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27. Parvemi tanto allor del cielo acceso

Dalla fiamma del sol, che pioggia o fiume
Lago non fece mai tanto disteso.

28. La novità del suono, e 'l grande lume,
Di lor cagion m'accesero un disio
Mai non sentito di cotanto acume.
29. Ond'ella che vedea me sì com' io,

Ad acquetarmi l'animo commosso,
Pria ch'io a dimandar, la bocca aprio.
30. E cominciò: - Tu stesso ti fai grosso

Col falso immaginar, si che non vedi Ciò che vedresti se l'avessi scosso. 31. Tu non se' in terra, si come tu credi; Ma folgore, fuggendo 'l proprio sito, Non corse come tu ch'ad esso riedi. 32. S'io fui del primo dubbio disvestito Per le sorrise parolette brevi,

Dentro a un nuovo più fui irretito. 33. E dissi: Già contento requïevi

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mondo, e desiderano trovarla, perchè non è in luogo determinato, ma spassa per tutto: la qual' anima è Dio. Nel Convivio dice che l'empireo è cielo immobile e luogo di Dio; onde il primo mobile ch'è sotto, si move velocissimo, per lo ferventissimo appetito che ha di unirsi a quello. TEMPERI. L'armonia è varietà e proporzione di parti; onde conviene che si discernano, cioè si moderino a legge certa. Platone e Cicerone (Somn. Scip.) pongono l'armonia delle sfere. E il simile Orfeo. Aristotele (De cœlo et mundo) nega codesti suoni de' cieli. Aggiungeva Platone che le muse contemprano l'armonia mandata dagli astri.

27. (L) TANTO spazio.

28. (L) SUONO delle sfere.

(SL) ACUME. Purg. XXIV, t. 37: Voglia acuta. 30, (L) TI FAI GROSSO: t'aombri d'ignoranza. L'AVESSI SCOSso: avessi scosso l' imaginar.

(SL) FALSO. Dante, Rime: - L' imaginar fallace. Scosso. Boet. Tunc me discussa liquerunt nocle tenebræ,

AD

31. (L) 'I, PROPRIO SITO: la sfera del fuoco. ESSO RIEDI: di qui scende nel corpo l' anima tua. (F) SITO. Arist. E la terra come il centro del mondo nel mezzo di tutte le cose, intorno alla quale l'acqua, intorno all' acqua l'aria, intorno all' aria il fuoco, qui puro e chiaro, che giunge infino alla luna. CORSE. L'elevazione della scienza è volo dell' anima. Abacuc è trasportato dall' angelo in impetu spiritus (Dan. XIV, 35).

-

32, (L) DISVESTITO: Sviluppato. SORRISE PAROLETTE: parolette dette sorridendo. - IRRETITO: Avviluppato. (SL) DISVESTITO. La Chiesa: Peccatis exuas. - Indui i Latini per entrare nel laccio. - IRRETITO. Prov., VII, 24: Irrelivit eum multis sermonibus. Som.: Laqueis erroris.

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33. (L) REQUÏEVI: riposai. 34. (L) APPRESSO dopo. DELIRO delirante. (SL) Pio. Hor. Epist., 1, 18: Veluti pia mater. MADRE. Psal. CII, 13: Quomodo miseretur pater filio

35. E cominciò: - Le cose tutte quante

Hann' ordine tra loro: e questo è forma Che l'universo a Dio fa simigliante. 36. Qui veggion l'alte creature l'orma Dell'eterno valore, il quale è fine Al quale è fatta la toccata norma. 37. Nell'ordine ch'io dico sono accline Tutte nature per diverse sorti, Più al principio loro e men vicine. 38. Onde si muovono a diversi porti

Per lo gran mar dell'essere; e ciascuna Con istinto a lei dato che la porti. 39. Questi ne porta 'l fuoco invêr la luna; Questi ne' cuor mortali è promotore; Questi la terra in sè stringe e aduna. 40. Ne pur le creature che son fuore D'intelligenzia, quest'arco saetta,

Ma quelle ch'hanno intelletto e amore.

-

rum, misertus est dominus timentibus se. DELIRO. Petr. Delira impresa.

(F) FIGLIUOL. Prov. 1, 22: Usquequo, parvuli, diligitis infantiam...? Conv., 1, 4: La maggior parte degli uomini vivono secondo senso, e non secondo ragione, a guisa di pargoli: e questi cotali non conoscono le cose se non semplicemente di fuori, e la loro bontade, la quale a debito fine è ordinata, non veggiono perchè hanno chiusi gli occhi della ragione.

35. (SL) COSE. Tutte le cose hanno un fine, dell'uomo è Dio. Però l'uomo tende a salire. FORMA. Dà unità e vita al mondo.

36. (L) Qui: in tale ordine. LA TOCCATA NORMA; la norma dell' ordine detta.

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(SL) Ordine. Conv., I, 10: La differenza delle cose in quanto sono ad alcuno fine ordinate. —. - ACCLINE. Hor. Sat., II, 6: Acclinis falsis animus. SORTI. Som. Sortes possessionum.

38. (F) PORTI di più o meno profonda quiete e letizia. Psal. CVI, 50: Deduxit eos in portum voluntatis eorum. Segneri, Incr.: Senza questo supremo intelletto nessuna delle nature inferiori potrebbe andare si diritta al suo fine quasi nave al porto.

39. (L) QUESTI: l'istinto, promotore di vita che vien dal cuore.

(SL) PORTA. Arist. Phys., VIII.: Il moto di luogo dicesi portamento: popd. Froco. Lo credevano imponderabile, e che tendesse alla sua sfera lassù (Purg., XVIII). - ADUNA. Postill. Cassin.: Conglutinat in globum et pendulo sustinet. Nel dialetto Corcirese radunarsi è raccorsi del corpo in minore spazio.

(F) LUNA, Conv. Ogni cosa ha il suo speciale amore. Come le corpora semplici hanno amore naturato in sè al luogo proprio. E però il fuoco ascende alia circonferenza di sopra, lungo il cielo della Luna. 40. (L.) CHE SON FUORE D'INTELLIGENZIA: irragionevoli. ARCO d'amore.

(SL) Arco. Nel Convivio parla dell'amore delle piante al suolo in cui nacquero.

41. La Providenzia che cotanto assetta,

Del suo lume fa 'l ciel sempre quieto Nel qual si volge quel ch'ha maggior fretta. 42. Ed ora li, com'a sito decreto,

Cen porta la virtù di quella corda Che ciò che scocca, drizza in segno lieto. 43. Vero è che, come forma non s'accorda Molte fiate alla 'ntenzion dell'arte, Perch'a risponder la materia è sorda;

41. (L) COTANTO ASSETTA: dispone si gran cose. Quel ch' ha magGIOR FRETTA: il primo mobile.

(SL) ASSETTA. Gio. Vill. Rasseltare il reame. (F) QUIETO. Boet.: Tu cuncta superno Ducis ab exemplo, pulcrum pulcherrimus ipse Mundum mente gerens... Tu requies tranquilla piis; tu... finis, Principium, vector, dux, semita, terminus. Conv.: Il cielo immobile è luogo di quella somma Deità che sè sola compiutamente vede. FRETTA. Conv.: Il quale per lo suo ferventissimo appetito d'essere congiunto col divinissimo cielo e quieto, in quello si rivolve con tanto desiderio che la sua celerità è quasi incomprensibile.

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44. Così da questo corso si diparte Talor la creatura, ch' ha podere Di piegar, così pinta, in altra parte 45. (E si come veder si può cadere

Fuoco di nube), se l'impeto primo A terra è tôrto da falso piacere. 46. Non dei più ammirar, se bene stimo, Lo tuo salir, se non come d'un rivo Se d'alto monte scende giuso ad imo. 47. Maraviglia sarebbe in te, se privo D'impedimento, giù ti fossi assiso, Com' a terra quieto fuoco vivo. 48. Quinci rivolse invêr lo cielo il viso.

44. (L) DA QUESTO CORSO: d'in alto. - PINTA: Spinta al male. (F) PODERE. Il libero arbitrio non toglie la grazia, nè questa quello. 45. (L) E si COME VEDER SI PUÒ CADERE, sebben tenda in su di natura...

(SL) TORTO. Purg., XII, t. 32: O gente umana, per volar su nata, Perchè a poco vento così cadi? 46. (L) COME d' un rivo... come cosa naturale.

(SL) Rivo. Nota le similitudini che non pure sono ornamento ma argomento.

(F) Imo. Som. 2, 2, 175. Il ratto è paragonato al salir della pietra.

47. (SL) IMPEDIMENTO. Figuratamente, la colpa.

Altra macchina del Pocma.

L'invocazione che è nel Canto secondo dell' Inferno non piglia più di tre versi, perchè il Poeta s'affretta ad esprimere le cose ond' ha grave l'anima e nel principio più che altrove intende che sia popolare il suo canto, né si compiace tanto nelle memorie dell'arte: ma nel XXXII dell' Inferno un'altra invocazione s'allarga per quattro terzine; e di lì a quattro Canti il Purgatorio si apre con un'altra invocazione di terzine quattro; e nel ventinovesimo n'abbiamo un'altra di due: e il Paradiso incomincia da una di nove, e nel secondo Canto eccotene un' altra di diciotto versi e una nel vigesimo terzo di dodici. Nella invocazione che apre il Paradiso non comprendo i primi sei versi; che sono una intonazione e lirica ed epica delle più alte che abbia la poesia d'ogni secolo e d'ogni gente: ma da quell'altezza è misera cosa cadere a Marsia scorticato, imagine e corporalmente e moralmente turpe. Nè il verso Poca favilla gran fiamma seconda (1) è, per disgrazia dell'Italia, riuscito un vaticinio, se non

(4) Terz. 12.

come i falsi oracoli de' pagani, dacchè troppo somiglia all'Ajo te Eacyda...., nè sai se a poca favilla debbe seguire gran fiamma, o a gran flamma poca favilla. Fatto è che dalle altezze e religiose e civili della poesia di Dante nessuno spiccò il volo più in alto, quasi tutti si tenessero troppo più giù.

Beatrice dalla cima del monte altissimo riguarda al sole oriente; e ci riguarda anch'egli il Poeta; e vede quasi un giorno raddoppiato e un sole nuovo aggiungersi al sole: e rivolge gli occhi alla donna, e in quel mirarla si sente trasumanato. Allora quella luce di sole soprafiammante gli si dilata tutt'intorno com' acqua di lago, e per quelle correnti di luce egli vola, e parla e ascolta volando. E qui un'altra macchina del Poema, giacché quel maraviglioso che nella epopea pagana è in sua meschinità dal principio alla fine sempre il medesimo, e si vien ripetendo in atti o uguali o talvolta l'uno dell'altro minori tanto quanto più si procede innanzi nel canto, quel maraviglioso nel Poema di Dante si viene nella ampiezza ed altezza sua variando e rappresentando in aspetti nuovissimi, sicché pare tutt'altra cosa, e nel suo

intimo è uno. A dichiarare perchè Dante vola in su più leggiero de' corpi leggieri, ecco il ragionamento che Beatrice gli fa.

Tutte le cose sono ordinate fra loro; e l'ordine è che informa l'universo, e lo fa simile a Dio, a Dio che è fine di tutto. A questo grand' ordine tendono per varii gradi e vie le nature varie degli enti; l'istinto dell'ordine è un moto d'amore, che opera e su i corpi inanimati, e sugli animali, e sugli spiriti che intendono ed amano liberamente. Dal cielo superno sono governati tutti i moti inferiori, e ad esso tendono tutti, e gli umani massimamente, se la libertà abusata nell' uomo, o altra forza ne' corpi, non ne li storni. Ed è però, Beatrice conchiude, che tu sali in alto, e il tuo salire è come scorrer di ruscello alla china; e il non salire, purificato come tu sei, sarebbe come vedere la punta della fiamma piegarsi alla terra.

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E questo è forma Che l'universo a Dio fa simigliante (3). » Nella mente divina è la forma alla cui similitudine il mondo è fatto: e in ciò sta la ragione dell'idea (4). Alla forma consegue l'inclinazione, al fine l'azione (5). - La forma è il fine che la cosa ha dalla propria natura (6). Delle cose che non si vogliono generate dal caso e necessario che una forma o idea sia fine della generazione di ciascheduna di quelle (7). - Il fine è all'oggetto al quale è ordinato come la forma alla materia (8).

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Questi ne porta 'l fuoco invêr la luna.... Questi la terra in se stringe e aduna (9). Distingue l'appetito naturale delle cose senza ragione, l'animale de' bruti, e l'intellettuale che è la volontà (10).

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Nè pur le creature che son fuore D'intelligenzia, quest'arco saetta, Ma quelle ch' hanno » intelletto e amore (11). » Tutte le cose, nell'appetire le proprie perfezioni, appetiscono Dio, in quanto le perfezioni delle cose sono certe somiglianze dell'essere divino. Altre conoscono lui secondo lui stesso, che è proprio della creatura ragionevole. Altre conoscono alcune partecipazioni della bontà di lui, che si estende anche alla cognizione sensibile. Altre hanno l'appetito naturale senza la cognizione, come inclinale ciascuna al suo fine da un conoscente superiore (12). - Propinquius attingere ad Deum per cogitationem et amorem (13). - Non può essere volontà negli enti privi di ragione è d'intelletto, perchè non possono apprendere l'universale (14).

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Quest' arco saetta... La virtù di quella corda Che ciò che scocca, drizza in segno lieto (15). » L'intelletto e la natura operano ad un fine. Necessario è che nell'operante per natura sia predeterminato il fine da un intelletto superiore, siccome alla saetta è predeterminato il segno ed un certo moto dal saettante (16).

Vero è che, come forma non s'accorda Molte » fiate alla 'ntenzion dell'arte, Perch'a risponder la materia è sorda; Così da questo corso si di

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(4) Arist. Met., XII. (2) Som., 1, 1, 15. — (3) Terzina 35. (4) Som., 1. c. (5) Som., 1, 1, 5. (6) Som., 1, 1, 18. (7) Som., 1, 1, 15. - (8) Som., 1, 2, 4; 2, 2, 4. (9) Terz. 36. (10) Som., 1, 2, 2. (11) Som., 1. c. Som., 2, 1, 149: Ogni cosa tende ad assomigliarsi a Dio, secondo il suo modo. Som., 4, 2,3.- (12) Arist. Met., I. (15) Som., 1, 2, 102. (14) Terz. 37. -(45) Som., 4, 59.

(1) Som., 1, 59. —(2) Terz. 37. (3) Arist. Phys., II. - (4) Som., 1, 1, 19. (5) Terz. 38. (6) Som., 4, 2, 3. (7) Som., 2, 1, 62. (8) Som., 2, 2, 102. (9) Terz. 39. — (10) Som., 1, 1, 19. (11) Terz. 40. (12) Som., 4, 1, 6. (13) Som., 5, 7; 1, 2, 1. (14) Som., 1, 2, 1. - (15) Terz. 40, 42. (16) Som., 1, 1, 19; 4, 4, 2.

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parte Talor la creatura (1). » La natura è duplice; una come materia, l'altra come forma; e la - forma è anche fine (2). - La forma della cosa, esistente oltre a essa cosa, può riguardarsi o come esemplare di quella, o come principio del conoscerla (3). - Quelle opere artificiali sono false, che fallano alla forma dell'arte (4). - L'artefice quando intende la forma dell'edifizio nella materia, dicesi che intenda l'edifizio; e quando intende la forma dell'edifizio in quanto è pensata da lui, in quanto intende d'intenderla, intende l'idea o ragione dell'edifizio (5). La scienza dell'artefice non produce tutta la cosa, ma soltanto la forma (6). - Il sog. getto o materia non può operare se non in virtù della forma (7). - La materia non può conseguire la forma se non sia nel debilo modo disposta ad essa (8).

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Questi ne porta 'l fuoco invêr la luna... (E » si come veder si può cadere Fuoco di nube)... Com'a terra quieto fuoco vivo (9). » La natura opera sempre al medesimo se cosa non la impedisce (10). - Ogni cosa, se non sia impedita, tende al

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suo proprio luogo, altra in alto, altra in basso (4). Il fuoco non sempre si muove in su, ma quando egli è fuori del luogo suo (2). - Il fuoco nella sua spera si riposa (3).

6

D

Paragoninsi i be' versi: « Principio, cœlum ac terras, camposque liquentes... » (4), che non sono il panteismo moderno, il quale, se non rinnega sẻ stesso, non può dare all'arte che confusione mostruosa, ma confessano la distinzione dello spirito e della mente dalla mole universale, e nel gran corpo distinguono membra; paragoninsi a ciascuna e a tutte insieme le idee espresse e sottintese ne' semplici versi di Dante; paragoninsi a non altro che alla prima terzina di questo Canto e alla terza, dove è assegnato un ordine ascendente alla creazione, e la potenza motrice è rappresentata nel concetto di gloria, cioè d'un giudizio dello spirito fatto nella gioia dell'anima ammirante; e dove la memoria e l'intelletto e il desiderio sono distinti insieme e congiunti in modo dalla filosofia pagana intentato: e si riconoscerà quello che il Cristianesimo aggiunse all'arte, alla scienza, alla

vita.

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សាលា

CANTO II.

Argomento.

Salgono nella luna. Dante, che nel Convivio aveva detto le macchie di quella venire da maggiore o minore densità, per la quale la luce è più o meno vivamente riflessa, qui combatte la propria opinione di prima. Se la densità, dice Beatrice, fosse cagione del lume, tutte le stelle avrebbero la stessa virtù d'influenza; differirebbero solo nel grado. Più: o le parti rade attraversano tutto il corpo lunare, e allora il sole nell'eclissi ci darebbe per mezzo; o il rado è a strati col denso, e allora la luce delle parti più rade sarà più languida, macchia non sarà mai. La cagione vera, secondo Dante, di quelle macchie è la virtù che dal primo mobile si diffonde ne' cieli sottoposti e nella luna è meno che in altri. Arido il Canto: pur nota le terzine 1, 3, 4, 5, 7, 8; 10 alla 15; 18, 19, 26, 32, 37, 38, 39; 43 alla 48.

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1. (SL) PICCIOLETTA. Inf., VIII, t. 5: Nave piccioletta. BARCA. Con metafora simile, ch'è di Virgilio, comincia il Purgatorio; ma nel Purgatorio l'ingegno del Poeta è piccola nave, e qui a chi lo segue in piccola nave e' dà sdegnoso consiglio. Ott.: A volere perfettamente intendere la presente commedia abbisognano molte scienze, imperocchè l'autore usa molli argomenti, esempli e conclusioni.

2. (SL) PELAGO. En., V: Ut pelagus tenuere rates, nec jam amplius ulla Occurrit tellus, maria undique, et undique cœlum. Conv., I, 9: Lo pelago del trattalo (delle canzoni). Hier., Ep. CVII. Mentre tien dietro all'idea dell'Apostolo, egli è portato in pelago cosi profondo che seguitarnelo è paura grande, acciocchè con la grandezza de' sensi non lo opprima quasi con immensa onda. PERDENDO. Par., III, t. 42: La vista mia... poi che la perse.

3. (L) ORSE: il segno a cui tendere.

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5. Metter potete ben per l'alto sale

Vostro navigio, servando mio solco
Dinanzi all'acqua che ritorna eguale.
6. Que' gloriosi che passaro a Colco,

Non s'ammiraron, come voi farete,
Quando Jason vider fatto bifolco.

a' superbi (Purg., XII ). - [SATOLLO. Psal. XVI, 15: Satiabor cum apparuerit gloria tua,]

(F) POCHI. Dice s. Tommaso (contra Gent.) che a pochi è data la cognizione profonda delle cose divine. Conv., 1, 1: Oh beati que' pochi che seggono a quella mensa ove il pune degli angeli si mangia! e miseri quelli che con le pecore hanno comune cibo! - PAN. Joan., VI, 35: Io sono il pane di vita. SATOLLO. Psal. XVI, 15: Sarò saziato allorchè apparirà la tua gloria. Conv., IV, 22: (La speculazione) in questa vita perfettamente lo suo uso avere non può, il quale avere è Iddio ch'è sommo intelligibile, se non in quanto considera lui e mira lui per li suoi effetti.

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5. (L) SALE: mare. SERVANDO MIO SOLCO DINANZI ALL'ACQUA CHE RITORNA EGUALE: seguendo dappresso la spuma del legno mio avanti che l' acqua, lui passato, s' appiani.

(SL) SALE. Horat. Epod., XVIII: Alto... salo. En., 1: Spumas salis ære ruebant. — - Georg., 11: Maria alta. Æn., X: Campos salis ære secabant. - V: Salis placidi vultum. - Assiduo... sale saxa sonabant. — SERVANDO. Æn., II: Servet vestigia. - SOLCO. Æn., V: Infindunt pariter sulcos. -X: Longa sulcat maria alta carina. -DINANZI. Innanzi che l'acqua ritorni uguale. Il che trasposto. EGUALE. Sap., V, 10: Siccome nave che passa per l'acqua fluttuosa, che, passata, non c'è da trovare orma nè traccia di sua carena nell' onda. Stat. Achill., I: Qua cana parumper Spumant signa fugæ et liquido perit orbita ponto. - Pone natant, delentque pedum vestigia cauda.

6. (L) QUE' GLORIOSI: gli Argonauti. Vider seminare i denti del serpe ed arare.

(SL) PASSARO. Passaggio valeva, nel 300, tragitto di navigazione, segnatamente per impresa di guerra.JASON. Ovid. Met., VII. - Semint.: Giasone fabbricatore

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