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22. Ma perchè 'l sacro amore in che io veglio

Con perpetua vista, e che m'asseta Di dolce disïar, s'adempia meglio; 23. La voce tua sicura balda e lieta

Suoni la volontà, suoni 'l desio

A che la mia risposta è già decreta. 24. I' mi volsi a Beatrice: e quella udio

Pria ch'io parlassi, e arrisemi un cenno Che fece crescer l'ali al voler mio. 25. Poi cominciai così: L'affetto e 'l senno, Come la prima Egualità v'apparse, D'un peso per ciascun di voi si fenno: 26. Perocchè al Sol che v'allumò e arse

Col caldo e con la luce, en sì iguali
Che tutte simiglianze sono scarse.
27. Ma voglia e argomento ne' mortali,

Per la cagion ch'a voi è manifesta,
Diversamente son pennuti in ali.

28. Ond' io che son mortal, mi sento in questa
Disuguaglianza: e però non ringrazio,
Se non col cuore alla paterna festa.
29. Ben supplico io a te, vivo topazio

Che questa gioia preziosa ingemmi,
Perchè mi facci del tuo nome sazio.

22. (SL) VEGLIO. Purg., XXX, t. 35: Voi vigilate nell'eterno die.

(F) DOLCE. Non è ivi desiderio tormentoso come nel Limbo. Purg., III, t. 44: Ch'eternalmente è dato lor per lutto. Inf., IV, t. 14: Senza speme, vivemo in desio. Sopra (1. 17): grato... digiuno. MEGLIO. Sentendo da Dante il suo desiderio, Cacciaguida gode ch'egli eserciti in bene.l'animo suo, e che s'accresca merito a un suo diletto.

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24. (SL) ALI. Purg., XXVII, t. 41: Al volo mio sentia crescer le penne.

25. (L) L'AFFEtto e 'l senno .. : l'intendere ne' beati è uguale al volere, perchè sono in Dio dove tutto suguaglia.

(SL) APPARSE. Psal., XVI, 15: Apparuerit gloria tua.

(F) UGUALITÀ. Inf., III, t. 2: La somma Sapienza. Joan. Dio è carità. Il sostantivo bene esprime l'essenziale sostanza.

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26 (L) AL SOL: a Dio. ALLUMò la mente. ARSE il cuore. EN: sono.Si IGUALI l'affetto e l'intelletto. SCARSE a denotare tale uguaglianza. 27. (L) MA VOGLIA E ARGOMENTO NE' MORTALI...: nel. l'uomo l'intendere è minore del volere.

(SL) ARGOMENTO. Inf., XXXI, t. 19: L'argomento della mente S'aggiunge al mal volere e alla possa. MANIFESTA. Agost. e Som.: Ragion manifesta. 28. (L) FESTA che mi fai.

29. (L) Mi facci del tuo nome SAZIO : mi dica il tuo

nome.

(SL) Supplico. Par., XXVI, t. 52: A te supplico.

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TOPAZIO. Chiamò il pianeta di Mercurio, margherita (Par., VI, t. 43). Anon.: Gemma intra l'altre maggiore... Riceve in sè la chiarezza di tutte l'altre... Dicesi che q colui che 'l porta, non può nuocere nemico. Ma il topazio poi dice o fronda mia, e sè radice di Dante che diventa un altro topazio.

30. (L) O FRONDA MIA: o uomo del mio lignaggio. — COMPIACEMMI: mi compiacqui. · PURE ASPETTANDO: il solo aspettarti mi fu gioia.

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(SL) DICE. Æn., VIII: A quo post Itali fluvium cognomine Tybrim Diximus. - I: Italiam dixisse ducis de nomine gentem. MONTE (Purg., X, XI). Visse alla fine del secolo XII. E se medesimo destina alla pena della superbia il Poeta.

32. (L) LA LUNGA FATICA TU Gli raccorci con L' OPERE TUE: co' tuoi meriti lo liberi dal Purgatorio. 33. (L) TOGLIE... e terza e nONA: sente le ore.

(SL) CERCHIA. Dal Duomo a Badia prendevano le prime mura della città. Benvenuto: Budia de' Benedettini dove più per l'appunto suonavano le ore che in altre chiese della città. Della Firenze d'allora vedi Gio. Villani (VI, 70). TOGLIE. Nel senso di ducere, spiega quel del primo dell' Inferno, t. 29 : Tolsi lo bello stile, che non è copiare, e neanco imitare. SOBRIA. Vill.: I cittadini di Firenze vivevano sobrii e di grosse vivande, e con piccole spese e di molti costumi. Lucan., III: Parcorum mores... avorum. 34. (L) CATENELLA d' ornamenti. calzature ornate e altri abbigliamenti. preziosa.

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CONTIGIATE: Con Più bella e

(SL) CATENELLA. Nella Bibbia catenulæ sono or. namenti. [Quanto diverso il beato e innocente vivere de' cittadini! Nessuno era senza orecchini, o una corona, o un monile; nessuno faceva senza profumi, o senza vesti leggiadre ; nessuno era povero (Ramayana, 1, sez. 6).] — CONTIGIATE. Come femmine mondane. Cointise era veste di seta da cavalieri. Pare che oltre alle scarpe e calze suolate ed ornate valesse ogni abbigliamento, come il francese cointise e accointise. Liv.: per bellade e per contigia alle insegne. Novellino: Aveva arme orate rilucenti, e pieno di contigie e di leggiadrie. Cosi attillato e della calzatura e della persona tutta. Più. Ovid. Rem. Am., 343: Auferimur cultu: gemmis auroque teguntur Omnia: pars minima est ipsa puella sui. Conv.: Gli adornamenti dell'azzimare e delle vestimenta la fanno più annumerare che essa medesima.

35. Non faceva, nascendo, ancor paura La figlia al padre; chè 'l tempo e la dote Non fuggian quinci e quindi la misura. 36. Non avea case di famiglia vôte:

Non v'era giunto ancor Sardanapalo A mostrar ciò che 'n camera si puote. 37. Non era vinto ancora Montemalo Dal vostro Uccellatofo, che, com'è vinto Nel montar su, così sarà nel calo. 38. Bellincion Berti vid' io andar cinto

Di cuoio e d'osso, e venir dallo specchio
La donna sua senza 'l viso dipinto.

35. (L) CHÈ 'L TEMPO E LA DOTE...: nè si maritavano innanzi tempo, nè con doti così ruinose: non era accorciato il tempo, la dote ingrossata.

(SL) FUGGIAN. In senso di uscire da certi termini; modo efficace. Ovid. Met., II: Polumque Effugito australem, junctamque aquilonibus Arcton. MISURA. Ott. Oggi le maritano nella culla... Ora sono tali (le dote), che se ne va una con tutto quello che ha il padre: e se rimane vedova, torna spogliando la casa del marito con ciò ch'elli aveva: si che prima fa povero il padre, poi fa povero il marito.

36. (L) DI FAMIGLIA VOTE: grandi più del bisogno. 'N CAMERA SI PUOTE: in delizie e voluttà.

(SL) VOTE. Anon. Tale che non avrà figliuoli, fa palagio di re. SARDANAPALO. Juv., X, 360: Et Venere, et cœnis, et pluma Sardanapali. - (Justin., I, 3). Ott. Dice P. Orosio, I. 1: Ii sezzaio re appo quelli di Siria fu Sardanapalo, uomo corrotto più che femmina. CAMERA. Petr. Per le camere tue fanciulli e vecchi Vanno trescando, e Belzebub in mezzo Co' mantici e col fuoco e con gli specchi. PUOTE. En., V: Quid femina possit.

37. (L) COM'È VINTO NEL MONTAR SU, COSÌ SARÀ NEL CALO: Firenze vince Roma in grandezza, la vincerà anco in ruine.

(SL) UCCELLATOĵo. Sovrasta a Firenze come Montemario a Roma, che dicevasi Montemalo. La via che da Viterbo va a Roma per Montemario, era forse la più battuta a' tempi di Dante e come da quel monte, che è di fronte al Vaticano e si prolunga alla destra del Tevere, si veggono gli edifizii di Roma, così da Bologna, venendo dall'Uccellatoio, si vede Fiorenza. Le grandi fabbriche di Roma, tranne le antiche rovine, son più moderne che le Fiorentine. Vill., XI, 93: Intorno alla città sei miglia, avea più d' abituri ricchi e nobili, che recandoli insieme, due Firenze avrebbono fatte. Uccellatoio come Tegghiaio. (Inf., VI, t. 27). SARA. Purg., XXIV, t. 27: A trista ruina par disposto. Ott. : Le quali edificazioni (in contado) sono cagione di grande rovina in tempo di guerra e in tempo di pace; imperò che prima nello edificio consumano ismisurate faculladi; poi nello abitare, si circa la propria famiglia, si eirca li amici... richieggono molte spese: venendo la guerra, per conservare quelle, domandanò per guernimenti e guardie molta pecunia: ed a molti fu cagione di presura e di morte: finalmente attraggono dalla lungi li nimici col fuoco e col ferro. - CALO. Voce che adesso suonerebbe triviale, ma fa appunto al Poeta. 38. (L) DI CUOIO E D'osso: di casacca di cuoio, fibbia d'osso. DIPINTO con belletto.

(SL) BERTI. Nobile famiglia Ravignana; padre di Gualdrada (Inf., XVI, t. 15), la quale si maritò ne' Guidi, onde i Guidi redarono da' Berti. DIPINTO.

Georg., II: Pictos... Gelonos. Pandolf.: Donne lisciate, imbiancate e dipinte.

39. E vidi quel di Nerli e quel del Vecchio Esser contenti alla pelle scoverta,

E le sue donne al fuso ed al pennecchio. 40. O fortunate! e ciascuna era certa

Della sua sepoltura; ed ancor nulla
Era per Francia nel letto deserta.
44. L'una vegghiava a studio della culla,
E consolando usava l'idioma

Che pria li padri e le madri trastulla: 42. L'altra, traendo alla rocca la chioma, Favoleggiava con la sua famiglia De' Troiani, e di Fiesole, e di Roma. 43. Saría tenuta allor tal maraviglia, Una Cianghella, un Lapo Salterello, Qual or saría Cincinnato e Corniglia.

39. (L) DEL VECCHIO: Vecchietti, nobili. PELLE SCOVERTA: senza drappo.

(SL) PELLE. Ott. Ed era spezial grazia e grande cosa. Fuso. Ott.: Oggi non vuol filare la fante, non che la donna.

40. (L) ERA CERTA DELLA SUA SEPOLTURA: non v'era esilii. NULLA: nessuna. PER FRANCIA NEL LETTO DE

SERTA: lasciata dal marito per ire in Francia.

(SL) O. Buc., I: Fortunate senex. Georg., II: O fortunatos... agricolas. FRANCIA. A mercatantare vi andavano i Fiorentini, e in Inghilterra, e in lontani paesi e Filippo il Bello ne fece morire moltissimi. DESERTA. ED., II: Deserti conjugis. Ovid. Her., I: Non ego deserto jacuissem frigida lecto, Nec quererer tardos ire relicta dies.

41. (SL) Studio. Nel bel senso latino di cura sollecita e amore. CULLA. Ott.: Oggi per sè è la cameriera, per sè la balia, per sè la fante. L'O' Connell parlando al popolo scozzese nel settembre del 1855, diceva: Più d'una madre irlandese, cullando sul seno il fanciullo addormentato al canto delle patrie canzoni, lo interromperà per alternare ai canti d'Irlanda i canti di Scozia, e l'inno di Wallace; e tra il sonno del figlio innalzerà una preghiera per chiamare le benedizioni del cielo sul popolo generoso che stese amica la mano all' Irlanda ne' giorni del suo dolore. CONSOLANDO. Georg., I: Cantu solata laborem. Purg., XXIII, t. 37. Si consola con nanna. IDIOMA. Ben detto il linguaggio proprio de' bimbi, e bello d'idiotismi preziosi alle madri.

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(SL) GIANGHELLA Della Tosa: cugina a Rosso ed a Pino, di parte Nera. Maritata in un Alidosi Imolese. Vedova, si diede a lussuria. Anon. : Parlante senza alcuna fronte o... abito o atto pertinente a condizione di donna. Pietro: Una delle più superbe donne del mondo. LAPO. Giureconsulto fiorentino, maledico e nemico al Poeta, cultor della zazzera e del vestire. Anon. : Di tanti vezzi in vestire ed in mangiare, in cavalli e famigli, che infra nullo termine di sua condizione si contenne; il quale mori poi ribello della sua patria. Pietro lo chiama diffamato e superbo. Teneva da Cerchi (Dino, p. 49-57). Nel marzo del 1502 fu condannato con Dante ad essere bruciato vivo (Dino, 118). Fu priore

44. A così riposato, a così bello

Viver di cittadini, a così fida Cittadinanza, a cosi dolce ostello 45. Maria mi die, chiamata in alte grida; E nell'antico vostro battisteo Insieme fui cristiano e Cacciaguida. 46. Moronto fu mio frate, ed Eliseo:

Mia donna venne a me di Val di Pado; E quindi 'l soprannome tuo si feo.

con lui. Guastò Figline; poi con altri esuli n'andò verso Genova. Autore di versi. Dino, 115: Oh messer Lapo Salterello, minacciatore e bastonatore de' rettori che non ti servieno nelle tue questioni, ove l'armasti? In casa i Pulci stando nascoso. CORNIGLIA. Inf., IV, t. 40: Figlia di Scipione, rispose alla matrona capuana che le additava i proprii ornamenti: i miei vezzi sono i miei figli. Donna eloquente e magnanima. Altri Cornelia, moglie di Pompeo, di cui tante lodi in Lucano (Phars., VIII).

44. (SL) CITTADINANZA. Som.: Più che cittadinamente (Plusquam civiliter ). Machiav. In si varia città e volubile cittadinanza. Pitti: La nostra cittadinanza.

(F) BELLO. Som.: Bellezza dell'ordinamento civile. CITTADINI. Guitt.: Città non fanno già palagi nè rughe belle; ma legge naturale, ordinata giustizia, pace, gaudio intendo che fa città.

45. (L) CHIAMATA IN ALTE GRIDA da mia madre nel parto. INSIEME FUI CRISTIANO E CACCIAGUIDA: il battesimo dà il nome.

(SL) CHIAMATA. Purg., XX, t. 7: Udi': Dolce Maria... chiamar... Come fa donna che 'n partorir sia. Hor. Carm., III, 22: Virgo Quæ laborantes utero puellas Ter vocata audis. BATTISTEO. Inf., XIX, t. 6: Nel mio bel San Giovanni. INSIEME. Nel 1106. 46. (L) FRATE: fratello.

PADO: Po; di Ferrara.

'L SOPRANNOME TUO: Aldighieri.

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famiglia Ghibellina di porta S. Piero. Vill., VI, 54. Gli Aldighieri eran Guelfi. Gli Elisei avevano terre e in contado e in Firenze. Degli Aldighieri ve n'era anco in Parma: un Paolo Aldighieri parmigiano fu sotto Bologna nel 1528 (Murat., Rer. Ital. Script., t. XVIII, p. 155 a 330). Nella piazzetta di S. Margherita a Firenze era una torre che fu della famiglia di Dante. SOPRANNOME. Pelli, pag. 50. FEO. Georg., I: Nomina fecit. 47. (L) CURRADO III. MILIZIA cavalleria.

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(SL) COLPA. Par., IX. GIUSTIZIA. Modo biblico. Psal. XXXIV, 24; LXXI, 4.

49. (SL) TURPA. In Daniele (XIII, 65) turpe per reo. Hor. Sat., I, 9: Quo tu turpissime? DETURPA. Purg., X, t. 1: Della porta Che 'l mal amor dell'anime disusa.

50. (F) PACE. Apoc., XIV, 15: Requiescant a laboribus suis. Beatrice (nella Vita Nuova): Io sono a vedere il principio della pace. Dante, Rime: Nel reame ove gli angeli hanno pace.

L'ineffabile e l'incomparabile.

Tace l'armonia degli spiriti acciocchè possa il Poeta aver luogo a parlare; e a quest'atto d'amore pio, egli esclama: Ben è che senza termine (1) si doglia Chi, per amor di cosa che non duri (2) Eternalmente (3), quell' amor si spoglia (4). I paragoni del finito all'infinito son resi dal Poeta in modi varii, e che spesso ne mostrano immensurabile la distanza: il che è non solo bellezza, ma verità; ed è appunto l'uno in quant'è l'altro:

(1) Boet., de Cons.: L'eternità è interminabile possessione ed intera e perfetta della vita. Som., 2, 2, 106: Sine certo termine. Som., 2, 1, 72: Chi pecca venialmente non merita interminabile pena. Passavanti: Mi punisce senza termine. —(2) Som., 1, 1, 10: L'eternità è una durata. Som., 2, 1, 103: In æternum duraturæ. - (3) Som., 2, 2, 1: Eternaliter. Della pena eterna, Som., 2, 1, 87, 3. (4) Terz. 4.

se non che a rendere questa specie di verità richiedevasi potenza e di pensare e di dire. Non è peraltro da credere che in quelle stesse visioni dove il mondo spirituale ed immenso pare si spesso ristretto nelle anguste misure corporee, il sentimento religioso e poetico de' tempi non volasse più oltre di quel che parole sembrano significare. E ne abbiamo documento tra tanti la Visione recata da' Bollandisti, nella quale un Goffredo tintore di Spira racconta delle cose vedute in Cielo e in Purgatorio ed in Inferno, e a ogni tratto si prende la cura d'avvertire ch'e' non le vide già materialmente, ma che le sono cose ineffabili e incomparabili :

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vidi in Inferno e che udii (4). Mi mancano le pa- | role; e dal grande orrore, non so che, nè come mi dire. Fui morto, e per misericordia di Dio permessomi ritornare al corpo a far penitenza; il che come sia avvenuto, dirò quanto più breve posso. Dappoichè l'anima mia con incredibile pressura e dolore del cuor mio fu uscita, subito, non so come nè da chi condotta, si trovò presentata al giudizio divino, trista tanto e tanto abbattuta, che quella grandezza di mestizia il mondo tutto comprendere e intendere non potrebbe. Tutti i miei peccati, fiu de' menomi pensieri, furono patenti e manifesti non a me solo, ma a tutti i presenti, dei quali infinito era il numero che parevano essi peccati parlare e profferire (2) sẻ medesimi tumultuariamente. Dio buono, quanta fu la confusione che allora mi ricoperse! Quanta calamità di dolore immenso me misero circondò! Nè posso dirlo, né senza immenso spavento del cuore ripensarlo in modo veruno. Le cose che mi furono dette e dal Giudice e dagli Angeli circostanti e da' demonii, perocchè sono affatto ineffabili, non le posso con alcuna proprietà di parole fare altrui manifeste. Or, dettando la divina giustizia, in men d'un momento (3) fui tratto al luogo delle pene e d'Inferno e di Purgatorio, dove tante anime in diversi luoghi e in modi diversi vidi essere tormentate, che tanto numero d' uomini non reputavo che fin qui fosse stato al mondo o che ci sarebbe per essere mai (4). Maravigliosa cosa, e ch'io stesso non saprei ammirare abbastanza, tutto che quella moltitudine eccedesse di gran lunga ogni numero; io nonpertanto, senza che alcuno me lo svelasse, sì propriamente conobbi ed intesi le nazioni di ciascheduno, le sette (5), i meriti e i nomi e le persone come se in tutta la vita mia con ciascheduno di loro fossi particolarmente convissuto e allevatomi seco.

» Di molti le anime vidi tormentarsi in Iuferno, della cui salvazione nessuno avrebbe in questa vitą mortale dubitato per il loro istituto di vita apparentemente ivi buono, i cui segreti mancamenti solo Dio ha conosciuti. Poi vidi in Purgatorio essere di molti riserbati a salute, che pe' costumi palesi di vita loro, i temerarii giudizii de' mortali alle pene d'Inferno cacciavano (6): e

(4) Par., XXIII, t. 19, 20: Se mo sonasser tutte quelle lingue... Al millesmo del vero Non si verria... (2) Inf., XXIII, t. 10: Venieno i tuoi pensier' tra' miei Con simil alto e con simile faccia. — (3) Purg., XXV, t. 29: Senza restarsi, per sè stessa cade Mirabilmente. — (4) Inf,, III, t. 19: Si lunga tratta Di gente, ch'i' non avrei mai creduto Che Morte tanta n'avesse disfatta. — (5) Par., III, t. 55: Ẹ promisi la via della sua setta. − (6) Par., XIII, t. ult. Non creda Monna Berta e Ser Martino, Per vedere un furare, altro offerére, Vederli dentro al consiglio divino; Chè quel può surgere; quel può cadere.

conobbi essere grave peccato profferire giudizio sui morti nella fede di Cristo; perchè l'uomo vede la faccia, ma nel cuore ci vede Iddio, i cui giudizii sono abisso profondo, né debbono dall' uomo essere profanati. L'ordine e la qualità e il modo delle pene di Purgatorio e di quelle d'Inferno sono diversi molto da quel che i nostri predicatori le fanno, i quali non acconciamente le cose spirituali che passano in tutto il senso nostro, misurano per comparazione delle corporee e visibili cose (1). Imperocché io che, dalla carne sciolto (2), vidi secondo l'intelletto dell'anima quelle pene, e sperimentai e con pienezza di spirito compresi in pensiero, così come chiarissimamente m'apparvero; adesso, richiamato al sensibile corporale, nulla a voi propriamente posso dire di quelle, siccome sono, e quali sono veramente in sè stesse, nè con alcuna maniera di similitudine darvelo a imaginare (3). Quanto io dicessi, gli è meno e gli è altrimenti; e neppur s'accosta alla proprietà delle cose future delle quali vi parlo. Sogno è quanto il volgo ne va opinando; chè pochissimi sono a chi in questa mortal vita Iddio allumina l'interno occhio della mente si che pure in parte possano intendere come sia disposta l'anima sciolta da' vincoli della carne. Con le voci note a noi parlare di cose non cognite quanto debba andare rimoto dall'essenza propria del vero, io credo che a tutti voi debba essere manifesto... Maggiori sono i beni che promettonsi ai buoni ne' cieli, e più gravi i mali che a'non buoni preparansi ne' tormenti, incomparabilmente di più ch'altri non possa credere o intendere; e tutte le cose che voi altri predicate in Chiesa de' gaudii celesti, o delle pene infernali, comparate al vero, sono puerili e somiglianti a balocco di fanciulli (4). Qual è fuoco dipinto sul muro a vero fuoco, tale é, anzi meno, ciocchè della beatitudine del cielo e de' tormenti d'Inferno può l'estimativa umana pensare, se raffrontisi con la verità.

» Ne' tormenti ho veduto in Inferno tanta moltitudine di cristiani, non solo di secolari ma anco di preti e monaci e monache, e ragazze e vedove e maritate, de' quali conobbi allora le persone e i nomi e lo stato e la condizione e i meriti della vita: tra' quali notai parecchi de' congiunti e concittadini nostri; ond' io avrei più voglia di piangere che di parlare (5). Di tutti costoro le pene, e anco le forme de' tormenti secondo la differenza del merito, variano di molto (6)... Tutti i tor

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(1) Par., XXIX. Contro i predicanti del tempo suo. (2) Purg., XXV, t. 27 Solvesi dalla carne. (3) Par., XV, t. 26: Che tutte simiglianze sono scarse. —- (4) Par., XXXIII, t. 36: Più corta mia favella... che d'infante.· (5) Purg., XIV, t. 42: Mi diletta Troppo di pianger più che di parlare. (6) Inf., IX, t. 44: I monimenti son più e men caldi. Purg., X, t. 46: Più e meno eran con

tratti.

menti di questo mondo che sono e che furono e che possonsi escogitare e figurare, se si riducessero in una pena tutti, comechessia compendiata, al menomo patimento d'Inferno non si potrebbero per veruna guisa di similitudine comparare (1). Rimane senza fine al continuo l'anima a que' tormenti dannata, rimane sempre agitata da ineffabile furore, sempre in sè stessa sconsolata di tristezza tremenda, sempre compagna a'demonii irrequieti, senza speranza, senza conforto, senza riposo (2), mestissima in sempiterno. Oh miseria sopra tutte miserissima! Varii sono i luoghi di Purgatorio, e le pene quivi differenti; dalle quali altri più presto, altri più tardi sono liberati, secondo la qualità della colpa commessa, e, la durezza della penitenza che fecero in vita. Innumerabile moltitudine d'anime vidi affligersi in purgazione, delle quali talune per molti secoli conobbi esservi dimorate (3). Ogni di se ne liberano, e ogni di altre ne vengono. Della loro libertà tutte hanno speranza certa, ancorchè non tutte del pari sappiano il termine della pena. Oh grave cruccio di quelle anime, oh lunghissimo tempo al patire, per breve che sia! dove pe' suoi demeriti l'anima dagl' incendii del suo fuoco è arsa e per la dilazione del bene sommo incommutabile è dal desiderio suo crucciata... E acciocchè conosciate quel che all'anime de' defunti più giova a migliorarne lo stato, dicovi un fatto arcano ch'io contemplai nella visione della spirituale intelligenza: nel momento del mio terribile appresentarmi al giudizio di Dio, tanta moltitudine d'anime bandita dal mondo per la morte della carne volò per essere giudicata, che in quel punto tutti gli uomini di tutto il mondo, chi nol sapesse, avrebbe creduto essere allora morti: i quali tutti, salvo dodici soli, ricevettero sentenza di dannazione. E di que' dodici, soli due senza la dilazione del Purgatorio ebbero il riposo del cielo. De' quali uno in questa vita fu monaco assai continente, della regola di S. Francesco e l'altro lebbroso poverello mendico, ma ferventissimo nell'amore di Dio... »

Interrogandolo il sacerdote se fosse stato presente al gaudio de' Santi, rispose: « Signore, molte cose vidi, ma tutte ineffabili a me, dacché, siccome non le ho vedute con gli occhi della carne, ma per mirabile e incomprensibile modo d'interna cogitazione, però non posso convenientemente spiegarlo a parole.

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l'Inferno e del Purgatorio, se vero sia quello che certe visioni ne narrano, come la visione di Tantalo (nel qual nome confondevasi la tradizione pagana con la cristiana); che dicono altri sospesi al cavalletto, altri sopra incudini schiacciati dal martello (1), altri da lance e pali (2) confitti a terra, altri messi a bollire (3), e altri puniti in diversi modi sul fare del modo umano e lacerati e consunti; rispose Goffredo: . Signore mio buono, voi sapete ch'io sono uomo semplice e senza dottrina; onde non potrete nè dovrete aspettarvi che sieno dette di mio le cose occulte che io narro a voi del futuro. Dio che per sola sua misericordia mi diede che io vedessi cose che non sapevo, mi conferi insieme l'intelligenza: ma il modo della visione e dell'intendere mio spirituale, né io già lo comprendo, nè a voi lo posso spiegare... lo vi parlerò del terribile giudizio divino per via di similitudini, come posso, note per il ministero de' sensi e per via delle parole usitate; sebbene io quelle cose non vedessi con questi occhi della carne; nè con orecchi carnali sentissi là o voce o grido o rumore; ma rimosso l'uffizio de' sensi, ogni cosa senza voce nè suono e senza somiglianza corporea vidi e udii spiritualmente in un punto (4): anzi, per meglio dire, nè vidi nė udii, ma sì intesi. Le cose spirituali alle spirituali, e le corporee alle corporee sono comparabili. Niente ivi è corporeo, niente che cada sotto l'imaginazione (5), niente conoscibile al sentimento uma

no. »

Dante riduce questo concetto, siccome egli ama, a dottrina; e per dire a Cacciaguida ch'e' non può esprimere l'affetto che sente, piglia il seguente giro che a chi non coglie l'intendimento di lui, dee parere strano. Dacchè, Dio prima e perfetta Uguaglianza, appari in cielo a voi, padre mio, il sentire e il pensare si fecero in voi di pari vigore; perchè a quel sole che v'illumina di verità e che v'accende d'amore, la concezione della verità o quella dell'amore si fanno tra loro uguali, così che nessuna idea di parità umana può rendere tale uguaglianza in modo adeguato. Ma negli uomini mortali il volere e l'intendere non vanno di volo si pari: e io, mortale, non potendo ritrovare concetti corrispondenti all'affetto, molto meno ho parole da tanto; e però non ringrazio se non col cuore. A distinguere le due cose qui usa le voci allumare e ardere, vista e caldo, voglia e argomento (6); siccome altrove argomento e volere (7),

(4) Inf., XI, t. 30: La divina Giustizia gli martelli. · (2) Inf., XXIII, t. 37: Un, crocifisso in terra con tre pali. (5) Inf., XXI, t. 45: Lessi dolenti. — (4) Par., I, t. 25: S'io era sol di me quel che creasti Novellamente, Amor che 'l ciel governi, Tu 'l sai. (5) Par., XIX, t. 3: Non portò voce mai nè scrisse inchiostro, Nè fu per fantasia giammai compreso. (6) Terz. 26 e 27.

- (7) Inf., XXXI, t. 19.

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