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pensiero e dell'affezione è cosa sacrosanta esercilare il vigore del braccio in opere d'ardimentosa pietà. Anche Virgilio rammenta in modo speciale, e pone in disparte coloro che furono chiari in guerra (1); e poi nell'Eliso beato coloro che Ob patriam pugnando vulnera passi. Qui rincontriamo più nomi che furono o che potevano essere soggetto a poema, Carlo Magno, Orlando; Goffredo, Roberto Guiscardo, al quale non nocque nell'opinione di Dante, più giusto ch'e' non voglia parere, l'aver difeso un Pontefice, ma grande uomo e non bene principe (2). Non solo per prescienza di quel che contenevan di storico le tradizioni raccolte in que' nomi il Poeta li pronunzio, ma perchè s'accorgeva esser quelle tradizioni veramente di popolo e di nazione, onde la sua è più testimonianza del presente che vaticinio dell' avvenire; è in quanto testimonianza è eziandio vaticinio. Ma i due nomi ancor più che quelli di Goffredo e di Carlo, meritevoli di poema, sono Giosuè e il Maccabeo, principalmente il secondo ed è cagione più di dolore che di maraviglia il vedere che fra tanti pezzi di poesia, lunghi e corti, veloci e tardi, torti e diritti, come le minuzie de' corpi che si muovono per un raggio in camera buia, uno non ce ne sia consacrato a questo soggetto di civile e di religiosa grandezza.

Al nominare che fa Cacciaguida ciascun degli eroi (rassegna breve e quasi frettolosa nel punto della battaglia, ma per ciò stesso non senza bellezza), l'anima dell'eroe si muove dalle braccia della croce luminosa, e discende rotando e raggiando. Codesto fare il tritavolo suo quasi condottiero di que' condottieri di popoli, è lode più alta di quante son date e ad Anchise e ad Enea. E se la similitudine della trottola (che è in Virgilio, ma a dipingere animo travolto dall' ira e impotente di sè) non parrà conveniente; nè appropriata, se non in parte, quell'altra dove il trascorrere degli spiriti esultanti è comparato al passaggio veloce di fuoco tra nube e nube, che aucor più vivamente è significato, laddove della luce di Jacopo cantasi: Dentro al vivo seno Di quell'incendio tremolava un lampo Subito e spesso a guisa di baleno (3); e se troppo ripetuta parrȧ l'imagine delle gemme, sebbene potesse il Poeta avere il pensiero a quella Margherila a cui nel Vangelo è assomigliato il gaudio del cielo; degna del cielo parrà certamente l'altra similitudine dove il salire di pianeta in pianeta è paragonato

(1) Arva tenebant. Ultima, quæ bello clari secreta frequentant. Hic illi occurrit Tydeus, hic inclytus armis Parthenopeus et Adrasti pallentis imago; Hic multum fleti ad superos belloque caduci Dardanidæ quos ille omnes longo ordine cernens Ingemuit. Il contrapposto dà alle due pitture risalto. (2) Di Roberto, Inf., XXVIII, t. 5; di Carlo Magno, Par. VI, t. 52. -- (3) Par., XXV, 1. 27.

all'accorgersi che fa l'anima del suo ascendere di virtù in virtù per la gioia che dentro ne sente. Ed è tanto nuova quanto naturalmente colta quell'altra del passaggio dalla luce infiammata di Marte alla temperata di Giove, col subito mutarsi del viso di bianca donna dal vermiglio del rossore al suo candore di prima. Ed è similitudine, se non espressa con l'usata potenza, potente in sè, e di quelle ardue in cui Dante, mas sime nella terza Cantica, si compiace: E vidi le sue luci tanto mere, Tanto gioconde, che la sua sembianza Vinceva gli altri e l'ultimo solére. Dico che le comparazioni dal meno al più, e dal più al più, sono ardua cosa, e prima e dopo Dante quasi affatto intentata. Notisi la parola mero, che nel Paradiso più volte ritorna, come atta a significare e limpidità e purità; che nell' altre due Cantiche non si riscontra ed osservisi questa varietà graduata di stili che s'accompagna al soggetto, della quale soli forse ci porgono esempio lo Shakspeare ed Omero. Siccome da corpicciuoli minuti come la polvere è tolta imagine di Paradiso, così qui da ciocchi che percossi sfavillano. E il più o men salire delle beate fayille denota il vigore della virtù che le muove: e anche questa è bellezza non deile meno potenti. Il congegnarsi delle anime in lettere che rappresentano una sentenza di Davide, lettere il cui chiarore risalta dal lume del pianeta com'oro da argento, rammenta quel di Virgilio: Quale manus addunt ebori decus, aut ubi flavo Argentum Pariusve lapis circumdatur auro (1). Coloro che in Dante e in Omero trovano profetato ogni cosa, potrebbero in questo disegno di lettere riconoscere l'invenzione della stampa e della fotografia; nè è cosa inverisimile che l'arte del miniare, che alluminare è chiamata in Parisi (2), gliene abbia pôrta l'idea. Ma oltre allo scrivere ed al colorire, egli vede in quest'atto un atto quasi di generazione, e le nicchie degli astri però chiama nidi (proporzionati alla grandezza degli effetti mondiali) con espressione oscura e quasi abbozzata, simile a quelle che rincontransi in Bacone e nel Vico. Se non che dall'arti del bello l'abito della sua mente e l'istinto filologico, tenace negl' intelletti potenti, lo riporta alla grammatica, l'arte prima (3); e lo sentite parlarvi di verbo e di nome, di vocali é di consonanti, di primai e sezzai; e a questo pare ch'egli abbia invocata la Diva Pegasea per cui si fanno gloriosi e gli scrittori e le repubbliche e i regni. Ma l'invocazione è per denotare la singolarità della nuova imagine che egli sta per dipingere, quasi su foglio, nel candore de' cieli; ed è per preparare la conchiusione del Canto, che é tra i più notabili passi di tutto il poema.

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Diligile justitiam qui judicatis terram sono il verbo ed il nome; nè a caso dice che il nome viene ultimo, perchè il più importante, a lui raccomandatore di nuova, monarchia, gli è l'amore della giustizia, quella reltitudine della quale nella Volgare Eloquenza e'si dice cantore, 'dov'altri si ferma all'amore ed alle armi. Tocca anch'egli ed armi ed amore; ma a quella materia del canto la rettitudine è vera forma. Que'che giudicano la terra, i potenti qual si vogliano (dacchè reggere è giudicare), vengono dopo nel pensiero di Dante, a cui imperatore unico vero è colui che giudica le giustizie, e di cui le vie tutte giustizia. sono; quegli che nel suo sdegno infrange i potenti. Alle quali parole del Salmo succede tosto: Et nunc, reges, intelligite, erudimini qui judicatis terram... Apprehendite disciplinam, ne quando irascatur Dominus, et pereatis de via justa (1): parole che il Bossuet ripeteva, parendogli forse che fosse coraggio di profeta annunziare ai potenti la sventura e la morte; il Bossuet che nel suo Discorso idoleggia anch' egli una monarchia alla qual serva tutta la provvidenza della storia, ma la idoleggia con intendimenti forse meno sacerdotali di Dante, che si era coronato sopra di sè ed anche un po' mitriato (2).

Con volo più d'inno che d'ode, e con mestizia più di treno che d'elegia, Dante si volge alla milizia del Cielo, e lei prega che preghi per l'umanità sviata dietro al mal esempio de' forti

(4) Psal. II, 10, 12. (2) Purg., XXVII, t. 48.

-

non giusti; e prega la mente in cui s'inizia e il moto e la virtù delle stelle, che guardi al fumo onde il raggio divino è quaggiù viziato, Si che un' altra fiata omai s'adiri (1) Del comperare e vender (2) dentro al templo (3), Che si murò (4) di segni (5) e di martiri. (6) Ma dal dolore trascorresi all'amara ironia e le parole Io non conosco il Pescator nè Polo; quel denotare il primo degli apostoli col titolo, ai superbi della terra spregiato, di pescatore, quel chiamare l'altro apostolo gigante, volgarmente, Polo come uno stuoiaio beffato e bastonato da Ebrei e da Greci; quel denotare il maggiore de'nati di donna colui che volle viver solo, come un rozzo selvaggio, appestato di santità e di franchezza, che si bandisce dalla società pulita, e che è tanto scemo da farsi balzare la testa in grazia de' salti di una ragazza, è tremendo. Ma più tremendo di tutti, perchè più serio e di divina semplicità: ancor son vivi..

(1) Vita di G. C.: Gesù Cristo con grande indignazione cacciò dal tempio coloro che vendevano. - (2) Som.: Vendere veritatem.- (5) In Giovanni templo è il corpo di Gesù; in Paolo: Noi siamo tempio di Dio. — (4) Apoc., XXI, 14: Le mura della città aventi dodici fondamenti. Matth., XVI, 18: Su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Nella visione d' Erma: Una torre murata dagli Angeli con anime pie. Som.: De' fedeli di Cristo è costrutta la Chiesa. (5) Som. Miraculis confirmata. Leone: Documenta quibus fidei auctoritas conderetur (i miracoli). (6) E più ardito e più proprio che nel Tasso Testimoni di sangue e di martiro: dove martiro dice e testimoni e sangue e dice più.

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CANTO XIX.

Argomento.

Parla l'aquila ardente come fosse una sola persona: poetica imagine dell'unità del volere nel cuore de' buoni. E scioglie un dubbio di Dante, ch'è il dubbio degli umani destini. Chi non crede in Gesù Cristo perchè nol conosce, e pure adempie le leggi di natura, perchè non andrà egli salvato ? L'aquila risponde, con poetiche imagini, forse un po' troppo a lungo, che l'uomo non può penetrare i secreti di Dio. Poi conchiude con un bel passo dell' Evangelo, il qual promette anco ai non battezzati salvezza, purchè virtuosi e credenti a una mediazione suprema, nel che consiste la credenza del Verbo. L'uccello comincia con la teologia e finisce in satira.

Nota le terzine 1, 2, 4; 6 alla 9; 12 alla 15; 17, 18, 21, 22, 27; 29 alla 34; 36, 37, 38, 40, 43, 45, colle ultime tre.

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(SL) IMAGE. Purg., XXV, t. 9. Arios., XIII, 30. FRUI. Altrove posse, velle, etsi e simili. CONSERTE. Purg., XXVII, t. 6: In sulle man commesse mi protesi. Ma conserte è più proprio perchè più intimo. E senti quanto debole al paragone quel d'Orazio (Carm., I, 1): Vatibus inseres.

(F) FRUI. Frui è la voce propria della beatitudine. Som. Verbo fruuntur. - La beatitudine dell'anima cʊnsiste nella fruizione divina. - La fruizione del sommo bene, dell' ultimo fine. - Fruizione è di quelle cose che sono l'ultimo fine del desiderio, che però lo riempiono e quietano.

2. (L) RIFRANGESSE LUI: riflettesse il sole. 3. (L) TESTESO: ora. — PORTO: espresse.

PER: da.

(SL) RITRAR. Rime: Il parlar nostro che non ha valore Di ritrar. TESTESO. Teste per ora nel Firentino. Da iste, come adesso da ipse. PORTO. Purg., XVIII, t. 4: Quanto la tua ragion porti o descriva. Così afferre per dire.

(F) Compreso. Ad Cor., I, II, 9: Occhio non vide nè orecchio udi, nè ascese in cuore d' uomo le cose che preparò Dio a que' che l'amano.

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4. (L) SONAR NELLA VOCE ED lo e MIO QUAND' ERA NEL CONCETTO NOI E NOSTRO: eran di molti, ma in nome dell' aquila dicevan io.

(SL) PARLAR. Dan., VII, 4: L'aquila stette rilla sui piè com' uomo, e linguaggio d'uomo fu dato a lei. 5. (L) CHE NON SI LASCIA VINCERE A DISIO: che supera il desiderio.

(F) GIUSTO. Aug., de Trin., III: Spirito razionale giusto e pio. Giustizia e pietà, i due attributi sovrani di Dio. Disío. La Chiesa: Quæ omnem desiderium superant.

6. (L) LEI: la memoria. STORIA esempio.
7. (L) AMORI: anime.

8. (L) PUR UNO PARER MI FATE TUTTI I VOSTRI ODORI: sola una voce di gioia e virtù.

(SL) ODORI. Cantic., 1, 1: Curremus in odorem unguentorum tuorum.

9. Solvetemi, spirando, il gran digiuno Che lungamente m'ha tenuto in fame, Non trovandogli in terra cibo alcuno. 10. Ben so io che se in cielo altro reame La divina giustizia fa suo specchio, Che'l vostro non l'apprende con velame. 14. Sapete come attento io m'apparecchio Ad ascoltar; sapete quale è quello Dubbio che m'è digiun cotanto vecchio. 42. Quasi falcone ch'esce di cappello,

Muove la testa, e coll'ale s'applaude, Voglia mostrando, e facendosi bello; 13. Vid'io farsi quel segno, che di laude Della divina grazia era contesto, Con canti, quai si sa chi lassù gaude. 14. Poi cominciò: · Colui che volse il sesto Allo stremo del mondo, e dentro ad esso Distinse tanto occulto e manifesto,

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(SL) SPIRANDO. Segue il traslato de' fiori. E spesso spirare in senso di parlare perchè la parola è spirito del Verbo creante.

10. (L) SE IN CIELO ALTRO REAME LA DIVINA GIUSTIZIA FA SUO SPECCHIO: voi, come gli altri beati, vedete la giustizia di Dio.

(SL) Cue. Ripete il che per chiarezza elegante, come tuttavia nella lingua parlata.

(F) So. La virtù si specchia ne'Troni (Par., IX, t. 21), onde rifulge a tutti i beati Dio giudicante; ma i re posti in Giove veggono, anch' essi, apertissima essa giustizia; perchè i minori e i grandi di questa vita mirano tutti nel medesimo specchio (Par., XV, t. 21).

11. (SL) VECCHIO. Non bello. Poi (t. 25): Quistion cotanto crebra. Ma crebre dice, oltre a frequenza, forza, come a'Latini.

12. (L) QUASI FALCONE CH' ESCE DI CAPPELLO dov' era chiuso, e sta per volare. S'APPLAUDE: applaude a sè. VOGLIA d'irsene.

(SL) FALCONE. Bocc.: Non altrimenti che falcone uscito di cappello plaudendomi... Non altrimenti il falcone, tratto di cappello, si rifà tutto, e sovra sè torna. [ Frezzi, Quadrir., 1. IV, c. 5: Poi come fa il falcon quando si move, Così Umiltà al cielo alzò la vista. Pulci, Morg., XI: Rinaldo sta come suole il falcone Uscito del cappello alla volata.] APPLAUDE. Æn., V: Plausum... pennis dat tecto. Stat., II: Alæ Plausus. 13. (L) SEGNO DI LAUDE: anime che onoran la grazia. QUAI SI SA CHI LASSÙ GAUDE: Solo un beato ne fa la dolcezza.

tini.

ra.

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(SL) SEGNO. Per insegna militare e civile i LaLAUDE. Inf., II, t. 35: Beatrice, loda di Dio veSI. Purg. V, t. 45: Salsi colui. -GAUDE. Purg., XXI, t. 26: Congaudete. Anche gaudere doveva essere vivo, com' è gaudio e gaudioso e gaudente.

14. (L) COLUI che volse il sESTO...: Dio che misurò quasi con compasso il giro dell'universo, e tante cose ci pose aperte ed arcane; non potea spargere nelle creature la sua luce, che il Verbo non rimanesse a quelle incancellabile. E questo è accertato dal fatto che Satana...

15. Non potéo suo valor sì fare impresso In tutto l'universo, che 'l suo Verbo Non rimanesse in infinito eccesso. 16. E ciò fa certo che 'l primo superbo, Che fu la somma d'ogni creatura, Per non aspettar lume, cadde acerbo. 17. E quinci appar ch'ogni minor natura È corto ricettacolo a quel Bene Ch'è senza fine, e sè in sè misura. 18. Dunque nostra veduta, che conviene Essere alcun de' raggi della Mente, Di che tutte le cose son ripiene, 19. Non può di sua natura esser possente Tanto che 'l suo principio non discerna Molto di là da quel ch'egli è parvente. 20. Però nella giustizia sempiterna

La vista che riceve il vostro mondo, Com' occhio per lo mare, entro s'interna: 21. Chẻ, benchè dalla proda veggia il fondo, In pelago nol vede: e nondimeno Egli è, ma cela lui l'esser profondo.

15. (SL) ECCESSO. In buon senso. Lett. a Cane: Quemadmodum prius dictorum suspicabar excessum, sic posterius facta excessiva cognovi.

16. (L) 'L PRIMO superbo... cadDE in Inferno, per superbia di misurare i segreti infiniti.

(F) SUPERBO. Isai., LI, 9: Percotesti il superbo, feristi il dragone. SOMMA. Greg. Hom., XXXIV: Quegli che peccò fu superiore tra tutti, Som.: Fu il peccato de' demoni la superbia, il cui motivo è l'eccellenza che è maggiore nelle creature superiori. LUME. Gli angeli ebbero un tempo di prova: Lucifero non volle aspettare che la prova finisse, per conoscere il vero delle relazioni tra la creatura ed il creatore. Volg. Eloq., II. 17. (L) Ogni MINOR NATURA... creata non può comprendere Dio. FINE: confine.

(SL) APPARE. Apparet, nelle scuole, valeva: essere manifesto o provato. Vita Nuova: Sicchè manifestamente appare che. RICETTACOLO. Nel Machiavelli.

- COR

(F) NATURA. Som. La razionale natura. — TO. Marc., XIII, 32: De die... vel hora nemo scit, neque angeli in cœlo, neque Filius. MISURA. Conv., II, 4: Quella somma deità che sè sola compiutamente vede. 18. (L) MENTE divina.

(SL) RIPIENE. Jer., XXIII, 24: Non riempio io cielo e terra? Buc., III, 60: Jovis omnia plena. Bolland., 195: Questo mondo è pieno di Dio.

19. (L) TANTO che non vegga Dio essere molto maggiore di quello che pare a lei.

(SL) PARVENTE. Non evidente.

20. (L) PERÒ NELLA GIUSTIZIA SEMPITERNA LA VISTA...: la vista data da Dio agli uomini vede nella giustizia di Dio, come l'occhio nel mare.

(F) RICEVE. L'uomo riceve anco la facoltà del ricevere. Ad Cor., I, IV, 7: Che hai tu che non abbi ricevuto? E s'hai ricevuto, di che ti glorii?

21. (L) E NONDIMENO EGLI È...: c'è il fondo, ma la profondità lo nasconde.

(SL) PELAGO. Bart. Pelago senza riva. Æn., V: Pelagus tenuere rates, nec jam amplius ulla Occurrit tellus.È. Ora non osiamo il solo è ma ci è, vi è, e il barbaro lo è. Il popolo in Toscana usa l'è schietto.

22. Lume non è, se non vien dal sereno Che non si turba mai; anzi è tenebra, Od ombra della carne, o suo veleno. 23. Assai t'è mo aperta la latébra

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Che l'ascondeva la Giustizia viva', Di che facéi quistion cotanto crebra. 24. Chè tu dicevi: Un uom nasce alla riva Dell' Indo; e quivi non è chi ragioni » Di Cristo, nè chi legga, nè chi scriva: 25. E tutti i suoi voleri, e atti, buoni

Sono, quanto ragione umana vede, » Senza peccato in vita od in sermoni: 26. Muore non battezzato, e senza fede:

Ov'è questa giustizia che 'l condanna? . Ov'è la colpa sua, sed ei non crede?. 27. Or tu chi se' che vuoi sedere a scranna Per giudicar da lungi mille miglia Con la veduta corta d'una spanna? 28. Certo a colui che meco s'assottiglia, Se la Scrittura sovra voi non fosse, Da dubitar sarebbe a maraviglia. 29. O terreni animali, o menti grosse!

La prima Volontà, ch'è per sè buona,
Da sè, ch'è sommo ben, mai non si mosse.

30. Cotanto è giusto quanto a lei consuona.
Nullo creato bene a sè la tira;
Ma essa, radiando, lui cagiona..-
31. Quale sovresso il nido si rigira,
Poi ch'ha pasciuti la cicogna i figli,
E come quel ch'è pasto, la rimira;
32. Cotal si fece (e si levai li cigli)

La benedetta immagine, che l'ali Movea sospinte da tanti consigli. 33. Roteando cantava, e dicea: - Quali Son le mie note a te che non le 'ntendi, Tal è il giudicio eterno a voi mortali. 34. Poi si quetaro que' lucenti incendi

Dello Spirito santo, ancor nel segno Che, fe'i Romani al mondo reverendi, 35. Esso ricominciò: A questo regno Non sali mai chi non credette in Cristo, Ne pria nè poi che 'l si chiavasse al legno. 36. Ma vedi molti gridan: Cristo, Cristo, Che saranno in giudicio assai men prope A lui, che tal che non conobbe Cristo.

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(F) INDO. Può l'Indiano salvarsi. Dice Pietro negli Atti (VIII).

26. (F) BATTEZZATO. Joan., III, 5, 6: Nisi qui renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto, non potest introire in regnum Dei. Quod natum est ex carne, caro est: et quod natum est ex spiritu, spiritus est.

27. (F) CHI. Ad Cor., II, XII, 4: Arcane parole che non è lecito all'uomo ridire. Eccli., XVIII, 5: Chi investigherà le grandezze di lui. Conv.: Oh stoltissime e vilissime bestiuole, che presumete contro la nostra fede parlare, e volete sapere, zappando e filando, ciò che Iddio con tanta prudenza ha ordinato. Cosi S. Leone, de vocat. gen. I, 6. Eccli., III, 22: Cose più ardue di te non voler giudicare.

28. (L) CERTO A COLUI CHE MECO...: dovrebbe dubitare e maravigliarsi di questa giustizia, se la Scrittura non gliel dichiarasse, chi meco cercasse sottilmente di questo mistero.

(SL) MECO. Non chiaro, ma par voglia dire: Anco il lume ch'io veggo qui, non basta a tanto. - S'ASSOTTIGLIA. Par., XXVIII, t. 24: Intorno da esso l'assoltiglia. DA DUBITAR... A MARAVIGLIA. Dubitare fino allo stupore; non dubbio d'orgoglio.

29. (L) LA PRIMA VOLONTÀ... MAI NON SI MOSSE: Dio è immutabile.

(SL) GROSSE. Inf., XXXIV, t. 51: La gente grossa... che non vede. PRI

(F) ANIMALI. Anime gravate dal corpo. MA. Isai., LXV, 24: Innanzi che chiamino, io esaudirò: e' non dicono, ch'io hò già udito. - VOLONTÀ. Som.: Bonitas voluntatis. BUONA. Som.: Dio per sua essenza è buono. - Dion., de div. nom., I: La natura di Dio è l'essenza della bontà. BEN. Purg., XXVIII, t. 51: Lo Sommo Ben, che solo esso a sè piace, Fece l'uom buono a bene. MOSSE. Par., XXIV, t. 44: Il ciel muove, Non moto.

30. (L) NULLO CREATO BENE A SÈ LA TIRA: non ha predilezione.

31. (L) Quel ch' È PASTO: il figlio pasciuto.

(SL) FIGLI. Segn, Figliuoletti dell' aquila. PASTO. Buc., VH: Pastas capellas; - I: Apibus florem depasta. Georg., I: Pasto (de' corvi).

32. (L) COTAL... si fece l' imagine, come ticogna; e io come cicognino. CONSIGLI: Voleri d'anime.

(SL) COTAL. Simile costrutto nell'Inf., XXIX, t. 6: Parte sen gía, ed io dietro gli andava, Lo duca. 34. (L) Por: poichè. QUE' LUCENTI INCENDI: que' fochi d'amore. SEGNO d'aquila.

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