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39. (L) CONTRA BUONA USANZA: ch'era vietato. NON FU DAL VEL DEL COR... DISCIOLTA: fu monaca in cuore. (SL) VEL. Parad., IV, t. 33: L'affezion del vel Gostanza tenne.

40. (L) 'L TERZO: Federico II.

(SL) GOSTANZA. Figliuola di Ruggeri re di Pulia e Sicilia, sorelia a Guglielmo. Morto lui senza figli, ccupò il regno un barone Tancredi, il quale non obbeliva alla Chiesa. Onde per l'arcivescovo di Palermo fu olta dal monastero di Palermo nel 1192, e data moglie d Enrico, figliuolo di Federico Barbarossa. Ne nacque

41. Così parlommi; e poi cominció: Ave, Maria, cantando: e cantando vanio Come per acqua cupa cosa grave. 42. La vista mia, che tanto la seguio

Quanto possibil fu, poi che la perse. Volsesi al segno di maggior disio; 43. Ed a Beatrice tutta si converse:

Ma quella folgorò nello mio sguardo Si che da prima il viso non sofferse. 44. E ciò mi fece a dimandar più tardo.

Federico II. VENTO. Altrove paragona al vento la gloria del mondo (Purg., XI, t. 54). Isid. Chi empie sè di superbia, di vento si pasce. Æn., XI: Flatusque remitlat (l'orgoglio). ULTIMA. Conv., IV, 3: Federico di Soave, ultimo imperatore delli Romani.

41. (SL) COSA GRAVE. Arist. Phys.: Rei gravis. Vita Nuova: Come cosa grave e inanimata si moveva.

42. (SL) SEGUio. Æn., VIII: Oculis... sequuntur Pulveream nubem. - V1, delle colombe: Tantum prodire volando, Quantum acie possent oculis servare sequentum. Vite de' ss. Padri: La madre e il padre si fecero alla finestra, onde il potevano vedere, e con dolci lagrime e con divozione il guardavano tanto quanto il potevano vedere e tuttavia benedicendolo.

43. (L) Viso: vista.

(SL) FOLGORO. Tanto più vivo del lume di que' beati era il lume di Beatrice.

La prima sfera.

La vanità dell'ombre d'Inferno ha forme grosse 'd enormi, e dal buio stesso par che risalti più la sconcezza loro: ma qui cominciano ad assottigliarsi nella luce eterea le figure, che per essere rasparenti si fanno vieppiù luminose. I versi stessi che dipingono l'apparire delle prime anime, simile

imagine che riflettesi in ispecchio nitido od in pure acque, tengono di quella trasparenza, e anche un poco di quella incertezza: Debili si, che perla in bianca fronte Non vien men tosto alle nostre pupille (1); dove per cogliere il senso, convien fermare alquanto il pensiero. Nell' Erebo di Virgilio umbra ibant tenues simulacraque (2) tenues sine corpore vitas.... volitare cava sub imagine formæ (3); e nella Tebaide Anfiarao che discende vivo, si fa ombra per via: Jam tenuis visu, jam vanescentibus armis (4). Che se in Plutarco stesso (5) le anime de' giusti figuransi trasparenti; tanto più nella sottigliezza de' corpi beati dovevano compiacersi le fantasie cristiane (6). Le anime spiritualmente illuminate convengono

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co' luoghi luminosi, e le ottenebrate per la colpa co'luoghi tenebrosi (1); e il Savonarola: Vedete gli spiriti beati, la bellezza de' quali consiste nella luce. In Virgilio, Creusa non discesa sotterra, ma dalla madre degli Dei ritenuta sul monte da cui riguardare gli avanzi della dolce terra natia, appare al marito disperatamente cercantela nota major imago (2), che nella sua brevità è più grandioso forse e più pieno di quel del Poeta cristiano: Ne' mirabili aspetti Vostri risplende non so che divino Che vi trasmuta da' primi concetti (3); e questo stesso rammenta il divino: Haud tibi vultus Mortalis, nec vox hominem sonat.... Et vera incessu patuit Dea (4): dove nell'uguaglianza e sceltezza sovrana del dire non rincontri gl' intoppi non fui festino · m'è più latino (5). Ma da ultimo i dolci versi : E poi cominciò: Ave, Maria, cantando: e cantando vanio Come per acqua cupa cosa grave (6), con quelli che seguono, reggono al paragone delle imagini virgiliane: Lacrimantem et multa volentem Dicere deseruit, tenuesque recessit in auras . . . . manus effugit imago, Par levibus ventis, volucri

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que simillima somno (1). Mortales visus medio sermone reliquit, Et procul in tenuem ex oculis evanuit auram (2).

In una visione di sant'Ancario, l'apostolo del settentrione, giovane ancora e caduto in tiepidezza di spirito, è, come già morto, guidato da s. Pietro e da san Giovanni, attraverso alle tenebre del Purgatorio ove rimane in digiuno tre di, che gli paiono dieci secoli; poi le guide ritornano, e per via che nulla ha di corporeo, senza che muti passo, lo salgono per mezzo a un etere di luce più e più ricrescente per infino alle porte del paradiso; dove i cori beati volti a oriente altri tendendo le mani, altri velandosene la faccia, o per il troppo bagliore, o meglio per raccogliersi nella contemplazione, tutti unanimi cantano; e del lume che spandesi d'oriente non si vede nè principio nè termine, e questo lume rinvolge tutti gli eletti e li penetra e li sostiene. Ivi non luceva nè sole nè luna, non apparivano nè terra nè cieli e nulla che fosse materiale; ma solo un'iride circondava il sacro recinto. E dal seno della maestà divina usci voce soavissima, che pur pareva riempiere l'universo, e, va, diceva ad Ancario, riverrai martire (3). Quanto più sublime questo semplice tratto che il canto diciassette e i due precedenti, ove Dante non vede che i mali proprii e della sua ancor più sventurata che gloriosa città, li vede con dolore non puro di spregi e d'iracondia orgogliosa.

Nella fine dell'Edda è una visione cristiana, ove angeli radianti leggono il Vangelo posato sul capo di quelli che fecero elemosina in vita; altri s'inchinano a coloro che purificarono con digiuni la carne; e i figliuoli pii a' genitori volano portati da un raggio di luce; e i già conculcati da' prepotenti vengono in cocchio di trionfo (4). In una delle visioni di Veronica è un cenno più speciale al soggetto del presente Canto.

A Veronica, orante per tutte le suore del cenobio, e sciolta de' sensi corporei, disse una volta Cristo La felicità che alle suore del tuo monastero e agli altri eletti miei ho stabilito di dare, ti voglio ora far manifesta. Asseri Veronica aver veduto le innumerabili beatitudini de' santi, delle quali prime eran quelle che Dio aveva disposto si dessero ai pastori della chiesa santa di Dio. Le maggiori beatitudini dell' altre disposi a' miei servi esimii per verginità; minori alle femmine... Vide anco la vergine dispari beatitudini apparecchiate a quelli che di buon cuore spregiarono il mondo; e a coloro che, forzati, entrarono ne' cenobii, ed al fine, la violenza in tranquillo amore di virtù convertendo, s'adoprarono di prestare degno ser

(4) Æn., II. — (2) Æn., IV. (5) Ozanam, p. 561, 362, da noi tradotto quasi alla lettera. (4) Ozanam, p. 342.

vigio a Dio. La gloria ch'avranno i coniugati, disse che minore di tutti. E affermava la vergine che nessun genere di beatitudine può in cor d'uomo ascendere, nè con voce essere profferito. I beni mortali comparati a questi, son di nessuno momento. Se ad alcuna di voi, sorelle amantissime, fosse dato contemplare la gloria superna, nessuna fatica o vigilia vi revocherebbe da quel proposito, nè l'animo vostro potrebbe in alcun modo esserne raffreddato (1).

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Nel primo del Paradiso è posta la dottrina dell'ordine, e strumento dell'ordine è posto l'amore; nel secondo, l'idea dell'ordine viene applicata ai moti de' cieli e all'intelligenze che li muovono amando, e alla gioia che da essi traluce come da viva pupilla; nel terzo mostrasi l'amore come vincolo alla società de' beati e forma di loro beatitudine. Dante domanda a Piccarda: Desiderate voi più alto luogo di questo a maggiore felicità? Ed ella risponde: La carità è che contenta il nostro volere, il quale ha pace dal conformarsi al volere di Dio; la carità è che ci fa godere del bene de' consorti nostri qualunque esso sia, dacchè Dio vuole che sia. E questo è il principio del cristianesimo, da cui solo può avere anco la vita sociale quel tanto di felicità che le è dato sulla terra; perchè sola l'obbedienza ad un volere invitto e provvido ed amoroso può rendere rassegnati, ed insieme santamente sdegnosi d'ogni altro volere contrario a quello; solo l'amore de' fratelli può nelle inuguaglianze inevitabili poste dalla natura o cagionate dalla volontaria debolezza nostra, costituire alcun principio d'uguaglianza: Richiedesi alla beatitudine di ciascheduno ch'egli abbia quel che vuole e nulla disordinatamente voglia (2). La divina volontà è la prima regola da cui sono regolate tutte le volontà razionali (3). - Retlitudine del cuore è conformare la sua volontà alla volontà divina (4). - Le anime de' Santi hanno volontà pienamente conforme alla divina (5). - Conformatio ad finem per amorem (6). - Il bene divino è l'oggetto della carità (7). La curità è il vincolo che unisce la città di Dio (8).

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Nella luna, pianeta de' men caldi e limpidi, e men rapido, secondo l'astronomia d'allora, nel suo corso intorno alla terra, e sacro da' pagani alla dea vergine, colloca il Poeta e le vergini che non per colpa propria mancarono in qualche parte

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(1) Bolland., I, 905. (2) Som. Sup., 71. - È formate ad esto beato esse Tenersi dentro alla divina voglia (1. 27). (5) Som., 2, 2, 104. Per ch' una fansi nostre voglic stesse (t. 27). (4) Aug. in Psal. XXXII; Som., 1, 2, 19. Che caritate a suo piacer conforma (t. 54). (5) Som. Sup., 74. E la sua volontade è nostra pace (t. 29). (6) Som., 2, 162. Essere in caritate è qui necesse (t. 26). (7) Som., 1, 59. - A tutto 'l regno piace, Come allo re ch'a suo voler ne invoglia (1. 28). (8) Som. Sup., 99; Som., 3. 94.

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ai voti fatti, e quanti altri per debolezza di volere non tennero le promesse strette con Dio e con la propria coscienza. Quivi e' rincontra Piccarda Donati, già caramente rammentata col fratello di lei e suo amico Forese; nelle quali commemorazioni io sento una testimonianza d'affetto verecondo resa dall'esule infelice alla moglie. E notisi che di Corso nemico egli nè qui nè nel Purgatorio pronunzia il nome; ma qui: uomini... a mal più ch'a ben usi (1); e là: quei che più n'ha colpa (2); e notisi l'altra reticenza: Dio lo si sa, qual poi mia vila fúsi (3), ove Dante nè afferma né nega la quasi miracolosa malattia che tolse Piccarda alle forzate nozze; malattia che poteva essere effetto dello spavento suo e del dolore, e era certo disposizione del cielo. Accanto alla cittadina

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della repubblica di Firenze e affine sua, Dante pone, ma a man dritta e raggiante di tutto il lume di quella sfera, una imperatrice di sangue ghi bellino, tolta al chiostro, non per opera d'un male fammi, ma d'un arcivescovo la cui pensata generó a' Papi quella tal briga che ha nome Federico II. Nè senza perchè Dante chiama questo imperatore nto (1); nè credo felice l'ispirazione del professore Parenti, che di vento fa vanto. Sotto imagine di vento rappresentasi nelle Scritture la potenza superna; e in Virgilio più volte la forza guerriera è comparata alla furia del vento, siccome in Omero; e a vento, in Dante, il venire dell'Angelo che gli disserra le negate porte di Dite, e il vindice verso del Poeta stesso dicesi vento che più percuote le cime più alte; che era, al sentir suo, non piccolo argomento d'onore (2).

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CANTO IV.

Argomento.

Beatrice confuta l'errore platonico: l'anime tornare alle stelle dove abitavano prima: dice l'influenza dagli astri venire. Poi scioglie un dubbio: perchè se quelle monache forzale non consentirono al male, abbiano minor merito. Risponde: non consentirono al male; ma non lo ripararono, tornando, allorché potevano, al chiostro.

Il Canto è arido, ma le terzine sul dubbio valgono per due Canti. Nell' Inferno trattò i vizii umani politicamente considerati, nel Purgatorio i difetti considerati moralmente, nel Paradiso le virtù considerate metafisicamente e teologicamente. Le più alte questioni degli umani destini son qui toccate. In questo Canto parla della libertà, del motivo dell' operare, dell' influenza, dell' origine dell' anime, della provida forza del dubbio. Nota le terzine 2, 4, 6, 12, 26, 28, 29 59 alla 45 con la 47.

1.

Intra

Intra duo cibi distanti, e moventi

D'un modo, prima si morria di fame, Che liber' uomo l'un recasse a' denti. 2. Si si starebbe un agno intra duo brame Di fleri lupi, igualmente temendo;

Si si starebbe un cane intra due dame. 3. Perché s' io mi tacea, me non riprendo (Dalli miei dubbi d'un modo sospinto, Poich' era necessario), nè commendo. 4. Io mi tacea; ma 'I mio disir dipinto

M' era nel viso, e 'l dimandar con ello,
Più caldo assai, che per parlar distinto.

1. (L) DISTANTI E MOVENTI D'UN MODO: che non ci fosse motivo più per l'uno che per l'altro,

(F) MOVENTI. Ognuno rammenta l'asino di Buridano. Pone la questione medesima San Tommaso (Som., 1,2; q. 13, art. 6) e la scioglie con dire che in un cibo dovrebbe l' uomo alla fine trovare una condizione che lo movesse più forte. E codesto avvien sempre. Montaigne avverte il medesimo.

2. (L) Si: così. - IGUALMENTE: egualmente. - DAME: caprioli.

(SL) BRAME. Ovid. Met., V: Tigris ut, auditis diversa valle duorum Exstimulata fame mugitibus armentorum, Nescit utro potius ruat; et ruere ardel utroque. DAME. Georg., III: Timidi damo... inter... canes. Buc., VIII: Cum canibus timidi... dama. Nella prima è da ambe parti uguale il timore, nella seconda la voglia; ma la seconda è la similitudine più propria; che niun filosofo ha disputato mai se un agnello tra due lupi tema egualmente di questo e di quello. La tema qui non si divide, ma, confusa, raddoppia. 3. (L) PERCHÈ: onde.

(SL) SOSPINTO. Ovid. Met., X: Sic animus vario labefactus vulnere nulat Huc levis, atque illuc; momentaque sumit utroque.

4. (L) ELLO: desiderio.

(SL) DIPINTO. Dante, Rime: Le vedete Amor pinto nel riso.

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5. (L) Si: così. FELLO irato.

(SL) DANIELLO. "Spiegò a Nabuccodonosor il sogno da lui medesimo dimenticato (di cui nel XIV dell' Inferno), che gli altri indovini nol poterono spiegare, onde il re montò per le furie. - Dan., II, 12, 13, 24, 26, 46: Il re in furia d'ira grande comandò che perissero tutti i dotti di Babilonia... I dotti erano ammazzati, e cercati Daniello e suo' compagni a morte... Introducimi al cospetto del re, e gli dirò la soluzione... Credi tu davvero potermi additare il sogno ch'io vidí, e l'interpretazione di quello?... Allora il re... cadde boccone e s'inchinò a Daniello. FELLO. Inf., XVII, t. 44: Disdegnoso e fello. Arios.: Pugna fella. Prov. tosc.: Bello e fello.

6. (L) FUOR: in parole.

-

(SL) LEGA per impedire. Æn., X: Inque ligatus Cedebat.

3. (L) VOLER delle smonacale. 8. (L) ANCOR: inoltre.

(F) PLATONE. Nel Timeo. Che le anime fossero create prima de' corpi e abitanti le stelle, e di li scendessero in terra, e dopo morte risalissero al cielo per dimorarvi, più o meno lungamente, secondo i meriti quaggiù contratti, s. Agostino (de Civ. Dei, XIII, 19), Proclo, lib. V, Comm. del Timeo.

9. Queste son le quistion' che nel tuo velle

Pontano igualemente. E però pria Tratterò quella che più ha di felle. 10. De' Serafin colui che più s' india,

Moisè, Samuello, e quel Giovanni, Qual prender vuogli (io dico, non Maria), 11. Non hanno in altro cielo i loro scanni, Che quegli spirti che mo t'appariro, Né hanno all'esser lor più o meno anni: 42. Ma tutti fanno bello il primo giro; E differentemente han dolce vita, Per sentir più e men l'eterno spiro. 43. Qui si mostraro, non perché sortita

Sia questa spera lor, ma per far segno
Della spiritual, ch'ha men salita.
44. Così parlar conviensi al vostro ingegno;
Perocchè solo da sensato apprende
Ciò che fa poscia d'intelletto degno.
15. Per questo la Scrittura condiscende

A vostra facultate, e piedi e mano
Attribuisce a Dio, e altro intende.

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(F) CIELO. Conv., II, 4: Questo luogo è di spiriti beati, secondo che la santa Chiesa vuole, che non può dire menzogna.

12. (L) PRIMO GIRO: l' Empireo. — DifferentemENTE HAN DOLCE VITA: hanno più o men beatitudine.

(SL) DOLCE: En., VI: Dulcis vitæ; ma della mortale.

13. (L) PER FAR SEGNO... a te dell'essere men alti in merito.

(SL) SORTITA. Inf., XII, t. 25: Sangue... che sua colpa sortille. Greg. Hom., XIX: Retribuzione d'eterna vila sortirono. Som,: Immutabilitatem sortiuntur a Deo. En., VI: Nec vero ho sine sorte datæ... sedes. SALITA. Purg., IV, t. 29: 'L poggio sale più... - XI, t. 14 : Varco... che men erto cala.

14. (L) VOSTRO: umano. DA SENSATO... CIÒ CHE FA POSCIA D'INTElletto degno: da oggetto sensibile quel che poi diviene intelligibile.

(SL) INGEGNO, Natura, dote di mente, alla latina. SENSATO. Galileo: Averne sensata esperienza per mezzo del telescopio. APPRENDE. Purg., XVIII, 1. 8: Vostra apprensiva. Era termine delle scuole. (F) SENSATO. Gli aristotelici: Nihil est in intellectu quin prius fuerit in sensu. 15. (L) FACULTATE d'intendere. ALTRO atti spirituali,

(SL) CONDISCENDE. Som.: Insegna a poco a poco condiscendendo alla capacità del discepolo,

16. E santa Chiesa con aspetto umano Gabriele e Michel vi rappresenta, E l'altro che Tobia rifece sano. 17. Quel che Timéo dell' anime argomenta. Non è simile a ciò che qui si vede. Perocchè come dice par che senta.

18. Dice che l'alma alla sua stella riede, Credendo quella quindi esser decisa Quando Natura per forma la diede. 19. E forse sua sentenza è d'altra guisa, Che la voce non suona: ed esser puote Con intenzion da non esser derisa. 20. S'egli intende tornare a queste ruote L'onor dell' influenza e 'l biasmo, forse In alcun vero suo arco percuote. 21. Questo principio, male inteso, torse

Già tutto 'l mondo quasi, si che Giove, Mercurio e Marte a nominar trascorse. 22. L'altra dubitazion, che ti commove, Ha men velen; però che sua malizia Non ti poría menar da me altrove.

16. (L) L' ALTRO: Raffaello.

(SL) RIFECE. Joan., V, 11: Sanum fecit. 17. (L) SENTA: creda alla lettera.

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(SL) SENTA. Conv., II, 4: Aristotele pare ciò

sentire.
18. (L) DECISA: staccata quasi dalla stella.
vitale al corpo.

-FORMA

(SL) DECISA. Som.: Il seme ha innanzi a sè l'animale o la pianta ond'è deciso (tolto).

(F) RIEDE. Cic. de Univ.: Chi avrà dirittamente finito il corso di sua vita, a quell' astro, al quale egli è ordinato, ritorna. De Somn. Scip.: Harum ( civitatum) rectores...hinc profecti, huc revertuntur. Platone e altri vollero che le anime procedessero dalle stelle, e fossero nobili più o meno secondo la nobiltà della stella. Aristotele (De An., I) combatte Platone. NATURA. Nel III del Paradiso distingue Dio e Natura. Nel XVI e nel XXV del Purgatorio dice l'anima ispirata direttamente da Dio. FORMA. Conv. La sua forma, cioè la sua anima. Som.: Siccome ogni cosa è formalmente in virtù della sua forma, cosi il corpo vive per l'anima.

19. (SL) VOCE. Som.: La cosa significata per la voce. 20. (L) INFLUENZA, che non toglie libertà. - IN ALCUN VERO SUO ARCO PERCUOTE: dice in parte vero.

(SL) INFLUENZA. Som.: Causa influente. ARCO. Dell' intenzione del dire, Orazio (De Art. poet.): Feriet quodcumque minabitur arcus.

(F) ONOR. L' influenza celeste è parte di grazia: e i meriti umani onorano Dio e la creazione. 21. (L) TORSE: traviò. A NOMINAR: a adorar.

(SL) NOMINAR. Come invocare è adorare. Pronunziare il nome è segno d' affetto.

(F) TRASCORSE. Non è questa la ragione unica dell' idolatria. Qui l'Ottimo cita un libro de Sacrificiis Deorum.

22. (L) NON TI PORÍA MENAR DA ME ALTROVE: non contraria al domma.

(SL) DUBITAZION. Som, La dubitazione accade in alcuno circa gli articoli della fede. Voce scolastica. COMMOVE. SOm.: Pati motum dubitationis. - Commovere è nel latino antico, e ne' Salmi è turbare.

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