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Cantic., IV, 12; V, 4; VI, 1; Luc., XIII, 49. 36. (L) L' UNA RUOTA DELLA BIGA: Domenico. - BRIGA: guerra.

(SL) BRIGA. Purg., XVI, t. 39: Prima che Federigo avesse briga.

37. (L) DELL'ALTRA: Francesco. TOMMA: Tommaso d'Aquino lo lodò.

(SL) ALTRA. Nel Canto precedente usa la metafora della barca: qui del carro; nel XXXII del Purgatorio (t. 45), parlando del carro: O navicella.

38. (L) MA L' ORBITA CHE FE' LA PARTE SOMMA... : il suolo impresso dalla parte più alta della ruota, non è più seguito. È LA MUFFA: il vino è guasto.

(SL) SOMMA. Ovid. Met., II: Aurea summa Curvatura rote. Ma qui non s' intende se non per la grandezza della rota, dacchè la parte somma per lasciare traccia dell' orbita, deve pure scendere a terra. 39. (L) Quel d'inanzi a quel di rETRO GITTA: pon le calcagna ove Francesco la punta de' piedi.

(SL) GITTA. Vulg. Eloq.: Anteriora posteriora putantes. Il modo non chiaro, se non s' intende dello

40. E tosto s'avvedrà della ricolta

Della mala coltura, quando il loglio Si lagnerà che l'arca gli sia tolta. 41. Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio Nostro volume, ancor troveria carta, U' leggerebbe: I' mi son quel ch'i' soglio. » 42. Ma non fia da Casal nè d'Acquasparta, Là onde vegnon tali alla Scrittura, Ch'uno la fugge e altro la coarta. 43. Io son la Vita di Bonaventura

Da Bagnoregio, che ne'grandi ufici Sempre posposi la sinistra cura. 44. Illuminato e Agostin son quici,

Che fur de' primi scalzi poverelli,
Che nel capestro a Dio si fèro amici.

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(SL) BEN per ma, bensì (Gio. Vill.).—FOGLIO. Metafora frequente nel Nostro. 42. (L) DA CAsal nè d'AcquaSPARTA: buono. — FUGGE come rigida. COARTA stringe oltre al giusto.

(SL) CASAL. Frate Ubertino da Casale scrisse Proloquium de potentia papæ, e gli si dimostrò soverchiamente severo. Nel 1516 a Genova si fece capo delli zelanti, e promosse uno scisma nell'Ordine (Wadding., Ann. Min.) ACQUASPARTA, Matteo, cardinale nel 1302, veniva in Firenze a parlare, anzichè pace, discordia, e ad abbassare i Bianchi (Dino, p. 52) e innalzare i Vill., VIII, Donati poi, minacciato di morte (p. 54. 48). FUGGE. L'allargarsi è un fuggire, onde la forza centrifuga. Par., XV, t. 55: 'L tempo e la dote Non fuggia quinci e quindi la misura. BAGNOREGIO: Bagnorea, in 43. (L) VITA: anima. quel d'Orvieto. - SINISTRA: mondana.

(SL) VITA. En., VI: Tenues sine corpore vitas. BONAVENTURA. Cardinale e Dottore di s. Chiesa, generale de' Francescani, per bene diciott' anni lettore nell' Università di Parigi. Nacque nel 1212: morì d'anni cinquantatré.

(F) SINISTRA. Eccli., X, 2: Cor stulti in sinistra illius. Ezech., XVI, 46; Matth., XXV, 55. Destra nella Bibbia hà sempre senso nobile. Gen., XLVII, 13, 14, 17, 18; Psal. XV, 8; Marc.; X, 40. Som.: La sapienza e gli altri beni spirituali appartengono alla diritta; il temporale nutrimento, alla sinistra. Nota l'Anonimo: Che... è bello e laudabile il lodarsi qui (in cielo). 44. (L) ILLUMINATO E AGOSTIN: Francescani pii e dotti. QUICI: qui.

(F) AMICI. Sap., VII, 14: Fatti partecipi dell'amicizia di Dio.

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(SL) UGo. Teologo d' Ipri, poi dottore in Parigi. Scrisse de' Sacramenti; morì circa il 1138. Ugo da s. Vittore e il Maestro delle sentenze citansi nella Somma. Som. I detti d' Ugone da s. Vittore sono magistrali, e hanno forza d'autorità. MANGIADORE. Comestore, lombardo: scrisse d'istoria ecclesiastica e di teologia seppellito in Parigi dove fu precettore. ISPANO. Lesse a Bologna: scrisse dodici libri di logica e altri di teologia. - LIBELLI. Per libri nel Convivio

(II, 2).

46. (L) ARTE: grammatica.

-

(SL) NATAN. Correttore di Davide. Reg., II, VII, 2. CRISOSTOMO. Arcivescovo di Costantinopoli; per voler riformare il clero, fu amato dal popolo, odiato dai grandi; morto in esilio. ANSELMO. Di Cantorbery, arcivescovo, nato in Aosta: gran teologo. Mori nel 1109. O meglio s. Anselmo di Lucca. DONATO. Grammatico, maestro a s. Girolamo. PRIM' ARTE. Così anche il Boccaccio, la Grammatica prima delle sette liberali.

47. (SL) RABANO. Secondo l'Ottimo, fratello di Beda, scrisse De proprietatibus rerum, e d' astronomia. Second'altri Mauro, tedesco che scrisse commenti alla Bibbia, e fu il primo teologo de suoi tempi; monaco a Fulda; studiò a Tours sotto Alcuino, mori nell' 856

48. Ad inveggiar cotanto paladino

Mi mosse la infiammata cortesia

Di fra Tommasó e 'l discreto latino; 49. E mosse meco questa compagnia.

arcivescovo di Magonza. LATO. Fatto il giro ritornò al suo vicino. CALAVRESE. Calavra scrive il Villani (III, 4). Nacque in un borgo presso Cosenza, morì nel 1202. ABATE. Cisterciense in un monastero da sé fondato. Di lui correvano molte profezie; una tra le altre che annunziava la nascita dell'Anticristo nel 1260. Un'opera di lui fu dannata dal Concilio IV Lateranense. Ammetteva in Dio quattro persone, ma poi si sottomise alla Chiesa e Onorio III lo disse cattolico. Fu venerato in Calabria. Montaigne, 1, 9: Ce livre de Joachim abbé calabrois, qui prédisoit tous les papes futurs, leurs noms et formes. Lo cita Armannino nelle sue Fiorità. Scrisse anco un Commento a Geremia e un libro Salterio decachordo. SPIRITO. Som, Fervente di spirito profetico.

48. (L) INVEGGIAR: lodare (Domenico). della fede. CORTESIA in lodare Francesco. TO: retto e modesto latino parlare.

PALADINO DISCRE

(SL) INVEGGIAR. Inveggia per invidia, nel VI del Purgatorio (t. 7). Qui vale emulare in bene come per antifrasi. Gli esempii ne mancano, ma deve essere stato dell' uso, che nulla lo scuserebbe a adoprarlo in senso si direttamente contrario e fuori di rima e dopo un discorso di lode si ampia. Ma siccome emulare vale invidiare, e gelo e geloso hanno la medesima origine, il simile devesi credere d' inveggiare. · LATINO. Montaigne, III, 9: Envers lesquelles la sagesse même perdrait son latin.

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(F) DISCRETO. Conv., I, 41: La parte razionale ha su' occhio col quale apprende la differenza delle cose, in quanto sono ad alcuno fine ordinate: e quest' è la discrezione. Passav.: Ordinata e discreta dottrina. Greg.: Scientiæ discretione. - Indiscretum silentium.

Il coraggio religioso.

Anco alle lodi di Domenico va innanzi un preambolo, non però così splendido come l'altro; anche qui abbiamo il solito traslato: Lo 'mperator che sempre regna (1), et regni ejus non erit finis (2). E anco in Cicerone: Il comune maestro e imperatore di tutti, Dio (3) ( senonchè ambedue le voci avevano altro senso a lui dal moderno); e Tommaso paragona Dio a're, gli angeli a' suoi ministri (4) e doveva poi il Monti venire a parlarci del biondo imperator della foresta.

Notisi, di grazia, differenza evidente, e ancorché non avvertita dallo stesso Poeta, certo non ca

(1) Terz. 14. (2) Luc., I, 55; Exod., XV, 18; Psal. X, 16; CXLV, 10; Apoc., XI, 15. - Sap., III, 8: Regnerà il Signore in perpetuo. Dan, III, 100. - Tob., XIII, 1, 25: Il regno tuo in tutti i secoli. Il regno di lui in sempiterno. Ambr., de Off., I, 49: L'imperatore eterno. (5) De Republ., III. (4) Som., 1, 112.

suale, tra le lodi de' due uomini e de' due ordini. Primo si fa intorno al Poeta e a Beatrice il cerchio de' Domenicani, poi intorno a quello, a comprenderlo più ampiamente, la ghirlanda de' Francescani, come un secondo arco di pace: e siccome nel moto de' cieli il più lontano è il più rapido e il più divino (1); così qui i fratelli di s. Francesco per compiere di pari il giro con gli altri intorno alla Donna di virtù, non può che non si muovano più veloci. E siccome più su vedremo venire per primo Pietro e ragionar della fede, poi Iacopo della speranza, e poi Giovanni della carità che di tutti è maggiore (2); e similmente qui al serafico in ardore (3) precede in ordine di narrazione, non di gloria, il cherubino în

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sapienza. A Francesco è sposa la sposa di Cristo e compagna fidata Insino alla morte, la Povertà per la quale gli uomini sono beati e re (4), per la quale segnatamente venne il figlio dell'uomo ad annunziare segnatamente la buona novella: della povertà di Domenico è fatto un cenno; ma sposa gli è data, come a tutti i Cristiani, la Fede, e questo nel battesimo, e la madrina come per mandato, si sposa in nome di lui. Francesco è sole oriente a similitudine di Gesù; Domenico nasce laddove lo Sol... ad ogni uom si nasconde (2); senonché i versi che fanno sentire la primavera e mostrano a un alito di zefiro tutta Europa vestita di fronde, non invidiano a quant' ha il precedente Canto di fresco e lucente. Della infanzia di lui è parlato lungamente, e del sogno del cane colla fiaccola in bocca a simboleggiare insieme e la luce del vero e la caccia de' nemici: ma della puerizia di Francesco nulla, perchè troppo c'era da dire della sua vita, e dell' alto e pio suo resistere al padre mercante, e del coraggioso ed altero amore alle cose disprezzate dal mondo audace e superbo; e della sua regale sommessione all'autorità religiosa, e del pellegrinaggio in cerca di palma sanguinosa dinanzi al principe barbaro, e del ritorno alla terra italiana siccome matura a messe di vita; e de' primi seguaci, nominati a uno a uno siccome degni di storia; e della impressione delle stimmate (3) che, anco scientificamente riguardata, è un maraviglioso effetto della meditazione intensa e dell' amore ardente alla cui passione corrisponde altrettanta compassione; e finalmente della povera morte che, privando il corpo di bara, gli dà templi magnifici per monumenti, e per lapide libri immortali, e per esequie suono immortale di cantici. Tranne quel che narrasi della prima età di Domenico, il resto si riduce a dire: chiese combattere, e combattè fortemente. I poverelli di Francesco nell'umile abito si fecero amici a Dio (4); l'amante fedele (che questo è il senso tedesco di drudo) l'amante della fede è benigno a' suoi, ma crudo a' nemici non suoi proprii ma di quella. Ne crudo qui val crudele, ma è, come Manto, la vergine cruda (5), o come il crudo sasso ove Francesco da Cristo prese l'ultimo sigillo (6) alla sua religione, che il primo aveva ricevuto dallo spirito per mezzo del successore di Cristo. Ormai la scienza storica ha posto in luce, e porrà sempre meglio,

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come le divisioni nella Chiesa fatte da certi eretici, fossero guerre civili e sociali e dovessero per la dura necessità de' tempi e per l'esempio dagli stessi dissidenti dato, essere se non sempre, talvolta combattute anco con la materiale forza. Non resta però che i mansueti non sieno collocati più in alto; e a lode di Domenico basta bene ch'ei fosse benigno a' suoi quand' altri, invertendo il detto di Dante, si mostreranno crudi a' suoi e benigni a' nemici. Ed è lode assai che di quel torrente che si vivamente percuote nelle resistenze si facciano rivi da quietamente annaffiare la buona pianta. E del resto anco Francesco a Dante è una ruota della biga (1) in cui, la Chiesa difende sè stessa, e ambedue insieme militarono come campioni (2). Bello che a dinotare il decadere del valor vero cristiano dicasi che l'esercito di Cristo si movesse non solamente tardo ma sospettoso, perchè il sospetto fiacca il vigore e della mente e dell'animo, e spegnendo quella carità che discaccia il timore (3), induce vigliaccheria. E perchè nella vita di Domenico par che il Poeta non ami fermarsi (senonchè della patria di lui fa cenno onorato e notabile in mezzo a' biasimi di tanti popoli e regni), esce, con digressione che strettamente s'attiene al tema, anzi è l'intimo del tema stesso, a dire de' mali della Chiesa, e non a caso ripete che ella fu già benigna... a' poveri giusti (4), per congiungere in uno e la benignità di Domenico a' buoni, e il tenero amore di Francesco alla povertà e a' suoi seguaci. E il cenno del dispensare o due o tre per sei (5) rende meglio ragione del Canto quinto e della severità dal Poeta opportunamente voluta nella permutazione de' voti. Ma qui, come sempre, distinguesi la sede da colui che ci stà, e che traligna (6).

Nelle ghirlande degli spiriti seguaci a Francesco e a Domenico non sono i due Padri i quali vedremo in luogo più cospicuo abbellire la rosa sempiterna (7), senonchè ivi si nominano Francesco, Benedetto, Agostino; il nome di Domenico v'è taciuto. Non però tutti ne' due cori son frati, ma i due fondatori danno loro come l'insegna e il colore; che nel serto de' diffonditori del vero per via della scienza, trovasi fra altri Dionigi Areopagita e Boezio, Orosio e Isidoro, Graziano e Beda, e Salomone della cui salvazione allora si dubitava; ma Dante, che ha le chiavi del cielo, le apre, il povero esule, al magnifico re, che era anco in terra meno magnificamente addobbato de' gigli della valle. Tranne Salomone e tranne Sigieri, ch'ebbe parte grande e onorata nelle faccende civili, gli

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altri quasi tutti son uomini di mera scienza; ma nell'altra ghirlanda de' diffonditori del vero per via della carità, sono uomini di vita attiva; e Natan, il coraggioso riprenditore di re; e un altro Natan, la cui eloquenza pareggia talvolta, quanto ad arte, i capolavori pagani, e quanto a fecondità di concetti li vince: dico Giovanni Crisostomo: e ci ha luogo anco Donato, forse come maestro d'un'altra anima eloquentemente coraggiosa ed affettuosa elegantemente, Girolamo (1). Nell' una ghirlanda Isidoro etimologo, nell'altra Donato grammatico e Dante era filologo per la vita; ma la filologia intendeva al modo del Vico, che ne fece anch'egli visione sopramondana, e soliloquio se non dramma: ma soliloquio al modo d'Agostino e dello Shakspeare, non già dell'Alfieri.

Dall' ultimo verso apparisce che Bonaventura, comecchè solo parli, loda Domenico in nome di tutta la sua compagnia; e che il simile fa di Francesco in nome della sua Tommaso d'Aquino: e in nome di tutti sono da intendere i biasimi a' frati degenerati; chè de' Francescani buoni Dante dice poche le carte in tutto il volume, e poco panno volersi alle cappe de' buoni Domenicani. In un luogo adopra il traslato della barca e della merce; in un altro, del carro e dell'orbita; ma nella medesima terzina dal carro passa alla botte, e dice della muffa succeduta alla gromma sana, come già sul principio dal vin della... fiala passa alle piante di cui s'infiora la ghirlanda beata (2), e poi dal gran dottore alla vigna che imbianca, quasi presentisse la malattia peggiore che quella delle uve, la malattia de' dottori troppo neri e troppi.

Né queste sono le bellezze di Dante e i maestri meglio che i commentatori debbono insegnare a discernerle. Non è però da notare tra'difetti, quand'anco non si voglia ammirare come bellezza, certa mostra d'erudizione fatta con intendimento meglio che erudito; come quando egli accenna ai nomi di Domenico e de' genitori di lui, e al verso scolastico Dal possessivo di cui era tutto, premette Quinci si mosse spirito a nomarlo (3), ove vedi uno spirito scendere e ispirare il nome come

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quel di Giovanni (1). Nè questo parrà gioco a chi rammenta gli accenni quasi filologici che fa Omero ai nomi divini e agli umani, e que' di Virgilio alle are, all'assillo, all'amello (2), e i cenni biblici alla intima corrispondenza dei nomi con le cose; a chi ripensasse quel della Somma: Sovente dalle proprietà esteriori compongonsi i nomi a significare le essenze delle cose (3). Ma fossero anco difetti cotesti, bene li compenserebbero versi così pieni di senno e vivi di imagini come: Insieme, a punto e a voler, quetarsi (4), dove tu vedi la precisione degli atti concorde alla unità de' voleri, la precisione in cui consiste la potenza e dell'armonia e d'ogni bello. E chi vuol saggio di splendore di modi senz' uscire di questo Canto vegga dalla benedetta fiamma che l'apre, alla infiammata cortesia che lo chiude, il cerchio lucentè di beati che chiude un altro cerchio di beati, come due ghirlande di rose sempilerne, che si fiammeggiano luce con luce gaudiose e blande (5), e si muovono e quetano così concordi come due occhi al volere della medesima anima, e paiono l'una iride dell'altra, iride canora e di tale soavità che le umane armonie sono luce riflessa a quel paragone. Il Poeta si volge ad essi com' ago calamitato alla stella. E il traslato di luce (6) più volte ritorna; e tutto il Paradiso è luce penetrante e penetrante armonia.

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(4) Zach., XII, 10: Effundam... spiritum gratiæ et precum. (2) Æn., 1: Saxa, vocant Itali mediis quæ in fluctibus Aras. Georg., III: Cui nomen asilo Romanum est, œstron Graii vertere vocantes. - IV: Flos in pratis, cui nomen amello Fecere agricolæ. Æn., XI: Matrisque vocavit Nomine Casmillæ, mulata parte, Camillam. - VI: Sylvius, Albanum nomen, tua postuma proles. III: Est locus, Hesperiam Graii cognomine dicunt... Nunc fama, minores Italiam dixisse, ducis de nomine, gentem. - VII: Clausus... Claudia nunc a quo diffunditur et tribus et gens. VIII: A quo post Itali fluvium cognomine Tybrim Diximus: amisil verum vetus Albula nomen. Che rammenta: Come quel fiume... Che si chiama Acquacheta... E a Forlì di quel nome vacante (Inf., XVI, t. 32, 35). Un'acqua ch' ha nome l'Archiano... Là 've 'l vocabol suo diventa vano (Purg., V, t. 52, 35). Non sono imitazioni; ma dimostrano l'importanza che per istinto danno gl'ingegni grandi ai nomi delle cose, ne' quali sono sovente e le loro origini e le ragioni. (3) Som., 1, 1, 18. (4) Terz. 9. (5) Terz. 7 e 8. (6) La gloria loro insieme luca (t. 12). - Luce in dodici libelli (t. 45). · Lucemi da lato (l. 47).

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CANTO XIII.

Argomento.

Danze e canti, espressi in nuova maniera. Domenico spiega come Salomone fosse il primo in sapere: cioè come re. Più alti di lui furono Adamo e Cristo, siccome quelli in cui Dio immediatamente operò, non per mezzo delle influenze celesti le quali sono vivissime nel primo mobile, ma di sfera in sfera indeboliscono e la materia mortale ad esse resiste. A proposito di questo re, tocca della vanità di certi stu-` dii scolastici; della vanità degli eretici in volere intendere a capriccio le sacre parole; della vanità de' credenti in fare dannato chi è forse salvo.

Le prime terzine del Canto son le più vive,

Nota le terzine 5, 7, 10, 15, 18, 19, 21, 23, 24, 33, 38, 40, 41, 44 alla fine.

1. Immagini chi bene intender cupe

Quel ch'io or vidi (e ritegna l'image,
Mentre ch'io dico, come ferma rupe)
2. Quindici stelle, che in diverse plage
Lo cielo avvivan di tanto sereno
Che soverchia dell'aere ogni compage:
3. Immagini quel carro, a cui il seno

Basta del nostro cielo e notte e giorno,
Si ch'al volger del têmo non vien meno:

4. Immagini, la bocca di quel corno

Che si comincia in punta dello stelo
A cui la prima ruota va dintorno,

5. Aver fatto di sè duo segni in cielo,
Qual fece la figliuola di Minói
Allora che senti di morte il gelo;

6. E l'un nell' altro aver li raggi suoi,
Ed amendue girarsi per maniera
Che l'uno andasse al prima e l'altro al poi:

7. Ed avrà quasi l'ombra della vera

Costellazione, e della doppia danza
Che circulava il punto dov' io era:

8. Poich'è tanto di là da nostra usanza,
Quanto di là dal muover della Chiana
Si muove'l ciel che tutti gli altri avanza.

1. (L) CUPE: brama. — IMAGE: imagine.

(SL) IMMAGINI. Duc son le corone di fiamme: l'una s'aggira in contrario all'altra. CUPE. Vive cupido e altri anche cupere sarà stato dell'uso.

(F) IMMAGINI. Anco in s. Tommaso nel linguaggio filosofico, invece di supporre, dicesi di cose corporee imaginemur.

2. (L) STELLE fisse, di prima grandezza; poi le sette dell'Orsa minore; poi le due che terminan la maggiore. PLACE: plaghe. COMPAGE: densità.

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(SL) SEGNI, Georg., 1: Quo signo caderent Austri. MINÓ. Anco in prosa, dacchè nel genitivo faceva Minóis. Æn., VI: Minoïa regna, Ovid. Fast., V: Baccho placuisse coronam Ex Ariadnæo sidere,... Morendo Arianna, Bacco mutò in istelle la sua corona ch'è verso tramontana.

6. (L) E L'un NELL'ALTRO AVER.....: far due centri con- * centrici, e girar l'uno innanzi, l' altro indietro.

(SL) ANDASSE. Arist. Phys.: Ad minus proficisci vel ad majus.

(F) PRIMA.Conv., IV, 2: Il tempo... è numero di movimento, secondo, prima e poí. Arist.: Il prima e il poi sono primieramente nel luogo. - Il prima e il poi lo conosciamo nel moto in quanto i momenti di questo si possano numerare. · Il tempo è il numero del moto antecedente e del susseguente.

7. (L) CIRCULAVA: girava intorno.

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