quel Salmo ove è detto: Cantate Domino canticum novum, laus (3) cjus in ecclesia sanctorum... Exultabunt (4) sancti in gloria (5). Exaltatione Dei in gutture eorum... ad alligandos... gloria hæc est omnibus sanctis ejus.

Non tra' ricchi di gloria e terrena ed eterna, ma tra coloro che ne patiranno inopia, novera il Poeta i regnanti di Germania, di Francia, di Scozia, d'Inghilterra, di Spagna, di Boemia, di Napoli, di Sicilia, di Portogallo, di Norvegia, di Rascia, d'Ungheria, di Navarra, di Cipro. Accenna alle occupazioni della razza germanica sulla slava, della francese sulla greca e la italiana; la su perbia ch' e' vedeva nella schiatta britannica molto prima che l'India fosse da lei tenuta come la piccola isola di Malta, e il Canadà come l'isola d'Itaca, e prima che l' oppio navigasse alla Cina, veleno desiderato. Da Inghilterra l'aquila trascorre d'un volo a Gerusalemme ed a Cipro; non isfugge al suo sguardo la Norvegia ed il Portogallo, regni da sè, e parti ambite o sperate di regni maggiori; non le sfugge la Boemia, l'Ungheria che dovevano essere insieme provincie e regni; ed è dato rilievo alle due schiatte Magiara e Basca che alla scienza moderna appariscono come due isole in mezzo a altre schiatte; nè è taciuto di Rascia, il cui nome rimaso ad un panno grossolano, attesta le antiche corrispondenze di popoli ch' ora tra sè non si conoscono neppur di nome. E il

(1) Purg,, XII. Vedea colui... Vedeva Briaréo... Vedea Timbreo; vedea Pullade e Marte... Vedea Nembrotto... O folle Aragne, si vedea io te... Vedeva Troja... Non vide me' di me chi vide 'l vero. Ma per variare l'enumerazione ripete anco più volte mostrava. (2) Inf.. VIII, t. 17. D'un altro re, e amato da Dante: Orribil' furon li peccati mici (Purg., III, t. 44). Në mi sovviene che in tutta la Commedia la voce orribile ad altro proposito mai ritorni. (5) Segno che di laude Della divina grazia era contesto (t.13). (4) Coll'ale s'applau de (t.12). (5) Son io qui esaltato a quella gloria (t. 5). www

paese di Rascia ricorda quel di Dardania che gli si accompagna sovente, e che fa ripensare alle affinità non improbabili della stirpe slava con la frigia, e alle affinità che Dante, seguendo la tradizione romana, ravvisa fra Troja e Roma. E qui noteremo che il verso che chiama l'ardente Sicilia l'isola del fuoco, Dove Anchise fini la lunga etade, non ci pare dettato dalla necessità di quella facile rima, ma sì che voglia rammentare come quell'isola sia in parte colonia della gente Nil magnæ laudis egentes (1), che l'affanno non sofferse Fino alla fine col figliuol d'Anchise (2); e come per dire che conforme all'avarizia e alla viltà del regnante d' allora era la dappocaggine di coloro che sulla spoglia d'Italia rinunziarono alla gloria del fondar con Enea l'impero di Roma. Né Sicilia è la sola isola qui percorsa dal canto volante dell'aquila; ma Inghilterra con Cipro: nè Dante presentiva che isole greche avrebbero a capire dentro alla meta inglese, e d'altre isole greche ancora più grandi dovrebb'essere assetato Inglese dopo dissetatosi dello Scotto, e succian. dosi tuttavia l'Irlandese.

Il re di Cipro è qui notato non con altro titolo che di bestia; e nella Bibbia le due idee sovente si scambiano, se non chè bestia vale ogni forza violenta, e Dante danna la bestialità de' cittadini della sua repubblica e della sua parte stessa (3), e la parte selvaggia (4) corrisponde alle bestie bibliche della selva (5). Nè qui l'aquila si dimentica d'essere un animale anch'esso, e rammenta la cotenna, cioè il porco selvatico che darà morte a re Filippo, e le corone fatte bozze, che sente di capro, siccome l'avarizia di quel di Sicilia ci richiama agli occhi la lupa e la meta entro cui non può tenersi l'Inglese, il duro Camo Che dovria l'uom tener dentro a sua meta (6). Ma altrove Alberto, di cui qui si fa cenno, è il cavaliere che dovrebbe inforcare gli arcioni della fiera selvaggia, e l'Italia è la fiera (7). Le parole anche troppo famigliari di bozzo e di barba e le lettere mozze che simboleggiano scorci e scorbi d' uomini, se non sono imagini degne del cielo, ritraggono però i dispregi ond'era amareggiata l'anima di Dante, e rammentano i versi: Quanti si tengon or lassù gran regi, Che qui staranno come porci in brago (8). Con linguaggio e con ispiriti più composti e più cortigiani il Tasso pregava il Gonzaga d'impiegare il suo favore per esso, non solo co' principi d'Este, ma co'principi di tutta Italia, e co'sovrani principi del mondo.

(1) Terz. 44. En., V.

(2) Purg., XVIII, t. 48. (5) Par., XVIH, t. 42. —— (4) Inf., VI, t. 22. — (5) Conv. : Noi veggiamo molti uominí tanto vili e di si başsa condizione, che quasi non pare essere altro che bestie, Sassetti: Essendo l'impero retto non da nomini valorosi ma da fiere sozze e abbominevoli. (6) Purg., XIV, t. 48. — (7) Purg., VI, t. 35. (8) inf., VIII, t. 17.

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CANTO XX.

Argomento.

Le anime cantano ciascuna da se, poi tutte insieme per il collo dell'aquila. Questo principio, e la similitudine ch'ei fa de' canti minori e varii all'apparir delle stelle, è cosa di cielo. L'occhio dell'aquila componesi di sei anime. L'aquila spiega come due pagani si trovino in gloria; e dice ch'e' divennero cristiani: l'uno per sua umanità tratto dall' Inferno per le preci di papa Gregorio, affinchè acquistasse merito di salute; l'altro per sua giustizia illuminato in vita da Dio. Questa invenzione fondata sull'opinione de' Padri, tempera sapientemente la severa dottrina dell'altro Canto.

Nota le terzine 1, 2, 4, 5, 7, 8, 12, 13, 15, 17; 20 alla 25; 25 alla 29; 32, 55, 55, 37; 40 alla 43; 45, 46, 48, 49.

1. Quando colui che tutto 'l mondo alluma,

Dell' emisperio nostro si discende,

E' giorno da ogni parte si consuma; 2. Lo ciel, che sol di lui prima s'accende, Subitamente si rifà parvente

Per molte luci in che una risplende. 3. E quest'atto del ciel mi venne a mente, Come 'I segno del mondo e de' suoi duci Nel benedetto rostro fu tacente.

4. Perocchè tutte quelle vive luci,

Vie più lucendo, cominciaron canti
Da mia memoria labili e caduci.
5. O dolce Amor che di riso t'ammanti,
Quanto parevi ardente in que' favilli
Ch'avien spirito sol di pensier' santi!

1. (L) COLUI: il sole.

(SL) St discenDE, poi (terzina 9) SALISSI. CONSUMA. Æn., II: Consumpla nocte. Arist. Phys.: Tempora consumpta. Cic. Consumptus est dies.

2. (L) PARVENTE: lucido. Luci stelle. UNA: il sole.

(SL) ACCENDE. Georg., 1: Accendit lumina Vesper. - Parvente. Nel Convivio più volte.

(F) UNA. Conv.: Il sole... sè prima, e poi tutte le corpora celestiali e elcmentali, allumina. Seneca (Quæst. nat. VII) dice alcuni antichi aver fatto le stelle tutte attingere il lume dal sole. 3. (L) ATTO: passaggio. Duci imperatori. 4. (L) LABILI: che sfuggirono.

l'aquila.

COME'L SEGNO: quando NEL: Col.

(SL) LABILI. Buc., I: Nostro illius labatur pectore vullus. CADUCI. Non di possibilità ma d'atto. Æn., VI: Bello caduci (per caduti). Georg., 1: Frondes caducas.

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(SL) LAPILLI. Di dodici pietre preziose. Apoc., IV, 3. Hor. Epist., I, 10: Libycis lapillis. Som.: Lapilli SQUILLI. et gemmæ quæ inveniuntur in litore maris. Gemme che squillano non pare bello; nè angelici avea bisogno dell'imagine delle gemme.

7. (L) L'UBERTA...: di che ricco monte discenda.

(SL) FIUME. Georg., 1: Ecce supercilio clivosi tramitis undam Elicit: illa cadens raucum per levia murmur Saxa ciet, scatebrisque arentia temperat arva. — PIETRA. En., XI: Variusque per ora cucurrit Ausonidum turbata fremor: ceu saxa morantur Cum rapidos amnes, clauso fit gurgite murmur, Vicinæque fremunt ripœ crepitantibus undis. UBERTA. Æn., I: Ubere gleba. Par., XXX, t. 57; Clivo... nel verde e ne' fioretti opimo. CACUME. Purg., IV, t. 9. 8. (L) AL COLLO: al manico. FORMA: tono. - VENTO CHE PENETRA: il fiato del sonatore prende forma d'acuto o grave dal chiudere o aprire i buchi.

9. (L) SALISSI : sali. BUGIO: bucato come collo d'animale.

(SL) RIMosso. Lucan., I: Tolle moras. - COLLO. Inf., XXVII, t. 5: Per non aver via ne forame, Dal principio del fuoco, in suo linguaggio Si convertivan le parole grame. BUGIO. Vive in Toscana.

(F) SALISSI. Qui l'imagine fisica fa bella armonia

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