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Dice il Poeta che la luce del Verbo, rimanendo una in sè, raggia in nuove creature, ma per indicare che in questa varietà stessa è il principio dell'unità dice il suo raggiare aduna (1), contraddizione apparente, ma conciliazione di sensi profonda. Cosi di questo sole visibile dice Tommaso che, produce nell'una sua virtù molte e varie forme ne' corpi inferiori (2). E a spiegare ciocchè qui e altrove è detto dell'impronta divina, e del segno ideale, che come in cera, più o men docile e pura, rimane più o meno in rilievo, giovano le parole del libro medesimo: Rappresentazione che è falla nella creatura dall' impronta divina (3). E già ne' Salmi le due imagini di luce e di sigillo trovansi accoppiate nel passo: Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine (4); e il segno di per sè comprendendo due e più termini di comparazione, e dall' un lato la cosa e l'idea, dall'altro l'idea e la parola stendendosi così alla materia e allo spirito, alla scienza ed all'arte, è una di quelle voci che servono a più filosoficamente e più poeticamente ritrarre le facoltà e le relazioni del sensibile e del soprasensibile universo. Non senza perché Dante dice dispone e segna (5), chè nella disposizione contengonsi e le proprietà naturali da cui dipende la più o men chiara impressione delle perfezioni divine nelle creature, e gli abiti volontarii che fanno la creatura ragionevole degna ad essere più fortemente impressa del bene, e quindi ad esprimerlo con efficacia maggiore. I differenti gradi di dignità nelle creature erano soggetto di intensa e diretta considerazione al Poeta, siccome queste parole del Convivio, III, 7, ci mostrano: Noi veggiamo molti uomini tanto vili e di si bassa condizione, che quasi non pare essere altro che bestia; e così è da porre e da credere fermamente che sia alcuno tanto nobile e di si alta condizione, che quasi non sia altro che Angelo: altrimenti non si continuerebbe l'umana spezie....

Qui sta l'importanza del Canto, a cui non basterebbe, perchè fosse pieno, la moralità della fine, ove a proposito di un re dannato o salvato insegnasi a' Cristiani preti e non preti di non anticorrere ai giudizii di Dio, e non mettere a dirittura in Paradiso o in Inferno chi può di buono reo, e di reo farsi buono. Ma le inuguaglianze nelle creature dell'Ente perfetto, parendo quasi contrastare a tale perfezione, e molto più gli effetti della inuguaglianza, dovevano percuotere d'ammirazione e di sgomento la mente e l'anima del Poeta. Egli mostra qui di sentire l'altezza della questione, ma non fa quasi altro che porla,

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dacchè non altro dice se non che il Verbo suggella di sè differentemente le cose, senza che sia resa di ciò la ragione. Una delle ragioni pare intravveduta nelle ultime parole del Convivio recate sopra, altrimenti non si continuerebbe l'umana specie, ove pare s'intenda, per quel che spetta alla dignità varia delle anime umane, che l'inuguaglianza è una scala di gradi pe' quali l'umanità viene continuamente salendo sopra sè stessa, e dall' una parte si collega alle creature terrene, dall' altra si raggiuhge col cielo. Il continuerebbe è quasi una divinazione della questione da certi moderni posta, del progresso continuo dell'umanità, col quale altri vorrebbe sostenere che essa umanità per le sole sue forze, quasi per necessità di natura, va sempre innanzi, e che ogni suo passo è progresso sempre, il che negano altri credenti nella distinzione del bene dal male e negli aiuti straordinarii e subiti della Grazia. Ma le due opinioni possonsi conciliare ponendo da l' un lato che lo stesso procedere della natura è libero dalla parte dell' uomo e gratuito dalla parte di Dio, ponendo dall'altro che la Grazia stessa nelle sue illuminazioni ed elevazioni procede per gradi, e, come dicono le Scritture, prepara, come Dante con le Scritture dice dispone, innanzi d'imprimere del suo sigillo. Chi poi volesse più piena soluzione di quest' alta questione dell'inuguaglianze, l'avrebbe non solo dal rammentarsi quello che il Poeta più volte richiama alla mente de' suoi leggitori, dico l'imperscrutabilità del consiglio divino (1); l'avrebbe dal considerare che la creazione essendo inseparabile dall'idea di moto, il moto di necessità porta gradi, e però inuguaglianze; e che le inuguaglianze delle facoltà e delle azioni, conciliate con la somiglianza della natura e con l'unità del fine supremo, essendo la legge dell'ordine e del corporeo e intellettuale e morale e civile, la costanza del principio, non potend' essere casuale, rende ragione dello stesso principio, e l'enimma scioglie, se così posso dire, l'enimma; e le due o più interrogazioni raffrontate dimostrano di contenere in sè la risposta. E chi cercasse altre dichiarazioni ancora, ne troverebbe una nel pensiero più sopra recato, d'Agostino, che nella varietà è la bellezza dell'ordine, e che senza varietà l'intelletto nostro e l'affetto non potrebbe concepire ne sentire armonia. A questo accenna un'imagine del Convivio di Dante, ove i beni mostransi disposti in forma di piramide che dal punto minimo si vien dilatando in amplissima base; se non che qui la piramide è inversa, e col punto minimo tocca la terra, e si dilata nell'alto al che forse ha la mira il Poeta ne' due alberi che dipinge, che più salgono, e più fronteggiano nella bel

(1) Purg., VIII; Par., XI, XIX, XXI.

lezza de' rami (1). Inoltre da' gradi diversi delle nature, e dai gradi de' ministeri e delle facoltà negli enti della stessa natura, risulta il maraviglioso congegno delle influenze che ha l'un mondo sull'altro, e l'una sull'altra specie, e l'uno sull'altro spirito, e ciascheduno e tutti gli enti su tutti e su ciascheduno, delle quali influenze sarebbe perduto e l'artifizio e il merito se varietà non ci fosse. E quindi nel mondo morale, del quale il mondo civile non è che un rivo, la bellezza e sapienza di quella legge che Cristo annunziò più chiaramente che mai, la legge del ministrare, non solo il minore al maggiore, ma l'uguale all' uguale, anzi il maggiore al minore più diligentemente di tutti, chè in questo appunto ripone Cristo la maggioranza, nel farsi agl'inferiori ministro. E però sapientemente la scienza sacra nomina ministero l'angelico. E quello che parrebbe essere fomite di superbia e di divisione, così diventa persuasione ad umiltà ed a concordia. E ciò anco per quest'altra ragione, che quelle che a noi paiono inuguaglianze d'inferiorità, posson essere il contrario, e talvolta sono. Quello che l'esperienza ci mostra con lente e dolorose prove, e che il Cristianesimo col suo lume consolatore in un tratto ci rivelò, cioè che gli umili e i deboli sono i più alti e più forti, e

(1) Furg., XXII, XXXII.

che le cose che non sono, Dio elegge a confondere e sfare le cose che sono: questo dee essere riguardato non come un'eccezione teologica alle leggi di natura, ma come legge universale di tutto il creato. E di qui nuova luce al mistero dell'inuguaglianza; dacchè noi non sappiamo se quello che a noi par più simile, sia in effetto più differente; se quello che a noi pare alto, a creature più alto collocate sia basso, e a vicenda: la quale ignoranza umilia insieme ed innalza i pensieri. E ancora più luce deriva alla questione della quale tocchiamo, dal considerare che i gradi varii di perfezione sono esercizio continuato alla nostra e all'altrui intelligenza e libertà per salire e far salire più in alto, per educare la nostra e le anime de' fratelli, per educare, mi sia lecita questa locuzione, anche il mondo corporeo, acciocchè si venga rendendo più docile alle forze dell'uomo ed al perfezionamento di lui. I quali meriti e conforti del sempre ascendere e fare ascendere, dell' ammendare e del riscattare, del continuare l'opera della creazione e della redenzione, non ci sarebbero se inugualità non ci fosse. E quel che dicesi di ciascheduna parte del piccolo e meschino genere umano, dicasi dell'inuguaglianza de' mondi, l'un de' quali influendo sull'altro, si fanno aiuto reciproco a più alto avvenire, e l'uno dell' altro son forse germi che nell' incomputabile corso de' secoli in sempre più splendida vita si svolgeranno.

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CANTO XIV.

Argomento.

Beatrice domanda a nome del Poeta, e uno spirito risponde circa la resurrezione de' corpi, se questi accresceranno la luce delle anime. Dice che si. Nuovi spiriti gli appajono: in quella gioja di luce guardando la sua donna, e' si trova nel pianeta di Marte, dove splendono i morti in guerra giusta. Splendono disposti in forma di croce, vessillo di martirio e di vittoria, ed è splendore con armonia di coneenti. Salito lassù, e' non aveva ancora guardato a Beatrice. Però dice che l'aspetto del cielo vinse in lui ogni passata bellezza: perchè più si sale, e più la bellezza de' cieli cresce; ma ancor più che de' cieli, quella della sua donna.

Nota le terzine 4; 7 alla 14; 18, 19, 20; 22 alla 25; 28 alla 35; 37 alla 45; la penultima.

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6. (L) CHE SARETE VISIBILI RIFATTI... che avrete il corpo; dopo il giudizio esso resisterà a tanta luce. 7. (L) ALLA FIATA: insieme. A RUOTA: ballando. (SL) RUOTA. Par., X, t. 49: Gloriosa ruota. 8. (L) TORNEARE: girare. — MIRA NOTA: mirabile canto. (SL) MIRA. In prosa il Boccaccio.

9. (L) QUAL: chi. Qui: nel mondo. quivi in Cielo. PLOTA pioggia di gaudio. (SL) PLOIA. Par., XXIV, t. 51.

10. (L) QUELL' Uno e Due e TRE: Dio.

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QUIVE:

(F) CIRCONSCRIVE. Conv., IV, 9: Anche di costei (della natura universale) egli è limitatore Colui che da nulla è limitato, cioè la prima bontà ch'è Iddio, che solo colla infinita capacità l'infinito comprende. Purg., XI, t. 1: Ne' cicli stai, Non circonscritto. 11. (L) MUNO: premio.

(SL) CIASCUNO. Senti le voci di tutti insieme e di ciascuno.

12. Ed io udii nella luce più dia

Del minor cerchio una voce modesta (Forse qual fu dell'Angelo a Maria) 13. Risponder: Quanto fia lunga la festa Di Paradiso, tanto il nostro amore Si raggerà dintorno cotal vesta. 14. La sua chiarezza séguita l'ardore,

L'ardor la visione; e quella è tanta, Quanta ha di grazia sovra suo valore. 15. Come la carne gloriosa e santa

Fia rivestita, la nostra persona Più grata fia, per esser tutta quanta: 16. Perchè s'accrescerà ciò che ne dona Di gratuito lume il sommo Bene, Lume ch'a lui veder ne condiziona : 17. Onde la vision crescer conviene,

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21. Tanto mi parver subiti e accorti

E l'uno e l'altro coro a dieer: Amme, Che ben mostrâr disio de' corpi morti : 22. Forse non pur per lor, ma per le mamme, Per li padri, e per gli altri che fur cari, Anzi che fosser sempiterne fiamme.

23. Ed ecco intorno, di chiarezza pari,

Nascere un lustro sopra quel che v'era, A guisa d'orizzonte che rischiari. 24. E si come al salir di prima sera Comincian per lo ciel nuove parvenze, Si che la cosa pare e non par vera; 25. Parvemi li novelle sussistenze

Cominciare a vedere, e fare un giro Di fuor dall'altre due circonferenze. 26. Oh vero sfavillar del santo Spiro, Come si fece subito e candente Agli occhi miei, che vinti nol soffriro! 27. Ma Beatrice si bella e ridente

Mi si mostro, che tra l'altre vedute
Si vuol lasciar, che non seguir la mente.
28. Quindi ripreser gli occhi miei virtute
A rilevarsi; e vidimi translato

Sol con mia donna a più alta salute.
29. Ben m'accors' io ch'i' era più levato,
Per l'affocato riso della stella
Che mi parea più roggio che l'usato.

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(SL) MAMME. In grave senso l'usa nel XXI del Purgatorio, t. 33. - FIAMME. Æn., II: Vos, æterni ignes, et non violabile vestrum Testor numen. 23. (L) PARI: da tutte le parti. · RISCHIARI sè. 24. (L) PARVENZE di stelle, languide sì.... (SL) SALIR. Inf., XXXIV, t. 23: La notte risurge. -PARVENZE. Risponde al greco fenomeno. · - PAR. Purg., VII, t. 4: Cosa innanzi a se Subita vede... Che crede e no, dicendo: Ell' è, non è.

25. (L) NOVElle sussistenzE: novelle anime.
(SL) SUSSISTENZE. Par., XIII, t. 20.
26. (L) SPIRO: spirito. CANDENTE: infocato.

(F) SPIRO. Dice nel Convivio gli Angeli e i Cieli esser luce riflessa da Dio. 27. (L) CHE TRA L'ALTRE VEDUTE SI VUOL LASCIAR, CHE...: non ne parlo come di cosa che la memoria non rende. (SL) SEGUIR. Cosi fugit a' Latini vale dimenticare. (F) MENTE. Vita Nuova: La memoria non può ritenere lui ne sue operazioni. - Dico com' egli la vede, cioè in tale qualità ch'io non la posso intendere, cioè a dire che il mio pensiero sale nelle qualità di costei in grado, che il mio intelletto not può comprendere.

28. (SL) QUINDI. Dal guardare in Beatrice, la scienza SALUTE. divina, gli occhi abbagliati rianno virtù. · Par., XXII, t. 42: Dio ultima salute. Conv.: Beatrice donna della salute.

ROGGIO rosso. 29. (L) AFFOCATO ardente. (SL) AFFOCATO. Conv., II, 14: Marte... pare affocato di calore, quando più e quando meno. — Riso. Par., V, t. 35: La stella si cambiò e rise.

30. Con tutto 'l cuore, e con quella favella

Ch'è una in tutti, a Dio feci olocausto, Qual conveniasi alla grazia novella. 31. E non er' anco, del mio petto, esausto L'ardor del sacrificio, ch'io conobbi Esso litare stato accetto e fausto: 32. Chè con tanto lucore e tanto robbi M'apparvero splendor' dentro a duo raggi, Ch'io dissi: Oh Elios, che si gli addobbi!» 33. Come, distinta da minori e maggi

Lumi, biancheggia tra i poli del mondo Galassia, si che fa dubbiar ben saggi; 34. Si costellati, facén nel profondo

Marte quei raggi il venerabil segno
Che fan giunture di quadranti in tondo.

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tare che cosa sia quella luce.

(SL) MAGGI. Par., XV, t. 24: I minori e i grandi Di questa vita. Cic., Somn. Scip.: Splendidissimo candore inter flammas circulum ducens, quem vos orbem lacteum nuncupatis. · SAGGI. La favola dice che la via lattea è traccia di Fetonte, il volgo: via di s. Iacopo. Ovid. Met., 1: Est via sublimis, cœlo manifesta sereno: Lactea nomen habet: candore notabilis ipso. Hac iter est Superis ad magni tecta Tonantis.

(F) SAGGI. Conv., II, 15: Li Pitagorici dissero che'l sole alcuna fiata errò nella sua via, e... arse il luogo per lo quale passò, e rimasevi quell' apparenza di arsura... Altri dissero, siccome fue Anassagora e Democrito, che ciò era lume di sole ripercosso in parte.... Quello che Aristotele si dicesse, non si può bene sapere di ciò; perchè la sua sentenza non si trova cotale nell'una translazione come nell' altra: e credo che fosse l'errore de' translatori. Che nella nuova, par dicere che ciò sia un ragunamento di vapori, sotto le stelle... e questa non pare avere ragione vera. Nella vecchia dice che la Galassia non è altro che moltitudine di stelle fisse in quella parte, tanto picciole che distinguere di quaggiù non le potemo, ma di loro apparisce quell' albire il quale noi chiamiamo Galassia. E puote essere, chè il cielo in quella è più spesso; e però ritiene e ripresenta quello lume. E questa opinione pare avere, con Aristotele, Avicenna e Tolommeo (Vedi Arist. Meteor., II). L'Ottimo cita il libro De proprietatibus rerum: Che Galassia è uno circulo... per figura e per bellezza più candido di tutti altri, passante per mezzo il cielo, e cominciante da oriente infino a settentrione, per Canero e Capricorno.

34. (L) Sì COSTELLATI di lumi più grandi o meno. VENERABIL SEGNO: Croce. TONDO: circolo.

35. Qui vince la memoria mia lo 'ngegno: Chè 'n quella croce lampeggiava Cristo, Si ch'io non so trovare esemplo degno. 36. Ma chi prende sua croce e segue Cristo, Ancor mi scuserà di quel ch'io lasso, Veggendo in quello albór balenar Cristo. 37. Di corno in corno, e tra la cima e 'l basso Si movén lumi, scintillando forte Nel congiungersi insieme e nel trapasso. 38. Così si veggion qui diritte e torte, Veloci e tarde, rinnovando vista, Le minuzie de' corpi lunghe e corte 39. Muoversi per lo raggio onde si lista Tal volta l'ombra che per sua difesa, La gente con ingegno ed arte acquista. 40. E come giga ed arpa in tempra tesa Di molte corde, fan dolce tintinno A tal, da cui la nota non è 'ntesa; 41. Così da' lumi che li m'apparinno, S'accogliea per la croce una melóde, Che mi rapiva senza intender l'inno.

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(SL) VINCE. Non evidente, ma s'indovina. 36. (L) CHI Prende sua croCE...: chi salirà a vederlo mi scuserà s'io taccio.

(F) CRISTO. Matth., XVI, 24: Tollat crucem suam et sequatur me. X, 58; Marc. VIII, 54: Luc. IX, 23; XIV, 27; Ad Galat., VI, 5; II, 19.

38. (L) Le minuzie de' corpi...: i corpicciuoli nuotanti in raggio solare che entrano in istanza oscura o non chiarissima. RINNOVANDO VISTA: sempre mossi.

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