42. Io dirò cosa incredibile e vera: Nel picciol cerchio s'entrava per porta Del gran Barone, il cui nome e 'l cui pregio 44. Da esso ebbe milizia e privilegio; 45. Già eran Gualterotti ed Importuni: 46. La casa di che nacque il vostro fleto, Per lo giusto disdegno che v'ha morti 47. Era onorata, essa e' suoi consorti. O Buondelmonte, quanto mal fuggisti 42. (SL) PERA. Porta Peruzza, da una privata famiglia, denominavasi una porta: tanto la famiglia era grande, e il pericolo di tirannide e di discordia lontano. I Peruzzi popolani dopo il 1302 dominarono co' Neri. 43. (L) IL CUI NOME E'L CUI PREGIO...: il di cui nome, e l'onore son rinnovati dalla festa di s. Tommaso. (SL) CIASCUN. Pulci, Della Bella, Gangalandi, Nerli, Giandonati, nell' arme loro inquartavano quelle del cont' Ugo di Brandeburgo, del quale tuttavia si fa commemorazione in Firenze, ove mori nel giorno di s. Tommaso, in dicembre. Mori vicario di Ottone III. Quelle famiglie ebbero da Ugo militari onori e privilegi: ma ai tempi di Dante Giano della Bella tenne dal popolo contro i nobili; e questi fascia l'arme d' Ugo con un fregio d'oro: quell' arme fu doghe bianche e vermiglie. 44. (SL) RAUNI. Dino: I Magalotti intorno a loro avevano molte schiatte che con loro si raunavano d'uno animo. 45. (L) VICIN': i Buondelmonti. (SL) GUALTEROTTI... IMPORTUNI. In Borgo S. Apostolo (Vill., IV, 15). Eran già grandi Ghibellini, e ora caduti. - DIGIUNI. Inf., XVIII, t. 14; XXVIII, t. 29: Di veder... digiuno. 46. (L) LA CASA: gli Amidei; altri, i Donati. - FLETo: parte guelfa e ghibellina. GIUSTO: Buondelmonti non isposò l'Amidei come doveva. (SL) CASA. Ora sbanditi (Vill., VI, 67). - FLETO. L'usa Jacopone (IV, 8). GIUSTO (Vill., V, 38). In quest' aggiunto il filosofo si dà a conoscere tutto Fiorentino e uomo del tempo suo. 47. (L) CONSORTI: Gherardini, Uccellini. - ALTRUI: della madre di quella Donata ch' e' sposò nel 1213. (SL) CONSORTI. Gio. Vill.: Pino della Tosa e suoi 48. Molti sarebber lieti, che son tristi, Se Dio t'avesse conceduto ad Ema La prima volta ch'a città venisti. 49. Ma conveniasi a quella pietra scema Che guarda il ponte, che Fiorenza fesse 50. Con queste genti, e con altre con esse, 54. Con queste genti vid' io glorioso E giusto il popol suo, tanto che 'I giglio 52. Nè per division fatto vermiglio. consorti. MAL. Georg., III: Heu! male tum Libye solis erratur in agris. CONFORTI. Inf., XXVIII, t. 45: Che diede al re Giovanni i ma' conforti. 48. (L) CONCEDUTO: annegato. (SL) TRISTI. Anon.: Laricchissima e nobilissima città per la divisione delle parti è essuta vedovata molte volte d'onori, di cittadini e di sue facoltadi, ripiena di vituperii, di pianti e di povertà e di cacciamenti. EMA. Fiume che si passa venendo da Montebuono a Firenze: dove entrarono i Buondelmonti nel 1155. Ma qui parla a lui insieme e al primo di sua razza che scese in Firenze. O forse questo Buondelmonte, causa di tanti mali, nacque nelle sue terre. 49. (L) MA CONVENIASI A QUELLA PIETRA SCEMA...: Marte voleva una vittima. POSTREMA: ultima. D'allora in poi, non più bene. (SL) SCEMA. Olt. Scema... per lo lungo stare che fece nell'acqua d'Arno quando il ponte vecchio cadde, anno 1178 a' 25 di Novembre, e fu riposta per li circustanti di Semifonte (Inf., XIII). Sul ponte vecchio Buondelmonte fu ucciso (Vill., V, 38): quasi vittima offerta a Marte nell' ultima pace della città, al cominciare dell' orribile guerra. Ammirato: Appiè del Ponte Vecchio di qua, appunto appiè del pilastro ove era l'antica statua di Marte (cosa fatale alla ruina della città). G. Vill. E bene mostrò che il nemico dell'umana generazione per le peccata dei Fiorentini dovesse perdere nell'idolo di Marte, il quale i Fiorentini pagani adoravano anticamente, che appiè della sua figura si diede principio a tanto omicidio onde tanto male è seguito alla nostra città di Firenze. 50. (SL) RIPOSO, Ott. Non aveva avuto bisogno di forestieri rettori. ONDE. Som.: Non habent in se unde desiderentur (ragione perchè sieno desiderate). - Circumstantia non habet unde augeat malum. Conv.: Non avrei di che io godessi. 51. (SL) GIGLIO: I Guelfi di Firenze presero per insegna il giglio rosso in scudo bianco: i Ghibellini lo mantennero bianco. Il porlo a ritroso, dice l' Ottimo, era per vituperio di sconfitta. Le schiatte Gorentine. Il padre d'Enea mostrando gli spiriti che dovranno aver luce dal nome di Roma e accrescergli luce: Has equidem memorare tibi atque ostendere coram, Jampridem hanc prolem cupio enumerare meorum. Quo magis Italia mecum lætere reperta. Nunc age, Dardaniam prolem quæ deinde sequatur Gloria, qui maneant Ilala de gente nepotes, Illustres animas, nostrumque in nomen iluras, Expediam dictis (1). Qui Cacciaguida racconta dell'antica Firenze e de'suoi più illustri, acciocchè la lode degli avi torni in biasimo de' nipoti. E a sentirlo diresti che que' vecchi fossero Magnanimi heroes, nati melioribus annis (2); ma salvo la maggiore semplicità de' costumi (e in questa pure non è da credere che non fosse un principio della vanità e dell'orgoglio che crebbero poi), il germe delle sventure e de' vizii che tanto costarono a Firenze può dirsi che fosse nell'origine stessa delle varie sue schiatte: il povero senato (3) che il poeta latino colloca intorno ad Evandro, era imagine a cui doveva con desiderio rivolgersi l'anima superba, ma retta, di Dante. E in più d'un luogo egli accenna alla comparazione di Firenze con Roma (4): e le Cronache Fiorentine, com'altre assai, commettevano la storia della loro città con quelle di Roma e di Troia. A leggere l'enumerazione delle antiche famiglie fiorentine, e le qualità che a parecchie d'esse appropria nel suo commento l'Anonimo, par di leggere quella preziosa pagina della Cronaca Altinate dove il simile è fatto delle prime famiglie veneziane. E son versi che tengono della schiettezza della Cronaca senza che però si ribellino a poesia, quelli che adesso nessuno oserebbe: Con queste genti, e con altre con esse, Vid'io Fiorenza in si fatto riposo Che non avea cagione onde piangesse (5). E prima la disse Riposato e bello vivere di cittadini, fida cittadinanza, dolce ostello (6), con abbondanza di parole affettuose a lui inusitata, quasi idoleggiando e favoleggiando, come le madri di quel beato tempo facevano traendo alla rocca la chioma (7). E gli cade di rammentare quel conte Ugo di cui raccontavasi una visione che fa uno de' tanti germi alla sua; e un antenato della sua Beatrice, e i Dalla Bella, onde discese quel Giano, gentiluomo di sangue e popolano di spiriti, che Dante non poteva spregiare, checchè gli paresse delle riforme da lui tentate, come non avrebbe spregiati nè i Girolami nè i Giacomini, di cui Firenze s'onora (8). E i Cerchi ch'egli chiama selvaggi, che altri chiama rustici, il buon Dino gli attesta umani, che è lode più splendida di qualsiasi patriziato. Un presentimento piucchè di renza. (1) Æn., VI. - (2) Ivi. — (5) Æn., VIII. - (4) Conv., 1, 5: Bellissima e famosissima figlia di Roma, FioInf., XV, t. 26: La sementa santa Di quei Roman' che vi rimaser quando Fu fatto 'l nidio di malizia tanta. Par., XV, t. 57: Non era vinto ancora Montemalo Dal vostro Uccellatoio. - XVI, t. 56: Erano tratti Alle curule Sizii ed Arrigucci. - (5) Terz. 50. (6) Par., XV, t. 44. (7) Ivi, t. 42. (8) Notinsi i nomi incomincianti da G, ne' quali è tanta parte della storia fiorentina e toscana: Frate Girolamo, Frate Guido d'Arezzo, Giotto, Giovanni Villani, Giovanní Boccaccio, il Guicciardini, il Galileo, Giano della Bella, il Giacomini, Giovanni dalle Bande Nere, Gualtieri duca d'Atene, Gian Gastone, il Guerrazzi. poeta gli fa pronunziare il nome di Montemurlo, fatale a Firenze, e il nome degli Ughi, onde denominato Montughi, dove Piero il predecessore del tristo Cosimo stava aspettando per occupare ostilmente la patria: ma ne lo tenne lontano Pier Capponi i cui discendenti dovevano possedere Montughi. Meglio, dice il Poeta, che que' novelli abitanti di Firenze fossero rimasti in contado, e la Firenze pura avesse il suo confine a Trespiano: e adesso Firenze a Trespiano ha il suo cimitero, confine vero di tutte umane autorità, ultima linea loro. E adesso in un palazzo che ha nome de' Buondelmonti risiede un uomo di nome straniero, nato nel Genovese, per cui opera e la vivente Firenze e la antica, e la vivente ed antica Italia ricevettero luce d'onore: e a Figline, di dove Dante si lagna che uscissero uomini rustici a corrompere la pura cittadinanza, risiede un prete genovese, educatore di nobili e di popolani, che insegno ad apprezzare la gentilezza e la nobiltà del villereccio idioma e che da certi piaggiatori del popolo fu tacciato d'aristocratiche vanità. E in Certaldo, altra terra che, al dir di Dante, contaminó la purezza del san-. gue fiorentino, doveva nascere il suo commentatore, il dispregiatore de' cittadini nobili di Firenze, l'immondo amatore di femmina di corte; quegli che aveva in dispetto gli uomini Tolli dalla cazzuola e dall'aratro, così come Orazio, il plebeo, odiava il volgo profano, e si vantava che le danze delle ninfe co' satiri lo sequestrassero dal popolo (1), e scriveva: Rusticus urbano confusus, turpis honesto (2). Nomina Dante anco i Sacchetti, un de' quali doveva nelle Novelle attestare la gloriosa popolarità del suo Canto. E notisi come non pochi de' nomi di questi gentiluomini, come di tutti i gentiluomini della terra, sieno sopranomi di spregio, tolti da imagini umili, altre vili e odiose: Caponsacco, Infangato, Importuno: appetto a' quali sono gentili davvero que' della Pera e que' della Pressa e i Galigai (che tengono del Caligola) e que' del Vaio che richiamano agli occhi pelle di bestia, come bestial cosa suonano i Galli e i Catellini e quelli della Sannella; senonchè meglio della Sannella che dell'Arca, se arca è di danaro (3), che allora paiono parenti dei Giuda (4). Ma di que'nomi non pochi attestano l'origine non toscana e non italiana: come Ravignani e Greci, e forse Soldanieri; e, per certo, Berti e Ughi e Gualterotti e Alberighi ed Arrigucci ed Ardinghi ed Ormanni, i quali poi diventarono Foraboscoli, nome che dice anch'esso l'abitare (1) Hor. Carm., III, 1; I, 1. (2) Hor., De Arte poet. Terz. 25: La confusion delle persone..- (3) Par., VIII, 1. 28. (4) E già era Buon cittadino Giuda. (Terz. 41). che i nobili facevano fuor di città per tenere signoria più incivile; e quando o da forza o da ambizione o da cupidigia erano condotti a città, si ponevano ne' borghi (straniero nome anco questo) e facevano le contrade semenzaio di guerra cittadina. Questi mali, e le cause loro e gli effetti, sentiva nell' anima Dante, e pareva col profeta dire: Popolo mio, che ti chiamano beato, costoro t'ingannano, e la via de' tuoi passi disperdono (1). E perchè la semplicità de'costumi egli vedeva esser custode alla loro purità, e quindi alla pace, senza la quale non può essere libertà vera nè ferma; però, siccome altrove egli biasima gli svergognati portamenti delle Fiorentine del tempo suo (2); qui commenda il vivere delle antiche modesto: senonché forse il desiderio di trovare nella memoria conforto al presente dolore ed esempi degni che sieno imitati, lo inganna; nè forse la Firenze del trecento era si nera, nè si candida quella del mille e cento. E già contro il belletto e la biacca scrivevano ed Agostino (3) e Cipriano; e lo condanna come cosa non inusitata al suo tempo Tommaso d'Aquino, morto non vecchio nell'anno che Dante nacque (4). E belle sono le parole di Agostino sopra il lusso che può insinuarsi anco nella pietà: Non solo nello splendore (1) Isai., III, 12. (2) Purg., XXIV. Gio. Vill.: Per natura siamo disposti noi vani cittadini alla mutazione de' nuovi abiti,.... sempre al disonesto e vanitade. (3) Aug., Epist. ad Ress.: Fucari pigmentis quo rubicundior, vel candidior appareat. - (4) Som., 2, 2, 169. e nella pompa delle cose corporee, ma anco nello squallore e nella gramaglia può essere jattanza, e tanto più pericolosa che inganna sotto colore di virtù e culto di Dio (1). Ed è ridotta a dignità filosofica la dottrina intorno al lusso in queste poche parole potenti: Nel vestire secondo la propria condizione è verità (2); parole che fanno della verità e della convenienza e dell'onestà e della bellezza tutt'uno, com'è propriamente, e la civiltà mostrano indivisibile dalla moralità. E siccome Dante per gastigo alla immodestia delle femmine annunzia le pubbliche calamità, così le annunziava Isaia: Perchè si sono levate le figliuole di Sion, e andarono a collo teso, e andavano ammiccando, e s'applaudivano, e ad arte mettevano i passi; pelerà il Signore la testa delle figliuole di Sion e il Signore di capelli le ignuderà. In quel di torrà via il Signore l'adornamento da' calzari e le lunette; e i vezzi e le collane, e i braccialetti e le cuffie, e i dirizzatoi e i cintolini e le catenelle e i vasetti d'odori e gli orecchini, e le anella, e le gemme sulla fronte pendenti, e le mute degli abiti e le mantellette, e i veli e gli spilli, e gli specchi e gli zendadi, e le bende e le leggere gonne. E sarà per soave odore, puzzo; e per cintura, una corda; e per capelli crespi, calvezza; e per zona, cilicio. Anche i più belli degli uomini tuoi cadranno di spada, e i tuoi forti in battaglia. E faranno lutto e pianto le porte di lei; ed essa, afslitta, per terra si sederà (3). CANTO XVII. Argomento. Questo Canto, pieno delle sventure e delle speranze di Dante, rammenta il sesto di Virgilio, là dove Anchise prenunzia ad Enea i suoi futuri destini. Ma in Enca i destini di Roma: e qui le angosce e i sogni d'un povero cittadino. Pure nel Nostro è poesia più profonda, perchè più vera. E le sventure di lui si congiungono alle sventure d'Italia; e fonte de' suoi mali, dicev'egli, il trovarsi in Italia una gente mercatrice di Cristo, matrigna di Cesare. E le speranze e'poneva in colui che il segno cesareo portava per arme. E il suo dire percoteva le più alte cime; e nell'eternità, non nel tempo, cominciava già egli a porre le sue più forti speranze. 1. (L) QUAL VENNE A CLIMENĖ: Fetonte va dalla madre per sapere s' Epafo dicesse vero negando di lui esser figlio d'Apollo. SCARSI in concedere. Apollo gli diede il carro del sole, ed egli brució. (SL) QUAL. Ovid. Met., II: Clymencia.... proles Venit, et intravit dubitati tecta parentis. - QUEL. Rammenta Fetonte più volte (Inf., XVII; Par., XXXI) come simbolo di male ambito impero. FIGLI. Ovid. Met., II: Quodvis pete munus: et illud, Me tribuente, feres. Currus rogat ille paternos. - SCARSI. Purg., XIV, t. 27: Non li sarò scarso. 2. (L) SENTITO: conosciuto il mio pensiero. LAMPA: Cacciaguida. - SANTA (SL) LAMPA. Lucan., X: Etherco lampas decurrere sulco. Æn., III: Phœbræ lampadis. 3. (SL) VAMPA. L'imagine del calore ben si conviene alla stampa che ne' corpi arrendevoli ha più rilievo. SEGNATA. Par., VIII, t. 15: Voce.... di grande affetto impressa. (F) DONNA. Beatrice lo consiglia a conoscere le vicende di sua vita; per Beatrice giugne egli a saperle. Riman vero dunque il verso dell' Inferno (X,t. 44): Da lei saprai di tua vita il viaggio. Conv., IV, 1: Per mia donna intendo sempre quella luce virtuosissima, filosofia, i cui raggi fanno i fiori rinfronzire, e fruttificare la verace degli uomini nobiltà, 4. Non perchè nostra conoscenza cresca 5. O cara pianta mia, che si t'insusi 6. Così vedi le cose contingenti Anzi che sieno in sè, mirando 'l Punto 7. Mentre ch'i' era a Virgilio congiunto 4. (L) T'AUSI: tu prenda uso. pregare. A DIR LA SETE: a (SL) Aúst. Conv. - MESCA. Par., X, t. 30: Qual ti negasse 'l vin della sua fiala Per la tua sete. 5. (L) SI T'INSUSI CHE..: sali tant alto che vedi l'avvenire con certezza matematica. (F) OTTUSI. I tre angoli d' un triangolo son sempre uguali a' due retti: or se l'ottuso è maggiore del retto, non possono in un triangolo capire due ottusi. Ars memorandi et reminiscendi: similitudine del triangolo. 6. (L) IN SẺ: in fatto. A CUI: a Dio. (SL) PUNTO. Par., XXVIII, 1. 14: Da quel Punto Depende il ciclo e tutta la natura. 7. (SL) Su. Intese predire di sè nel X e XV dell' Inferno, nell' VIII, XI, XXIV del Purgatorio. CURA. Purg. XXV, t. 46, 47: Con tal cura conviene.... Che ta piaga... si ricucia. Som.: Curare il peccato. Som. Sup.: Pœna, ei prolongetur, vel brevictur, secundum quod expedit ejus curationi. MONDO. Stat., III: Imi... mundi. 14. Necessità però quindi non prende, Se non come dal viso in che si specchia Nave che per corrente giù discende. 45. Da indi, sì come viene ad orecchia Dolce armonia di organo, mi viene A vista 'l tempo che ti s'apparecchia. 16. Qual si parti Ippolito d'Atene Per la spietata e perfida noverca, In grido, come suol: ma la vendetta 19. Tu lascerai ogni cosa diletta Più caramente: e questo è quello strale 8. (L) TETRAGONO: a forma di dado che in qualunque lato cada, posa in pieno. (SL) FUTURA. Non d'altra vita; come Regnis.... futuris (Æn., I). [TETRAGONO. Quis nescit Dantem etiam suo in poemate tetragonum vocasse apposite hominem, qui adversis casibus non frangitur, sed resistit fortiter ipsis? (Pietro Vettori nel suo commento al III libro della Rettorica d'Aristotele). - Le querimonie continue che qualche autore move contro i suoi tempi e i suoi contemporanei abborriscono dalla poetica dignità mostrando un animo domo dalla fortuna. Dante s' adirava al suo destino, ma non si perdeva in lamenti.] COLPI. Conv., 1, 5: La piaga della fortuna. 9. (L) PERCHÈ: onde. - PREVISA: preveduta. - VIEN PIÙ LENTA: ferisce men forte. (F) PREVISA. Ant.: Nam prævisa minus lædere tela solent. Albert.: Meno fa danno ciò ch'è preveduto dinnanzi. Ambr. ob. fratr.: Più tollerabili le ferite premeditate, anzichè le inaspettate, di dolore si grande. Psal. LXIII, 8: Sagittæ parvulorum factæ sunt plagæ (SL) AMBAGE. Æn., VI: Cumœa Sibylla Horrendas canit ambages, antroque remugit, Obscuris vera involvens. Ovid. Met., VII: Neu longa ambage, morer vos. Lucan., 1: Sic omina Tuscus Involvens, multaque tegens ambage cancbat - TOLLE. Novell,: Tolli per Togli. (F) PRIA. Joan., XII, 31: Nunc princeps hujus mundi ejicietur. - AGNEL. Joan., I, 29: Agnus Dei... qui tollit peccatum mundi. 12. (L) LATIN: dir. CHIUSO E PARVENTE: il raggio di sua gioia l'avvolgeva, e pur lo lasciava apparire. (SL) LATIN. Par., XII, t. ult.: 'L discreto latino. 13. (L) LA CONTINGENZA...: le cose non necessarie ch'han luogo nel mondo, si veggono in Dio; ma la presenza di lui non toglie all' uomo libertà; come l'occhio che vede la nave, col vederla non forza il suo moto. (SL) CONTINGENZA. Par., XXXII, 1, 18: Dentro all'ampiezza di questo reame Casñal punto non puote aver sito. QUADERNO. Par., XXXIII, t. 29: Legato con amore in un volume, Ciò che per l'universo si squaderna. 14. (L) VISO: occhio. (SL) SPECCHIA. Purg., XXXI, t. 41: Come in lo specchio il sol... La doppia fera dentro vi raggiava (negli occhi). (F) NAVE. Qui Pietro cita Origene, Ugo das. Vittore, s. Agostino (De Civ. Dei, XV), e il Maestro delle Sentenze (II, 13). 15. (L) DA INDI: da Dio. (F) DOLCE. Anco il dolore, se da Dio, è dolce. Ott.: Per l'offezione che costui ha a Dante, li è dolce ch'elli sia corretto anzi nel mortale mondo che nello clernale. 16. (L) PER LA SPIETATA E PERFIDA NOVERCA: per Fedra, matrigna. (SL) IPPOLITO. Ovid. Met., XV: Fando aliquem Hippolytum.... NOVERCA. Inf., XV, t. 22: Ti si farà, per tuo ben far, nimico. In un sonetto del Boccaccio parla l'Allighieri: Fiorenza gloriosa ebbi per madre, Anzi matrigna, a me pietoso figlio. - PARTIR. Cacciato il 2 gennaio 1302. Ott. Vuole dire... ch' elli fosse richiesto dalla parte Nera... d'alcuna grande e disonesta cosa; e perch'elli non volle assentire, si lo giudicarono nemico 17. (L) LÀ: da Bonifazio. MERCA per simonie. (SL) MERCA. Petri Epist., II, II, 5: In avaritia, fictis verbis, de vobis negotiabuntur. 18. (L) LA COLPA SEGUIRÀ LA PARTE OFFENSA...: si darà colpa all'oppresso; ma la pena venuta dal vero, dirá dov' è il vero fallo. (SL) SEGUIRA. Inf., VII, t, 30: Chi vicenda consegue. Æn., IX: Casus factum quicumque sequuntur. (F) COLPA. Eccli., XIII, 27: Il debole ingannato, per soprappiù, è accagionato. Conv., 1, 3: La piaga della fortuna suole ingiustamente al piagato molte volle essere imputata. VER. Ecco personificati colpa, vendetta, cioè pena, vero dispensator della pena, ed ecco nell'idolo poetico una dottrina dijus criminale da farne una nuova Genesi. 19. (L) QUELLO STRALE...: il primo dolor dell' esilio. (SL) [Tu. Euripid., Phœn., v. 399.] - LASCERAL. Nel Sogno di Scipione gli si annunziano le sue vicende: Offendes rempublicam perturbatam. Ott.: Il virtuoso operare, e 'l politico reggere, e 'l bene comune, la moglie e i figliuoli, li parenti e li amici e tutte sue facultadi. Jer. XII, 7, 10: Lasciai casa mia, perdetti la mia eredità... Pastori di molti guastarono la mia vigna, conculcarono |